Tribunale Regionale di Giustizia Amministrativa del Trentino-Alto Adige – sede di Trento N. 2/2009

ha pronunciato la seguente

SENTENZA

sul ricorso n. 52 del 2007 proposto dal signor Galvagni Sergio, rappresentato e difeso dagli avv.ti Sergio Dragogna e Federico Mazzei ed elettivamente domiciliato presso lo studio del primo di essi in Trento, via Manci, 18

CONTRO

il Comune di Trento, in persona del Sindaco pro tempore, rappresentato e difeso dall’avv. Luca Barberi ed elettivamente domiciliato presso l’Avvocatura comunale in Trento, Via Calepina, 12

CONTRO

la Provincia autonoma di Trento, in persona del Presidente pro tempore, non costituita in giudizio

per l’annullamento

– quanto al ricorso principale:

1. della “deliberazione del Consiglio comunale di Trento n. 130 di data 24.11.2006, pubblicata dal 4.12.2006 fino al 14.12.2006 e divenuta esecutiva il 15.12.2006, ad oggetto: per la contestata reiterazione della destinazione a VPG (zona destinata a verde pubblico e a servizi di quartiere) delle pp.ff. 1104/3 e 1105/4 C.C. Trento, via Medici e per l’omesso ripristino della previgente zona residenziale, con tutti gli elaborati grafici normativi approvati e gli allegati, tra cui occorrendo del richiamato e non conosciuto elaborato – ottobre 2006 – predisposto dal Servizio urbanistica del Comune”;
2. della “presupposta deliberazione del Consiglio comunale 14.10.2004, n. 111 di prima adozione della variante 2004 al vigente P.R.G. e di ogni altro atto presupposto e connesso”;

– quanto al ricorso per motivi aggiunti:

3. della “delibera della Giunta della Provincia autonoma di Trento n. 200 di data 1.2.2008, pubblicata sul B.U. n. 7/I-II del 12.2.2008, avente ad oggetto e ciò in toto e in parte qua relativamente alla approvazione definitiva, senza modifiche, della contestata reiterazione della destinazione a VPG (zona destinata a verde pubblico e a servizi di quartiere) delle pp.ff. 1104/3 e 1105/4 C.C. Trento, loc. via Medici e per l’omesso ripristino della previgente zona residenziale, nonché degli elaborati grafici e normativi così definitivamente approvati, nonché di ogni ulteriore atto presupposto, infraprocedimentale e conseguente”; ed in particolare,
4. del “verbale di deliberazione n. 24/2007 di data 6.6.2007 della Commissione urbanistica provinciale”;
5. della “delibera del Consiglio comunale di Trento 19.2.2007, citata nella delibera impugnata sub n. 1”;
6. delle “controdeduzioni del Comune di Trento e degli atti del Servizio provinciale richiamati nella delibera impugnata sub. n. 1, allegati alla medesima, ma non pubblicati”.

Visto il ricorso con i relativi allegati, nonché i suddetti motivi aggiunti;

Visto l’atto di costituzione in giudizio dell’Amministrazione comunale intimata, anche con riguardo al ricorso per motivi aggiunti;

Viste le memorie prodotte dalle parti a sostegno delle rispettive difese;

Visti gli atti tutti della causa;

Uditi alla pubblica udienza del 20 novembre 2008 – relatore il consigliere Alma Chiettini – l’avv.to Sergio Dragogna per il ricorrente e l’avv.to Luca Barberi per l’Amministrazione comunale resistente;

Ritenuto e considerato in fatto e in diritto quanto segue.

F A T T O

1. Il ricorrente assume in fatto di essere il procuratore generale della signora Pia Stenghele, proprietaria di un vasto lotto di terreno di circa 4.460 mq, tavolarmente individuato dalle pp.ff. 1104/3 e 1105/4, situato nel quartiere Clarina del Comune di Trento, con il lato nord confinante con l’argine sinistro del rio Salè.

2. Fino all’anno 1991 gran parte dell’area de quo era compresa in zona residenziale di tipo E, con obbligo di piano particolareggiato, mentre per la parte più a nord era prevista una fascia a verde pubblico.

Nel 1991 il piano regolatore generale del Comune aveva compreso la maggior parte dell’area in zona G – destinata ai servizi di quartiere: verde pubblico o di uso collettivo, e solo una minima parte in zona B1 quale area edificata satura.

3. Con la nuova Variante al piano regolatore generale del Comune, adottata in prima e in seconda deliberazione dal Consiglio comunale con i due atti citati ai punti 1 e 2 dell’epigrafe, l’area in questione è stata nuovamente vincolata a “VP verde pubblico o di uso collettivo di quartiere”, disciplinato dall’articolo 69 delle norme tecniche di attuazione.

4. Con ricorso notificato il 9 febbraio 2007 e depositato presso la Segreteria del Tribunale il successivo 27 febbraio, il ricorrente ha impugnato le deliberazioni di prima e di seconda adozione della Variante al piano regolatore, formulando le seguenti articolate censure:

I – “violazione dell’articolo 67 della legge provinciale 5.9.1991, n. 22, e degli art. 1 e 2 e ss. del D.M. 2.4.1968, n. 1444, e del divieto di reiterazione del vincolo di destinazione VP senza puntuale motivazione e previsione di giusto indennizzo per il lotto vincolato, adempiuto mediante la mera previsione di generico ed indeterminato impegno di allocazione a bilancio comunale esteso a tutte le reiterazioni disposte; eccesso di potere per motivazione sviata, travisata ed apparente sul requisito della individuazione della entità e degli stessi criteri di stima dell’indennizzo specifico per il corrispondente singolo vincolo oggetto della reiterazione ed in osservanza dei criteri di cui alle sentenze della Corte costituzionale n. 179/1999 e n. 411/2001”;

II- “violazione degli artt. 40, 42, 18 e 67 della legge provinciale 5.9.1991, n. 22 e degli artt. 1 e 2 e ss. del D.M. 2.4.1968, n. 1444 per reiterazione della destinazione ad esproprio per VP a carico delle pp.ff. 1104/3 e 1105/4 e illegittima ed erronea esclusione del lotto già destinato ad edilizia residenziale dal PRG 1968 e dalla variante del 1987 e consequenziale riconoscimento di inclusione dello stesso lotto nella confinante zona B4 edificata di completamento (art. 38 NtA); eccesso di potere per difetto di motivazione ed irragionevolezza nella zonizzazione omogenea e di allineamento urbanistico”. Si asserisce che il terreno in questione si inserirebbe in una zona edificata, rendendo così di immediata evidenza l’irragionevole situazione rispetto all’edificazione confinante, il che, in fatto, si tradurrebbe in un ingiustificato carico sulla sola proprietà del ricorrente. Inoltre si adduce che in altre zone del territorio comunale sarebbero state individuate nuove aree residenziali con definizione “zona di completamento” classificate in maniera omogenea rispetto alle aree confinanti, il che invece non sarebbe avvenuto nel caso de quo.

5. Nei termini di rito si è costituita in giudizio l’Amministrazione comunale intimata, chiedendo la reiezione del ricorso perché infondato nel merito.

6. Con ricorso per motivi aggiunti notificato in data 11 aprile 2008 e depositato presso la Segreteria del Tribunale il successivo 21 aprile, il ricorrente ha impugnato la deliberazione della Giunta provinciale di approvazione della Variante al piano regolatore, di cui al punto 3 dell’epigrafe, nonché gli atti ivi riportati ai punti 4, 5 e 6, formulando le seguenti ulteriori articolate censure:

III – “violazione dell’art. 41 della legge provinciale 5.9.1991, n. 22, per esame della Variante 2004 da parte della Conferenza dei Servizi P.A.T. con riferimento ai vincoli per la sicurezza del territorio in data posteriore (5.7.2007) rispetto alla seduta della C.U.P. (6.6.2007), il cui parere è stato recepito dalla delibera della Giunta provinciale n. 200/2008; violazione dell’art. 3 della legge n. 241 del 1990, e della normativa provinciale di riferimento per difetto di motivazione ed eccesso di potere per contraddittorietà interna, illogicità ed irragionevolezza, riscontrandosi nel richiamato parere C.U.P. pareri discordanti sul medesimo oggetto, il tutto come testualmente riconosciuto nella nota dell’Assessore comunale all’urbanistica di data 20.9.2007”; il parere della Commissione urbanistica provinciale sarebbe invero risultato incompleto con riferimento al parere della Conferenza dei Servizi adottato successivamente ad esso con conseguente illegittimità della procedura di approvazione della Variante impugnata;

IV – “violazione dell’art. 63 della legge provinciale 5.9.1991, n. 22, per omessa della procedura di Variante 2004 al PRG di Trento in attesa dell’entrata in vigore del nuovo P.U.P.; eccesso di potere per difetto di istruttoria” in quanto la Giunta provinciale ben avrebbe potuto sospendere l’iter della variante in corso, posto che al tempo era in fase di approvazione il nuovo Piano urbanistico provinciale;

V – “eccesso di potere per disparità di trattamento come emergente da lettera dello stesso Vicesindaco ed Assessore all’urbanistica del Comune di Trento inviata dal Comune al Servizio urbanistica P.A.T. in data 24.12.2007 per E-mail ed ivi protocollata in data 27.12.2007”, con riferimento alla variante 19/1, zona C3, strada delle Tabarelle a Villazzano;

VI – “illegittimità derivata”.

7. Alla pubblica udienza del 20 novembre 2008 il ricorso è stato trattenuto per la decisione.

D I R I T T O

1. Con il ricorso in esame il procuratore generale, signor Sergio Galvagni, della proprietaria, sig.ra Pia Stenghele, di un ampio terreno situato in località Clarina, un quartiere posto a sud del centro di Trento, chiede l’annullamento in parte qua della deliberazione della Giunta provinciale e delle precedenti deliberazioni del Consiglio comunale di Trento, con le quali è stata approvata in via definitiva, e in precedenza adottata, la cosiddetta Variante 2004 al piano regolatore generale, la quale, per il terreno di sua proprietà, ha reiterato il vincolo di destinazione a “VP verde pubblico o di uso collettivo di quartiere”, disattendendo la richiesta di destinazione dello stesso ad area edificabile.

2. Il Collegio premette, in fatto, che l’area in questione, nell’anno 1998, era stata formalmente offerta in vendita al Comune dalla sig.ra Stenghele. Dopo il parere favorevole del Consiglio circoscrizionale espresso il 10.4.2000 circa l’acquisizione delle aree a sud del rio Salè per destinarle in parte a parco pubblico e, in parte, ad orti per anziani, la Giunta comunale disponeva una serie di approfondimenti sul miglior uso dell’area in questione, congiuntamente ad un altro terreno situato nei pressi, ma di altra proprietà.

