Cassazione, sez. II, 2 febbraio 2011, n. 2431 Onorario contestato, da quando spettano gli interessi di mora?

Sentenza scelta dal dott. Domenico Cirasole

Svolgimento del processo

L’avv. M.A..B. ha proposto ricorso per cassazione avverso l’ordinanza depos. in data 29.04.05 con la quale il Tribunale di Benevento ha liquidato ai sensi dell’art. 28 e ss. legge n. 794/1942 il compenso per l’attività professionale svolta dalla stessa ricorrente in favore del Condominio (OMISSIS) . Il ricorso si articola in 4 motivi, illustrati da memoria ex art. 378 c.p.c.; il condominio intimato, non ha svolto difese.

Motivi della decisione

Con i 4 motivi del ricorso, l’esponente contesta: la violazione della legge n. 794 del 1942 e della tariffa professionale; lamenta l’omessa determinazione degli interessi dovuti per la costituzione in mora del condominio ; la mancata rivalutazione monetaria della somma liquidata; l’omesso controllo dell’accettazione del credito da parte del condominio; l’omessa analitica individuazione di ciascuna delle voci (diritti ed onorari) decurtate da parte del tribunale ed infine l’insufficienza e la contraddittorietà della motivazione.

Le doglianze – esaminate congiuntamente per la loro stretta connessione – sono chiaramente infondate.

L’esponente assume che il credito del professionista "non può che trovare tutela nella disciplina generale delle obbligazioni sicché la parcella quale atto unilaterale ricettizio produce effetti dal giorno della conoscenza di esso da parte del destinatario…." E poiché in camera di consiglio il Condominio si era detto pronto all’adempimento, ma poi non aveva versato "neppure un acconto…., la mora del debitore era incontrovertibile". Gli interessi ed il maggior danno da svalutazione monetaria si desumerebbero poi "preventivamente sulla base dell’appartenenza del creditore alla categoria economica dei liberi professionisti”.

Le censure sono infondate. Quanto alla decorrenza degli interessi il tribunale ha ritenuto che da parte dell’assemblea condominiale non vi era stato in realtà alcun riconoscimento del debito nella misura richiesta dal legale. Pertanto poiché nella fattispecie era sorta controversia sul quantum, gli interessi e il preteso maggior danno da svalutazione monetaria (che nella fattispecie non risulta sia stato oggetto di precedente istanza), restano soggetti alle comune regole di cui all’art. 1224 c.c., postulando il verificarsi della mora debendi (Cass. n. 5004 del 28.4.1993).

Peraltro questa S.C. ha precisato al riguardo che… "se è vero che, in tema di liquidazione di diritti ed onorari di avvocato e procuratore a carico del cliente, la disposizione comune alle tre tariffe forensi (civile, penale e stragiudiziale) contenuta nel D.M. 14 febbraio 1992, n. 238 prevede che gli interessi di mora decorrano dal terzo mese successivo all’invio della parcella, quando tuttavia insorge controversia tra l’avvocato ed il cliente circa il compenso per prestazioni professionali, il debitore non può essere ritenuto in mora prima della liquidazione del debito, che avviene con l’ordinanza che conclude il procedimento ex art. 28 della legge 13 giugno 1942 n. 794 (che è di particolare, sollecita definizione), sicché è da quella data – e nei limiti di quanto liquidato dal giudice – e non da prima che va riportata la decorrenza degli interessi (Cass. n. 5240 del 29/05/1999; Cass. n. 11777 del 07/06/2005).

Quanto all’omessa analitica individuazione di ciascuna delle voci (diritti ed onorari) decurtate da parte del tribunale, si rileva che la censura è generica, in quanto la ricorrente si è limitata a trascrivere solo le varie parcelle, senza l’indicazione delle specifiche voci decurtate o pretermesse a suo avviso ingiustamente. Peraltro, secondo la giurisprudenza di questa Corte, la determinazione degli onorari di avvocato costituisce esercizio di un potere discrezionale del giudice, che, se contenuto tra il minimo ed il massimo della tariffa, non richiede specifica motivazione e non può formare oggetto di sindacato in sede di legittimità a meno che l’interessato specifichi le singole voci della tariffa che assume essere state violate ( Cass. n. 14011 del 12.11.2001; Cass. n. 18086 del 07/08/2009). La ricorrente infatti ha l’onere dell’analitica specificazione delle voci della tariffa professionale che ritiene violate e degli importi considerati, al fine di consentire il controllo in sede di legittimità senza bisogno di procedere alla diretta consultazione degli atti, in quanto l’eventuale violazione delle tariffe professionali integra un’ipotesi di error in iudicando e non in procedendo (Cass. 6864 del 25.5.2000; Cass. n. 15172 del 10.10.2003). Il tribunale invero ha comunque correttamente motivato le proprie determinazioni (con valutazione peraltro non censurabile in questa sede) ed ha liquidato le somme per l’intero giudizio (sia per la fase cautelare che per quella di merito) richiamando esplicitamente la complessità della causa, l’attività prestata e l’esito del giudizio di merito, "in una con le tariffe vigenti, per ciò che concerne i diritti all’epoca in cui l’attività è stata svolta".

Conclusivamente il ricorso dev’essere rigettato. Nulla per le spese.

P.Q.M.

La Corte rigetta il ricorso.

Testo non ufficiale. La sola stampa del bollettino ufficiale ha carattere legale.

