Termine che indica il complesso delle dottrine filosofico-giuridiche che pongono a fondamento della società civile e dello Stato e, in genere, di qualsiasi comunità civile una stipulazione o una convenzione tra gli individui.
L’origine della teoria del (—) è molto antica e risale ai sofsti. Ippia e Antifonte nel V sec. a.C. contrapponevano l’ordine naturale (physis) all’ordine normativo (nòmos) e sostenevano che la legge dovesse essere una semplice convenzione [vedi Convenzionalismo] tra gli uomini, ispirata al volere di tutti e non all’arbitrio dei forti o al volere degli dei. Platone, accennando nelle Leggi all’origine delle società politiche, giustificava il potere del monarca come prodotto di un patto tra il potere sovrano e il popolo, in forza del quale quest’ultimo si impegnava a obbedire e il monarca a comandare secondo il vero e unico criterio di giustizia.
Nel III sec. a.C. Epicuro ribadì che gli uomini hanno interesse ad abbandonare il primordiale stato di natura e a stipulare il contratto per fissare gli obiettivi comuni e primari della loro convivenza e impedire le reciproche offese.
Con l’avvento del Cristianesimo, la società politica si riduce a mero rapporto di comando e obbedienza tra l’individuo e l’autorità politica. Agostino, nell’opera De civitate Dei, fornì una nuova giustificazione alla teoria contrattualistica della società; egli fondava il potere politico su un patto intercorrente tra sovrano e sudditi, in virtù del quale questi ultimi erano vincolati all’obbedienza solo fino a quando il monarca avesse governato secondo i dettami cristiani.
Con l’emergere della società feudale, si profilò un tipo di rapporto contrattualistico caratterizzato da obbligazioni reciproche tra vassalli e signore: i primi ottenevano protezione in cambio dell’obbedienza al secondo. Tale organizzazione dello Stato feudale sulla base di obblighi reciproci favorì una lettura in termini contrattualistici anche delle relazioni tra sovrano e sudditi, rendendo possibile il delinearsi dell’idea del pactum subiectionis, ossia del contratto con cui si instaura il potere politico, vincolante sia per i sudditi, sia per il sovrano. Fu così che già nel sec.XI, in relazione alla lotta per le investiture, si profilò una puntuale precisazione della teoria contrattualistica, essendosi resa necessaria l’esigenza di chiarire il contenuto dei limiti dell’obbedienza dovuta dal cristiano all’imperatore.
Manegoldo di Lautembach, sostenitore delle rivendicazioni papali, formulò una nuova ed esplicita teoria dell’origine convenzionale del potere politico. Egli affermò il diritto di resistenza contro l’imperatore Enrico IV, avvertendo che il popolo ha il di rifiutare l’obbedienza all’imperatore, qualora questi venga meno all’impegno (assunto nel pactum subiectionis) di governare secondo determinate regole.
In seguito ai profondi rivolgimenti politici che si verificarono in Europa dopo la Riforma protestante e le guerre di religione, la dottrina contrattualistica del potere politico e il diritto di resistenza all’autorità politica ingiusta si riproposero con maggior vigore. I monarcomachi cattolici e protestanti sostennero, come diritto fondamentale del popolo, il diritto di resistenza nei confronti del principe che avesse violato gli obblighi sanciti nel contratto di governo. In aperta opposizione alla monarchia di diritto divino, il potere politico veniva configurato quale espressione del patto intercorrente tra il popolo e il sovrano e in tale patto si assumevano sancite le norme fondamentali che il re doveva rispettare nel suo governo. In tal modo venivano gettate le basi del moderno Stato costituzionale.
Nel sec. XVII con Grozio ebbe inizio l’interpretazione giusnaturalistica moderna del (—). Egli, tuttavia, negava che l’esistenza di un contratto alla base della società civile potesse configurare la pienezza dei poteri del popolo e il conseguente diritto di resistenza quali diritti inalienabili: poiché il popolo aveva rinunciato irrevocabilmente all’imperium, nel momento in cui si era associato e sottomesso al sovrano, qualsiasi ribellione all’autorità costituita era da ritenersi essenzialmente illegittima.