Il 12 ottobre 2001 i competenti servizi hanno rilevato che “il vincolo espropriativo relativo all’area in questione è decaduto” e pertanto il Comune, con decisione della Giunta n. 31 dell’11.3.2002, ha preso atto dell’impossibilità di procedere all’esproprio, ma nel contempo anche della non fattibilità dell’acquisto della stessa area a trattativa privata per la carenza nel bilancio di stanziamenti sufficienti. La proprietà, con note del 30 aprile 2002 e del 28 marzo 2003 (documenti n. 10 e n. 13 in atti di parte ricorrente), ha contestato l’intervenuta decadenza del vincolo senza che l’Amministrazione avesse proceduto all’esproprio e contestualmente ha chiesto che l’area venisse classificata quale zona residenziale di completamento con gli stessi parametri delle p.f. adiacenti.

3. Con il primo motivo il ricorrente deduce che, per le particelle in questione, la Variante 2004 avrebbe previsto la reiterazione del vincolo di destinazione a verde pubblico in assenza sia di una puntuale motivazione sia della previsione del necessario indennizzo.

Il detto motivo non è fondato.

Va invero condivisa al riguardo la ricostruzione operata dalla difesa del Comune resistente che, riprendendo le argomentazioni contenute in recenti decisioni del Consiglio di Stato e, in particolare, quella della sez. IV, 25.5.2005, n. 2718 – ha qualificato la destinazione a verde pubblico dell’area del ricorrente come vincolo conformativo, come tale non soggetto a decadenza a differenza di quello preordinato all’esproprio.

La “destinazione di

impressa da un P.R.G. ad una zona costituisce espressione della potestà conformativa del pianificatore, avente validità a tempo indeterminato e non già un vincolo a contenuto espropriativo e, pertanto, non è soggetta alla decadenza dopo il decorso del termine”.

A questa conclusione si perviene avuto riguardo alla concreta disciplina che di tale destinazione danno le N.T.A. dello strumento urbanistico considerato, che, “ove sia consentita, anche ad iniziativa del proprietario, la realizzazione di opere e strutture intese all’effettivo godimento del verde, è da escludere, ex se, la configurabilità di uno svuotamento incisivo del contenuto del diritto di proprietà, permanendo comunque la utilizzabilità dell’area rispetto alla sua destinazione naturale” (cfr. T.A.R. Lombardia, Milano, sez. II 26.4.2006, n. 1055).

In questo senso si può richiamare anche un’altra decisione della sez. IV del Consiglio di Stato, la n. 5490 del 10.8.2004, secondo cui la destinazione di un’area “ al tempo libero e quindi all’utilizzo da parte della collettività”, nell’ambito della quale, secondo le previsioni delle norme tecniche di attuazione, si possono realizzare “attrezzature per lo svago, chioschi, bar, teatri all’aperto, impianti sportivi per allenamento e spettacolo, e simili, nonché di biblioteche e giochi per bambini”, e ove è dunque “consentita, anche ad iniziativa del proprietario, la realizzazione di opere e strutture intese all’effettivo godimento del verde”, egualmente “esclude, ex se, la configurabilità di uno svuotamento incisivo del contenuto del diritto di proprietà, permanendo comunque la utilizzabilità dell’area rispetto alla sua destinazione naturale”.

Per conseguenza, solo nel caso in cui la disciplina urbanistica escluda in modo assoluto che nelle zone destinate a siano possibili, anche parzialmente, iniziative da parte del privato proprietario dell’area, detto vincolo potrà essere qualificato come preordinato all’espropriazione o comunque tale da sottrarre sostanzialmente l’area medesima alla naturale vocazione edificatoria e, come tale, soggetto a decadenza (cfr. C.d.S., sez. IV, 24.2.2004, n. 745).

Nella fattispecie in esame, il terreno del ricorrente è stato gravato dal vincolo “VP verde pubblico o di uso collettivo di quartiere”, disciplinato dall’articolo 69 delle norme tecniche di attuazione. La norma citata prevede che “in tali aree è consentita soltanto la realizzazione dei manufatti necessari per la gestione, l’utilizzo e l’arredo dei parchi stessi, oltre alla realizzazione di impianti sportivi compatibili con la sistemazione a verde”. Infine, è stabilito che “qualora l’utilizzazione dell’area avvenga attraverso un’iniziativa privata, il rilascio della concessione è subordinato alla stipula di apposita convenzione”.

Si tratta all’evidenza di fattispecie identica a quella presa in considerazione nella decisione della sez. IV 1.10.2007, n. 5059, secondo cui la destinazione di un’area a parco urbano, ove sono possibili “destinazioni realizzabili anche attraverso l’iniziativa privata in regime di economia di mercato”, non determina quella totale sottrazione alla naturale vocazione edificatoria da parte del soggetto proprietario che caratterizza il vincolo espropriativo, ma all’affermazione della natura meramente conformativa dello stesso vincolo che non impone, ovviamente, alcuna previsione di indennizzo.

Con la citata decisione il Consiglio di Stato ha nuovamente precisato che “il vincolo, per essere qualificato sostanzialmente espropriativo, deve comportare l’azzeramento del contenuto economico del diritto di proprietà e che, di contro, la disciplina urbanistica che ammette la realizzazione di interventi edilizi da parte di privati, seppur conformati dal perseguimento del peculiare interesse pubblico che ha determinato il vincolo, non si risolve in una sostanziale espropriazione, ma solo in una limitazione, conforme ai principi che presiedono al corretto ed ordinario esercizio del potere pianificatorio, dell’attività edilizia realizzabile sul terreno”.

L’orientamento del Consiglio di Stato in merito alla natura del vincolo di o di non registra alcun contrasto in giurisprudenza, che concorda nel classificarlo tra i vincoli conformativi, come tali non soggetti a decadenza (cfr., ex multis, sez. IV, 6.6.2008, n. 2681; sez. IV, 12.5.2008, n. 2159; CGA, 24.10.2007, n. 1017; sez. IV, 31.1.2005, n. 259; 22.12.2002, n. 7037; sez. V, 6.10.2000, n. 5327).

In ragione di quanto sopra il dedotto motivo deve essere disatteso.

4. Con il secondo motivo si asserisce innanzitutto che il vincolo che grava sul fondo renderebbe di immediata evidenza l’irragionevole destinazione impressa rispetto all’edificazione ad esso confinante.

Anche tale motivo è infondato, alla luce della consolidata giurisprudenza alla cui stregua “le scelte discrezionali dell’Amministrazione riguardo alla destinazione di singole aree non necessitano di apposita motivazione, oltre quelle che si possono evincere dai criteri generali – di ordine tecnico – discrezionale – seguiti nella impostazione del piano, essendo sufficiente l’espresso riferimento alla relazione di accompagnamento al progetto di modificazione al piano regolatore generale” (cfr., da ultimo, C.d.S., sez. IV 3.11.2008, n. 5478).

Al riguardo il Collegio osserva che, nella relazione di accompagnamento della Variante 2004, si afferma che “è proprio il rapporto tra edificato e spazio naturale (per quanto antropizzato) a caratterizzare il volto della città, e l’esistenza di spazi aperti verdi è essenziale per la qualificazione del paesaggio urbano”. In coerenza con questo obiettivo si è provveduto “ad estendere verso la parte urbana edificata il parco del Salè che … oltre a riequilibrare con un vuoto la massiccia densità edilizia presente entro questa parte del territorio ha lo scopo di valorizzare un ambiente prezioso quale quello costituito dal corso del rio Salè”. In definitiva, la motivazione addotta non appare né illogica né insufficiente a dimostrare la trasparenza dell’esercizio della potestà urbanistica ma, all’opposto, si presenta sorretta da argomenti concretamente capaci di spiegare la persistenza dell’interesse pubblico a mantenere la destinazione VP sulle particelle di proprietà della ricorrente, inserite in una zona ove l’edificazione si presenta obiettivamente densa, e, per di più, concorrentemente idonea a perseguire l’ambizioso progetto della creazione del Parco del Salè.

5. L’altra parte del secondo motivo, ove si evidenzia che in altre zone del territorio comunale sarebbero state individuate nuove aree residenziali “di completamento” classificate in maniera omogenea rispetto alle aree confinanti, può essere esaminata congiuntamente al quinto motivo, ove si denuncia disparità di trattamento rispetto ad un nominato terreno situato a Povo, per il quale si assume che si troverebbe nelle medesime condizioni fisiche e giuridiche di quello di proprietà dell’istante.

Sotto questo diverso profilo va egualmente richiamato quell’orientamento della giurisprudenza in ordine alle scelte amministrative sottese all’esercizio del potere di pianificazione, le quali devono “obbedire solo al superiore criterio di razionalità nella definizione delle linee dell’assetto territoriale, nell’interesse pubblico alla sicurezza delle persone e dell’ambiente, e non anche ai criteri di proporzionalità distributiva degli oneri e dei vincoli, con la conseguenza che in relazione ad essa non può prospettarsi una disparità di trattamento” (cfr. C.d.S. sez. IV, 7.8.2008, n. 3358).

Quanto al concetto di utilizzato dalla ricorrente per definire la situazione in cui verserebbe la sua proprietà, assuntamente identica a quella della vicina preesistente edificazione, occorre sottolineare che tale definizione è stata utilizzata per individuare zone che presentano la stessa natura o che appartengono allo stesso genere. Ma è stato altresì chiarito che “la zona omogenea non è, in effetti, definibile aprioristicamente, essendo la conseguenza di valutazioni rimesse alle competenti Autorità amministrative le quali possono tenere adeguato conto anche delle trasformazioni del territorio che siano intervenute rispetto alla zonizzazione del precedente strumento urbanistico, ed individuare nuove zone ove siano presenti elementi di omogeneità, che devono essere riscontrati con riferimento alle dimensioni della nuova zona, e non della vecchia maglia” (cfr. C.d.S. sez. IV, 11.4.2007, n. 1615).

Nel caso in esame non sono, peraltro, ravvisabili per quanto già argomentato più sopra contrasti tra la zonizzazione imposta e l’impostazione tecnico – motivazionale dello strumento urbanistico, mentre non si evidenzia alcuna illogicità: è da escludere, pertanto, che la scelta compiuta sia viziata e che sia possibile dare ingresso alla dedotta censura di disparità di trattamento.

Con riferimento, in ogni caso, alla previsione della nuova zona C3 individuata a Povo, la relazione di accompagnamento della Variante puntualizza che per la stessa, che si trova in un sobborgo collinare, l’area riservata al verde pubblico rappresenta circa la metà della superficie territoriale – dal che resta comunque escluso ogni raffronto con l’area del deducente – e che non è stato possibile operare analogamente nella zona sottostante, “sempre destinata a verde pubblico lungo il medesimo rio, in considerazione della mancanza di aree idonee per dimensione, collocazione e conformazione, dove poter localizzare la nuova localizzazione”.

Nella zona sottostante, e dunque nel quartiere Clarina ove si trova il terreno de quo, si è invece voluto “riequilibrare con un la massiccia densità edilizia presente”.

