Cass. pen. Sez. V, Sent., (ud. 23-01-2013) 26-03-2013, n. 14265 Relazione tra la sentenza e l’accusa contestata

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Svolgimento del processo – Motivi della decisione

Propone ricorso per cassazione G.A. avverso la sentenza della Corte d’appello di Reggio Calabria in data 31 maggio 2012 con la quale è stata confermata quella di primo grado, emessa all’esito del giudizio abbreviato.

Il G. stato riconosciuto responsabile del reato di furto pluriaggravato, per essersi impossessato di energia elettrica sottratta all’ente erogatore Enel S.p.A., fino al (OMISSIS).

Il reato non risulta allo stato prescritto per la operatività di cause di sospensione del relativo termine pari a mesi due e giorni 16.

Deduce:

la violazione dell’art. 521 c.p.p., comma 2.

Invero il capo di imputazione era stato formulato, quanto alle modalità esecutive della sottrazione, con una previsione alternativa concernente il collegamento a monte del gruppo di misura oppure la rottura del sigillo apposto al contatore all’atto della constatazione della morosità.

Rispetto ad una simile alternativa il giudice del merito non aveva evidenziato alcuna esplicita presa di posizione ma, implicitamente, aveva finito per optare per la seconda ipotesi quando aveva riconosciuto che l’energia sottratta era stata comunque misurata (tanto da essere stata poi pagata dall’imputato).

Una simile conclusione è però in contrasto logico con la ulteriore affermazione della sussistenza della circostanza aggravante del taglio dei cavi.

Oltre a ciò risulta che la contestazione è di furto di energia usata per attivare gli irrigatori del fondo mentre la condanna è intervenuta in relazione al furto di energia avvenuto presso l’abitazione dell’imputato, ubicata in un luogo diverso.

Il complesso degli eventi descritti avrebbe dovuto portare il giudice del merito ad affermare che il fatto accertato era diverso da quello contestato, con la conseguenza della restituzione degli atti al pubblico ministero.

In secondo luogo la difesa contesta la mancanza assoluta di motivazione in ordine alla riferibilità della condotta, posta in essere mediante il taglio dei cavi nel fondo irrigato, all’imputato:

di costui si sa, infatti, soltanto che aveva condotto il fondo nel 1999.

In terzo luogo la difesa eccepisce il travisamento della informativa di polizia giudiziaria del 6 giugno 2007, recante in allegato il verbale di accertamento eseguito dei tecnici dell’Enel il (OMISSIS). Si tratta di un verbale completamente misconosciuto dal giudice del merito il quale aveva ritenuto accertate circostanze di merito del tutto contrastanti con quelle realizzatesi: e cioè che i funzionari dell’Enel avevano effettuato il sopralluogo presso il fondo e non presso l’abitazione dell’imputato; che quest’ultimo non era presente; che i cavi non erano stati tagliati e che il risarcimento del danno era stato quantificato in appena Euro 2,58.

Il ricorso è infondato e deve essere rigettato.

Deve darsi atto che la denuncia di travisamento delle prove formulata dalla difesa riguarda particolari non decisivi fini della tenuta della motivazione.

Invero, sebbene la Corte d’appello abbia indicato erroneamente come "abitazione" dell’imputato il luogo nel quale era installato il contatore dell’energia elettrica che è stato ritenuto manomesso, resta pacifico il fatto che tale contatore, comunque ubicato in un luogo di fatto gestito dall’imputato, è stato riallacciato abusivamente dopo la sospensione del servizio per morosità, ed ha registrato un consumo, in precedenza non contabilizzato dall’Ente erogatore dell’energia, pari a Euro 1248,34, somma che, altrettanto pacificamente, l’imputato ha corrisposto a seguito della contestazione.

Sulla base di tali emergenze non può dirsi modificato il senso della contestazione, cosi come formulata nel capo d’imputazione, nel quale è stato indicato come fatto penalmente rilevante, il furto dell’energia elettrica mediante alterazione delle caratteristiche del contatore, disattivato in precedenza per morosità.

Su tale base non si apprezza la contraddittorietà denunciata dalla parte tra il furto di energia realizzato con le modalità sopra descritte e la contestazione della circostanza aggravante della violenza sulle cose, atteso che la riattivazione dei circuiti elettrici per la fruizione dell’energia, dopo la disattivazione del contatore ad opera dei tecnici Enel, vale, da un lato, a configurare la menzionata circostanza aggravante e, dall’altro, a configurare un furto che è consistito nella fruizione dell’energia elettrica al di fuori del rapporto contrattuale con l’ente erogatore.

Ed invero è utile sottolineare che la violenza sulle cose è data, nel caso di specie, dalla diversa funzionalità attribuita dai congegni del contatore mediante un intervento tecnico.

Per quanto infine concerne il verbale di accesso dei tecnici-Enel oggetto di asserito travisamento, va ribadito che tale asserito travisamento, concernente il luogo di accertamento del reato (in termini peraltro del tutto conformi a quelli del capo d’imputazione), non riguarda un punto della motivazione determinante per l’affermazione o meno della responsabilità.

Ed infatti, la circostanza che il fondo agricolo ove era ubicato il contatore potesse o meno essere nella disponibilità anche di soggetti diversi dall’imputato, non presenta connotati rilevanti ai fini del presente giudizio, essendo rappresentata nel ricorso come circostanza di fatto, non apprezzabile dalla Cassazione.
P.Q.M.

Rigetta il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese del procedimento.

Così deciso in Roma, il 23 gennaio 2013.

Depositato in Cancelleria il 26 marzo 2013

Testo non ufficiale. La sola stampa del bollettino ufficiale ha carattere legale.