Cass. pen. Sez. II, Sent., (ud. 21-12-2010) 21-01-2011, n. 2221 Sequestro preventivo

Sentenza scelta dal dott. Domenico Cirasole direttore del sito giuridico http://www.gadit.it/

Svolgimento del processo e motivi della decisione

Con ordinanza del 19.6.2010, il Tribunale della Libertà di Roma rigettava l’istanza di riesame proposta da C.F., in proprio e nella qualità di amministratore della soc. ABC Consul e Confidi Italia PMI snc, contro il provvedimento del gip del locale Tribunale del 28.4.2010, che aveva convalidato il decreto di sequestro preventivo emesso dal locale ufficio di procura nell’ambito del procedimento penale a carico della stessa istante e di L.G. e A. per i reati di cui al D.Lgs. n. 385 del 1993, art. 132, e art. 646 c.p., e art. 61 c.p., n. 7.

Ricorre il difensore di C.F., deducendo il vizio di violazione di legge del provvedimento impugnato ai sensi dell’art. 606 c.p.p., lett. c), in relazione all’art. 321 c.p.p., commi 3 bis e 3 ter, per assoluta mancanza di motivazione ed erronea applicazione della legge processuale circa i presupposti legittimanti la contestata misura cautelare reale. Nell’ordinanza non sarebbe ravvisabile un’idonea motivazione in ordine alla presunta interversione del possesso da parte dell’indagata, delle somme movimentate con le operazioni bancarie analizzate, peraltro di modesto importo.

Sarebbe irrilevante il riferimento alla tipologia dell’attività esercitata dalla "Confidi", oltretutto regolarmente iscritta nell’elenco speciale delle società sottoposte a controllo per l’esercizio in forma professionale dell’attività di rilascio di fideiussioni; e incomprensibile il rilievo attribuito dai giudici del riesame alla presenza, in occasione di alcune operazioni, di L.G..

Il ricorso è inammissibile.

Premesso che il ricorso per cassazione contro ordinanze emesse in materia di sequestro preventivo o probatorio e ammesso solo per violazione di legge, in tale nozione dovendosi comprendere, quanto ai vizi della motivazione, quelli così radicali da rendere l’apparato argomentativo posto a sostegno del provvedimento del tutto mancante o comunque privo dei requisiti minimi di coerenza, completezza e ragionevolezza e quindi inidoneo a rendere comprensibile l’itinerario logico seguito dal giudice. (Conf. Cass S.U., 29 maggio 2008 n. 25933, Malgioglio), va brevemente rilevato che i giudici territoriali hanno adeguatamente evidenziato il carattere sospetto di alcune operazioni bancarie, tra le quali, ad es., quella relativa al prelievo dell’intera somma trattata per conto della soc. Vegaest, per quanto la Confidi potesse facilmente trattenere per sè soltanto la provvigione dovutale mediante un semplice giroconto.

E hanno altresì evidenziato come sintomatica delle reali intenzioni degli autori del prelievo, la richiesta di conversione della somma in franchi svizzeri, senza mancare di rilevare i significativi interventi sulle operazioni in questione dell’autorità di controllo.

La stessa presenza di L.G. in occasione delle operazioni è stata poi valorizzata dai giudici territoriali, peraltro alla stregua di una notazione del tutto marginale e secondaria, solo in quanto si tratta di un soggetto coinvolto insieme a L.M. in procedimenti penali per reati finanziari, societari e fallimentari.

Piuttosto generiche e implicanti una inammissibile sovrapposizione argomentativa nel merito rispetto alla motivazione dell’ordinanza, sono d’altra parte le deduzioni del ricorrente, tanto più considerando la ristretta prospettiva di indagine connessa alla verifica del fumus commissi delicti, e ai limiti al sindacato di legittimità in subiecta materia imposti dall’art. 325 c.p.p..

Alla stregua delle precedenti considerazioni, il ricorso va pertanto dichiarato inammissibile, con la condanna del ricorrente al pagamento delle spese processuali e della somma di Euro 1000,00 alla Cassa delle Ammende, commisurata all’effettivo grado di colpa dello stesso ricorrente nella determinazione della causa di inammissibilità.

P.Q.M.

Dichiara inammissibile il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali e della somma di Euro 1000,00 alla Cassa delle Ammende.

Testo non ufficiale. La sola stampa del bollettino ufficiale ha carattere legale.

T.A.R. Lazio Roma Sez. II quater, Sent., 02-02-2011, n. 987 Contratto di appalto

Sentenza scelta dal dott. Domenico Cirasole direttore del sito giuridico http://www.gadit.it/

Svolgimento del processo

La società "E.A.S. S.p.a.", in data 14 maggio 2010 ha indetto apposita gara per l’affidamento della "gestione dei servizi di logistica integrata relativamente alla movimentazione e al trasporto dei rifiuti speciali non pericolosi trattati e prodotti dallo stabilimento di trito vagliatura ed imballaggio rifiuti (STIR) di Battipaglia (SA) ed evacuati dalla discarica di Campagna (SA) (Località Basso dell’Olmo)".

Il ricorrente, attuale gestore del servizio, avendo interesse a conseguire il suddetto affidamento, ha depositato regolare domanda di partecipazione, in uno alla documentazione di rito.

In data 30 luglio 2010 si è tenuta la prima seduta di gara, nel corso della quale è stata esaminata la documentazione amministrativa delle uniche due concorrenti.

Già in tale occasione la ricorrente ha fatto pervenire alla Commissione di gara apposite osservazioni con le quali ha evidenziato che l’offerta presentata dalla costituenda A. "D.V. – SMET" andava immediatamente esclusa in quanto:

– non avrebbe indicato le percentuali di partecipazione all’A.;

– la tipologia degli automezzi non era conforme a quelli prescritti;

– non aveva eseguito servizi analoghi nella misura prevista dalla disciplina di gara.

La Commissione ha confermato l’ammissione della controinteressata ed ha disposto l’aggiudicazione in suo favore.

Con istanza in data 23 agosto 2010, la ricorrente ha chiesto l’accesso agli atti per la proposizione del ricorso.