Hobbes utilizzò la teoria contrattualistica per fornire una rigorosa giustificazione dell’assolutismo. Nello stato di natura, ciascun individuo gode di una libertà illimitata che, tuttavia, inevitabilmente entra in contrasto con quella degli altri individui. Ne consegue che ciascuno è costretto a difendere se stesso e i propri beni dalle continue insidie dei suoi simili. Per ovviare all’estrema insicurezza che vige nello status naturae, tutti i soggetti, attraverso un patto, alienano liberamente e unanimemente i propri diritti naturali, conferendoli ad un solo individuo, il sovrano, che diventa signore assoluto e in cambio assicura ad essi pace e tranquillità. Il sovrano, non essendo un contraente, non può violare il patto e, quindi, i sudditi gli devono assoluta obbedienza.
Altro grande teorico del contatto del sec. XVII fu Locke. Nello stato di natura, l’uomo lockiano ha come guida la legge naturale, che consente a ciascuno di dare libero sfogo ai propri istinti, senza ledere la libertà degli altri. Ognuno ha il diritto di difendere personalmente i propri interessi, anche se ciò a volte ingenera delle ingiustizie. Il passaggio allo stato civile avviene, dunque, per assecondare l’esigenza di risolvere in modo imparziale le controversie. Attraverso un patto, gli uomini creano un giudice ad essi superiore, il quale tuteli i loro diritti naturali [vedi Diritto naturale] fondamentali (vita, libertà, proprietà). Nella società civile, il popolo conserva il diritto di controllare che l’autorità politica agisca in conformità al contratto e di ricorrere alla rivoluzione in caso di violazione del patto.
Per Spinoza la giustificazione contrattualistica è condizione imprescindibile della convivenza civile. Per vivere in pace e in sicurezza, necessariamente gli uomini hanno dato vita ad un patto costitutivo della società politica, unendo le loro energie e facendo in modo di godere collettivamente di quella fondamentale libertà che già caratterizzava lo stato di natura. La società politica di Spinoza è una società democratica, in cui il potere politico non è imposto ma fondato sl consenso di ttti i consociati.
Per Pufendorf alla base della società politica vi è il pactum societatis, attraverso cui gli individui volontariamente e liberamente danno vita a una nuova entità giuridica, capace di autonoma volontà e titolare di diritti e obblighi distinti da quelli dei singoli membri che la compongono. Al pactum societatis seguono il pactum subiectionis, con il quale vengono stabiliti i criteri di amministrazione del potere politico e un terzo patto con cui il popolo attribuisce in concreto, ad una o più persone, il potere di governare. La sovranità, appartenente in origine al popolo, viene da questo trasferita al monarca. Il trasferimento può avvenire anche in modo definitivo e in tal caso il sovrano resta svincolato da qualsiasi controllo, sebbene l’esercizio dell’imperium debba avvenire nel rispetto delle leggi di natura.
Nel sec.XVIII le teorie del contratto ebbero tra i maggiori esponenti Rousseau e Kant. Per Rousseau il contratto sociale è il mezzo attraverso cui gli uomini unificano le loro volontà individuali e danno vita alla volontà generale (lo Stato), che ha come obiettivo il perseguimento del bene comune. Nella società i singoli membri acquistano una nuova personalità e una diversa libertà, quella civile e politica. L’essenza dello Stato è la volontà generale, che si manifesta nella legge. Al potere legislativo, dunque, tutto è subordinato.