Cass. pen. Sez. V, Sent., (ud. 28-05-2013) 13-11-2013, n. 45642

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Svolgimento del processo

Con ordinanza in data 26.9.2012 la Corte di Appello di Genova dichiarava l’inammissibilità dell’appello proposto da T.O. E. avverso la sentenza emessa dal Tribunale del luogo in data 6.10.2006, con la quale l’imputata era stata condannata per il reato di cui all’art. 624 c.p. e art. 625 c.p., n. 4 (acc. in data (OMISSIS)) alla pena di anni uno e mesi 4 di reclusione, oltre la multa di Euro 800,00, pena condonata.

Avverso tale provvedimento proponeva ricorso per cassazione il difensore, rilevando:

1-la violazione di legge, ex art. 606 c.p.p., lett. e) e artt. 517- 521 c.p.p. art. 111 Cost., in riferimento alla decisione adottata "de plano" considerando sussistente l’aggravante di cui all’art. 61 c.p., n. 7.

Deduceva inoltre la nullità del provvedimento, evidenziando che la Corte di Appello, chiamata a giudicare della esistenza dell’aggravante formalmente contestata, aveva ritenuto la "genericità" dell’atto di impugnazione, non avendo la difesa fatto riferimento ad altra aggravante, mai contestata.

rilevava inoltre la violazione degli artt. 581 e 591 c.p.p., ritenendo erronea la valutazione di genericità dei motivi di impugnazione, nonchè la violazione del divieto di reformatio in pejus, ex art. 597 c.p.p., e la mancanza, o contraddittorietà della motivazione.

Il PG in Sede ha formulato richiesta di dichiarare inammissibile il ricorso.

Motivi della decisione

Il ricorso risulta dotato di fondamento.

Premesso che la difesa di T.O.E. aveva proposto appello avverso la sentenza emessa dal Tribunale di Genova in data 6.10.2006, con la quale l’imputata aveva riportato condanna alla pena di legge per il reato di furto aggravato ai sensi dell’art. 625 c.p., n. 4, deve evidenziarsi che, secondo quanto emerge dal provvedimento impugnato, la Corte territoriale ha dichiarato "de plano" l’inammissibilità dell’impugnazione rilevando la genericità del gravame, che riguardava la contestazione dell’aggravante ex art. 625 c.p., n. 4, facendo riferimento alla diversa aggravante indicata dall’art. 61 c.p., n. 7, anche nel caso desunta in fatto dal capo di imputazione, e non richiamata nei motivi di appello.

Pertanto, deve ritenersi fondata la censura articolata con il primo motivo di gravame, dovendosi ritenere viziata dalla erronea valutazione dei motivi di appello l’ordinanza dichiarativa della inammissibilità dell’atto di impugnazione, dovendo questo essere valutato ai fini dell’art. 581 c.p.p. in riferimento alle censure formulate dall’appellante.

Deve pertanto essere pronunziato l’annullamento senza rinvio dell’ordinanza impugnata, intendendosi recepiti i motivi di gravame articolati nel ricorso.

Gli atti vanno trasmessi alla Corte di Appello di Genova per il giudizio.

P.Q.M.

Annulla senza rinvio l’ordinanza impugnata e dispone trasmettersi gli atti alla Corte di Appello di Genova per il relativo giudizio.

Così deciso in Roma, il 28 maggio 2013.

Depositato in Cancelleria il 13 novembre 2013
Testo non ufficiale. La sola stampa del bollettino ufficiale ha carattere legale.

Tribunale amministrativo regionale per la Sardegna Sent. n. 121/2009

ha pronunciato la seguente

SENTENZA

sul ricorso n° 1447/01 proposto dal sig. Rinaldo Angius, rappresentato e difeso dall’avv. Massimiliano Marcialis presso il cui studio, in Cagliari, via Alagon n°49, è elettivamente domiciliato;

contro

il Consorzio di Bonifica del Basso Sulcis, in persona del legale rappresentante, rappresentato e difeso dall’avv. Luca De Angelis, presso il cui studio in Cagliari, piazza Repubblica n° 10, è elettivamente domiciliato;

la Regione Autonoma della Sardegna, in persona del Presidente pro tempore della Regione, non costituita in giudizio;

e nei confronti

del sig. Massimiliano Amatori, rappresentato e difeso dall’avv. Vincenzo Contu, ed elettivamente domiciliato presso lo studio dell’avv. Roberto Nati, in Cagliari, via A. Negri n°12;

per l’annullamento

della provvedimento in data 30/8/2001 con cui l’apposita Commisione di gara ha aggiudicato al sig. Amatori il pubblico incanto per la fornitura di un autocarro tipo Bremach Brick 50.14 4×4;

di tutti i verbali delle operazioni di gara;

degli atti di verifica tecnica del mezzo offerto dall’aggiudicatario;

dell’atto 31/10/2001 prot. n°2745;

della deliberazione 4/9/2001 n° 105 con cui il Commissario Straordinario dell’intimato Consorzio ha definitivamente aggiudicato al controinteressato la fornitura di cui sopra.

Visto il ricorso con i relativi allegati.

Visto l’atto di costituzione in giudizio dell’amministrazione intimata e del controinteressato.

Viste le memorie prodotte dalle parti a sostegno delle rispettive difese.

Visti gli atti tutti della causa.

Nominato relatore per la pubblica udienza del 14/1/2009 il Consigliere Alessandro Maggio e uditi l’avvocato M. Marcialis per il ricorrente e l’avvocato L. De Angelis, per l’amministrazione resistente.

Ritenuto e considerato in fatto e in diritto quanto segue.