La vicenda richiamata dal ricorrente non apporta in definitiva alcun ausilio al suesposto motivo, posto che i fondi sono in realtà accomunati dalla sola vicinanza con il rio Salè.

Quanto alla denunciata disparità di trattamento è sufficiente richiamare quella consolidata giurisprudenza, secondo la quale “il vizio di eccesso di potere per disparità di trattamento presuppone non l’analogia, ma la identità oggettiva delle situazioni di fatto e di diritto. Di conseguenza il motivo volto a censurare la disparità di trattamento è ammissibile solo nel caso di assoluta e indiscutibile identità di situazioni, sì da comportare la totale, manifesta illogicità e irrazionalità” dell’operato della Pubblica amministrazione (cfr., T.A.R. Lazio, Roma, sez. II, 1.2.2008, n. 895, ma anche T.R.G.A. Trento, 6.11.2001, n. 628 e 20.8.2008, n. 220).

6. Con il ricorso per motivi aggiunti l’istante ha presentato una serie di censure di ordine formale avverso la procedura di adozione e di approvazione della Variante impugnata che sono, tuttavia, del pari infondate.

Con il terzo motivo aggiunto la ricorrente, che ha denunciato un improprio scambio di corrispondenza tra l’Assessore all’urbanistica comunale e quello provinciale, deduce la violazione dell’art. 41 della legge urbanistica provinciale, in quanto il parere della Commissione urbanistica provinciale del 6 giugno non avrebbe potuto tener conto di quello reso dalla Conferenza dei servizi per la verifica preventiva del rischio idrogeologico espresso il successivo 5 luglio: ciò vizierebbe a suo dire in toto la procedura di approvazione della Variante impugnata.

Va, peraltro, per questo aspetto ricordato che la procedura di approvazione dei piani regolatori comunali, di cui all’art. 41 della legge provinciale n. 22 del 1991, è stata modificata dall’art. 3 della legge provinciale 15.12.2004, n. 10, quando era in corso il procedimento che ha interessato la Variante in esame, per cui a questa si applica la disposizione transitoria di cui al comma 43 del citato articolo 3, la quale disponeva che la novella legislativa non si applicasse ai piani, o alle loro varianti, già adottati alla data di entrata in vigore della legge. Su tale fondamento torna dunque nella specie invocabibile il previgente art. 41, il quale prescriveva, oltre ai termini per l’assunzione di ognuno degli atti citati, l’acquisizione del solo parere della Commissione urbanistica provinciale (o, in mancanza di esso, di quello del Servizio urbanistica e tutela del paesaggio con la collaborazione degli altri servizi interessati) quale esclusivo supporto preventivo alla deliberazione della Giunta provinciale.

Occorre poi rilevare che, con deliberazione della Giunta provinciale n. 1984 del 29.9.2006, è stata approvata la “Metodologia per l’aggiornamento della cartografia del rischio idrogeologico del Piano generale di utilizzazione delle acque pubbliche”, previsto dall’articolo 14 del Statuto d’autonomia e approvato con D.P.R. 15 febbraio 2006. Con tale deliberazione si è stabilito che “all’interno della procedura che prevede l’approvazione da parte della Giunta provinciale dei nuovi piani urbanistici o loro modifiche, sarà necessario operare una valutazione preventiva degli effetti che le nuove previsioni urbanistiche causano sulla cartografia del rischio”, e che tale valutazione preventiva sia di competenza dei servizi interessati (bacini montani, geologico, prevenzione rischi e dipartimento protezione civile e tutela del territorio), coordinati dal servizio per l’utilizzazione delle acque pubbliche all’interno di una conferenza di servizi.

Occorre dunque concludere che i due diversi pareri citati, espressi rispettivamente in data 6.6.2007 e 5.7.2007 e inviati dalla Provincia all’Amministrazione comunale di Trento per la formulazione delle controdeduzioni di competenza per l’ultima parte del complesso iter della Variante, sono previsti da due diverse fonti normative per l’esercizio di autonomi poteri e che in esse non è codificato alcunché circa il rapporto di presupposizione corrente e necessario fra i due atti in quanto inseriti all’interno di un più ampio contesto procedimentale.

Pertanto, la censura in esame è infondata in diritto sotto il profilo della dedotta violazione di legge, ma lo è anche in rito sul piano dell’interesse a ricorrere, posto che nulla è stato rappresentato circa la concreta utilità che sarebbe derivata alla situazione giuridica vantata dal ricorrente nel caso il parere della Commissione urbanistica provinciale fosse intervenuto successivamente a quello della Conferenza dei servizi per la valutazione preventiva del rischio idrogeologico: la destinazione impressa al terreno di proprietà del ricorrente è rimasta, infatti, la medesima.

7. Con il quarto motivo il ricorrente denuncia violazione di legge con riferimento all’art. 63 della legge urbanistica provinciale, asserendo che la Giunta provinciale avrebbe dovuto sospendere il procedimento della Variante 2004, posto che era in corso la procedura per l’approvazione del nuovo Piano urbanistico provinciale.

Il motivo non ha alcun pregio giuridico.

L’invocato art. 63 non trova, invero, applicazione nel caso prospettato, dato che disciplina l’istituto della salvaguardia del piano o della sua variante in itinere, ossia la sospensione del rilascio dei titoli abilitativi di interventi edilizi, di competenza comunale o provinciale, che appaiano in contrasto con le previsioni delle nuove disposizioni di pianificazione.

La difesa del ricorrente richiama, peraltro, il disposto dell’art. 41 della stessa legge provinciale, ove è previsto che in sede di approvazione da parte della Giunta provinciale “possono essere apportate al piano, anche su parere della CUP o del servizio urbanistica e tutela del paesaggio, le modifiche che non comportino sostanziali innovazioni, tali cioè da mutare le caratteristiche essenziali del piano stesso ed i criteri di impostazione, nonché quelle che siano riconosciute indispensabili per assicurare … il rispetto delle previsioni del piano urbanistico provinciale”.

In proposito occorre rilevare che, nella deliberazione provinciale n. 200 di approvazione della Variante, dopo l’elencazione dei rapporti e delle comunicazioni intercorse tra le due Amministrazioni, è stato dato atto che “l’Amministrazione comunale ha condiviso i rilievi formulati … relativamente all’adeguamento della Variante 2004 agli strumenti di pianificazione provinciale sovraordinati e alla disciplina del pericolo e del rischio idrogeologico” e che sono stati risolti i “principali motivi di incoerenza tra i due strumenti di pianificazione evidenziati dalla C.U.P. assicurando la coerenza complessiva del P.R.G. ai contenuti fondamentali del nuovo Piano urbanistico provinciale, come richiesto dalle disposizioni in materia di salvaguardia contenute nelle deliberazioni della Giunta provinciale di prima, seconda e definitiva adozione del progetto di nuovo P.U.P.”. In conclusione la pretesa del ricorrente non trova alcun supporto normativo e appare anche contraria al principio di economicità dell’azione amministrativa perché comporterebbe un ingiustificato ritardo nell’iter di approvazione dello strumento urbanistico.

8. Infine, va disattesa, per le ragioni già svolte nella motivazione che precede, la dedotta censura di illegittimità derivata e il ricorso deve essere conseguentemente respinto.

Le spese del giudizio sono poste a carico della parte soccombente e sono quantificate in dispositivo.

P.Q.M.

il Tribunale Regionale di Giustizia Amministrativa del Trentino – Alto Adige, sede di Trento, definitivamente pronunciando sul ricorso n. 52 del 2007, lo respinge.

Condanna il ricorrente al pagamento delle spese del giudizio che liquida in complessivi € 4.000 (quattromila).

Così deciso in Trento, nella camera di consiglio del 20 novembre 2008, con l’intervento dei Magistrati:

dott. Francesco Mariuzzo – Presidente

dott. Lorenzo Stevanato – Consigliere

dott.ssa Alma Chiettini – Consigliere estensore

Pubblicata nei modi di legge, mediante deposito in Segreteria, il giorno 8 gennaio 2009

Il Segretario Generale

dott. Giovanni Tanel
N. 2/2009 Reg. Sent.

N. 52/2007 Reg. Ric.

Fonte: www.giustizia-amministrativa.it

Tribunale Regionale di Giustizia Amministrativo del Trentino-Alto Adige – sede di Trento

Dispositivo,

reso ai sensi dell’art. 23 bis, commi I e VI, della legge 1034/71, come introdotto con l’art. 4, comma 1, della legge 205/2000,

della sentenza pronunciata sul ricorso n. 143 del 2008 proposto da:

CONSORZIO STABILE BUSI, in persona del legale rappresentante pro tempore, con gli avv.ti Alessandro Cinti e Gianfranco de Bertolini

CONTRO

PROVINCIA AUTONOMA DI TRENTO, in persona del Presidente pro tempore, con gli avv.ti Daria de Pretis, Nicolò Pedrazzoli e Monica Manica;

e nei confronti

COLLINI S.P.A., in persona del legale rappresentante pro tempore, con gli avv.ti Sergio Colombo e Mario Maccaferri;

EDILTIONE S.P.A., in persona del legale rappresentante pro tempore, non costituita in giudizio;

GARBARI S.P.A., in persona del legale rappresentante pro tempore, non costituita in giudizio;

P.Q.M.

il Tribunale Regionale di Giustizia Amministrativa del Trentino – Alto Adige, sede di Trento, definitivamente pronunciando sul ricorso n. 143/2008, lo respinge.

Spese del giudizio compensate.

Così deciso in Trento, nella camera di consiglio del 29 gennaio 2009, con l’intervento dei Magistrati:

dott. Francesco Mariuzzo Presidente

dott. Lorenzo Stevanato Consigliere relatore

dott. Fiorenzo Tomaselli Consigliere

Pubblicato nei modi di legge, mediante deposito in Segreteria, il giorno 30 gennaio 2009

Il Segretario Generale

dott. Giovanni Tanel
N. 1/2009 Reg. Disp.

N. 143/2008 Reg. Ric.

Fonte: www.giustizia-amministrativa.it

Tribunale Regionale di Giustizia Amministrativa Sezione Autonoma per la Provincia di Bolzano N. 158/2009

costituito dai magistrati:

Margit FALK EBNER – Presidente

Hugo DEMATTIO – Consigliere

Luigi MOSNA – Consigliere, relatore

Marina ROSSI DORDI – Consigliere

ha pronunziato la seguente

S E N T E N Z A

sul ricorso iscritto al n. 120 del registro ricorsi 2008

presentato da

KAJA Krenar, rappresentato e difeso dall’avv. Amanda Cheneri, con domicilio eletto presso lo studio della medesima in Bolzano, via Carducci n. 13, giusta delega a margine del ricorso, – ricorrente –

c o n t r o

MINISTERO DELL’INTERNO – Questura di Bolzano, in persona del Ministro pro tempore, rappresentato e difeso ex lege dall’Avvocatura Distrettuale dello Stato di Trento, in Largo Porta Nuova n. 9, presso la quale, pure per legge, è domiciliato, – resistente –

per l’annullamento

del decreto di rigetto del Questore della Provincia di Bolzano n. 10/2008 A 12/Imm. dd. 7.3.08 notificato in data 13.3.08 e di ogni atto presupposto antecedente e successivo.

