Relazionalismo (Relational)

Teoria generale che considera come concetto principale dell’ordinamento giuridico il rapporto giuridico fra individui con reciproci diritti e doveri.
Fu la scuola storica tedesca ad elaborare per prima questo concetto.
Alessandro Levi ne fu esponente in Italia (1881-1953).
Il filosofo veneziano diceva che il diritto si estrinseca nel rapporto del soggetto con altri soggetti che hanno essi stessi dei diritti e obblighi.
Il rapporto giuridico stesso dà vita alla norma giuridica, sia pubblica che privata.

Relativismo etico

Concezione filosofica che stabilisce come i valori morali siano validi non in assoluto ma in funzione dei mutamenti sociali, politici ed economici che si verificano all’interno di una società.
Spesso essa non si distingueva dal non cognitivismo etico.

Realismo giuridico (Legal Realism)

Sinonimo di giusrealismo. È il complesso di concezioni del diritto, anche molto diverse tra loro, accomunate dal fatto di attribuire rilevanza particolare all’effettiva operatività del diritto nella società e alla sua concreta applicazione da parte dei giudici nei tribunali. In questo senso, tali correnti di pensiero si contrappongono al formalismo giuridico e al legalismo tipici del giuspositivismo, nonché all’obiettivismo etico del giusnaturalismo.
Rientrano sotto la generica denominazione di (—):
— la giurisprudenza degli interessi;
— la giurisprudenza sociologica;
— la teoria del diritto libero (ted. Freirecht) [vedi Giusliberismo];
— la teoria del rapporto giuridico;
— la teoria istituzionale del diritto [vedi Istituzionalismo];
— il realismo giuridico in senso stretto (americano e scandinavo).
Rispetto al giuspositivismo, alcune correnti «realiste» (ad es. la giurisprudenza sociologica) attuano una diversa valutazione etico-politica del diritto, attribuendo maggiore rilevanza ai fatti, ai concreti rapporti sociali e, quindi, alle norme effettive, per cui propongono una lista di fonti del diritto più ampia, comprensiva anche delle consuetudini sociali, degli interessi diffusi ecc. (che la concezione tradizionale e soprattutto quella giuspositivista tendono a non considerare come giuridiche).
Altri tipi di (—) accolgono una concezione predittiva della giurisprudenza, la quale dovrebbe disinteressarsi del diritto meramente scritto e considerare solo quello effettivamente vivo e operante nei tribunali.
La maggior parte dei giusrealisti ritiene che le leggi e tutte le norme giuridiche generali e astratte abbiano scarsa rilevanza sui comportamenti giudiziari, i quali sarebbero invece più direttamente influenzati dalle tendenze giurisprudenziali. Non mancano, tuttavia, coloro che considerano innegabile l’influenza delle norme sul diritto vero e proprio (quest’ultimo costituito soprattutto dalle decisioni dei giudici).
Tutte le correnti giusrealiste, ad ogni modo, esprimono una concezione di estremo scetticismo nei confronti dell’interpretazione giuridica; esse infatti lamentano l’ineliminabile indeterminatezza e vaghezza delle norme generali nei confronti dei casi concreti e rimarcano la natura creativa (più o meno totale) dell’attività applicativa di tali norme ai casi concreti.
Di estremo scetticismo interpretativo è particolarmente intriso il realismo giuridico americano, che annovera tra i principali esponenti Jerome Frank (1899-1957), Karl L. Llwellyn (1893-1962), Oliver W. Holmes (1841-1935), Benjamin N. Cardozo (1870-1938), Roscoe Pound (1870-1964).
Tali giuristi ritengono che il diritto non sia composto da norme generali e astratte ma dal complesso delle decisioni concrete dei giudici. Le norme giuridiche, se non ricevono effettiva applicazione nei tribunali, restano vuote formule.
Il realismo giuridico scandinavo annovera tra i suoi maggiori esponenti Axel Hägerström (1868-1939), Vilhelm Lundstedt (1882-1955), Karl Olivecrona (1897-1980), Alf Ross.
Il fondamento di tale corrente realista è prevalentemente filosofico e metodologico, in quanto si pone come obiettivo quello di emendare il discorso dei giuristi da qualsiasi implicazione ideologica e metafisica. In particolare, gli esponenti del (—) scandinavo rivolgono accuse ai giuspositivisti, i quali, limitandosi a descrivere le norme per come devono essere applicate e non per come lo sono di fatto, finiscono inevitabilmente col confondere tra descrizione dei fatti e valutazione degli stessi, compiendo inevitabilmente un’opera ideologica.
Obiettivo principale di tali autori è quello di restituire al discorso giuridico il carattere di discorso scientifico, eliminando qualsiasi riferimento a concetti privi di valenza empirica e dotati di mera funzione sistematica o persuasiva. La vera scienza del diritto deve essere sociologica e previsionale, ossia deve descrivere esclusivamente quegli aspetti del diritto che hanno una esistenza effettiva, in quanto realmente in grado di influenzare i comportamenti umani.