FATTO

Il sig. Rinaldo Angius ha partecipato al pubblico incanto bandito dal Consorzio di Bonifica del Basso Sulcis per la fornitura di un autocarro tipo Bremach Brick 50.14 4×4 classificandosi al secondo posto dietro il sig. Massimiliano Amatori al quale è stata aggiudicata la gara.

Ritenendo aggiudicazione ed ulteriori atti della procedura meglio descritti in epigrafe illegittimi il sig. Angius li ha impugnati chiedendone l’annullamento e domandando, altresì, il risarcimento del danno.

Questi i motivi dedotti.

1) L’aggiudicatario doveva essere escluso dalla gara per aver offerto un mezzo avente caratteristiche diverse da quelle richieste dal bando di gara.

Ed invero:

a) l’autocarro ha una larghezza complessiva di 2000 mm ed un cassone largo 1600 mm, con conseguente scopertura di parte del telaio, che, invece, avrebbe dovuto essere completamente ricoperto;

b) la caratteristica di cui al punto a), preclude o, comunque, rende disagevole la funzione di ribaltamento trilaterale;

c) il verricello elettrico è privo di batteria supplementare e di alternatore ausiliario;

d) il mezzo fornito non ha la trazione integrale disinseribile;

e) la prova che il bene offerto ha caratteristiche inferiori a quelle richieste da bando e capitolato speciale può trarsi anche dal prezo particolarmente basso proposto.

2) In violazione della prescrizione di cui all’art. 5 lett. b) del bando il controinteressato non ha fornito la scheda tecnica dell’autocarro proposto.

3) In violazione dell’art. 21 del D. Lgs. n°358/1992 al ricorrente non sono stati mostrati i documenti relativi alla gara.

Con motivi aggiunti depositati in giudizio in data 4/12/2001, il sig. Angius ha dedotto le seguenti nuove censure.

4) Pur essendo palese che l’offerta dell’aggiudicatario presentava profili di anomalia, l’intimato Consorzio ha omesso di verificarne la congruità. Cosi facendo ha violato gli articoli 19 del D. Lgs. 358/1992, 27 della direttiva 93/36/CEE e 13 del bando di gara.

5) Il modello offerto dal controinteressato non è equivalente al modello richiesto dalla lex specialis della gara come emerge anche dalla nota dell’amministrazione intimata 31/10/2001 n°2745 inviata al sig. Amatori e dalla scheda tecnica del mezzo da quest’ultimo fornita.

6) L’aggiudicazione è stata disposta dalla Commissione di gara mentre la competenza ad adottare il relativo provvedimento spetta al Commissario Straordinario.

7) Il provvedimento 31/10/2001 prot. n° 2745 è illegittimo perché ha modificato l’oggetto della fornitura senza che ciò fosse consentito dal bando di gara.

Il comportamento del Consorzio viola, inoltre, il principio di imparzialità e la par condicio fra i concorrenti.

8) In base alla lex specialis della procedura concorsuale, la stazione appaltante doveva limitarsi ad aggiudicare sulla base del prezzo più basso restando esclusa qualunque valutazione sul mezzo offerto. Per cui non potevano essere accettate offerte concernenti beni con caratteristiche non equivalenti, anche se in ipotesi superiori, a quelle richieste nel capitolato speciale.

Con ulteriore ricorso per motivi aggiunti il ricorrente ha, poi, esteso l’impugnazione al provvedimento di aggiudicazione definitiva.

Si sono costituiti in giudizio sia l’amministrazione intimata che il controinteressato che con separate memorie si sono opposti all’accoglimento del ricorso.

Alla pubblica udienza del 14/1/2009 la causa, su richiesta delle parti, è stata posta in decisone.

DIRITTO

Va in primo luogo esaminata l’azione impugnatoria.

Gli svariati motivi di gravame dedotti con l’atto introduttivo del giudizio e con i motivi aggiunti possono essere trattati in unico contesto.

Nessuna delle censure prospettate merita accoglimento.

Diversamente da quanto si sostiene in ricorso, il capitolato speciale d’appalto si limitava a prescrivere, quanto al cassone, che questo avesse determinate misure (nella specie rispettate) ma non richiedeva anche che il medesimo avesse la stessa larghezza del telaio.

Che l’autocarro offerto dall’aggiudicatario disponesse di un cassone non ribaltabile (o quantomeno difficilmente ribaltabile) su tre lati, costituisce, poi, affermazione del tutto indimostrata e, come tale, priva di rilievo.

Quanto al verricello, il capitolato richiedeva, in effetti, che il mezzo fosse dotato di una batteria supplementare, ma, a ben guardare, la prescrizione era collegata alla richiesta di un alternatore da 65 ampere. Il controinteressato ha, invece, proposto un autocarro dotato di un alternatore da 90 ampere, ritenuto sufficiente, dalla commissione di gara, ad alimentare sia la batteria del veicolo sia il verricello, così da rendere superflua la batteria supplementare.

Le specifiche tecniche, del resto, salvo che non servano a descrivere (ma non è il caso di specie) requisiti della prestazione la cui presenza costituisca condizione essenziale ed imprescindibile per il conseguimento dei risultati che l’amministrazione si prefigge di raggiungere attraverso l’appalto, vanno lette in un’ottica funzionale, nel senso, cioè, che la loro finalità dev’essere unicamente quella di consentire l’individuazione del prodotto richiesto avuto riguardo alle esigenze che la stazione appaltante intende soddisfare. Ciò al fine di evitare che la fissazione di particolari specifiche tecniche si risolva in un’arbitraria restrizione della concorrenza.