Per Kant il pactum sociale, definito originario, non deve essere concepito come un evento storico. Si tratta, invece, dell’idea della ragione che rende pensabile la legittimità delle istituzioni politiche. Il patto è sempre, razionalmente, a fondamento dello Stato. La sua realtà consiste unicamente nell’obbligare ogni legislatore a fare leggi come se esse dovessero derivare dalla volontà comune di tutto il popolo e nel considerare ogni suddito consenziente.
Nel secolo XIX la teoria del contratto sociale fu duramente criticata da Hegel, secondo cui i contrattualisti non solo hanno ricondotto alla sfera pubblica un rapporto pattizio che, invece, attiene tipicamente al diritto privato, ma hanno ritenuto che l’origine dello Stato derivi da un contratto, dimenticando che esso è invece il presupposto di ogni esistenza politica.
In questi ultimi anni si assiste ad una rivalutazione del contrattualismo. Il maggior esponente del neocontrattualismo è il filosofo americano John Rawls, il quale utilizza la nozione di contratto sociale per ridefinire i criteri di giustizia che le istituzioni politiche devono necessariamente osservare.
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Controllo sociale (Social Control)
È il complesso di mezzi e modalità (pressioni, incentivi, sanzioni) adoperati da ogni società o gruppo o istituzione al fine di assicurare il rispetto, da parte dei propri membri, delle norme e dei modelli comportamentali consolidati, allo scopo di arginare i pericoli della disgregazione.
La nozione di (—) fu impiegata per la prima volta dal filosofo inglese H. Spencer nella seconda metà del sec.XIX e fu al centro degli studi antropologici finalizzati a stabilire in che modo potesse essere assicurata l’osservanza delle regole adottate dal gruppo in società prive degli strumenti idonei a reprimere le eventuali violazioni.
L’uso di strumenti coercitivi solitamente rientra nel (—) solo come extrema ratio, allorquando gli specifici meccanismi di persuasione si siano rivelati inadatti all’obiettivo di uniformare i comportamenti dei soggetti alle regole standardizzate.
Nella storia del concetto sono state impiegate diverse definizioni. Una prima include nel (—) tutti quei fenomeni normativi forniti di efficacia prescrittiva (religione, morale, diritto). Una seconda fa riferimento all’insieme degli strumenti repressivi dei comportamenti considerati lesivi delle regole di condotta generalizzate (ad es. ammonizione, censura, isolamento, incarcerazione). Una terza definizione considera strumenti di (—) tutti gli istituti repressivi predisposti dal pubblico potere.
I modelli imposti dal (—) risultano particolarmente efficaci qualora si voglia genericamente assicurare l’uniforme ripetizione di determinati comportamenti da parte dei componenti del gruppo.
Il (—) viene esercitato non solo nella società globalmente considerata ma anche dalle singole istituzioni (famiglia, partiti politici, scuola) e dai singoli gruppi che la compongono.
Contrattualismo (Contractual)
Termine che indica il complesso delle dottrine filosofico-giuridiche che pongono a fondamento della società civile e dello Stato e, in genere, di qualsiasi comunità civile una stipulazione o una convenzione tra gli individui.
L’origine della teoria del (—) è molto antica e risale ai sofsti. Ippia e Antifonte nel V sec. a.C. contrapponevano l’ordine naturale (physis) all’ordine normativo (nòmos) e sostenevano che la legge dovesse essere una semplice convenzione [vedi Convenzionalismo] tra gli uomini, ispirata al volere di tutti e non all’arbitrio dei forti o al volere degli dei. Platone, accennando nelle Leggi all’origine delle società politiche, giustificava il potere del monarca come prodotto di un patto tra il potere sovrano e il popolo, in forza del quale quest’ultimo si impegnava a obbedire e il monarca a comandare secondo il vero e unico criterio di giustizia.
Nel III sec. a.C. Epicuro ribadì che gli uomini hanno interesse ad abbandonare il primordiale stato di natura e a stipulare il contratto per fissare gli obiettivi comuni e primari della loro convivenza e impedire le reciproche offese.