Deduce la ricorrente la illegittimità dei provvedimenti impugnati per violazione di legge ed eccesso di potere sotto svariati profili.

Si costituiva in giudizio la controinteressata proponendo ricorso incidentale.

All’udienza pubblica del 25 gennaio 2011 il ricorso è stato trattenuto in decisione.
Motivi della decisione

Nella specie risultano proposti un ricorso principale e un ricorso incidentale, volti entrambi a conseguire l’esclusione dell’avversario in una gara nella quale partecipano solo i due predetti concorrenti.

Il Collegio ritiene di esaminare prioritariamente il ricorso principale sulla base dei principi di economia processuale e di logicità (Consiglio Stato, sez. IV, 12 giugno 2009, n. 3696; Tar Lazio sez. III 29 aprile 2009 n. 4401).

Il ricorso principale è infondato.

Con un primo motivo l’odierna ricorrente deduce la illegittimità della aggiudicazione in favore dell’A. "D.V. – Smet" per violazione di legge ed eccesso di potere.

Sostiene la ricorrente che l’offerta depositata dalla aggiudicataria avrebbe dovuto essere esclusa in quanto non contenente l’indicazione delle quote percentuali di partecipazione all’A..

La censura è infondata.

Come si evince dagli atti depositati in giudizio, la disciplina di gara non ha quantificato le percentuali relative a ciascuna categoria (categorie 1 e 4 classe A e categoria 6 C), indicando esclusivamente l’importo complessivo della gara (15.000.000,00 di euro).

L’aggiudicataria, in sede di domanda di partecipazione ha espressamente dichiarato il seguente riparto di quote:

– Categoria 1A – D.V. 91 % – Smet – 9 %;

– Categoria 4A – D.V. 80 % – Smet – 20 %;

– Categoria 6C – D.V. 50 % – Smet – 50 %.

Rileva il Collegio come l’indicazione di tali percentuali risulti idonea a quantificare le quote percentuali riferibili alle singole categorie così come richiesto dall’art. 37, comma 4, D.Lgs. n. 163/2006 ("Nel caso di forniture o servizi nell’offerta devono essere specificate le parti del servizio o della fornitura che saranno eseguite dai singoli operatori economici riuniti o consorziati").

Non v’è dubbio, infatti, che la ripartizione proposta in sede di presentazione della domanda di partecipazione sia rispettosa della disposizione normativa sopra richiamata in considerazione della espressa indicazione delle "parti del servizio o della fornitura che saranno eseguite dai singoli operatori economici riuniti o consorziati".

D’altra parte, nemmeno risulta impedita – al contrario di quanto prospettato dalla parte ricorrente – l’individuazione della percentuale di partecipazione all’A. – peraltro non richiesta dalla disposizione normativa richiamata dal ricorrente – che può agevolmente ricavarsi sulla base della divisione delle quote percentuali per il totale delle categorie (D.V. 221:300 pari a 73,66% e Smet 79:300 pari a 26,33%).

Con un secondo e terzo motivo di ricorso il Consorzio C. deduce la illegittimità degli atti impugnati sotto il profilo della violazione dell’art. 38 D.Lgs. n. 163/2006 e dell’eccesso di potere.

In particolare, afferma il ricorrente che dagli atti di gara non risulterebbe la dichiarazione sostitutiva – resa ai sensi del D.P.R. n. 445/2000 – attestante il possesso dei requisiti generali di cui all’art. 38 D.Lgs. n. 163/2006 da parte della sig.ra Caprino – amministratore munito dei poteri di rappresentanza – del sig. M. – preposto ex art. 2203 – e del dott. Caruso – direttore tecnico.

Le censure sono infondate.

Rileva il Collegio come sulla base della lettera dell’art. 14 del Disciplinare di gara, nella Documentazione Amministrativa da inserire nella busta A – a pena di esclusione – era prevista la dichiarazione sostitutiva relativa alle seguenti ipotesi (nn. 5, 6, 7 ed 8):

– di non trovarsi in stato di fallimento, di liquidazione coatta, amministrazione controllata o concordato preventivo e di non avere in corso procedimento per la dichiarazione di una di tali situazioni nel quinquennio precedente;

– di non avere a proprio carico procedimenti in corso, per l’applicazione di una delle misure di prevenzione di cui all’art. 3 L. 1423/1956 o di una delle cause ostative, previste dall’art. 10 L. 575/1965;

– di non aver, a proprio carico, sentenze definitive di condanna, passate in giudicato o decreti penali di condanna, divenuti irrevocabili, ovvero sentenza di applicazione della pena su richiesta, ai sensi dell’art. 444 c.p.p., per reati in danno dello Stato e della Comunità, che incidono sulla moralità professionale;

– di non sussistere sentenze definitive di condanna, passate in giudicato, o decreti penali di condanna, divenuti irrevocabili, ovvero sentenza di applicazione della pena su richiesta, ai sensi dell’art. 444 c.p.p., per reati in danno dello Stato e della Comunità, che incidono sulla moralità professionale a carico di eventuali amministratori e direttori tecnici cessati nel triennio antecedente la data di pubblicazione del bando di gara, ovvero di avere l’impresa adottato atti o misure di completa dissociazione dalla condotta penalmente sanzionata.

Tali dichiarazioni dovevano essere predisposte a cura del concorrente e, nel caso di società, degli amministratori muniti di rappresentanza oltre che del direttore tecnico.

Appare evidente, peraltro – alla luce del chiaro disposto dell’art. 14 del disciplinare di gara – che tali dichiarazioni sostitutive dovevano provenire da soggetti in carica; le indicazioni relative ai soggetti cessati dalla carica, infatti, non sono previste dal disciplinare quali autonome dichiarazioni dei medesimi quanto, piuttosto, oggetto di quella dell’impresa concorrente (art. 14, punto 8 del disciplinare).