Lamenta, ancora, il ricorrente che l’autocarro offerto dal sig. Amatori, non avesse la trazione integrale disinseribile manualmente.

Sul punto il capitolato speciale richiedeva, fra i requisiti minimi, che il veicolo avesse, tra l’altro, la “trazione integrale, ma non permanente, su tutte le ruote …”.

Sennonché, la trascritta norma di capitolato va letta nel senso che non era essenziale che la trazione integrale fosse permanente, essendo sufficiente che all’occorrenza potesse diventarlo, azionando manualmente l’apposito dispositivo e non, invece, nel senso, in cui la intende il ricorrente, che precludesse la fornitura di un autocarro con trazione integrale permanente.

Del tutto irrilevante a dimostrare che il bene offerto dall’aggiudicatario avesse caratteristiche inferiori a quelle richieste dalla lex specialis della gara risultano, poi, sia il prezzo proposto, sia la nota 31/10/2001 n°2745 spedita dall’intimato Consorzio al controinteressato.

Quest’ultima, in particolare, contente, tra l’altro, la richiesta di alcune lievi modifiche alla fornitura proposta è successiva al provvedimento di aggiudicazione definitiva, adottato dal Commissario Straordinario dell’ente con determinazione 4/9/2001 n° 105, per cui non può influenzarne la legittimità.

In ogni caso, è appena il caso di rilevare, con riguardo agli asseriti vizi della suddetta nota, che le garanzie del procedimento ad evidenza pubblica cessano con l’adozione del provvedimento di aggiudicazione definitiva.

In conclusione, non risulta che l’autocarro offerto dall’aggiudicatario fosse privo delle caratteristiche minime richieste dalla lex specialis della gara.

Quanto alla pretesa violazione dell’art. 5, lett. b), del bando è sufficiente osservare che dal verbale di gara datato 30/8/2001, che fa fede sino a querela di falso, risulta come il plico del sig. Angius fosse completo di tutta la documentazione richiesta.

Si afferma in ricorso che la stazione appaltante non avrebbe consentito al ricorrente di accedere alla documentazione di gara, ma la circostanza, non vizia di per sé gli atti del relativo procedimento, potendo, semmai, costituire il presupposto per un’azione a tutela del diritto di accesso.

Sotto altro profilo il ricorrente si duole della mancata sottoposizione dell’offerta Amatori ad analisi di congruità.

La censura non merita accoglimento atteso che l’appalto per cui è causa non raggiunge la soglia di rilevanza comunitaria, per cui non è automaticamente soggetto, né alla disciplina del D. Lgs. 4/7/1992 n°358, né a quella della invocata direttiva 96/36/CEE.

Il bando di gara, poi, all’art. 13, si limitava a far salva la facoltà dell’amministrazione di procedere, laddove ne avesse ravvisato la necessità, alla verifica di congruità dell’offerta, ai sensi dell’art. 19 del D.Lgs. n°358/1992, senza, tuttavia, imporgli di esercitare, comunque, il relativo potere.

Non merita, infine, accoglimento la dedotta censura di incompetenza.

L’aggiudicazione definitiva è stata, infatti, disposta dal Commissario Straordinario dell’ente (determinazione 4/9/2001 n°105).

Sotto il profilo impugnatorio il ricorso va, dunque, respinto.

Dall’infondatezza della domanda impugnatoria discende il rigetto di quella risarcitoria.

Spese ed onorari di giudizio seguono la soccombenza e sono liquidati come in dispositivo.

P.Q.M.

IL TRIBUNALE AMMINISTRATIVO REGIONALE PER LA SARDEGNA – SEZIONE I

Rigetta il ricorso in epigrafe.

Condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali in favore dell’intimata amministrazione e del controinteressato, liquidandole forfettariamente in complessivi € 2000/00 (duemila) pro parte, oltre I.V.A. e C.P.A., nella misura di legge.

Ordina che la presente sentenza sia eseguita dall’Autorità Amministrativa.

Così deciso in Cagliari, in Camera di Consiglio, il 14/1/2001 dal Tribunale Amministrativo Regionale per la Sardegna con l’intervento dei Signori:

Paolo Numerico Presidente

Silvio Ignazio Silvestri Consigliere

Alessandro Maggio Consigliere, estensore.

Depositata in segreteria oggi :31/01/2009

Il Segretario Generale

Fonte: www.giustizia-amministrativa.it

Corte Costituzionale, Sentenza n. 60 del 2006, in tema di ordinamento giudiziario

Sentenza scelta dal dott. Domenico Cirasole direttore del sito giuridico http://www.gadit.it/

Ritenuto in fatto

1. – Il Tribunale amministrativo regionale del Lazio, con ordinanza depositata il 4 ottobre 2004, ha sollevato questione di legittimità costituzionale, in riferimento agli artt. 3, 102 e 107, primo e terzo comma, della Costituzione, dell’art. 8, comma 1, lettera c-bis), della legge 21 novembre 1991, n. 374 (Istituzione del giudice di pace), nel testo introdotto dall’art. 6 della legge 24 novembre 1999, n. 468 (Modifiche alla legge 21 novembre 1991, n. 374, recante istituzione del giudice di pace. Delega al Governo in materia di competenza penale del giudice di pace e modifica dell’articolo 593 del codice di procedura penale).

Il Tribunale è investito del ricorso proposto contro un decreto del Ministro della giustizia (e contro gli atti allo stesso collegati) con il quale, in data 6 luglio 2002, la ricorrente è stata dichiarata decaduta dall’ufficio di giudice di pace, in forza di una incompatibilità sopravvenuta per effetto della norma oggetto del presente giudizio.