Visto il ricorso notificato il 21.4.2008 e depositato in segreteria il 24.4.2008 con i relativi allegati;

Visto l’atto di costituzione in giudizio del Ministero dell’Interno – Questura di Bolzano dd. 23.4.2008;

Vista l’ordinanza n. 98 dd. 13.5.2008 di questo Tribunale con la quale è stata cautelarmente sospesa l’esecuzione del provvedimento impugnato;

Vista la memoria prodotta;

Visti gli atti tutti della causa;

Designato relatore per la pubblica udienza dell’1.4.2009 il consigliere Luigi Mosna ed ivi sentito l’avv. dello Stato G. Denicolò per il Ministero dell’Interno – Questura di Bolzano;

Ritenuto e considerato in fatto e in diritto quanto segue:

F A T T O

Il ricorrente, cittadino albanese nato il 14 agosto 1988, è entrato clandestinamente in Italia nel 2003 e, a far tempo dal 30 maggio 2006, ha ottenuto un permesso di soggiorno “per minore età”, ai sensi dell’art. 28 del D.P.R. 31 agosto 1999, n. 394, valido sino al 14 agosto 2006. Raggiunta la maggiore età ha presentato, in data 14 agosto 2006, domanda di rinnovo del permesso di soggiorno.

Con l’impugnato decreto del 7 marzo 2008 il Questore della Provincia di Bolzano ha rigettato l’istanza di rinnovo del permesso di soggiorno.

A fondamento del gravame proposto il ricorrente ha dedotto il seguente articolato motivo: ”Violazione artt. 31, 32 e 5, commi V e IX D.L. 286/98 – Eccesso di potere per carenza di istruttoria e carenza di motivazione – travisamento fatto supposto”.

Si è costituita in giudizio l’Amministrazione intimata con atto del 23 aprile 2008, riservandosi di dedurre e concludere in prosieguo. Con successiva memoria, depositata il 10 maggio 2008, l’Amministrazione ha esposto le proprie controdeduzioni e ha chiesto il rigetto del ricorso, siccome infondato.

Con ordinanza n. 98/08, depositata il 14 maggio 2008, il Tribunale ha accolto l’istanza cautelare presentata dal ricorrente in via incidentale.

Alla pubblica udienza del giorno 1 aprile 2009 il ricorso è stato trattenuto in decisione.

D I R I T T O

L’impugnato provvedimento di diniego del rilascio del permesso di soggiorno al ricorrente è così motivato: “…letto l’art. 32, commi 1 e 1bis del D. Lvo 286/98, così come modificato dalla Legge 189/2002, il quale dispone che, al compimento della maggiore età, allo straniero che ha fruito delle garanzie a favore del minore, può essere rilasciato un permesso di soggiorno per motivi di studio, di accesso al lavoro, di lavoro subordinato o autonomo, per esigenze sanitarie o di cura, a condizione che siano stati ammessi per un periodo non inferiore a due anni in un progetto di integrazione sociale e civile gestito da un ente pubblico o privato che abbia rappresentanza nazionale e che comunque sia iscritto nel registro istituito presso la Presidenza del Consiglio dei ministri ai sensi dell’articolo 52 del decreto del Presidente della Repubblica 31 agosto 1999, n. 394; Letti gli atti d’ufficio dai quali risulta che l’interessato ha fatto ingresso in Italia in data 01 settembre 2006, non è mai stato ammesso in alcuno dei progetti stabiliti dalla norma sopra richiamata; Letto l’art. 5 comma 5 del D. Lvo 286/98, così come modificato dalla Legge 189/2002, il quale dispone che il permesso di soggiorno o il suo rinnovo sono rifiutati e, se il permesso di soggiorno è stato rilasciato, esso è revocato quando mancano o vengono a mancare i requisiti richiesti per l’ingresso e il soggiorno nel territorio dello Stato;”—omissis—“ Ritenuta (che) quindi l’attuale posizione documentata dal richiedente non soddisfa le condizioni stabilite dalla normativa vigente per il rilascio del permesso di soggiorno per lavoro, per attesa occupazione o a qualsiasi titolo, perché il cittadino straniero è stato ammesso ad un progetto di integrazione sociale per un tempo inferiore ai due anni previsti dalla normativa vigente” …omissis.

Il ricorrente deduce l’illegittimità del provvedimento di diniego, affermando che la Questura avrebbe dovuto considerarlo, ai sensi dell’art. 32, comma 1, del D. Lgs. n. 286 del 1998, come minore “accompagnato”, essendo stato affidato, subito dopo il suo ingresso in Italia, ad un parente entro il quarto grado (allo zio Masha Festim). Detta circostanza risulterebbe, inequivocabilmente, dal “verbale di affidamento del minore” dell’Ufficio Minori della Questura di Bolzano del 12 aprile 2006.

In ogni caso, nel provvedimento censurato la Questura non farebbe menzione di tale circostanza, come pure di altri fatti, e precisamente che il ricorrente, presente in Italia da oltre cinque anni, lavora con contratto a tempo indeterminato, ha sempre lavorato con condotta regolare e con “perfetta integrazione sociale”.

Le doglianze hanno pregio.

L’art. 32 del D. Lgs. 25 luglio 1998, n. 286 e s. m. così recita: “1. Al compimento della maggiore età, allo straniero nei cui confronti sono state applicate le disposizioni di cui all’articolo 31, commi 1 e 2, e ai minori comunque affidati ai sensi dell’articolo 2 della legge 4 maggio 1983, n. 184, può essere rilasciato un permesso di soggiorno per motivi di studio di accesso al lavoro, di lavoro subordinato o autonomo, per esigenze sanitarie o di cura. Il permesso di soggiorno per accesso al lavoro prescinde dal possesso dei requisiti di cui all’articolo 23.

1-bis. Il permesso di soggiorno di cui al comma 1 può essere rilasciato per motivi di studio, di accesso al lavoro ovvero di lavoro subordinato o autonomo, al compimento della maggiore età, sempreché non sia intervenuta una decisione del Comitato per i minori stranieri di cui all’articolo 33, ai minori stranieri non accompagnati che siano stati ammessi per un periodo non inferiore a due anni in un progetto di integrazione sociale e civile gestito da un ente pubblico o privato che abbia rappresentanza nazionale e che comunque sia iscritto nel registro istituito presso la Presidenza del Consiglio dei Ministri ai sensi dell’articolo 52 del decreto del Presidente della Repubblica 31 agosto 1999, n. 394.

1-ter. L’ente gestore dei progetti deve garantire e provare con idonea documentazione, al momento del compimento della maggiore età del minore straniero di cui al comma 1-bis, che l’interessato si trova sul territorio nazionale da non meno di tre anni, che ha seguito il progetto per non meno di due anni, ha la disponibilità di un alloggio e frequenta corsi di studio ovvero svolge attività lavorativa retribuita nelle forme e con le modalità previste dalla legge italiana, ovvero è in possesso di contratto di lavoro anche se non ancora iniziato….”.

Dunque la norma citata prevede, al raggiungimento della maggiore età, la possibilità di convertire il permesso di soggiorno in permesso per motivi di studio, di accesso al lavoro, di lavoro subordinato o autonomo, per esigenze sanitarie o di cura sia alla categoria dei minori “accompagnati”, sia a quella dei minori “non accompagnati”, a determinate condizioni.

La prima categoria di minori, ai sensi del citato art. 32, comma 1, include:

* i minori conviventi con i genitori o con la persona cui sono stati affidati in via amministrativa o giudiziaria (ai sensi dell’art. 31, commi 1 e 2 del D. Lgs. n. 286 del 1998 e dell’art. 4 della legge 4 maggio 1983, n. 184);
* i minori “comunque affidati” ai sensi dell’art. 2 della legge 4 maggio 1983, n. 184.

La seconda categoria di minori, ai sensi del citato art. 32, commi 1bis e 1ter, include:

* i minori “non accompagnati”, che non siano stati destinatari di un provvedimento di rimpatrio da parte del Comitato per i minori stranieri e che siano entrati in Italia prima del compimento dei 15 anni, che abbiano seguito, per almeno due anni, un progetto di integrazione sociale e civile, che abbiano la disponibilità di un alloggio e che frequentino corsi di studio o svolgano attività di lavoro retribuita o siano in possesso di un contratto di lavoro, anche se non ancora iniziato.

Orbene, nel caso specifico, l’Amministrazione ha evidentemente ritenuto che l’affidamento del minore allo zio, avvenuto con verbale dell’Ufficio Minori della Questura, non integrasse una delle fattispecie di affidamento contemplate dal comma 1 dell’art. 32 del D. Lgs. n. 286 del 1998 e che il ricorrente non avesse i requisiti previsti dai commi 1bis e 1ter dello stesso art. 32 per la conversione del permesso di soggiorno dei minori “non accompagnati”.

Osserva il Collegio che la Corte costituzionale, nella sentenza 5 giugno 2003, n. 198, ha affermato che il permesso di soggiorno, di cui al citato art. 32, comma 1, deve ritenersi riferibile ed applicabile anche ai minori sottoposti a tutela ai sensi del Titolo X del Libro primo del codice civile. Inoltre, la stessa Corte, per quanto di interesse, ha chiarito che la medesima disposizione, là dove prevede la possibilità di rilasciare il permesso di soggiorno agli stranieri che compiano la maggiore età e che siano in condizione di affidamento ai sensi dell’art. 31, commi 1 e 2 e ai minori comunque affidati ai sensi dell’articolo 2 della legge 4 maggio 1983, n. 184, (art. 32, comma 1, del D. Lgs. n. 286 del 1998) “viene pacificamente interpretata, secondo quanto riconosce anche l’organo remittente, come relativa ad ogni tipo di affidamento previsto dalla legge 4 maggio 1983, n. 184 e cioè sia all’affidamento ‘amministrativo’ di cui al primo comma dell’art. 4, che all’affidamento ‘giudiziario’ di cui al secondo comma dello stesso articolo 4, sia anche all’affidamento di fatto di cui all’art. 9 della medesima legge”.

L’ordinanza di remissione alla Corte aveva sottolineato che l’art. 32, comma 1, del D. Lgs. n. 286 del 1998 contiene una locuzione – quella “e ai minori comunque affidati ai sensi dell’art. 2 della legge 4 maggio 1983, n. 184” – la quale, sul piano letterale, rivela un grado di pregnanza e di specificità tutt’altro che descrittivo ed atecnico, quanto invece inequivocabilmente e tecnicamente identificativo di un determinato istituto giuridico – l’affidamento familiare ai minori – così come disciplinato dalla norma positiva che l’ha introdotto nel nostro ordinamento giuridico (cioè l’art. 2 della legge 4 maggio 1983, n. 184 – cfr. T.A.R. Emilia, Bologna, ordinanza 23 luglio 2002, n. 50/02).