Alcuna causa di esclusione automatica, quindi, era ricollegata alla assenza di dichiarazione da parte degli amministratori cessati dalla carica.

Risulta, dunque, legittima la valutazione in merito alla regolarità della dichiarazione sostitutiva posta in essere dalla Commissione di gara.

Così come evidenziato dai documenti depositati in atti, infatti, la Sig.ra Caprino ha dismesso l’incarico di amministratore sin dal 3 maggio 2010 – come risulta dal verbale della riunione del Consiglio di Amministrazione del 3 maggio 2010 (doc. n. 1 produzione D.V.T. S.p.a. per la camera di consiglio del 20 ottobre 2010) – e non risultano a suo carico sentenze di condanna o procedimenti pendenti (docc. nn. 2 e 3 produzione D.V.T. S.p.a. per la camera di consiglio del 20 ottobre 2010).

Allo stesso modo, quanto alla posizione del sig. M., rileva il Collegio come lo stesso – così come dichiarato in sede di gara dal Presidente ed Amministratore delegato Sig. V.D.V. (doc. n. 4 produzione Ecoambiente S.r.l.) – risulta cessato da qualsiasi carica sociale sin dal 1998 e comunque sostituito nella attività di "preposto" dal sig. V.D.V. (si veda doc. n. 14 produzione D.V.).

Quanto, infine, al dott. Caruso, rileva il Collegio come lo stesso non rivesta il ruolo di "Direttore Tecnico" ma solo di "Responsabile tecnico". D’altra parte, così come evidenziato dalla documentazione depositata non risultano a suo carico sentenze di condanna o procedimenti pendenti (doc. n. 4 produzione D.V.T. S.p.a. per la camera di consiglio del 20 ottobre 2010).

Con una quarta e quinta censura la ricorrente deduce la violazione del punto 14 del disciplinare di gara e del punto 8 del capitolato tecnico in quanto la aggiudicataria non sarebbe titolare di automezzi idonei per l’espletamento del servizio.

La censura è infondata.

Rileva il Collegio come sulla base della documentazione di gara risulti evidente la differenziazione – con riferimento agli automezzi oggetto del servizio – tra fase di attestazione della capacità tecnica e fase di esecuzione dell’appalto.

L’art. 14 del Disciplinare di gara alla lettera h), infatti, indica tra la documentazione da inserire nella busta A la "iscrizione all’Albo Gestori Ambientali, con indicazione dei mezzi iscritti che saranno utilizzati per il servizio oggetto della presente gara e la relativa capacità per ciascun codice CER, così come è indicato al punto 5) del Capitolato Tecnico che è parte integrante della documentazione di gara, per le categorie 1 e 4 Classe A"; l’art. 8 del Capitolato Tecnico, invece, espressamente dispone che soltanto la ditta "aggiudicataria" – ai fini dell’espletamento del servizio – "è tenuta a dotarsi e fornire le attrezzature e gli automezzi le cui specifiche tecniche sono riportate nella tabella di seguito allegata", mentre il soggetto ammesso alla partecipazione è tenuto semplicemente a "presentare una documentazione riportante l’intera dotazione a disposizione per l’espletamento del servizio oggetto dell’appalto".

Non v’è dubbio, dunque, che mentre l’indicazione dei mezzi da utilizzare ai fini dell’espletamento del servizio costituisce un mero requisito di attestazione della capacità tecnica richiesta per la partecipazione alla gara, soltanto in sede esecutiva era prevista la necessità di effettiva dotazione dei mezzi indicati dal Capitolato Tecnico con le relative specifiche tecniche.

Con una sesta censura il ricorrente deduce la illegittimità degli atti di gara sotto il profilo della violazione dell’art. 41 D.Lgs. n. 163/2006 e dell’eccesso di potere.

Afferma il ricorrente che la aggiudicataria avrebbe dovuto essere esclusa poiché non avrebbe eseguito i servizi analoghi richiesti dalla disciplina di gara.

L’assunto è infondato.

Rileva il Collegio che l’art. 15 del bando di gara indica che il fatturato specifico doveva essere posseduto in relazione a servizi analoghi a quelli oggetto dell’appalto indicando espressamente le attività di movimentazione, logistica e trasporto.

Non era, quindi, richiesto alcun fatturato specifico per i servizi relativi ai rifiuti quanto, piuttosto, per servizi di movimentazione e trasporto, tra i quali, in mancanza di espressa indicazione contraria, non può che essere ricompreso il servizio della specie.

Con una settima censura il ricorrente deduce la illegittimità degli atti di gara sotto il profilo della violazione dell’art. 41 D.Lgs. n. 163/2006 e dell’eccesso di potere.

Secondo la prospettazione del ricorrente, in particolare, risulterebbe incongruente l’attribuzione di un punteggio di gran lunga superiore (55 punti alla aggiudicatarie e 20 punti al ricorrente) con riguardo alla valutazione della offerta tecnica anche in relazione alla previsione di opere migliorative nella offerta della ricorrente.

L’assunto è inammissibile e, comunque, infondato.

Si deve preliminarmente rimarcare che la valutazione in ordine all’idoneità ed alla qualità di un progetto nell’ambito di una procedura di appalto, condotta secondo il criterio dell’offerta economicamente più vantaggiosa, costituisce espressione paradigmatica di lata discrezionalità tecnica.

Ne deriva la conseguenziale insindacabilità del merito di dette valutazioni ove come nella specie, non inficiate dal profili di manifesta erroneità, di illogicità e di sviamento.

