Cassazione, Sezione lavoro, Sentenza 6 ottobre 2008, n. 24652 Avvocato, spese legali, tutela penale del dipendente, rimborso spese (2009-04-24)

SVOLGIMENTO DEL PROCESSO

Con ricorso 16 aprile 2002 la Banco di Napoli S.p.a. impugnò la sentenza con cui il Tribunale di Chieti aveva respinto l’opposizione proposta dalla Società avverso il decreto ingiuntivo avente per oggetto il rimborso, a favore del dipendente A.G., delle spese legali che questi aveva sostenuto nel corso d’un processo penale a suo carico.

Con sentenza del 21 gennaio 2005 la Corte d’appello di l’Aquila respinse l’impugnazione.

Dalla lettera della norma contrattuale (art. 14 del c.c.n.l. 21 ottobre 1987 per il personale direttivo delle aziende di credito), osserva il giudicante, si deduce che l’unica condizione cui il diritto è subordinato è la connessione fra il fatto addebitato e l’esercizio delle funzioni.

La lettera e lo spirito della norma conducono ad un’interpretazione che comprenda nello spazio disciplinato non solo l’esercizio legittimo, bensì l’esercizio non legittimo delle funzioni.

Di ciò sono riscontro le diverse locuzioni, che compaiono in parallele disposizioni previste in altri contratti collettivi, nelle quali si fa riferimento all’espletamento del servizio o all’adempimento dei compiti d’ufficio; e qualche norma contrattuale, intendendo fissare eventuale limite al diritto (al rimborso), lo indica espressamente (ad esempio, come inesistenza di conflitto di interessi).

E nel caso in esame, in cui il dipendente era stato condannato per truffa in danno del Ministero dell’agricoltura e foreste e della Regione Abruzzo nonché d’una privata Società di Ottona a seguito di un’anticipazione di L. 12 miliardi erogata dalla Banco di Napoli S.p.a., lo stesso datore, pur eccependo che il fatto era estraneo all’esercizio legittimo delle funzioni, aveva riconosciuto che non era estraneo all’attività lavorativa.

Per la cassazione di questa sentenza la Sanpaolo Imi S.p.a. propone ricorso, articolato in tre motivi, e coltivato con memoria; A.G. resiste con controricorso.

MOTIVI DELLA DECISIONE

1. Con il primo motivo, denunciando per l’art 360 c.p.c., nn. 3 e 5, violazione o falsa applicazione dell’art. 2697 c.c., in relazione all’art. 14 del c.c.n.l. 27 ottobre 1987, per il personale direttivo delle aziende di credito e finanziarie e dell’Accordo sindacale di attuazione del 22 dicembre 1988 nonché omessa o contraddittoria od insufficiente motivazione, la ricorrente sostiene che:

1.a.

Cassazione civile del 14.04.2009, n. 8890 Fermo amministrativo, preavviso, inammissibilità, atto non impugnabile (2009-04-25)

REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SECONDA SEZIONE CIVILE

ha pronunciato la seguente SENTENZA avverso la sentenza n. 3297/2005 del GIUDICE DI PACE di CASORIA dell’1.9.05, depositata il 14/09/2005;

udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio del 25/11/2008 dal Consigliere Relatore Dott. PASQUALE D’ASCOLA;

lette le conclusioni scritte dal Sostituto Procuratore Generale Dott. Fulvio UCCELLA che ha concluso visto l’art. 375, 2° comma c.p.c, per l’inammissibilità del ricorso.

FATTO E DIRITTO

Il giudice di pace di Casoria con sentenza del 14 settembre 2005 respingeva la domanda proposta da … omissis … avverso la … omissis … concessionario esattore, per la declaratoria di illegittimità del preavviso di fermo amministrativo di un proprio autoveicolo e la conferma del provvedimento urgente di sospensione del fermo, già concesso in via cautelare dalla sezione staccata del tribunale di Napoli. Accoglieva l’eccezione di carenza di interesse a ricorrere avverso un provvedimento che non eseguiva il fermo, ma si limitava a preannunciarlo»… omissis … ha proposto ricorso per cassazione, notificato il 30 ottobre 2006, lamentando violazione dell’art. 100 cpc. … omissis … rimasta intimata.

Avviata la trattazione con il rito previsto per il procedimento in camera di consiglio, il procuratore generale ha chiesto la declaratoria dì inammissibilità del ricorso, ritenendo esperibile il rimedio dell’appello, trattandosi di controversia in materia di esecuzione.L’avviso di fissazione di udienza, inizialmente invano notificato presso il domicilio eletto dal difensore del ricorrente, trasferitosi, è stato notificato presso la Cancelleria della Corte.