Sempre secondo l’organo remittente, l’avverbio “comunque”, contenuto nel citato art. 32, è strettamente riferito, per adiacenza, all’aggettivo “affidati”, con il corollario che l’interpretazione logica da esso deducibile è quella per cui il legislatore, al di là del mero richiamo letterale al (solo) art. 2 della citata legge n. 184 del 1983, abbia inteso riferirsi a tutti i tipi di affidamento contemplati da quella legge, e cioè:

a) l’affidamento “amministrativo”, disposto dal servizio sociale locale, previo consenso manifestato dai genitori o dal genitore esercente la potestà, ovvero dal tutore, sentito il minore che ha compiuto gli anni dodici (art. 4, comma 1);

b) l’affidamento “giudiziario”, disposto dal Tribunale per i minorenni ove manchi l’assenso dei genitori esercenti la potestà o del tutore (art. 4, comma 2);

c) l’affidamento “di fatto” ad un parente entro il quarto grado (art. 9, comma 4).

Dunque il giudice remittente individua nell’art. 9 della legge n. 184 del 1983 la base normativa per il riconoscimento del cd. affidamento di fatto, al quale la Corte costituzionale, nel ricostruire l’istituto, si riporta integralmente.

L’art. 9, comma 4, della legge n. 184 del 1983, nel disciplinare le situazioni di abbandono dei minori, impone a chiunque accolga stabilmente nella propria abitazione, per un periodo superiore a sei mesi, un minore del quale non sia parente entro il quarto grado, l’obbligo di segnalare il fatto alla Procura della Repubblica presso il Tribunale per i minorenni.

Secondo la più recente giurisprudenza, anche di questo Tribunale (sent. n. 28/2009 del 14-19 gennaio 2009) condivisa dal Collegio, argomentando a contrario, deve considerarsi implicitamente ammessa la convivenza stabile di un minore con uno o più parenti entro il quarto grado, in ciò risolvendosi il cd. affidamento di fatto (cfr. T.A.R. Lombardia, Brescia, 1° dicembre 2004, n. 1741; T.A.R. Lombardia, Milano, Sez. III, ordinanza 27 marzo 2008, n. 490; Sez. III, 27 maggio 2008, n. 1847; Consiglio di Stato, Sez. VI, 18 dicembre 2007, n. 6525 e TRGA Bolzano 4 novembre 2008, n. 360).

Dunque, ad avviso del Collegio, ai fini dell’applicazione dell’art. 32, comma 1, del D. Lgs. n. 286 del 1998, la convivenza stabile di un minore straniero con un parente entro il quarto grado può essere in ogni caso ragionevolmente equiparata a quella di un minore affidato ai sensi dell’art. 4 della legge n. 184 del 1983, anche in assenza di apertura del procedimento di tutela (auspicabile nel superiore interesse del minore, anche in caso di affidamento di fatto ad un parente entro il quarto grado).

Va aggiunto che il precitato “verbale di affidamento del minore” dell’Ufficio Minori della Questura del 12 aprile 2006 è stato sottoscritto dallo zio affidatario e dall’assistente verbalizzante e che detto verbale ha natura di atto pubblico.

Lo stesso, unitamente alla mancata adozione di ulteriori atti da parte delle autorità preposte, ha indubbiamente ingenerato nel ricorrente e nello zio un affidamento qualificato nella regolarità della procedura di affidamento seguita e nella futura conversione del permesso di soggiorno, al raggiungimento della maggiore età.

In conclusione, ai fini del rilascio del permesso di soggiorno al ricorrente, la Questura avrebbe dovuto ricondurre la posizione del ricorrente al c.d. affidamento di fatto, ai sensi dell’art. 9 della legge n. 184 del 1983 e, quindi, applicare l’art. 32, comma 1, del D. Lgs. n. 286 del 1998.

Per le ragioni espresse il ricorso è fondato e merita accoglimento; di conseguenza, il decreto impugnato va annullato.

Sussistono giusti motivi per disporre la compensazione delle spese di giudizio, tenuto conto del tenore letterale della disposizione controversa.

Il contributo unificato va posto a carico dell’Amministrazione soccombente, come per legge.

P.Q.M.

Il Tribunale Regionale di Giustizia Amministrativa – Sezione Autonoma di Bolzano – disattesa ogni contraria istanza ed eccezione, definitivamente pronunciando, accoglie il ricorso e, per l’effetto, annulla l’atto impugnato.

Spese compensate.

Il contributo unificato va posto a carico dell’Amministrazione resistente.

Ordina che la presente sentenza venga eseguita dall’Autorità amministrativa.

Così deciso in Bolzano, nella camera di consiglio dell’1.4.2009.

LA PRESIDENTE L’ESTENSORE

Margit FALK EBNER Luigi MOSNA

/br

N. R.G. 120/2008

Fonte: www.giustizia-amministrativa.it

Tribunale Regionale di Giustizia Amministrativa Sezione Autonoma per la Provincia di Bolzano N. 82/2009

costituito dai magistrati:

Marina ROSSI DORDI – Presidente

Anton WIDMAIR – Consigliere

Hans ZELGER – Consigliere

Lorenza PANTOZZI LERJEFORS – Consigliere relatore

ha pronunziato la seguente

S E N T E N Z A

sul ricorso iscritto al n. 207 del registro ricorsi 2008

presentato da

ZH – General Construction Company S.p.a., in persona del legale rappresentante, Werner Zimmerhofer, in proprio e quale capogruppo -mandataria della costituenda ATI con la Gaetano Paolin S.p.a., e da Gaetano Paolin S.p.a, in persona del legale rappresentante, Paolo Paolin, in proprio e quale mandante della costituenda ATI con ZH – General Construction Company S.p.a., entrambe rappresentate e difese dall’avv. Gernot Rössler, con domicilio eletto presso lo studio del medesimo, in Bolzano, via Cassa di Risparmio n. 6, giusta mandato speciale a margine del ricorso; – ricorrenti –

c o n t r o

PROVINCIA AUTONOMA DI BOLZANO, in persona del Presidente pro tempore, che sta in giudizio in forza della deliberazione della Giunta provinciale n. 4691 dd. 20.12.2004, rappresentata e difesa dagli avv.ti Maria Larcher, Alexandra Roilo e Patrizia Pignatta, con elezione di domicilio presso l’Avvocatura della Provincia, in Bolzano, via Crispi n. 3, giusta delega a margine dell’atto di costituzione; – resistente –

e nei confronti di

C.L.E. – Cooperativa Lavoratori Edili Società Cooperativa, in persona del legale rappresentante pro tempore, in proprio e quale impresa capogruppo/mandataria della costituenda ATI con la Unionbau S.r.l, e di Unionbau S.r.l., in persona del legale rappresentante pro tempore, in proprio e quale impresa mandante della costituenda ATI con la C.L.E. – Cooperativa Lavoratori Edili Società Cooperativa, entrambe rappresentate e difese dagli avv.ti Alessandro Fabbrini e Arturo Knering, con elezione di domicilio presso lo studio dei medesimi, in Bolzano, via Carducci n. 13, giusta delega a margine dell’atto di costituzione; – controinteressate –

per l’annullamento,

previa emanazione di misure cautelari, dell’esclusione dell’ATI Zimmerhofer S.p.a. – Gaetano Paolin S.p.a. dalla gara per l’appalto di lavori per la sistemazione del liceo classico “Beda Weber” a Merano, in via Otto Huber, codice c.i.g. 004244203F, disposta con “Verbale integrativo al verbale racc. n. 197 dd. 11.12.2007 della procedura aperta”, racc. n. 97 del 10.6.2008, e comunicata con fax prot. n. 115/21.02/318834 dd. 11.6.2008, con conseguente annullamento dell’intervenuta aggiudicazione dell’appalto all’ATI C.L.E. – Unionbau S.r.l., disposta anch’essa con “Verbale integrativo al verbale racc. n. 197 dd. 11.12.2007 della procedura aperta”, racc. n. 97 del 10.6.2008 e comunicata con fax prot. n. 115/21.02/318834 dd. 11.6.2008 e di tutti gli atti presupposti e conseguenti, tra cui le comunicazioni prot. n. 11.5./21.02/338609 dd. 19.6.2008 e prot. n. 349394 del Direttore dell’Ufficio Appalti della Provincia autonoma di Bolzano, anche se non conosciuti.

Visti i decreti presidenziali ante causam n. 11/2008, depositato il 14.6.2008, e n. 12/2008, depositato il 7.7.2008;

Visto il ricorso notificato il l’11.7.2008 e depositato in segreteria l’11.7.2008 con i relativi allegati;

Visti gli atti di costituzione in giudizio della Provincia autonoma di Bolzano, depositato il 18.7.2008 e delle società C.L.E. – Cooperativa Lavoratori Edili Società Cooperativa e Unionbau S.r.l., depositato il 21.7.2008;

Vista l’ordinanza di questo Tribunale n. 147/2008, depositata il 23.7.2008, con la quale è stata respinta la domanda di sospensione dell’esecuzione dei provvedimenti impugnati, presentata in via incidentale dalle ricorrenti;

Viste le memorie prodotte;

Visti gli atti tutti della causa;

Designato relatore per la pubblica udienza dell’11.2.2009 il consigliere Lorenza Pantozzi Lerjefors ed ivi sentito l’avv. G. Rössler, per le ricorrenti, l’avv. M. Larcher, per la Provincia autonoma di Bolzano e l’avv. A. Knering, per la C.L.E. – Cooperativa Lavoratori Edili Società Cooperativa e per la Unionbau S.r.l.;

Ritenuto e considerato in fatto e in diritto quanto segue:

F A T T O

La società Zimmerhofer S.p.a. partecipava, quale capogruppo della costituenda associazione temporanea di imprese con la Gaetano Paolin S.p.a, alla procedura aperta indetta dalla Provincia autonoma di Bolzano per l’appalto dei lavori di sistemazione del liceo classico “Beda Weber” di Merano, con importo a base di gara di Euro 7.475.345,80, da aggiudicarsi in base al criterio dell’offerta economicamente più vantaggiosa.

In data 30 ottobre 2007 la Commissione di gara dava atto che, entro il termine stabilito nell’avviso di gara, erano pervenute otto offerte. La Commissione procedeva, quindi, all’apertura della busta “A”, contenente la documentazione amministrativa e ammetteva alla procedura sette delle otto ditte partecipanti. La gara veniva quindi sospesa per consentire l’effettuazione della verifica, da parte della apposita Commissione, della documentazione tecnica contenuta nella busta chiusa “B”.