L’applicazione di tali coordinate al caso in esame conduce al precipitato dell’inammissibilità di censure volte a sovrapporre il giudizio del ricorrente al giudizio, opinabile ma non illogico o erroneo, condotto dalla Commissione in ordine alla completezza sostanziale nonché al pregio del progetto risultato aggiudicatario.

Tantomeno nella specie, si ripete, la valutazione dell’aggiudicataria risulta affetta da palese illegittimità atteso che:

– ha proposto la realizzazione di un sistema di biostabilizzazione della frazione umida tritovagliata (F.U.T.) in modo tale da trasformare il prodotto in frazione organica stabilizzata (FOS) con consistenti vantaggi in termini di impatto ambientale e riduzioni volumetriche e di peso (si veda alle pagg. 79 ss. della offerta tecnica dell’A. D.V. e, in particolare alle pagg. 92 e 93 (doc. n. 7 della produzione della controinteressata));

– ha previsto la installazione di un impianto mobile per trattamento del percolato presso la discarica di Basso dell’Olmo che consentirà una notevole riduzione dei costi di smaltimento e dei costi di trasporto altrimenti necessari per conferire il percolato presso impianti esterni (si veda alle pagg. 99 ss. della offerta tecnica dell’A. D.V. (doc. n. 7 della produzione della controinteressata));

– ha previsto un sistema di gestione degli eventuali blocchi del sistema di smaltimento articolato sulla disponibilità di 246 cassoni scarrabili per le prime 48 ore di emergenza e la disponibilità allo stoccaggio da parte di 5 impianti autorizzati per garantire allo STIR una continuità lavorativa di 10 giorni (si veda il punto 8.2.1 a pag. 126 della offerta tecnica dell’A. D.V. (doc. n. 7 della produzione della controinteressata)).

In definitiva dall’esame della documentazione di gara si ricava che non risulta integrata da parte del raggruppamento risultato aggiudicatario alcuna omissione nella produzione dei documenti richiesti a pena di esclusione dalla lex specialis mentre le valutazioni condotte dalla Commissione in ordine al progetto costituiscono espressione di discrezionalità tecnica che non appare inficiata da illogicità o da indici di sviamento alla luce delle proposte surriportate.

Con una ottava censura il ricorrente deduce la illegittimità degli atti di gara sotto il profilo della violazione dell’art. 82 D.Lgs. n. 163/2006 e del difetto di motivazione.

Sostiene il ricorrente che la disciplina di gara avrebbe previsto dei criteri di ripartizione del punteggio della offerta tecnica assolutamente generici e non in grado di condurre ad una compiuta motivazione della valutazione sottostante alla attribuzione del punteggio stesso.

In sostanza, afferma il ricorrente, che – in violazione del richiamato quarto comma dell’art. 83 del Codice dei contratti pubblici – il disciplinare di gara avrebbe illegittimamente omesso di fissare i subpunteggi dei subcriteri in cui sarebbero articolati i criteri di valutazione dell’offerta tecnica.

In altri termini, si lamenta la mancata ripartizione del punteggio massimo previsto per il singolo criterio valutativo in relazione a ciascun sub criterio individuato nonché la mancata indicazione di una relazione di priorità tra gli stessi.

Difetta, inoltre, ad avviso del ricorrente, la predefinizione in sede di lex specialis di gara dei criteri motivazionali cui la Commissione avrebbe dovuto attenersi nell’attribuzione dei punteggi, così come difetta la motivazione dei punteggi assegnati.

Il motivo non è fondato.

Dispone l’art. 83 del codice dei contratti ( decreto legislativo n. 163 del 2006) – rubricato "Criterio dell’offerta economicamente più vantaggiosa" – che quando il contratto è affidato, come nel caso di specie, con il criterio dell’offerta economicamente più vantaggiosa, il bando di gara stabilisce i criteri di valutazione dell’offerta, pertinenti alla natura, all’oggetto e alle caratteristiche del contratto, quali, a titolo esemplificativo: a) il prezzo; b) la qualità; c) il pregio tecnico; d) le caratteristiche estetiche e funzionali; e) le caratteristiche ambientali e il contenimento dei consumi energetici e delle risorse ambientali dell’opera o del prodotto; f) il costo di utilizzazione e manutenzione; g) la redditività; h) il servizio successivo alla vendita; i) l’assistenza tecnica; l) la data di consegna ovvero il termine di consegna o di esecuzione; m) l’impegno in materia di pezzi di ricambio; n) la sicurezza di approvvigionamento.

La norma in esame, inoltre, prescrive che il medesimo bando di gara elenchi i criteri di valutazione e precisi la ponderazione relativa attribuita a ciascuno di essi, anche mediante una soglia, espressa con un valore numerico determinato, in cui lo scarto tra il punteggio della soglia e quello massimo relativo all’elemento cui si riferisce la soglia deve essere appropriato. Ed ancora, ai sensi del quarto comma dell’art. 83 di cui trattasi, la cui violazione è specificamente lamentata dalla ricorrente, il bando per ciascun criterio di valutazione prescelto prevede, ove necessario, i sub – criteri e i sub – pesi o i sub – punteggi (ove poi la stazione appaltante non sia in grado di stabilirli tramite la propria organizzazione, provvede a nominare uno o più esperti con il decreto o la determina a contrarre, affidando ad essi l’incarico di redigere i criteri, i pesi, i punteggi e le relative specificazioni, che verranno indicati nel bando di gara).

Infine la norma prevedeva pure, con disposizione poi soppressa dalla lettera u) del comma 1 dell’art. 1, D. Lgs. 11 settembre 2008, n. 152, che la Commissione giudicatrice, prima dell’apertura delle buste contenenti le offerte, fissasse in via generale i criteri motivazionali cui attenersi per attribuire a ciascun criterio e subcriterio di valutazione il punteggio tra il minimo e il massimo prestabiliti dal bando.