Il rimettente premette come la legge n. 468 del 1999 abbia introdotto nel corpo del comma 1 dell’art. 8 della legge n. 374 del 1991, che regola i casi di incompatibilità con l’esercizio delle funzioni di giudice di pace, una nuova disposizione (lettera c-bis), in forza della quale l’ufficio è precluso a «coloro che svolgono attività professionale per imprese di assicurazione o banche oppure hanno il coniuge, convivente, parenti fino al secondo grado o affini entro il primo grado che svolgono abitualmente tale attività». Con l’art. 24 della stessa legge n. 468 del 1999 è stata prevista, per i giudici di pace in servizio alla data della sua entrata in vigore (cioè al 21 dicembre 1999), la possibilità di rimuovere le situazioni di sopravvenuta incompatibilità entro un termine di sessanta giorni.

In fatto, la ricorrente aveva spontaneamente comunicato al Consiglio superiore della magistratura, con nota del 10 gennaio 2000, che due suoi figli svolgevano professionalmente l’attività di «agente» per conto di una compagnia assicuratrice, impegnandosi «ad astenersi da tutte le cause» che coinvolgessero detta compagnia.

Nel procedimento conseguentemente apertosi per l’eventuale declaratoria di decadenza, a norma dell’art. 9 della legge n. 374 del 1991, la ricorrente aveva sostenuto che la nuova disposizione di legge non dovesse intendersi riferita agli «agenti», data l’assoluta indifferenza di costoro rispetto alle controversie tra assicurati e compagnia di riferimento, e data la possibilità di ricorso all’astensione per il caso di liti concernenti la mancata riscossione dei premi. Cionondimeno, il Consiglio giudiziario territorialmente competente aveva proposto l’adozione del provvedimento di decadenza, ed in conformità si era deliberato, in data 14 giugno 2001, da parte del Consiglio superiore della magistratura: atti, questi, prodromici al decreto ministeriale sopra citato.

La difesa della ricorrente, nel giudizio a quo, ha eccepito sotto molteplici profili l’illegittimità costituzionale dell’art. 8, comma 1, lettera c-bis), della legge n. 374 del 1991. Il Tribunale rimettente, dopo avere affermato in via preliminare che detta norma deve intendersi certamente riferita anche agli agenti assicurativi, ha ritenuto non manifestamente infondati i dubbi di legittimità di seguito esposti.

1.1. – I commi 1-bis e 1-ter dell’art. 8 citato, pure introdotti dall’art. 6 della legge n. 468 del 1999, hanno limitato la nuova incompatibilità prevista per gli avvocati al solo esercizio delle funzioni di giudice di pace nel circondario ove loro stessi, o persone a loro vicine (associati, coniuge, convivente, parenti fino al secondo grado ed affini entro il primo grado), svolgono la professione forense.

In primo luogo, dunque, la legge di riforma ha consentito agli avvocati investiti della funzione onoraria di evitare l’incompatibilità sopravvenuta mediante un trasferimento di sede, negando invece tale possibilità ai giudici di pace che svolgessero attività professionale per imprese di assicurazione o banche, o fossero legati a persone dedite abitualmente alla citata attività.

Configurando tale differenza di trattamento, la disciplina de qua contrasterebbe con l’art. 3 Cost., in quanto avrebbe regolato in termini radicalmente divergenti situazioni assimilabili dal punto di vista delle esigenze di tutela dell’imparzialità. Semmai – a parere del rimettente – un trattamento più severo si sarebbe giustificato per gli esercenti la professione forense, istituzionalmente chiamati a prestazioni retribuite per la difesa di interessi di parte, eventualmente ramificati sul territorio, mentre i professionisti del ramo bancario o assicurativo, interessati alla giurisdizione solo nella qualità di giudici, sarebbero statisticamente meno esposti al rischio di entrare in conflitto di interessi nel concreto esercizio della funzione.

1.2. – Le norme introdotte nell’art. 8 della legge n. 374 del 1991 dall’art. 6 della legge n. 468 del 1999 consentono a chi sia privo d’una qualifica professionale rilevante di esercitare le funzioni di giudice di pace in un circondario ove persone a lui collegate svolgano la professione forense, con la sola necessità (prevista dall’art. 10 della citata legge n. 374) di astenersi nel caso di concreto conflitto di interessi. Di contro, al soggetto non professionista che si trovi in relazione qualificata con persone impegnate nel ramo assicurativo o bancario, l’assunzione delle funzioni di giudice di pace è preclusa ovunque dette persone svolgano la propria attività.

Anche sotto questo profilo la disciplina contrasterebbe con l’art. 3 Cost., dato il diseguale trattamento di situazioni assimilabili dal punto di vista delle esigenze di tutela dell’imparzialità. I giudici collegati a professionisti nel campo bancario ed assicurativo, anzi, sarebbero credibilmente più indipendenti dall’influsso dei congiunti di quanto non siano i giudici collegati ad avvocati.

1.3. – L’art. 8, comma 1, lettera c-bis), della legge n. 374 del 1991, delinea per i giudici di pace una causa di incompatibilità che, a mente degli artt. 16 e 17 del regio decreto 30 gennaio 1941, n. 12 (Ordinamento giudiziario), non è prevista per i magistrati ordinari. Tale diversità di trattamento, a parere del rimettente, sarebbe priva di ragionevolezza, essendo gli interessati tutti giudici chiamati a svolgere la propria funzione in condizioni di imparzialità, e non potendosi comprendere perché solo una parte tra essi sarebbe incapace di assicurare una decisione serena per il rapporto intrattenuto con persone operanti nel settore assicurativo o bancario. In particolare non potrebbe attribuirsi ai giudici di pace, neppure sulla base del diverso sistema di reclutamento rispetto ai magistrati ordinari, una maggior «tendenza» soggettiva a subire influenze, né un rischio statisticamente più elevato di imbattersi in cause pertinenti ad attività nel campo assicurativo. Anche in questa prospettiva, dunque, la normativa impugnata si porrebbe in contrasto con l’art. 3 Cost.