In data 11 dicembre 2007 la Commissione di gara, fatte proprie le determinazioni contenute nei verbali redatti dalla Commissione tecnica, escludeva un’altra ditta dalla gara. Procedeva, quindi, all’apertura della busta “C”, contenente le offerte economiche e, tenuto conto del prezzo offerto e della valutazione tecnica, formava la seguente lista delle offerte rimaste in gara:

1. Plattner Bau AG, capogruppo di ATI con Bettiol S.r.l: punti 90,87;

2. Zimmerhofer S.p.a, capogruppo di ATI con Gaetano Paolin S.p.a: punti 90,72;

3. Caser & Figli S.r.l, capogruppo di ATI con Linel S.r.l. e Moriggl S.r.l: punti 88,38;

4. C.L.E. capogruppo di ATI con Unionbau S.r.l: punti: 86,92;

5. Mederle S.r.l, capogruppo di ATI con Gianni Benvenuto S.p.a. e Diesse Electra S.p.a: punti 83,98;

6. Domus AG: punti 79,17.

Quindi la Commissione, dopo aver verificato la regolarità dei conteggi dell’offerta economicamente più vantaggiosa, aggiudicava l’appalto alla ditta Plattner Bau AG, capogruppo di ATI con Bettiol S.r.l.

La seconda classificata Zimmerhofer S.p.a, capogruppo di ATI con Gaetano Paolin S.p.a, impugnava l’aggiudicazione innanzi a questo Tribunale (R.G. n. 371/07), rilevando che la polizza fideiussoria allegata all’offerta dell’aggiudicataria era priva di qualsiasi indicazione non solo circa l’impresa Bettiol S.r.l, futura mandante della costituenda ATI, ma anche circa la natura collettiva della partecipazione alla gara (trattandosi di costituenda ATI), in violazione delle disposizioni del Capitolato condizioni.

Questo Tribunale, con sentenza n. 178/2008, depositata il 16 maggio 2008, dichiarava inammissibile il ricorso incidentale proposto dalle ditte Plattner Bau AG e Bettiol S.r.l., in quanto depositato tardivamente, e accoglieva il ricorso principale, annullando l’aggiudicazione dell’appalto all’ATI Plattner Bau AG.

Per completezza, va detto che le ditte Plattner Bau AG e Bettiol S.r.l. hanno impugnato detta sentenza innanzi al Consiglio di Stato, chiedendone la sospensione dell’efficacia, in via cautelare e che il Consiglio di Stato, Sez. V, ha respinto l’istanza nella Camera di consiglio del 26 agosto 2008 con ordinanza n. 4599/2008.

A seguito della sentenza n. 178/2008 di questo Tribunale, la Commissione riprendeva la gara in data 10 giugno 2008 e, dopo aver esaminato nuovamente tutte le polizze fideiusssorie delle partecipanti e verificato che anche le cauzioni provvisorie delle ditte risultanti seconda e terza non corrispondevano a quanto richiesto dal punto 3 del Capitolato condizioni, decideva di escludere anche le ditte Zimmerhofer AG, capogruppo di ATI con Gaetano Paolin S.p.a, e Caser & Figli S.r.l., capogruppo di ATI con Linel S.r.l. e Moriggl S.r.l.

Quindi, dopo aver verificato la corrispondenza al Capitolato condizioni della cauzione provvisoria presentata dall’impresa risultata quarta, la Commissione aggiudicava l’appalto alla C.L.E. – Cooperativa lavoratori edili, Società cooperativa, capogruppo di ATI con Union S.r.l.

L’odierna ricorrente ZH – General Construction Company S.p.a. (subentrata nella posizione della Zimmerhofer S.p.a.), preso atto dell’aggiudicazione, presentava al Presidente di questo Tribunale un’istanza cautelare ante causam, chiedendo la sospensione dell’aggiudicazione e l’inibizione della stipulazione del contratto.

La sospensione richiesta veniva disposta con decreto presidenziale n. 11/2008, depositato il 14 giugno 2008. Con successivo decreto presidenziale n. 12/2008, depositato il 7 luglio 2008, la durata della sospensione cautelare veniva temporalmente limitata al 22 luglio 2008, data della camera di consiglio fissata per la trattazione dell’istanza cautelare.

A fondamento del gravame proposto avverso gli atti impugnati in epigrafe indicati le ricorrenti hanno dedotto i seguenti motivi:

1. “In via preliminare: Illegittimità dell’esclusione dell’ATI in virtù di un presunto vizio già oggetto di eccezione da parte dell’amministrazione nel procedimento 371/07 avanti questo TRGA, conclusosi con sentenza 178/2008, la quale ha (tacitamente) rigettato tale eccezione, accogliendo il ricorso. Acquiescenza dell’amministrazione rispetto alla sentenza 178/2008, per mancata impugnazione autonoma o incidentale nei termini previsti, con passaggio in giudicato del relativo punto della sentenza de qua”;
2. “Sempre in via preliminare: Illegittimità dell’esclusione dell’ATI Zimmerhofer S.p.A. – Gaetano Paolin S.p.A. in via di autotutela per violazione della lex specialis (capo III, a pag. 7 del capitolato condizioni – “Modalità relative all’espletamento della gara ed all’aggiudicazione”). Conseguente illegittimità della regressione del procedimento. Eccesso di potere per consumazione/esaurimento del potere relativo alla verifica della documentazione amministrativa”;
3. “In via principale: Illegittimità dell’esclusione in via di autotutela dell’ATI Zimmerhofer S.p.A. – Gaetano Paolin S.p.A per mancanza dei presupposti. Eccesso di potere per motivazione carente, errata, incongruente e contraddittoria. Corrispondenza della cauzione dell’ATI Zimmerhofer alla lex specialis di gara e alla normativa in materia, e conseguente violazione ed errata applicazione del capitolato condizioni da parte della commissione di gara nella parte in cui esso statuisce che ‘In caso di riunione di imprese, la predetta cauzione deve essere prestata dall’impresa capogruppo in nome e per conto di tutte le mandanti’ (capo I n. 3); violazione ed errata applicazione da parte della commissione di gara dell’art. 43 del Decreto del Presidente della Provincia 5.7.2001 (“Regolamento per l’appalto e l’esecuzione di lavori pubblici”), corrispondente all’art. 108 del D.P.R. 121.12.1999 n. 554. Eccesso di potere per violazione del principio del favor partecipationis e del principio della tassatività delle cause di esclusione in mancanza di una diminuzione della garanzia per la committente. Eccesso di potere per disparità di trattamento rispetto all’aggiudicataria. Illegittimità dell’esclusione in via di autotutela in mancanza di un interesse pubblico concreto e attuale – difetto di motivazione sul punto de quo”.

Si sono costituiti in giudizio la Provincia autonoma di Bolzano e le ditte C.L.E. – Cooperativa Lavori Edili Società cooperativa, in proprio e quale capogruppo mandataria della costituenda ATI con la Unionbau S.r.l. e la Unionbau S.r.l. e hanno chiesto il rigetto del ricorso, siccome infondato.

Con ordinanza n. 147/2008, depositata il 23 luglio 2008 il Tribunale ha rigettato l’istanza cautelare, per mancanza del necessario fumus boni iuris, rilevando che “la fideiussione bancaria è stata prestata, su incarico dell’ATI ricorrente, ‘in nome e per conto dell’Associazione Temporanea di Imprese Zimmerhofer AG e Gaetano Paolin S.p.a’, e non anche in nome e per conto delle imprese mandanti, come richiesto dal Capitolato condizioni”.

Le ricorrenti hanno proposto appello avverso la citata ordinanza al Consiglio di Stato, che lo ha respinto con ordinanza della Sezione V n. 4601/2008, pronunciata nella camera di consiglio del 26 agosto 2008.

Nei termini di rito i procuratori delle ricorrenti e delle controinteressate hanno prodotto memorie a sostegno delle rispettive difese.

All’udienza pubblica dell’11 febbraio 2009, sentite le parti, il ricorso è stato trattenuto in decisione.

In data 18 febbraio 2009 il dispositivo della sentenza è stato depositato presso la segreteria di questo Tribunale, ai sensi dell’art. 23bis della legge 6 dicembre 1971, n. 1034 e successive modifiche.

D I R I T T O

Il ricorso non è fondato.

1. Con il primo motivo le ricorrenti rilevano che l’Amministrazione provinciale, nel precedente ricorso sub R.G. n. 371/07, aveva proposto un’eccezione di inammissibilità, per mancanza di interesse dell’ATI Zimmerhofer S.p.a.- Gaetano Paolin S.p.a. (di seguito: ATI Zimmerhofer) a sollevare vizi relativi alla cauzione provvisoria prestata dall’ATI Plattner Bau AG – Bettiol S.r.l. (di seguito: ATI Plattner), in quanto la cauzione provvisoria dell’ATI Zimmerhofer sarebbe stata prestata “nell’interesse della capogruppo Zimmerhofer AG ed in nome e per conto dell’associazione di imprese: Zimmerhofer AG e Gaetano Paolin S.p.A”; quindi la difesa della Provincia aveva eccepito che anche l’ATI Zimmerhofer aveva presentato una cauzione in contrasto con le prescrizioni stabilite dal Capitolato condizioni a pena di esclusione.

Assumono le ricorrenti che, siccome il Tribunale, nella sentenza n. 178/2008, pur avendo accolto il ricorso principale, non si è pronunciato sulla citata eccezione sollevata dall’Amministrazione, la stessa eccezione dovrebbe considerarsi implicitamente rigettata. Non avendo poi l’Amministrazione proposto appello né in via principale, né in via incidentale (successivamente all’appello proposto dalla Plattner Bau AG ed iscritto sub RG n. 5362/2008 davanti al Consiglio di Stato), si sarebbe verificata acquiescenza in ordine alla presunta illegittimità della cauzione provvisoria dell’ATI Zimmerhofer, con relativo passaggio in giudicato, sul punto, della citata sentenza n. 178/2008. Ne conseguirebbe l’illegittimità dell’esclusione dell’ATI Zimmerhofer, fondata su motivi legati all’intestazione della cauzione provvisoria, “pena la violazione del giudicato formatosi per la mancata impugnazione della sentenza 178/2008 da parte dell’Amministrazione resistente”.

La doglianza non coglie nel segno.

E’ pur vero che, in via di principio, quando un ricorso è accolto nel merito si deve intendere che le possibili eccezioni di inammissibilità, irricevibilità ed improcedibilità sono tacitamente ma positivamente respinte e non possano venire riesaminate in appello se non risollevate da chi abbia interesse a giovarsene, a mezzo di apposito motivo (cfr. Consiglio di Stato, Sez. VI, 24 settembre 2007, n. 4924).

