Conflitti (Conflict)

I (—) possono interessare i poteri dello Stato, cioè gli organi i cui atti e comportamenti siano idonei a configurarsi come espressione ultima ed immodificabile dei rispettivi poteri. L’art. 134 Cost. attribuisce alla Corte Costituzionale il compito di giudicare sui (—) tra poteri dello Stato.
Il giudizio dinanzi alla Corte può essere originato sia dalla rivendicazione di competenze che si ritengono usurpate da altri, sia dalla denuncia del cattivo uso delle attribuzioni altrui che intralcia il pieno esercizio delle proprie competenze.
I (—) tra i poteri dello Stato vanno distinti sia da quelli tra la P.A. e l’autorità giudiziaria (artt. 41 e 368 c.p.c.), che, esaurendosi in questioni di giurisdizione, vanno risolti dalle Sezioni Unite della Cassazione dietro esperimento del regolamento di giurisdizione, sia dai conflitti amministrativi, che, intercorrendo tra organi di una stessa amministrazione, vanno risolti dal superiore gerarchico o, in caso di sua mancanza, dall’autorità cui tale potere, caso per caso, sia conferito dalla legge.
I (—) possono inoltre sorgere tra Stato e Regioni e fra Regioni quando siano violate norme della Costituzione o di leggi Costituzionali.
(—) di competenza (d. amm.; d. proc. gen.)
Si ha conflitto quando due o più autorità affermano o negano, contemporaneamente, la propria potestà di conoscere una determinata questione o materia, ovvero quando esiste la sola possibilità che sorga tale contrasto.
I conflitti possono, quindi, essere:
— positivi, quando due (o più) autorità affermano la propria potestà di conoscere della questione;
— negativi, quando invece tutte le autorità negano tale loro potestà;
— reali, quando le autorità si siano già pronunciate circa l’appartenenza o meno ad esse della potestà di conoscere la questione;
— virtuali, quando vi sia solo la possibilità che si determinino tali pronunce.
A seconda poi del potere cui appartengono le autorità in conflitto possono aversi le seguenti specie di conflitti:
— di attribuzione tra poteri dello Stato diversi;
— di giurisdizione, che intervengono tra due o più giudici appartenenti a giurisdizioni diverse;
— di competenza, quando le autorità appartengono allo stesso potere o allo stesso ordine giurisdizionale (es.: conflitto fra due giudici ordinari come Giudice di pace e Tribunale, conflitto tra due T.A.R., conflitti tra Prefetto e Sindaco etc.).
I (—) fra organi amministrativi possono sorgere:
— fra organi investiti della medesima funzione amministrativa (conflitti interni);
— fra organi, o autorità, investiti di funzioni amministrative diverse (conflitti esterni).
La soluzione dei conflitti può sempre avvenire in due momenti diversi: in via preventiva e diretta, ad opera di un organo amministrativo gerarchicamente superiore [Gerarchia (Rapporto di)], a ciò designato dalla legge o dagli stessi organi interessati; in via successiva e indiretta, mediante i rimedi previsti dalla giustizia amministrativa, e cioè impugnando gli atti emanati in presenza del vizio di incompetenza.
In ambito processuale si ha conflitto quando due o più giudici affermano o negano, contemporaneamente, la propria potestà di conoscere una determinata questione o materia, ovvero quando esiste la sola possibilità che sorga tale contrasto.
Il rimedio principale per la risoluzione dei (—) è il regolamento di competenza. Le parti, tuttavia, possono utilizzare anche gli ordinari mezzi di impugnazione, però solo se il giudice abbia pronunciato sentenza oltre che sulla competenza anche sul merito.
(—) di giurisdizione (d. proc. gen.)
Si hanno nel caso in cui due o più giudici appartenenti a diverse giurisdizioni contemporaneamente affermano o negano (conflitti positivi o negativi) di avere il potere di decidere una determinata controversia (es. giudice ordinario e giudice militare).
Per tali conflitti si applica la medesima disciplina prevista per i conflitti di competenza, cui si rinvia integralmente.
(—) di interessi (d. civ., d.com.)
Si distinguono due ipotesi di (—):
— nella rappresentanza: si ha quando il rappresentante, che è tenuto ad agire nell’interesse del rappresentato (art. 1388 c.c.), utilizza il potere conferitogli per realizzare, al contrario, l’interesse proprio o di un terzo. In tal caso, il contratto concluso dal rappresentante in (—) è annullabile [Annullamento] su istanza del dominus negotii, se il conflitto era conosciuto o riconoscibile dal terzo (art. 1394 c.c.).