Ciò posto, osserva il Collegio come nel passato si era consolidato il principio secondo il quale eventuali specificazioni o integrazioni dei criteri di valutazione indicati dal bando di gara o dalla lettera d’invito ben potevano essere configurati dalle Commissioni giudicatrici, seppure soltanto prima della apertura delle buste relative alle offerte e ciò indipendentemente dalla circostanza che i componenti la Commissione avessero concretamente preso conoscenza delle offerte stesse (tra le molte: Cons. Stato, Sez. V, 19 aprile 2005 n. 1791 e 20 gennaio 2004 n. 155 nonché T.A.R. Marche, 15 marzo 2005 n. 241).

Di conseguenza, si affermava come la Commissione giudicatrice di una gara pubblica poteva legittimamente introdurre elementi di specificazione dei criteri generali stabiliti dal bando di gara o dalla lettera di invito per la valutazione delle offerte, attraverso la previsione di sottovoci rispetto alle categorie principali già definite, ove ciò si fosse reso necessario per una più esatta valutazione delle offerte medesime e sempre a condizione che a tale determinazione di sottocriteri di valutazioni si fosse addivenuti prima dell’apertura delle buste contenenti le offerte (cfr. Cons. Stato, Sez. V, 4 febbraio 2003, n. 533; 23 luglio 2002, n. 4022; 26 gennaio 2001, n. 264; 13 aprile 1999, n. 412; Sez. VI, 20 dicembre 1999, n. 2117; TRGA, Bolzano, 12 febbraio 2003, n. 48; TAR Marche, 16 giugno 2003, n. 607; TAR Toscana, Sez. II, 17 settembre 2003, n. 5107).

Va segnalato come tale orientamento sia stato sottoposto a rivisitazione in seguito all’entrata in vigore del richiamato art. 83 del Codice dei contratti pubblici (cfr., in particolare, in tal senso, T.A.R. Lazio, II Sezione, 15 settembre 2008, n. 8328).

Come ha condivisibilmente osservato la giurisprudenza di questo Tribunale da ultimo citata, la disposizione di cui al quarto comma dell’articolo 83 sembra portare all’estremo la limitazione della discrezionalità della Commissione nella specificazione dei criteri, escludendone ogni facoltà di integrare il bando, e quindi facendo obbligo a quest’ultimo di prevedere e specificare gli eventuali sottocriteri (ne consegue, ad esempio, l’illegittimità di una lex specialis che, pur richiamando il criterio di aggiudicazione dell’offerta economicamente più vantaggiosa, nulla preveda in ordine agli elementi dell’offerta da considerare ed all’attribuzione dei punteggi).

In sintesi e conclusivamente può affermarsi che l’esigenza di non lasciare spazi di discrezionalità valutativa ai commissari, quando l’appalto è affidato al criterio dell’offerta economicamente più vantaggiosa, è affrontata oggi dall’art. 83 del Codice dei contratti pubblici che, fin dalla formulazione del bando di gara, impone che questo stabilisca i criteri di valutazione dell’offerta, elencati a titolo esemplificativo dalla lett. a) alla lett. n), precisando anche la ponderazione e cioè il valore o la rilevanza relativa attribuita a ciascuno di essi, anche mediante una soglia, espressa con un valore numerico determinato, in cui lo scarto tra il punteggio della soglia e quello massimo relativo all’elemento cui la soglia si riferisce deve essere adeguato. La norma impone ancora che sia sempre il bando a prevedere, ove necessario, per ciascun criterio di valutazione prescelto, i subcriteri e i subpesi o i subpunteggi.

La direzione verso la quale giurisprudenza e legislatore si sono mossi è stata, dunque, quella di restringere al massimo, per quanto possibile, gli spazi di libertà valutativa delle offerte da giudicare con il metodo del criterio economicamente più vantaggioso. Da non sottacere, peraltro, la successiva abrogazione della disposizione che alla Commissione affidava la sola definizione dei cd. criteri motivazionali.

Nel caso di specie, la intervenuta fissazione nel disciplinare di gara dei singoli criteri di valutazione deve ritenersi legittima, avuto riguardo alla articolazione interna di questi ed al relativo dettaglio degli elementi oggetto di valutazione.

Il disciplinare, infatti, ha previsto tre criteri di valutazione dell’offerta tecnica, stabilendo i relativi punteggi (a) Qualità e completezza della proposta tecnica, compreso eventuali elementi aggiuntivi e/o migliorativi non previsti nel Capitolato, punti 30; b) Tecniche e strumentazioni atte a superare eventuali blocchi del sistema di smaltimento, senza soluzioni di continuità, almeno per una settimana e atte a garantire alla stazione appaltante la produzione di materiale "sciolto" senza interruzioni, evitando la produzione di materiale "imballato", punti 20; c) Tecniche e strumentazioni nella disponibilità del concorrente per il coordinamento della logistica Interna e di quella Esterna, punti 10), per un totale, appunto, di 60 punti, massimo punteggio attribuibile all’offerta tecnica.

Invero per ognuno di questi criteri il disciplinare esplicita una serie di elementi di valutazione, che sicuramente circoscrivono in maniera adeguata, anche in conformità alle nuove disposizioni di riferimento, la discrezionalità della Commissione di gara.

Il dato che allora rileva, ai fini della ritenuta legittimità dell’operato della resistente stazione appaltante, è che, per quanto possibile, sia stata eliminata ogni discrezionalità della Commissione di gara e che comunque risulti esclusa l’introduzione di qualsiasi criterio di valutazione non precedentemente reso pubblico e portato a conoscenza di tutti i partecipanti (cfr. T.A.R. Brescia, II Sezione, 17 luglio 2009 n. 1519).