Sennonché, nel caso specifico, all’atto dell’esclusione dell’ATI Zimmerhofer e dell’aggiudicazione della gara all’ATI C.L.E. – Cooperativa Lavoratori Edili, Società Cooperativa e Unionbau S.r.l. (di seguito: ATI C.L.E.), non si era formato alcun giudicato.

Invero risulta agli atti che l’esclusione dell’ATI Zimmerhofer e l’aggiudicazione all’ATI C.L.E. sono state decise dalla Commissione di gara in data 10 giugno 2008, mentre la sentenza n. 178/2008 di questo Tribunale è stata notificata alla Provincia autonoma di Bolzano il 23 maggio 2008.

Orbene, non essendo ancora scaduto, nel momento in cui la Commissione di gara ha adottato gli atti oggetto di impugnazione, il termine di 30 giorni per la proposizione dell’appello (previsto dall’art. 23bis, comma 7, della legge 6 dicembre 1971, n. 1034 e s.m.) non poteva essersi formato alcun giudicato.

Né poteva essersi formata acquiescenza in ordine alla legittimità della cauzione provvisoria presentata dall’ATI Zimmerhofer, considerato che l’acquiescenza postula da parte dell’interessato un comportamento chiaro ed inequivocabile, dal quale possa evincersi la sua volontà di accettare gli effetti delle determinazioni a lui sfavorevoli, non rinvenibile nel caso di specie (cfr., ex multis, Consiglio di Stato, Sez. V, 30 marzo 1998, n. 389 e TRGA Bolzano 23 dicembre 2002, n. 595).

Va aggiunto che, quand’anche si fosse formato il dedotto giudicato implicito, esso si sarebbe comunque formato solo per le parti che hanno partecipato al giudizio sub R.G. n. 371/2007, essendo applicabile anche nel processo amministrativo il principio secondo cui res inter alios tertiis neque prodest neque nocet (art. 2909 c.c.). E l’aggiudicataria ATI C.L.E. non era parte del giudizio sub R.G. n. 371/2007, né poteva vantare alcun interesse legittimo a quel ricorso, essendo risultata al quarto posto nella gara.

Vero è che le sentenze di primo grado del giudice amministrativo sono esecutive ai sensi dell’art. 33, primo comma, della legge 6 dicembre 1971, n. 1034 e, di fronte alla sentenza n. 178/2008, che aveva annullato l’aggiudicazione della gara all’ATI Plattner, e in assenza di una sospensione dell’esecuzione della sentenza disposta dal Consiglio di Stato, la Commissione di gara, rinnovando la procedura di gara ha doverosamente eliminato i vizi che avevano inficiato gli atti annullati, così adeguandosi alla pronuncia.

2. Con il secondo motivo le ricorrenti lamentano che la Commissione di gara, nella seduta del 10 giugno 2008, non avrebbe potuto verificare ex novo tutte le cauzioni provvisorie presentate dalle ditte partecipanti, per poi provvedere all’esclusione delle ATI Zimmerhofer e Caser & Figli S.r.l. – Linel Srl – Moriggl S.r.l (di seguito: ATI Caser), con conseguente aggiudicazione all’ATI C.L.E, poiché il potere di autotutela della pubblica amministrazione in ordine ai propri provvedimenti incontrerebbe un limite ogni qual volta vi sia una norma che preveda una precisa scansione per fasi distinte del procedimento amministrativo, ognuna delle quali termina con un autonomo provvedimento. Nel caso specifico, il Capitolato condizioni dell’appalto prevedeva una specifica suddivisione dei singoli elementi delle offerte in tre buste, contenenti rispettivamente la documentazione amministrativa (busta “A”), la documentazione tecnica (busta “B”) e l’offerta economica (busta “C”); di conseguenza il potere di deliberare la regolarità o meno della documentazione amministrativa e, quindi, della cauzione provvisoria presentata dall’ATI Zimmerhofer dovrebbe ritenersi esaurito successivamente al provvedimento di ammissione alle successive fasi della gara, adottato con verbale del 30 ottobre 2007. L’esclusione dell’ATI Zimmerhofer rappresenterebbe, dunque, un’illegittima regressione del procedimento di gara, con violazione del principio della par condicio e di precise disposizioni procedurali del Capitolato condizioni.

Anche queste doglianze non sono fondate.

A seguito dell’annullamento giurisdizionale la procedura di gara va rinnovata a partire dalla fase colpita da illegittimità che, nel caso specifico, riguardava la fase relativa all’esame della documentazione contenuta nella busta “A” (cfr, ex pluribus, Consiglio di Stato, Sez. IV, 28 febbraio 2005, n. 692).

E così ha fatto la Commissione di gara: riprendendo la procedura nella seduta del 10 giugno 2008, ha riesaminato le cauzioni provvisorie contenute nella busta “A”; cioè ha rinnovato quella fase che era stata oggetto di contestazione e che aveva dato luogo alla sentenza di annullamento dell’aggiudicazione. Ha verificato nuovamente la regolarità di tutte le cauzioni provvisorie, tenendo conto del principio espresso nella sentenza n. 178/2008 e ha deciso di escludere dalla gara altre due concorrenti, tra cui l’ATI Zimmerhofer.

Non vi è stata, quindi, alcuna illegittima regressione della procedura di gara.

Inoltre osserva il Collegio che, in base ad un consolidato e condiviso orientamento giurisprudenziale, “la commissione di gara pubblica è un organo straordinario e temporaneo dell’amministrazione aggiudicatrice la cui attività acquisisce rilevanza esterna solo in quanto recepita ed approvata dagli organi competenti della predetta amministrazione, svolge compiti di natura essenzialmente tecnica, con funzione preparatoria e servente rispetto all’amministrazione appaltante, essendo investita della specifica funzione di esame e valutazione delle offerte formulate dai concorrenti, finalizzata all’individuazione del miglior contraente possibile, attività che si concreta nella c.d. aggiudicazione provvisoria ma la sua attività si esaurisce solo con l’approvazione del proprio operato da parte degli organi competenti dell’amministrazione, e cioè con l’aggiudicazione definitiva, con la conseguenza che fino a quando tale approvazione non è intervenuta la commissione può riesaminare, in autotutela, il procedimento di gara già espletato, anche riaprendo la gara ed escludendo concorrenti che erano stati illegittimamente ammessi” (cfr. Consiglio di Stato, Sez. IV, 5 ottobre 2005 , n. 5360).

Dunque va in ogni caso sempre riconosciuto alla Commissione di gara pubblica il potere di agire in autotutela, in applicazione del principio costituzionale del buon andamento, allo scopo di assicurare il migliore perseguimento dei fini pubblici e, quindi, il potere discrezionale di riesaminare il procedimento di gara, estendendo gli effetti della sentenza di annullamento nei confronti di altre concorrenti della gara di appalto che si trovino nella stessa situazione giudicata illegittima da una precedente sentenza.

Pertanto, ad avviso del Collegio, l’Amministrazione appaltante legittimamente ha disposto l’esclusione dalla gara di altre due concorrenti, in occasione della rinnovazione della gara, a seguito dell’annullamento giurisdizionale.

Va rilevato, infine, che l’esclusione dell’ATI Plattner per effetto della sentenza n. 178/2008 e la successiva esclusione, in sede di riesame delle cauzioni provvisorie, da parte della Commissione di gara non hanno comportato alcuna violazione della par condicio, posto che dette esclusioni sono avvenute nell’ambito della stessa fase della procedura (quella, appunto, della valutazione della documentazione amministrativa).

3. Con il terzo motivo le ricorrenti lamentano, in primo luogo, il difetto di motivazione in ordine alla disposta esclusione delle ricorrenti dalla gara, disposta dalla Commissione di gara in data 10 giugno 2008.

Affermano, inoltre, che la cauzione provvisoria presentata dall’ATI Zimmerhofer corrisponderebbe a quanto richiesto dalla lex specialis di gara e dalla normativa vigente in materia, con conseguente difetto dei presupposti per procedere all’esclusione dell’ATI Zimmerhofer dalla gara e violazione del principio del favor partecipationis e del principio di tassatività delle cause di esclusione.

Infine l’atto di esclusione dell’ATI Zimmerhofer dalla gara sarebbe viziato anche sotto il profilo della disparità di trattamento rispetto all’aggiudicataria ATI C.L.E, considerato che non vi sarebbe alcuna differenza sostanziale tra l’intestazione della fideiussione bancaria allegata all’offerta dell’ATI Zimmerhofer e quella allegata all’offerta dell’ATI aggiudicataria.

Le doglianze non meritano accoglimento.

3.1. Per quanto concerne il dedotto vizio di motivazione, si è già detto che l’Amministrazione appaltante era tenuta ad eseguire la sentenza n. 178/2008, uniformandosi ai principi in essa stabiliti. Nell’esercizio di tale potere – dovere la Commissione ha riaperto la gara e ha riesaminato tutte le cauzioni provvisorie allegate alle offerte ancora in gara, decidendo di escludere quelle che non corrispondevano a quanto richiesto al punto 3 del Capitolato condizioni.

Rileva il Collegio che il verbale della Commissione di gara del 10 giugno 2008 richiama espressamente la sentenza di questo Tribunale n. 178/2008 e i motivi per i quali il Giudice amministrativo ha annullato l’aggiudicazione della gara all’ATI Plattner Bau AG: “…in quanto la polizza fideiussoria, mediante la quale è stata costituita la cauzione provvisoria, è stata intestata solo alla capogruppo designata, mentre a pena di esclusione doveva essere intestata non solo alla capogruppo designata, ma anche alle mandanti…”. Subito dopo aver richiamato il principio enunciato dal Tribunale, il Presidente della Commissione chiarisce che “la Commissione ha verificato che anche le cauzioni provvisorie delle ditte risultanti seconda e terza nella graduatoria non corrispondono a quanto previsto nel Capitolato Condizioni – punto 3 –“. Preso atto di ciò, “la Commissione procede all’esclusione delle seguenti ditte: 1. Zimmerhofer AG – Sand in Taufers (BZ), capogruppo di associazione temporanea di imprese con Gaetano Paolin S.p.a – Camin (PD); 2. Caser & Figli S.r.l. – Merano (BZ), capogruppo di associazione temporanea di imprese con Linel S.r.l. – Bressanone (BZ) e Moriggl S.r.l. – Glorenza (BZ)”.

Il Collegio ritiene che, nella specie, l’obbligo di motivazione sia stato puntualmente adempiuto, essendo possibile ricostruire l’iter logico – giuridico attraverso cui la Commissione di gara si è determinata ad adottare l’atto di esclusione.