Preliminarmente va riconosciuta l’ammissibilità del ricorso.

Essa discende dalla qualificazione dell’azione proposta, che incombe alla Corte in difetto di esplicite indicazioni nella sentenza impugnata (Cass 11012/07; 4507/06; 8006/05; e, in caso analogo, 13972/’6) .

Nel caso in esame non è condivisibile la tesi che la ricorrente abbia inteso attivare il rimedio dell’opposizione all’esecuzione esperibile davanti al giudice ordinario avverso il provvedimento di fermo amministrativo (SU 14701/06): non avrebbe in tal caso richiesto al tribunale il provvedimento ex art 700 cpc e successivamente instaurato il giudizio di merito davanti al giudice di pace, ma avrebbe domandato al giudice competente per valore – la sospensione dell’esecuzione, facendo comunque cenno al procedimento esecutivo.

L’azione proposta mirava infatti esplicitamente alla declaratoria di inammissibilità del fermo, in relazione alla infondatezza delle pretese dell’amministrazione nascenti da “alcune cartelle esattoriali “. Poteva quindi riferirsi a contestazione risalente a pretese opponibili davanti al giudice di pace o ex art 23 legge 689/81 o con azione di accertamento negativo del credito proposta in via ordinaria davanti al giudice competente per valore, in relaziona all’importo – 579,22 euro – portato dalle cartelle. Quest’ultima prospettazione sembra essere quella sostenuta nel ricorso per cassazione.

In entrambi i casi la decisione del giudice di pace, anteriore alla novella n. 40/2006, era ricorribile immediatamente per cassazione.

In relazione alla pretesa configurabile con l’azione proposta, la sentenza impugnata ha fatto corretta applicazione dei principi giuridici vigenti, negando l’interesse del ricorrente a impugnare un provvedimento privo di effetti pregiudizievoli. Questa Corte ha avuto modo di stabilire, ed intende qui confermare, che “la comunicazione preventiva di fermo amministrativo (c.d. preavviso) di un veicolo, notificata a cura del concessionario esattore, non arrecando alcuna menomazione al patrimonio – poiché il presunto debitore, fino a quando il fermo non sia stato iscritto nei pubblici registri, può pienamente utilizzare il bene e disporne – e’ atto non previsto dalla sequenza procedimentale dell’esecuzione esattoriale e, pertanto, non può essere autonomamente impugnabile ex art 23 L. n. 689/81, non essendo il destinatario titolare di alcun interesse ad agire ai sensi dell’art. 100 cod. proc. Civ. (Cass 20301/08).

L’azione di accertamento negativo del credito dell’amministrazione, da parte sua, non può essere astrattamente proposta in ogni tempo per sottrarsi alla preannunciata esecuzione della cartella esattoriale, impugnabile (eventualmente in via recuperatoria) con le forme, i tempi e il rito specificamente dipendenti dalla sua origine e dal tipo di vizi fatti valere.

Discende da quanto esposto il rigetto del ricorso, senza la condanna alla refusione delle spese di lite, in mancanza di attività difensiva dell’intimata.

PQM

La Corte rigetta il ricorso.

DEPOSITATA IN CANCELLERIA il 14.04.2009

Cassazione SS. UU. civile Sent. del 09.03.2009, n. 5621 Parcheggio, ausiliari del traffico, concessionari, aree di competenza, circolazione stradale (2009-04-25)

REPUBBLICA ITALIANA IN NOME DEL POPOLO ITALIANO LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE SEZIONI UNITE CIVILI

ha pronunciato la seguente

SENTENZA

sul ricorso 11904-2004 proposto da COMUNE DI PARMA (00162210348), in persona del Sindaco pro tempore contro … omissis … elettivamente domiciliato … avverso la sentenza n. 2169/2003 della GIUDICE DI PACE di PARMA, depositata il 09/01/2004; udita la relazione della causa svolta nella pubblica udienza del 03/02/2009 dal Consigliere Dott. UMBERTO GOLDONI; udito l’Avvocato Adriano R.;

udito il P.M. in persona dell’Avvocato Generale Dott. DOMENICO IANNELLI che ha concluso per il rigetto del ricorso.

Svolgimento del processo

Il Comune di Parma ha proposto ricorso, basato su di un solo motivo, avverso la sentenza del Giudice di pace di Parma del 6.1.2004, con cui era stata accolta l’opposizione proposta da … omissis … avverso il verbale di accertamento della polizia municipale della stessa citta’, redatto su indicazione degli ausiliari del traffico dipendenti dalla societa’ concessionaria della gestione dei parcheggi a pagamento nella zona in questione, relativo all’infrazione di cui all’art. 7, 1° e 4° comma, del Codice della strada, per sosta vietata, peraltro nella zona oggetto di concessione di parcheggio a pagamento; resiste con controricorso il … omissis ed entrambe le parti hanno presentato memoria.