Secondo parte della dottrina non è sufficiente che il conflitto sia meramente potenziale, ma è necessario che effettivamente il rappresentante abbia abusato dei poteri conferitigli, in danno del dominus ed in favore del terzo;
— nelle società: si ha quando il socio o l’amministratore hanno, per conto proprio o di terzi, un interesse in conflitto con quello della società, interesse che non possono realizzare se non sacrificando quello societario (artt. 2373 e 2391 c.c.).
Il D.Lgs. 6/2003, recante riforma delle società di capitali, in vigore dall’1-1-2004, è intervenuto sulla disciplina del (—), riformulando gli artt. 2373 e 2391 c.c. Il nuovo art. 2373 c.c. sul (—) del socio non presenta particolari innovazioni; cambia, invece, la disciplina del (—) degli amministratori, limitandosi l’obbligo di astensione ai soli amministratori delegati e prevedendosi, negli altri casi, il rimedio dell’impugnativa della deliberazione.
(—) di interessi delle cariche istituzionali (d. pubbl.)
Situazione che si verifica quando un soggetto ricopre una carica istituzionale che comporta l’obbligo di adottare decisioni destinate a incidere in maniera sostanziale sull’assetto economico del Paese e, contemporaneamente, detiene anche un rilevante potere economico, in particolare in settori delicati come quello delle telecomunicazioni e soggetti ad un regime di concessione da parte dello Stato; ciò comporta la possibilità di un abuso a fini personali della carica istituzionale ricoperta tanto nell’ipotesi in cui tale decisione sia adottata per favorire interessi personali quanto per danneggiare eventuali concorrenti.
In altri Stati la problematica del (—) è stata da tempo affrontata e risolta attraverso disposizioni costituzionali o legislative, che impongono al soggetto titolare di cariche pubbliche di procedere ad una netta separazione tra gli interessi personali economici e l’esercizio di una carica pubblica.
In Italia il tema del (—) si è posto concretamente nel 1994, quando, in seguito alla vittoria elettorale del centro-destra, la carica di Presidente del Consiglio fu assunta da Silvio Berlusconi, proprietario di società che operano nel settore delle telecomunicazioni.
La materia è oggi disciplinata dalla L. 215/2004, che stabilisce che i titolari delle cariche di governo debbono dedicarsi esclusivamente alla cura degli interessi pubblici. La legge si applica al Presidente del Consiglio dei ministri, ai Ministri, ai Vice Ministri, ai sottosegretari di Stato, ai Commissari straordinari del Governo. Secondo il provvedimento sussiste situazione di conflitto di interessi quando il titolare di cariche di governo partecipa all’adozione di un atto, o omette un atto dovuto, che ha un’incidenza specifica e preferenziale sul suo patrimonio o su quello dei congiunti (art. 3).
Vengono definite le ipotesi di incompatibilità. Il titolare di cariche di governo, nello svolgimento del proprio incarico, non può (art. 2):
— ricoprire cariche o uffici pubblici diversi dal mandato parlamentare e di amministratore di enti locali;
— ricoprire cariche o uffici o svolgere altre funzioni comunque denominate in enti di diritto pubblico, anche economici;
— ricoprire cariche o uffici o svolgere altre funzioni comunque denominate ovvero esercitare compiti di gestione in società aventi fini di lucro o in attività di rilievo imprenditoriale;
— esercitare attività professionali o di lavoro autonomo in materie connesse con la carica di governo, di qualunque natura, anche se gratuite, a favore di soggetti pubblici o privati;
— esercitare qualsiasi tipo di impiego o lavoro pubblico;
— esercitare qualsiasi tipo di impiego o lavoro privato.
Gli incarichi e le funzioni indicati cessano dalla data del relativo giuramento e comunque dell’effettiva assunzione della carica.
All’Autorità garante della concorrenza e del mercato [Autorità amministrative indipendenti] è affidata la vigilanza sugli atti del Governo in relazione ad eventuali (—). Nel caso di imprese editoriali la competenza a vigilare è affidata all’Autorità garante per le telecomunicazioni (artt. 6-7), che può sanzionare le imprese secondo quanto previsto dalla legge sulla par condicio.

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