1.4. – Da ultimo, sempre secondo il rimettente, il regime di incompatibilità riguardante le persone esercenti una professione nel ramo assicurativo o bancario, o collegate a persone dedite a professioni dello stesso genere, violerebbe il principio per il quale «i giudici si differenziano solamente per le funzioni e non anche per la dignità della carica e dunque per le prerogative di status accordabili» (principio desumibile dagli artt. 102, primo comma, e 107, primo e terzo comma, Cost.).

1.5. – Tutte le questioni indicate sarebbero rilevanti, nel giudizio a quo, perché dalla dichiarazione di illegittimità della norma che configura la situazione di incompatibilità discenderebbe l’invalidazione dei provvedimenti impugnati dalla ricorrente, dichiarata decaduta dall’ufficio di giudice di pace in quanto madre di due agenti assicurativi, uno dei quali operante nel territorio del circondario nel cui ambito l’interessata esercitava la funzione onoraria.

2. – Il Presidente del Consiglio dei ministri, rappresentato e difeso dall’Avvocatura generale dello Stato, è intervenuto nel giudizio.

Secondo la difesa erariale la normativa impugnata distingue tra situazioni di incompatibilità assoluta, riferite a soggetti (senatori, deputati, consiglieri eletti, esercenti di attività bancarie o assicurative) la cui attività normalmente comporta contatti con un numero di persone assai elevato, e situazioni di incompatibilità relativa, previste per soggetti la cui professione implica contatti meno numerosi, e per i quali comunque è posto un divieto localmente circoscritto di esercitare le funzioni giudiziarie. Le divergenze della disciplina sarebbero dunque riferibili ad un corretto esercizio della discrezionalità legislativa. Quanto alle differenze di trattamento tra giudici di pace e magistrati ordinari, queste sarebbero giustificate dalle peculiarità che segnano lo status e la carriera dei soggetti posti in comparazione.

Riguardo alla pretesa violazione dell’art. 102 Cost., l’Avvocatura dello Stato rileva che l’incompatibilità in questione è posta dalle norme dell’ordinamento giudiziario, così come prescritto dalla disposizione costituzionale. Privo di pertinenza sarebbe infine il riferimento al primo e al terzo comma dell’art. 107 Cost., le cui previsioni in materia di inamovibilità, dispensa o sospensione dal servizio, trasferimento, distinzione tra i magistrati in base soltanto alle funzioni esercitate, non avrebbero attinenza alla materia della incompatibilità.
Considerato in diritto

1. – Il Tribunale amministrativo regionale del Lazio, con ordinanza depositata il 4 ottobre 2004, ha sollevato questione di legittimità costituzionale, in riferimento agli artt. 3, 102 e 107, primo e terzo comma, della Costituzione, dell’art. 8, comma 1, lettera c-bis), della legge 21 novembre 1991, n. 374 (Istituzione del giudice di pace), nel testo introdotto dall’art. 6 della legge 24 novembre 1999, n. 468 (Modifiche alla legge 21 novembre 1991, n. 374, recante istituzione del giudice di pace. Delega al Governo in materia di competenza penale del giudice di pace e modifica dell’articolo 593 del codice di procedura penale).

2. – La questione è fondata nei termini di seguito precisati.

2.1. – L’art. 8, comma 1, lettera c-bis) della legge n. 374 del 1991 stabilisce una causa di incompatibilità assoluta all’esercizio delle funzioni di giudice di pace per coloro che svolgono attività professionale per imprese di assicurazione o banche; la stessa norma configura una uguale causa di incompatibilità per coloro che hanno «il coniuge, convivente, parenti fino al secondo grado o affini entro il primo grado che svolgono abitualmente tale attività». L’incompatibilità sia personale che parentale riguarda l’intero territorio nazionale e non può essere rimossa, di conseguenza, né con il trasferimento dello stesso soggetto ad altra sede, né con il trasferimento di uno dei congiunti prima elencati.

Come è noto, la ratio delle norme che stabiliscono cause di incompatibilità all’esercizio di determinate funzioni, consiste, in generale, nella necessità di prevenire possibili conflitti di interesse, per garantire l’imparzialità dei poteri pubblici e, nello specifico della funzione giurisdizionale, nell’esigenza di tutelare la sostanza e l’immagine dell’indipendenza dei giudici, a qualunque categoria essi appartengano.

All’interno dei principi fondamentali prima ricordati si collocano le discipline particolari che, secondo le scelte del legislatore, devono applicarsi ai vari tipi di giudici esistenti nell’ordinamento.

2.2. – Secondo la giurisprudenza di questa Corte, la posizione dei magistrati che svolgono professionalmente ed in via esclusiva funzioni giurisdizionali non è raffrontabile a quella di coloro che svolgono funzioni onorarie, ai fini della valutazione del rispetto del principio di eguaglianza invocato dal giudice rimettente (ordinanze n. 479 del 2000 e n. 272 del 1999). Situazioni diverse devono essere disciplinate in modo diverso, per evitare che un giudizio di forzata parificazione possa produrre, a sua volta, nuove e più gravi disparità di trattamento giuridico.