L’opposizione era stata accolta sulla base di un duplice ordine di ragioni: in primo luogo, la violazione era stata accertata da una operatrice del TEP, concessionaria della gestione dei parcheggi a pagamento nella ZTL di Parma, che non rivestiva ad personam la qualita’ di ausiliario del traffico e in secondo luogo in quanto l’art. 17, 132° comma, della legge n° 127 del 1997, conferisce ai personale dipendente dal concessionario funzioni di accertamento delle violazioni in materia di sosta limitatamente alle aree oggetto della concessione e che dette aree, considerato il disposto dell’art. 7, 6° e 7° comma, andavano individuate in quelle evidenziate da righe blu e da corrispondente segnaletica verticale ed in quelle che costituiscono lo spazio minimo ed indispensabile per compiere le manovre necessarie a garantire la concreta fruizione del parcheggio e non sull’intera area oggetto della concessione. Investita di tale questione, la II Sezione civile di questa Corte ha rimesso gli atti al sig. primo Presidente, per l’eventuale rimessione della stessa alle SS. UU., avendo rilevato l’esistenza di un contrasto tra la tesi secondo cui la competenza delegata ai dipendenti della concessionaria sono limitate alle violazioni in materia di sosta dei veicoli (artt. 7, 1° comma e 157, 5°, 6° e 8° comma del Codice della strada) commesse nelle aree comunali oggetto di concessione e specificamente destinate al parcheggio previo pagamento di un ticket, potendosi estendere anche alle aree poste a servizio di quelle a pagamento, immediatamente limitrofe esclusivamente se ed in quanto precludano la funzionalita’ del parcheggio (Cass. Sez. I, nn° 7336 del 7.4.2005, 7979 del 18.4.2005, 8593 del 26.4 2005 e, da ultimo, 18186 del 18.8.2006) e quella secondo cui il potere dell’ausiliario dipendente dal concessionario non sarebbe limitato a rilevare le infrazioni strettamente collegate al parcheggio stesso, ma esteso anche alla prevenzione ed al rilievo di tutte le infrazioni ricollegabili alla sosta nella zona oggetto della concessione, in relazione al fatto che nella suddetta la sosta deve ritenersi consentita solo negli spazi concessi e previo pagamento del ticket, essendo la concessionaria direttamente interessata, nell’ambito territoriale * suddetto, al rispetto dei limiti e dei divieti, per il solo fatto che qualsiasi violazione incide sul suo diritto alla riscossione delle tariffe stabilite (Cass. sez. II, nn° 9287 del 20.4.2006,20558 del 28.92007 e sez. 1, n° 4173 del 22.2.2007).

Nell’imminenza della discussione di fronte a queste Sezioni unite, il Comune di Parma ha presentato memoria.

Motivi della decisione Con l’unico, articolato, motivo su cui si basa il presente ricorso, il Comune di Parma affronta sia il profilo attinente alla mancata attribuzione ad personam della qualita’ di ausiliario del traffico, all’operatrice del TEP, concessionaria della gestione dei parcheggi a pagamento nella ZTL di Parma, che aveva rilevata l’infrazione, sia quella della estensione dei poteri esperibili dai dipendenti della societa’ concessionaria nell’ambito delle aree oggetto della concessione. – Poiche’ peraltro sia l’uno che l’altro profilo sono astrattamente idonei a sorreggere, ciascuno da solo, la decisione impugnata, appare opportuno affrontare la questione su cui si e’ formato il denunciato contrasto.

Il Comune ricorrente si basa sulla tesi che potrebbe essere definita piu’ ampia, atteso che considera conferito agli ausiliari del traffico il potere di accertare qualunque violazione in materia di sosta nell’area soggetta a concessione, in ragione del fatto che la concessionaria e’ direttamente interessata, nell’ambito territoriale suddetto, al rispetto dei limiti e dei divieti vigenti al riguardo, in quanto qualsiasi violazione andrebbe ad incidere sul suo diritto alla riscossione delle tariffe stabilite.

Sotto il profilo normativo, va ricordato che la legge 15 maggio 1977, n. 127, art. 17, ha stabilito che i comuni possono, con provvedimento del sindaco, conferire funzioni di prevenzione ed accertamene delle violazioni in materia di sosta a dipendenti comunali o delle societa’ di gestione dei parcheggi, limitatamente alle arees^ggetto di concessione.