Con l’avvento del Cristianesimo, la società politica si riduce a mero rapporto di comando e obbedienza tra l’individuo e l’autorità politica. Agostino, nell’opera De civitate Dei, fornì una nuova giustificazione alla teoria contrattualistica della società; egli fondava il potere politico su un patto intercorrente tra sovrano e sudditi, in virtù del quale questi ultimi erano vincolati all’obbedienza solo fino a quando il monarca avesse governato secondo i dettami cristiani.
Con l’emergere della società feudale, si profilò un tipo di rapporto contrattualistico caratterizzato da obbligazioni reciproche tra vassalli e signore: i primi ottenevano protezione in cambio dell’obbedienza al secondo. Tale organizzazione dello Stato feudale sulla base di obblighi reciproci favorì una lettura in termini contrattualistici anche delle relazioni tra sovrano e sudditi, rendendo possibile il delinearsi dell’idea del pactum subiectionis, ossia del contratto con cui si instaura il potere politico, vincolante sia per i sudditi, sia per il sovrano. Fu così che già nel sec.XI, in relazione alla lotta per le investiture, si profilò una puntuale precisazione della teoria contrattualistica, essendosi resa necessaria l’esigenza di chiarire il contenuto dei limiti dell’obbedienza dovuta dal cristiano all’imperatore.
Manegoldo di Lautembach, sostenitore delle rivendicazioni papali, formulò una nuova ed esplicita teoria dell’origine convenzionale del potere politico. Egli affermò il diritto di resistenza contro l’imperatore Enrico IV, avvertendo che il popolo ha il di rifiutare l’obbedienza all’imperatore, qualora questi venga meno all’impegno (assunto nel pactum subiectionis) di governare secondo determinate regole.
In seguito ai profondi rivolgimenti politici che si verificarono in Europa dopo la Riforma protestante e le guerre di religione, la dottrina contrattualistica del potere politico e il diritto di resistenza all’autorità politica ingiusta si riproposero con maggior vigore. I monarcomachi cattolici e protestanti sostennero, come diritto fondamentale del popolo, il diritto di resistenza nei confronti del principe che avesse violato gli obblighi sanciti nel contratto di governo. In aperta opposizione alla monarchia di diritto divino, il potere politico veniva configurato quale espressione del patto intercorrente tra il popolo e il sovrano e in tale patto si assumevano sancite le norme fondamentali che il re doveva rispettare nel suo governo. In tal modo venivano gettate le basi del moderno Stato costituzionale.
Nel sec. XVII con Grozio ebbe inizio l’interpretazione giusnaturalistica moderna del (—). Egli, tuttavia, negava che l’esistenza di un contratto alla base della società civile potesse configurare la pienezza dei poteri del popolo e il conseguente diritto di resistenza quali diritti inalienabili: poiché il popolo aveva rinunciato irrevocabilmente all’imperium, nel momento in cui si era associato e sottomesso al sovrano, qualsiasi ribellione all’autorità costituita era da ritenersi essenzialmente illegittima.
Hobbes utilizzò la teoria contrattualistica per fornire una rigorosa giustificazione dell’assolutismo. Nello stato di natura, ciascun individuo gode di una libertà illimitata che, tuttavia, inevitabilmente entra in contrasto con quella degli altri individui. Ne consegue che ciascuno è costretto a difendere se stesso e i propri beni dalle continue insidie dei suoi simili. Per ovviare all’estrema insicurezza che vige nello status naturae, tutti i soggetti, attraverso un patto, alienano liberamente e unanimemente i propri diritti naturali, conferendoli ad un solo individuo, il sovrano, che diventa signore assoluto e in cambio assicura ad essi pace e tranquillità. Il sovrano, non essendo un contraente, non può violare il patto e, quindi, i sudditi gli devono assoluta obbedienza.
