L’espressione è usata dagli operatori giuridici per riformare, in senso sfavorevole all’imputato, una sentenza penale di primo grado, oggetto di appello.
Esiste attualmente un divieto di reformatio in peius (art. 597, 3° co.), infatti se l’appello è proposto dal solo imputato, il giudice non può applicare una pena più grave per specie o quantità.