Va aggiunto che anche volendo considerare il riesame delle cauzioni provvisorie e la conseguente esclusione dell’ATI Zimmerhofer alla stregua di un atto di autotutela, tale atto è stato adottato quando la gara non era ancora stata aggiudicata (posto che il Tribunale aveva annullato l’aggiudicazione) e, pertanto, non richiedeva una specifica motivazione dell’interesse pubblico, giustificandosi ex se in base alla sola riscontrata e dichiarata esistenza di vizi di legittimità ovvero di sopravvenuta inopportunità, in difetto di qualsiasi effetto di consolidamento dei risultati della gara: “Nessuna particolare motivazione sull’interesse pubblico deve ritenersi necessaria per l’adozione del provvedimento di revoca dell’aggiudicazione provvisoria di gara d’appalto, che è giustificabile con la necessità di operare il ripristino della legalità illegittimamente violata, con la immediatezza della adozione del provvedimento di autotutela e con la mancanza di una tutela qualificata del provvedimento di aggiudicazione provvisoria” (cfr. Consiglio Stato, Sez. V, 24 marzo 2006 , n. 1525).

3.2. Per quanto concerne l’esistenza dei presupposti per disporre l’esclusione ai sensi della lex specialis e della vigente normativa in materia, va premesso che ai sensi dell’art. 43 del decreto del Presidente della Provincia 5 luglio 2001, n. 41, in caso di associazioni temporanee di imprese, la garanzia finanziaria “è prestata, su mandato irrevocabile, dall’impresa mandataria o capogruppo in nome e per conto di tutti i mandanti”.

Il Capitolato condizioni prevede che nella busta “A” – documentazione amministrativa debbano essere contenuti, “a pena di nullità” i seguenti documenti: “…3. La cauzione provvisoria, ammontante ad Euro 373.767,30, pari al cinque per cento dell’importo complessivo dei lavori, da costituire esclusivamente tramite: a) garanzia bancaria, rilasciata da soggetto iscritto all’Albo di cui all’articolo 13 del D. Lgs. 1 settembre 1993, n. 385, ovvero b) in contanti sul conto di tesoreria della Provincia autonoma di Bolzano…In caso di riunione di imprese, la predetta cauzione deve essere prestata dall’impresa capogruppo in nome e per conto di tutti i mandanti”.

Dunque non vi sono dubbi che sia la normativa vigente sia la lex specialis (a pena di esclusione) richiedono che la cauzione provvisoria sia prestata dalla capogruppo in nome e per conto di tutte le imprese mandanti.

Orbene, la fideiussione bancaria rilasciata dalla Cassa di Risparmio S.p.a. all’ATI Zimmerhofer così recita: “…erklärt die Südtiroler Sparkasse AG…im Interesse der federführenden Zimmerhofer AG im Namen und für Rechnung der Bietergemeinschaft Zimmerhofer AG und Gaetano Paolin S.p.a. und zu Gunsten der Autonomen Provinz Bozen Südtirol die selbstschuldnerische Bürgerschaft bis zum Höchstbetrag von Euro 373.767,30…zu übernehmen“. La fideiussione della Cassa di Risparmio è stata, quindi, prestata nell’interesse della capogruppo Zimmerhofer S.p.a, in nome e per conto dell’associazione temporanea di imprese (composta dalle imprese Zimmerhofer S.p.a. e Gaetano Paolin S.p.a). Dunque la polizza fideiussoria non è stata intestata alle singole imprese mandanti Zimmerhofer S.p.a. e Gaetano Paolin S.p.a., come richiesto dal Capitolato, ma all’associazione temporanea di imprese. Inoltre, sempre nel testo della fideiussione, si parla sempre di un unico debitore principale, cioè l’associazione temporanea di imprese: “Der Garantiegeber haftet gesamtschuldnerisch mit dem Hauptschuldner für die Zahlung…sobald er von der Landesverwaltung aufgefordert wird…”

Anche nell’oggetto della fideiussione è chiarito che la fideiussione viene prestata in nome e per conto dell’ATI e non della capogruppo e delle singole mandanti, come richiesto dalla legge di gara.

L’ATI Zimmerhofer – appellandosi alle conclusioni cui giunge l’Adunanza Plenaria del Consiglio di Stato, nella decisione del 4 ottobre 2005, n. 8 (richiamata nella sentenza di questo Tribunale n. 178/2008) nel punto in cui afferma che il fideiussore deve richiamare, nella polizza, “la natura collettiva della partecipazione alla gara di più imprese, identificandole singolarmente e contestualmente” – assume che la garanzia presentata dall’ATI ricorrente risponderebbe ai requisiti richiesti dalla citata decisione e anche a quanto richiesto dalla legge di gara.

Osserva a tal riguardo il Collegio che se si esamina la citata decisione dell’Adunanza Plenaria nella sua interezza si evince che la polizza fideiussoria, in caso di costituenda ATI, non può essere intestata alla costituenda ATI, ma deve necessariamente essere intestata sia alla capogruppo designata, sia alle singole mandanti. Diversamente verrebbe vanificata la garanzia in favore della stazione appaltante.

L’Adunanza Plenaria pone in rilievo, anzitutto, che “la causa del contratto di fideiussione è la garanzia di un debito altrui e che, stante il carattere accessorio della garanzia, il fideiussore, nel manifestare in modo espresso la volontà di prestarla (art. 1937 c.c.), deve anche indicare la obbligazione principale garantita, il soggetto garantito, le eventuali condizioni e limitazioni soggettive ed oggettive della garanzia rispetto all’obbligazione principale”.

Sottolinea poi la decisione che la determinazione o la determinabilità del debitore o dei debitori principali garantiti non riguarda la struttura soggettiva del negozio fideiussorio (le cui parti sono il garante e il beneficiario e non anche il garantito), ma “l’oggetto della stessa, in quanto consente di individuare l’obbligazione garantita in tutti i suoi elementi e le sue componenti oggettive e soggettive” .

Diventa perciò essenziale conoscere con esattezza quale soggetto e quale obbligazione sono garantiti dalla cauzione provvisoria e tali elementi devono essere indicati con precisione nella intestazione della polizza fideiussoria

A questo proposito osserva l’Adunanza Plenaria “che la cauzione provvisoria, con la possibilità del suo incameramento da parte della stazione appaltante, può assolvere una duplice funzione: da un lato, una funzione indennitaria in caso di mancata sottoscrizione del contratto per fatto dell’aggiudicatario, dall’altro una funzione più strettamente sanzionatoria in caso di altri inadempimenti procedimentali del concorrente”.

In entrambi i casi, “in presenza di una ATI costituenda, il soggetto garantito non è la ATI nel suo complesso (non essendo ancora costituita) e non è neppure la sola capogruppo designata. Garantite sono tutte le imprese associande, che durante la gara operano individualmente e responsabilmente nell’assolvimento degli impegni connessi alla partecipazione alla gara, ivi compreso, in caso di aggiudicazione, quello (per le future mandanti) di conferire il mandato collettivo alla impresa designata capogruppo, che stipulerà il contratto con l’Amministrazione”.

In altre parole, in caso di ATI costituenda, la garanzia deve essere intestata a tutte le associate, che sono individualmente responsabili delle dichiarazioni rese per la partecipazione alla gara. “Diversamente verrebbe a configurarsi una carenza di garanzia per la stazione appaltante, quante volte l’inadempimento non dipenda dalla capogruppo designata, ma dalle mandanti”.

Orbene, nel caso di specie, come già rilevato, il soggetto garantito dalla polizza presentata dalla ATI Zimmerhofer è esclusivamente la costituenda associazione temporanea di imprese Zimmerhofer S.p.a. e Gaetano Paolin S.p.a., non le singole imprese Zimmerhofer S.p.a. e Gaetano Paolin S.p.a.

In altre parole, la Cassa di Risparmio, con la prestata fideiussione, si è limitata a garantire esclusivamente le obbligazioni della costituenda associazione.

Sennonché, almeno nella fase della gara, la costituenda ATI è ancora soggetto privo di soggettività giuridica e gli eventuali inadempimenti sono imputabili esclusivamente alle singole imprese e non all’associazione. Di conseguenza, con la polizza in esame l’Amministrazione appaltante si troverebbe in realtà sprovvista di ogni copertura di garanzia per la fase della gara.

3.3. Va disattesa, parimenti la censura di disparità di trattamento.

Affermano le ricorrenti che non vi sarebbe alcuna differenza sostanziale fra la fideiussione prestata dall’ATI Zimmerhofer e quella presentata dall’ATI C.L.E.

Osserva il Collegio che mentre la fideiussione presentata dall’ATI Zimmerhofer, come già detto, è intestata esclusivamente alla costituenda ATI e copre esclusivamente le obbligazioni derivanti dall’attività dell’ATI stessa, presupponendo la costituzione dell’associazione temporanea di imprese, la fideiussione presentata dall’ATI C.L.E. è intestata alla capogruppo e alle mandanti: “la Banca Monte dei paschi di Siena S.p.a…si costituisce fideiussore su incarico della ditta C.L.E Cooperativa Lavoratori Edili Soc. Coop. e per conto delle ditte C.L.E. Cooperativa Lavoratori Edili Soc. Coop. e Unionbau S.r.l, in A.T.I.”.

Ad avviso del Collegio la fideiussione presentata dall’ATI controinteressata garantisce direttamente le singole imprese (e non la costituenda associazione temporanea di imprese, come nel caso della fideiussione dell’ATI ricorrente). E la specificazione finale “in ATI”, indica solo che dette imprese partecipano alla gara in associazione temporanea di imprese (cioè chiarisce, come richiesto dalla legge e dalla giurisprudenza, la natura collettiva della partecipazione alla gara).

Del resto, anche dalla lettura del successivo contenuto della garanzia risulta inequivocabile la volontà della Banca Monte dei paschi di Siena di garantire non l’ATI, ma l’impresa capogruppo e le imprese mandanti; in particolare nel punto in cui, usando il plurale, fa riferimento alle imprese, “…che nulla potranno eccepire in merito al pagamento”.

4. Per tutte le considerazioni esposte il ricorso va rigettato.

Le spese di giudizio sono liquidate, secondo soccombenza dal seguente dispositivo.

Il contributo unificato resta a carico delle ricorrenti.

P.Q.M.

Il Tribunale Regionale di Giustizia Amministrativa – Sezione Autonoma di Bolzano -, disattesa ogni contraria istanza ed eccezione, definitivamente pronunciando, rigetta il ricorso.

Condanna le società ricorrenti, in solido tra loro, alla rifusione delle spese di giudizio, liquidate in complessivi Euro 5.000,00 (cinquemila/00) in favore della Provincia autonoma di Bolzano e in complessivi Euro 5.000,00 (cinquemila/00) in favore delle società controinteressate, in solido tra loro, oltre IVA e CAP, come per legge, in entrambi i casi.

Il contributo unificato rimane a carico delle società ricorrenti.

Ordina che la presente sentenza venga eseguita dall’Autorità amministrativa.

Così deciso in Bolzano, nella camera di consiglio dell’11 febbraio 2009.

IL PRESIDENTE L’ESTENSORE

Marina ROSSI DORDI Lorenza PANTOZZI LERJEFORS

/br

N. R.G. 207/2008

Fonte: www.giustizia-amministrativa.it