Per tale ragione, non è possibile procedere ad una comparazione tra le cause di incompatibilità dettate dalla legge sull’ordinamento giudiziario per i magistrati ordinari e quelle previste dalla normativa speciale per i giudici di pace. In particolare, e con riferimento alla fattispecie oggetto del presente giudizio, non è produttivo rilevare l’inesistenza, per i magistrati ordinari, di cause di incompatibilità parentale, riferite a specifiche attività professionali extragiudiziarie. Ciò per la potenziale onnicomprensività della giurisdizione ordinaria, che renderebbe arbitraria qualunque indicazione specifica di attività professionali o economiche di parenti o affini del magistrato come causa di incompatibilità per lo stesso.

Lo status del magistrato ordinario comprende, peraltro, una serie di guarentigie che rende meno stringente l’esigenza di tutelare la sua indipendenza con lo strumento delle incompatibilità.

Riguardo al profilo indicato, pertanto, la questione non è fondata.

3. – Maggiore consistenza assume invece la comparazione con le cause di incompatibilità dettate dalla legge per categorie di giudici onorari diverse da quella dei giudici di pace. Trattandosi di figure affini, ogni diversità di regime giuridico deve essere valutata con estrema attenzione, allo scopo di individuare eventuali disparità in contrasto con il precetto generale dell’art. 3, primo comma, Cost.

3.1. – L’attività professionale non occasionale per conto di imprese di assicurazione o bancarie è presa in considerazione dall’art. 43-quater del regio decreto 30 gennaio 1941, n. 12 (Ordinamento giudiziario) introdotto dall’art. 8 del decreto legislativo 19 febbraio 1998, n. 51 (Norme in materia di istituzione del giudice unico di primo grado), quale causa di incompatibilità personale per i giudici onorari di tribunale. La disposizione ora citata differisce da quella riguardante il giudice di pace per alcuni profili: anzitutto non è prevista alcuna forma di incompatibilità parentale; in secondo luogo acquistano rilevanza anche i tre anni precedenti la nomina; sono infine contemplati, in senso preclusivo, i rapporti intrattenuti con istituti o società di intermediazione finanziaria.

Come si può agevolmente osservare, la norma riguardante i giudici onorari di tribunale è maggiormente restrittiva in ordine alle incompatibilità personali, mentre è largamente concessiva per quelle parentali, del tutto assenti dalla previsione. Non si può negare tuttavia l’eadem ratio che ha ispirato il legislatore nel dettare le due diverse normative: evitare che persone operanti in settori delicati e rilevanti della vita economica e finanziaria della società civile possano trovarsi in una situazione di conflitto di interessi nel dover decidere controversie sorte in contesti professionali nei quali continuino ad essere inseriti. Appare inoltre scelta non irragionevole del legislatore prevedere maggior rigore, nel delineare le incompatibilità personali, per i giudici onorari di tribunale rispetto ai giudici di pace, a causa del maggior valore delle controversie rientranti nella loro competenza.

3.2. – Ferma restando l’insindacabilità delle scelte discrezionali del legislatore, quando sorrette da valutazioni non irragionevoli sulla opportunità di evitare possibili conflitti di interesse e di mantenere alta la fiducia dei cittadini nell’indipendenza sostanziale dei giudici onorari, si deve notare che la previsione di una incompatibilità parentale assoluta ed estesa a tutto il territorio nazionale, dettata solo per i giudici di pace, si presenta come una deroga, estranea al sistema delle norme sulle incompatibilità dei giudici, sia professionali che onorari. Tale tipo di incompatibilità esclude dalla possibilità di ottenere la nomina a giudice di pace una categoria potenzialmente molto vasta di cittadini, in possesso degli ulteriori requisiti di legge, per la semplice circostanza di avere parenti o affini operanti, nel settore in questione, in qualunque luogo della Repubblica.

L’interessato non può rimuovere la causa di incompatibilità, giacché, stante l’estensione nazionale di quest’ultima, non raggiungerebbe tale scopo chiedendo il trasferimento ad altro ambito territoriale, né potrebbe conseguire lo stesso obiettivo con la rinuncia alle proprie cariche o posizioni professionali. L’unico modo per poter aspirare alla nomina sarebbe quello di convincere il parente o l’affine a rinunciare alla propria attività professionale.

Caratteristica fondamentale delle cause di incompatibilità è la possibilità per l’interessato di rimuoverle con un proprio atto di rinuncia ad una attività o professione o con il trasferimento ad altra sede. La scelta del tipo di attività incompatibili o dell’ambito territoriale di incidenza dell’incompatibilità è rimessa alla discrezionalità del legislatore. Tuttavia occorre stabilire se l’impossibilità di rimuovere la causa di incompatibilità menomi in modo irragionevole la sfera giuridica di una categoria di cittadini, negando agli stessi il diritto di accedere ad un determinato ufficio per cause indipendenti dalla loro volontà e sulle quali non è dato loro di incidere, essendo legate alla libera determinazione di terzi.

3.3. – Di fronte alla gravità della compressione della sfera giuridica dei soggetti di cui sopra, che li pone in una situazione deteriore senza confronti nel sistema, bisogna valutare se siano proporzionate le ragioni giustificative adducibili in funzione di bilanciamento per la tutela di altri valori costituzionalmente protetti.