Tantomeno il ricorrente indica gli specifici elementi di giudizio in cui avrebbe dovuto essere articolata la valutazione della Commissione e che, quindi, avrebbero dovuto costituire oggetto degli invocati subcriteri.

Peraltro, neppure può profilarsi l’obbligo della stazione appaltante, ex art. 83, co. 4 citato, di prevedere sub criteri (e relativi sub punteggi) per ciascuno dei criteri di valutazione prescelti, atteso il dettaglio di questi (e ciò relativamente a tutti e tre i criteri di valutazione dell’offerta), tale da sostanziare anche quei criteri motivazionali la cui definizione la norma, nella sua formulazione vigente, come detto, sottrae alla Commissione di gara.

Anzi proprio il dettaglio dei criteri di valutazione operato con il disciplinare, dei sub criteri laddove previsti e, per tutti (i criteri), degli elementi concorrenti di valutazione fa propendere per l’insussistenza anche del denunciato difetto di motivazione.

Com’è noto, infatti, nelle procedure per l’aggiudicazione di una gara pubblica con il criterio dell’offerta economicamente più vantaggiosa, la valutazione dell’offerta tecnica può essere considerata correttamente effettuata, mediante l’attribuzione di un mero punteggio numerico, allorquando nel bando di gara siano stati preventivamente e puntualmente prefissati, come nel caso di specie, dei criteri sufficientemente dettagliati, con la individuazione del punteggio minimo e massimo attribuibile alle specifiche singole voci e sottovoci comprese nel paradigma di valutazione e costituenti i diversi parametri indicatori della valenza tecnica dell’offerta; per cui ciascun punteggio è correlato ad un parametro tecnicoqualitativo precostituito, in grado di per sé di dimostrare la logicità e la congruità del giudizio tecnico espresso dalla commissione giudicatrice, al punto da non richiedere una ulteriore motivazione, esternandosi in tal caso compiutamente il giudizio negli stessi punteggi e nella loro graduatoria (cfr. T.A.R. Puglia Lecce, sez. III, 11 luglio 2009, n. 1810; TAR Lazio, 4 novembre 2009, n. 10828).

Con una ultima censura – nono motivo di ricorso – il ricorrente deduce la illegittimità degli atti di gara sotto il profilo della violazione degli artt. 3, 11 e 15 L. n. 241/1990 e dell’art. 1373 c.c. oltre che dell’eccesso di potere.

Sostiene il ricorrente che il recesso posto in essere dalla Società E.S. S.p.a. con la nota prot. n. SA/OUT/2010/37 del 16 settembre 2010 sarebbe illegittimo in quanto esercitato al di fuori dei limiti normativi (arg. ex art. 11, comma 4, L. n. 241/1990) che impongono alla Amministrazione la valutazione in ordine a "sopravvenuti motivi di interesse pubblico" e, comunque, in assenza di alcuna motivazione.

La censura è inammissibile.

Rileva il Collegio come la controversia promossa dall’appaltatore per sentire accertare la illegittimità del recesso con le relative conseguenze sulle sorti del rapporto e sugli inerenti obblighi, spetti alla giurisdizione del giudice ordinario, dato che si ricollega a posizioni contrattuali di diritto soggettivo e si traduce in un sindacato di atti che hanno natura sostanzialmente negoziale e non sono espressione di poteri autoritativi e discrezionali dell’Amministrazione (si veda, sul punto, Cassazione civile, Sez. Un., 17 novembre 1984, n. 5840)

In particolare, nella fattispecie di cui all’odierno ricorso, il diritto di recesso è stato esercitato dalla stazione appaltante in virtù di una espressa clausola contrattuale di recesso "ad nutum" (art. 16 del contratto") e non già in virtù di "sopravvenuti motivi di pubblico interesse" (art. 11, comma 4, L. n. 241/1990), espressivi di discrezionalità sindacabile dal giudice amministrativo.

Per i motivi esposti, il ricorso principale è infondato sui primi otto motivi di ricorso ed inammissibile per difetto di giurisdizione del giudice amministrativo sul nono motivo di ricorso.

L’infondatezza del ricorso principale comporta da un lato il difetto di interesse alla coltivazione del ricorso incidentale – di cui pertanto deve dichiararsi l’improcedibilità – e dall’altro il rigetto della domanda di risarcimento del danno, peraltro prospettata in termini generici e senza alcuna allegazione probatoria.

Sussistono giusti motivi per dichiarare integralmente compensate le spese di lite tra le parti.
P.Q.M.

definitivamente pronunciando sul ricorso, come in epigrafe proposto, respinge in parte il ricorso principale e per la restante parte lo dichiara inammissibile.

Respinge la domanda di risarcimento del danno.

Dichiara improcedibile il ricorso incidentale.

Spese compensate.

Ordina che la presente sentenza sia eseguita dall’autorità amministrativa.

Testo non ufficiale. La sola stampa del bollettino ufficiale ha carattere legale.

Cass. pen. Sez. II, Sent., (ud. 19-11-2010) 23-02-2011, n. 6953

Sentenza scelta dal dott. Domenico Cirasole direttore del sito giuridico http://www.gadit.it/

Svolgimento del processo

Con ordinanza del 7.4.2008, il Giudice per le indagini preliminari presso il Tribunale di Napoli dispose la custodia cautelare in carcere di M.E., indagato per i reati di tentata estorsione continuata aggravata dal fine di agevolare il cosiddetto clan dei casalesi. Per tali fatti veniva disposto il rinvio a giudizio.

In data 28.4.2008 veniva disposto dal GIP distrettuale di Napoli altra ordinanza custodiale per partecipazione ad associazione denominata clan dei casalesi nonchè per i delitti di estorsione e concorrenza sleale aggravati dalla finalità di agevolare il cosiddetto clan dei casalesi.