Razionalismo (Rationalism)

Il termine indica ogni filosofia per la quale un principio razionale, che il pensiero umano può scoprire, governa la realtà.
Per esempio, Platone crede che le cose di questo mondo abbiano un modello perfetto: le idee; è dunque tra i principali esponenti del (—). Il filosofo tedesco Schopenhauer (1788-1860), invece, è un irrazionalista, in quanto vede in ogni cosa solo una volontà di vita senza scopo, un cieco impulso.
Il (—), in senso stretto, è una corrente della filosofia moderna, opposta all’empirismo, che vuole elaborare una nuova visione del mondo impiegando la ragione come strumento.
L’indirizzo razionalistico si sviluppò in seguito all’affermarsi, nei moderni Stati nazionali, della borghesia, che ricorse al procedimento matematico nei commerci e nelle tecniche bancarie. Le libere accademie (che si imposero sulle università medievali) e la stampa favorirono l’indagine scientifica nell’astronomia, nella chimica e nella medicina.
Il giurista olandese U. Grozio, nel De iure pacis ac belli (1625), cercò di fondare l’autorità dello Stato su principi razionali e naturali (e non più sulla teologia), applicando al diritto il modello rigoroso della matematica.
Il filosofo francese Cartesio (1596-1650) è considerato il fondatore del (—) moderno. Egli, nel Discorso sul metodo (1637), non si rifà ad alcuna autorità del passato (Aristotele, la Scolastica): intende fondare il sapere umano sulla sola ragione. Ricerca un metodo, un criterio sicuro, costituito da regole chiare, che orienti l’uomo nella conoscenza e nella vita, impedendogli gli errori.
Cartesio ricavò le regole del metodo (di cui, poi, troverà il fondamento nell’uomo come soggetto pensante, usando il dubbio metodico) dalle scienze matematiche che, con le loro «catene di ragionamenti semplici e facili», gli apparivano particolarmente efficaci.
Le regole proposte da Cartesio sono quattro: l’evidenza, l’analisi, la sintesi, l’enumerazione e revisione.
Per il filosofo inglese T. Hobbes, anche l’etica e la politica possono e devono fondarsi sul procedimento matematico dimostrativo. Per analogia alla geometria, da pochi principi certi (postulati o assiomi) intorno alla natura umana discende, necessariamente, l’intera coscienza etica e politica.
Infine, il capolavoro di Spinoza, l’ Ethica more geometrico demonstrata (1677) appare una meravigliosa sintesi dei principi del (—).
Sul modello degli Elementi di Euclide, il contenuto dell’opera di Spinoza è ordinato secondo definizioni, assiomi, proposizioni, dimostrazioni e corollari. Il filosofo concepì l’universo, infatti, come una struttura necessaria, eterna, con un ordine geometrico, in cui le cose sono collegate, logicamente le une alle altre.