Altro grande teorico del contatto del sec. XVII fu Locke. Nello stato di natura, l’uomo lockiano ha come guida la legge naturale, che consente a ciascuno di dare libero sfogo ai propri istinti, senza ledere la libertà degli altri. Ognuno ha il diritto di difendere personalmente i propri interessi, anche se ciò a volte ingenera delle ingiustizie. Il passaggio allo stato civile avviene, dunque, per assecondare l’esigenza di risolvere in modo imparziale le controversie. Attraverso un patto, gli uomini creano un giudice ad essi superiore, il quale tuteli i loro diritti naturali [vedi Diritto naturale] fondamentali (vita, libertà, proprietà). Nella società civile, il popolo conserva il diritto di controllare che l’autorità politica agisca in conformità al contratto e di ricorrere alla rivoluzione in caso di violazione del patto.
Per Spinoza la giustificazione contrattualistica è condizione imprescindibile della convivenza civile. Per vivere in pace e in sicurezza, necessariamente gli uomini hanno dato vita ad un patto costitutivo della società politica, unendo le loro energie e facendo in modo di godere collettivamente di quella fondamentale libertà che già caratterizzava lo stato di natura. La società politica di Spinoza è una società democratica, in cui il potere politico non è imposto ma fondato sl consenso di ttti i consociati.
Per Pufendorf alla base della società politica vi è il pactum societatis, attraverso cui gli individui volontariamente e liberamente danno vita a una nuova entità giuridica, capace di autonoma volontà e titolare di diritti e obblighi distinti da quelli dei singoli membri che la compongono. Al pactum societatis seguono il pactum subiectionis, con il quale vengono stabiliti i criteri di amministrazione del potere politico e un terzo patto con cui il popolo attribuisce in concreto, ad una o più persone, il potere di governare. La sovranità, appartenente in origine al popolo, viene da questo trasferita al monarca. Il trasferimento può avvenire anche in modo definitivo e in tal caso il sovrano resta svincolato da qualsiasi controllo, sebbene l’esercizio dell’imperium debba avvenire nel rispetto delle leggi di natura.
Nel sec.XVIII le teorie del contratto ebbero tra i maggiori esponenti Rousseau e Kant. Per Rousseau il contratto sociale è il mezzo attraverso cui gli uomini unificano le loro volontà individuali e danno vita alla volontà generale (lo Stato), che ha come obiettivo il perseguimento del bene comune. Nella società i singoli membri acquistano una nuova personalità e una diversa libertà, quella civile e politica. L’essenza dello Stato è la volontà generale, che si manifesta nella legge. Al potere legislativo, dunque, tutto è subordinato.
Per Kant il pactum sociale, definito originario, non deve essere concepito come un evento storico. Si tratta, invece, dell’idea della ragione che rende pensabile la legittimità delle istituzioni politiche. Il patto è sempre, razionalmente, a fondamento dello Stato. La sua realtà consiste unicamente nell’obbligare ogni legislatore a fare leggi come se esse dovessero derivare dalla volontà comune di tutto il popolo e nel considerare ogni suddito consenziente.
Nel secolo XIX la teoria del contratto sociale fu duramente criticata da Hegel, secondo cui i contrattualisti non solo hanno ricondotto alla sfera pubblica un rapporto pattizio che, invece, attiene tipicamente al diritto privato, ma hanno ritenuto che l’origine dello Stato derivi da un contratto, dimenticando che esso è invece il presupposto di ogni esistenza politica.
In questi ultimi anni si assiste ad una rivalutazione del contrattualismo. Il maggior esponente del neocontrattualismo è il filosofo americano John Rawls, il quale utilizza la nozione di contratto sociale per ridefinire i criteri di giustizia che le istituzioni politiche devono necessariamente osservare.
Classe sociale (Social Class)
Categoria di appartenenza di un dato gruppo, la quale si delinea all’interno di un sistema sociale stratificato. Generalmente la (—) comprende l’insieme degli individui che tra loro sono accomunati dall’identità delle mansioni svolte, dal medesimo status economico e dallo stesso livello di potere e prestigio goduti.