I giudici di pace, ai sensi dell’art. 7, secondo comma, del codice di procedura civile, sono competenti a decidere le cause di risarcimento del danno prodotto dalla circolazione di veicoli e natanti entro il valore di 15.493,71 euro. Essi hanno pure competenza penale, ai sensi dell’art. 1 del decreto legislativo 28 agosto 2000, n. 274 (Disposizioni sulla competenza penale del giudice di pace, a norma dell’art. 14 della legge 24 novembre 1999, n. 468), in relazione ad una serie di attività soggette ad assicurazione obbligatoria. Per effetto di tale duplice competenza, civile e penale, i giudici onorari in questione si trovano a dover trattare un numero percentualmente molto elevato di procedimenti inerenti ad attività collegate, in un modo o nell’altro, al settore assicurativo. Ciò rende ragionevole la scelta legislativa di escludere coloro che esercitano la propria professione in tale settore dalla possibilità di assumere l’ufficio di giudice di pace. Appartiene pure all’insindacabile discrezionalità del legislatore rafforzare la garanzia di imparzialità dei giudici sino a non delimitare l’ambito territoriale di efficacia dell’incompatibilità, per optare in favore di una incompatibilità personale assoluta, analoga a quella dei giudici onorari di tribunale per lo stesso settore di attività.

È irrazionale, invece, il sacrificio incondizionato del diritto di accedere all’ufficio di giudice di pace di una categoria di cittadini identificati non per una situazione personale o professionale, ma solo per la relazione esistente con «il coniuge, convivente, parenti fino al secondo grado o affini entro il primo grado».

L’esclusione di particolari categorie di soggetti da determinati uffici può essere effetto di condizioni personali degli stessi, che li rendono del tutto inadatti, secondo la valutazione del legislatore, a svolgere quelle specifiche funzioni, o di situazioni e relazioni delle quali l’interessato deve liberarsi per poter accedere all’ufficio cui aspira. L’istituzionalizzazione di un sospetto di influenzabilità dei parenti o affini di soggetti che operano nel ramo assicurativo, tuttavia, appare insufficiente contrappeso rispetto alla restrizione della sfera giuridica degli aspiranti giudici di pace, in confronto alle altre categorie di giudici onorari e si presenta, più in generale, come negazione dello stesso concetto di incompatibilità contraddittoriamente utilizzato dal legislatore nell’art. 8 della citata legge n. 374 del 1991.

4. – Non rileva in proposito la disciplina riguardante i giudici onorari di tribunale. La legge non prevede alcuna incompatibilità parentale per tale categoria di giudici onorari con riferimento ad attività professionali nel settore assicurativo, mentre detta condizioni di maggior rigore per l’incompatibilità personale riferita al medesimo settore. Tali differenze incidono sulla valutazione in ordine alla ragionevolezza della diversità di trattamento, che resiste allo scrutinio di costituzionalità perché contenente tre elementi di differenziazione – diversità delle funzioni, mancanza di ogni incompatibilità parentale, maggior rigore nella incompatibilità personale – che escludono la comparabilità con la disciplina prevista per i giudici di pace.

5. – Se si restringe l’analisi comparativa al campo dei giudici di pace, si può notare come le incompatibilità parentali previste per l’altra attività professionale presa in considerazione dalla legge, quella di avvocato, siano invece limitate al circondario. Per il resto valgono le norme ordinarie sull’astensione e la ricusazione, atte ad evitare concreti conflitti di interesse con riferimento alle singole controversie.

La ratio dell’incompatibilità, in effetti, non è quella di fugare ogni concepibile sospetto di indebite influenze nell’esercizio della funzione giurisdizionale, ma quella, più modesta, di evitare le più frequenti, prevedibili, situazioni di conflitto di interesse, la cui moltiplicazione da una parte creerebbe ritardi e disfunzioni nell’amministrazione della giustizia, dovuti a ricorrenti astensioni o ricusazioni, dall’altra finirebbe per nuocere alla stessa immagine del giudice imparziale.

Per raggiungere tale, più limitato, obiettivo, il legislatore ha ritenuto ragionevole circoscrivere le incompatibilità parentali dei giudici di pace, rispetto a congiunti impegnati nella professione di avvocato, con riguardo al solo circondario nel quale sia esercitata detta professione. L’introduzione dell’incompatibilità su base nazionale, per chi abbia congiunti operanti nel ramo assicurativo, determina un salto di qualità, perché implica, come effetto secondario, la non rimovibilità della preclusione, con un trattamento giuridico fortemente deteriore rispetto a quello di chi abbia congiunti avvocati, in contrasto con l’art. 3, primo comma, Cost.

In applicazione del principio di eguaglianza, dunque, il criterio territoriale adottato per gli avvocati, in punto di incompatibilità parentale, va esteso ai soggetti impegnati professionalmente nel settore assicurativo.

6. – Restano assorbite le altre censure di incostituzionalità formulate dal giudice rimettente.
per questi motivi

LA CORTE COSTITUZIONALE

dichiara l’illegittimità costituzionale dell’art. 8, comma 1, lettera c-bis), della legge 21 novembre 1991, n. 374 (Istituzione del giudice di pace), nel testo introdotto dall’art. 6 della legge 24 novembre 1999, n. 468 (Modifiche alla legge 21 novembre 1991, n. 374, recante istituzione del giudice di pace. Delega al Governo in materia di competenza penale del giudice di pace e modifica dell’articolo 593 del codice di procedura penale), nella parte in cui stabilisce l’incompatibilità all’esercizio delle funzioni di giudice di pace – per il caso in cui «il coniuge, convivente, parenti fino al secondo grado o affini entro il primo grado» dell’interessato svolgano abitualmente attività professionale per imprese di assicurazione – con riguardo all’intero territorio nazionale, anziché limitarla al circondario del tribunale nel quale è esercitata detta attività professionale.

Così deciso in Roma, nella sede della Corte costituzionale, Palazzo della Consulta, il 6 febbraio 2006.

Depositata in Cancelleria il 16 febbraio 2006.

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