La difesa chiedeva in reazione alla seconda ordinanza istanza di scarcerazione in quanto per il delitto di cui all’art. 416 c.p. il M. era già stato condannato con sentenza della Corte di assise di Santa Maria Capua Vetere del 15.9.2005, data alla quale si doveva guardare come cessazione della permanenza sicchè la seconda contestazione sarebbe in realtà un duplicato della prima.

Inoltre si allegava che le condotte di cui alla prima e seconda ordinanza erano legate da un vincolo di continuazione e che, all’atto dell’emissione della prima, l’A.G. poteva procedere anche per i fatti successivamente contestati essendo in possesso di tutti gli elementi.

Il GIP rigettava le istanze e così il Tribunale del riesame. La Corte di cassazione con sentenza n. 2099/09 annullava l’ordinanza impugnata rinviando perchè si valutasse la sussistenza del bis in idem m relazione alle ipotesi di cui all’art. 416 bis c.p. e perchè si operasse una nuova valutazione della sussistenza della connessione tra le estorsioni contestate nelle due ordinanze e per verificare se il P.M. al momento della prima ordinanza avesse tutti gli elementi per emettere il provvedimento successivamente adottato.

Il Tribunale circa la dedotta eccezione di ne bi sin idem rilevava che, nella sentenza di condanna richiamata, la contestazione si fermava al 1996 sicchè ben poteva procedersi alla contestazione per il periodo successivo.

Circa le altre doglianze si osservava che non sussisteva tra i fatti ascritti al M. alcun rapporto di connessione qualificata, in quanto in linea di principio non può ritenersi un rapporto di connessione tra il delitto associativo e tutti i reati-fine a meno che all’atto di costituzione dell’associazione non fosse stato decisa la commissione di uno specifico reato. Del pari non vi erano elementi per stabilire un vincolo di connessione qualificata tra il tentativo di estorsione contestato nella prima ordinanza e la estorsione della seconda, stante la diversità tra le due condotte.

Circa l’ultima doglianza si osservava che i due procedimenti avevano origine da diverse notizie di reato, pervenute al PM a distanza di tempo e da diversi organi di polizia giudiziaria, e pendenti presso diversi Uffici del PM: La secondo ordinanza era legata ad una lunga serie di intercettazioni, mentre la prima solo marginalmente si occupava del M. di cui ricostruiva analiticamente il ruolo nel tentativo di assicurarsi il monopolio del noleggio delle slot machines. Tale ruolo era stato identificato in base ad intercettazioni effettuate in un procedimento in corso presso altro PM rispetto a quello del primo procedimento.

Nel primo motivo di ricorso per cassazione si deduce la violazione dell’art. 649 c.p.. La continuazione nel reato associativo viene interrotta solo con la sentenza di primo grado come da cospicua giurisprudenza della Suprema Corte.

Con il secondo motivo si allega la violazione dell’art. 297 c.p.p. e la carenza di motivazione.

Il Tribunale non aveva considerato ai fini della connessione qualificata alcuni elementi come il tempus commissi delicti emergenti per vicinanza dallo stesso capo d’imputazione; il fatto che entrambi i reati sono aggravati dal D.L. n. 152 del 1991, art. 7 per il fine di agevolare lo stesso clan dei casalesi.

Con il terzo motivo si rileva la desumibilità degli indizi dagli atti del primo procedimento.

Il PM, nelle due ordinanze, apparteneva allo stesso ufficio anche se in persona fisica diversa. Gli elementi a carico del ricorrente erano le medesime dichiarazioni di collaboranti.

Inoltre sussisteva (quarto motivo) la desumibilità degli indizi dagli atti prima del rinvio a giudizio relativo al primo procedimento. Su tale punto non sussisteva alcuna motivazione.
Motivi della decisione

Circa il primo motivo e l’eccezione di violazione del principio del ne bis in idem l’ordinanza ha correttamente motivato in quanto la giurisprudenza richiamata circa la cessazione della permanenza nel reato associativo opera in caso di contestazione "aperta", ma non per i casi in cui, come quello in esame, vi sia una contestazione "chiusa" che fa un chiaro riferimento temporale al periodo contestato.

Va, invece, accolto il motivo di ricorso con il quale si allega la carenza di motivazione in ordine ai punti oggetto di annullamento con rinvio in quanto questa Corte,con la sentenza prima ricordata; aveva invitato espressamente il Tribunale in sede di riesame a valutare "la conoscibilità in sè, all’interno dell’Ufficio del PM, al momento della emissione della prima ordinanza, degli elementi integranti i presupposti per la emissione del secondo titolo cautelare". Sul punto l’ordinanza impugnata è generica ed evasiva in quanto si è solo evidenziato che l’oggetto della prima indagine era diverso rispetto a quello della seconda nella quale il ruolo del ricorrente è stato più esattamente definito, ma non si risponde espressamente al quesito se gli elementi posti a base di quest’ultima fossero in realtà già effettivamente conosciuti o conoscibili al momento della prima, posto che appare evidente che l’ufficio del PM sia lo stesso, pur con persone fisiche diverse. Tale accertamento, pertanto, dovrà essere compiuto in sede di rinvio.

Si deve, quindi, annullare con rinvio la sentenza impugnata e disporre trasmettersi gli atti al Tribunale di Napoli per nuovo esame.
P.Q.M.

Annulla con rinvio la sentenza impugnata e dispone trasmettersi gli atti al Tribunale di Napoli per nuovo esame.

Si provveda a norma dell’art. 94 disp. att. c.p..

Testo non ufficiale. La sola stampa del bollettino ufficiale ha carattere legale.