A differenza delle «caste» che sono chiuse e non percorribili, le classi sociali sono sistemi aperti, in quanto sono caratterizzate dalla cd. «mobilità verticale», nel senso che consentono il passaggio dall’una all’altra.
Le classi sociali si differenziano anche dai ceti, che sono gruppi più omogenei, in quanto i membri condividono tra loro anche modelli di vita, di azione e culturali.
La nozione di (—) si affermò nelle scienze sociali tra la fine del Settecento ed i primi anni dell’Ottocento.
L’inglese A. Smith (1723-1790) in Ricerche sulla natura e le cause della ricchezza delle nazioni (1776) si fece portavoce delle aspirazioni della borghesia che, all’epoca della rivoluzione industriale fu la maggiore artefice delle attività economiche. Smith distinse i cittadini in classi sociali, a seconda che percepissero redditi, rendite e profitti ed individuò la causa della differenza tra le classi dominanti e quelle subalterne nella diversa importanza dei rispettivi ruoli lavorativi, tutti funzionali all’equilibrio e al progresso economico di una nazione.
Contemporaneamente all’ascesa della classe borghese si venne delineando dalle classi popolari (cioè dei piccoli commercianti, degli artigiani e dei contadini) la classe operaia, composta da coloro che vendendo la propria «forza lavoro» traggono i mezzi di sussistenza sotto forma di salario.
Hegel sottolineò la ineliminabilità, nella storia dell’uomo, della contrapposizione dialettica tra signoria e servitù e Saint-Simon (1760-1825) accarezzò l’idea di una collaborazione tra tutte le classi «operose» (borghesi e popolari).
Marx, invece, negò qualsiasi possibilità di collaborazione interclassista. Egli riteneva che la formazione delle classi fosse determinata dalla posizione assunta nei rapporti di produzione. In un regime capitalistico la produzione si basa sulla separazione tra mezzi di produzione (di proprietà privata del capitalista) e lavoro necessario a rendere operativi i mezzi stessi. In un tale regime, l’operaio per vivere mette a disposizione del capitalista la propria forza-lavoro ed a sua volta il capitalista si assicura un profitto sottraendo all’operaio una quota di lavoro non retribuito.
Tale situazione di inferiorità e di sfruttamento del proletariato da parte del capitalista non si limita, secondo Marx, alla sola sfera produttiva ma si estende a tutta la sfera sociale: l’inferiorità nella produzione, infatti, si traduce in redditi inferiori e quindi in inferiori potenzialità nei consumi, nell’istruzione e nella partecipazione politica.
M. Weber (1864-1920) in Economia e società (postuma, 1922) distinse le classi sociali non in base alla posizione economica ma in base agli status (stile di vita, prestigio, vocazione capitalistica, onore). Secondo Weber, in una società capitalistica anche un individuo privo di grandi ricchezze ma dotato ad esempio di una spiccata «vocazione» imprenditoriale può godere di maggiore considerazione rispetto ad un individuo ricco ma inetto.
Le considerazioni di Weber sono state portate alle estreme conseguenze da numerosi sociologi contemporanei. Ad esempio, l’americano T. Parsons (1902-1979) ha negato l’esistenza di classi rigidamente distinte, sostenendo che le differenze sociali sono pienamente legittime perché originate dalle diverse capacità degli individui di contribuire al benessere economico dello Stato.
Attualmente, le società più avanzate continuano a conoscere differenze e conflitti di classe tra datori di lavoro e lavoratori salariati.
Le differenze, tuttavia, sono basate sempre meno sul prestigio e sempre più sulla difficile reperibilità della professione sul mercato del lavoro. I continui mutamenti nel processo tecnologico e della produzione generano inoltre una costante espulsione di manodopera, che finisce con l’incrementare una classe di emarginati, serbatoio di attività precarie e malremunerate.