La legge 23 dicembre 1999, n° 488, all’art. 68, comma 1, ha successivamente chiarito che la legge n° 127 dei 1997, art. 17, commi 132 e 133, si interpretano nel senso che il conferimento delle funzioni di prevenzione e accertamento delle violazioni ivi previste comprende, ai sensi del d. lgs. 30 aprile 1992, n° 285, art. 12, comma 1, lett. e) e successive modificazioni, i poteri di contestazione immediata nonche’ di redazione e di sottoscrizione del verbale di accertamento con l’efficacia di cui agli artt. 2699 e 2700 del codice civile.

Da tanto puo’ desumersi che il legislatore, in presenza ed in funzione di particolari esigenze del traffico cittadino, tra cui sono da ritenere comprese le problematiche connesse alle aree da riservare a parcheggio a pagamento, ha stabilito, con le norme surrichiamate, che determinate funzioni, obiettivamente pubbliche, possano essere eccezionalmente svolte anche da soggetti privati, i quali abbiano una particolare investitura, da parte della pubblica amministrazione, in relazione al servizio svolto, in considerazione “della progressiva rilevanza dei problemi delle soste e parcheggi (Corte cost. ord. n° 157 dei 2001).

Peraltro, l’art. 17, commi 132 e 133, in ragione della rilevanza e del carattere eccezionalmente derogatorio del conferimento di tali funzioni a soggetti che, sebbene siano estranei all’apparato della pubblica amministrazione, e non compresi nel novero di quelli ai quali le suddette funzioni sono ordinariamente attribuiti (art.

12 C, d. s.), vengono con provvedimento sindacale legittimati all’ esercizio di compiti di prevenzione ed accertamento di violazioni del Codice della strada sanzionate in via amministrativa, deve ritenersi norma di stretta interpretazione (v. Cass. 7.4.2005, n°7336).

Tale conclusione trova ulteriore conferma nel fatto che il legislatore, conscio di tale natura delle dettate disposizioni, ha avuto cura di puntualizzare che le funzioni esperibili, per i dipendenti delle imprese che gestiscono pubblici parcheggi, riguardano soltanto le violazioni in materia di sosta e limitatamente alle aree oggetto di concessione, poiche’ la attribuzioni di esse e’ ritenuta strumentale rispetto allo scopo di garantire la funzionalita’ dei parcheggi, che concorre a ridurre, se non ad evitare, il problema, sempre piu’ pressante, della circolazione nei centri abitati. Di preminente valore ai fini interpretativi deve essere considerata la disposizione secondo cui, al personale in questione puo’ esser conferita anche la competenza a disporre «la rimozione dei veicoli, ma esclusivamente nei casi previsti dall’art. 158, comma 2, lett. b), e) e d) (art. 68, comma 3, cit.), ovvero dovunque venga impedito di accedere ad un altro veicolo regolarmente in sosta, oppure lo spostamento dei veicoli in sosta o in seconda fila.

Il legislatore, nel disciplinare tale delicata materia, che estende a soggetti non compresi tra quelli ai quali tali funzioni sono istituzionalmente attribuite, le suddette funzioni, ha pertanto delimitato con rigore il senso di tale attribuzione, precisando come la competenza delegata ai dipendenti della concessionaria siano limitate alle violazioni in materia di sosta dei veicoli commesse nelle aree comunali oggetto di concessione e specificamente destinate al parcheggio, previo pagamento di ticket, potendosi estendere anche alle aree poste a servizio di quelle a pagamento, immediatamente limitrofe, se ed in quanto precludano la funzionalita’ del parcheggio stesso.

La diversa tesi per un verso contrasta e con la natura di norma di stretta interpretazione, da attribuirsi per le ragioni dette al Part. 17, commi 132 e 133, e con il contesto normativo che complessivamente regola la materia e per altro verso si basa su di un argomento non sufficiente a svilire il senso dell’eccezione quale introdotta, finendo per basarsi su di un profilo di ordine economico, a vantaggio della concessionaria che, pur se sussistente, non giustificherebbe l’estensione dell’applicazione di una norma con connotazioni di eccezionalita’.

Del resto, gli scarsi apporti dottrinari rinvenibili, pur non in modo esplicito, paiono anch’essi concordare con la tesi ritenuta corretta, mentre e’ appena il caso di sottolineare come dalla citata ordinanza della Corte costituzionale non sia possibile trarre alcun elemento di convincimento, in un senso, come nell’altro.

Da tanto consegue che puo’ essere enunciato il principio di diritto secondo cui le violazioni in materia di sosta che non riguardino le aree contrassegnate con le strisce blu e/o da segnaletica orizzontale e non comportanti pregiudizio alla funzionalita’ delle aree distinte come sopra precisato, non possono essere legittimamente rilevate da personale dipendente delle societa’ concessionarie di aree adibite a parcheggio a pagamento, seppure commesse nell’area oggetto di concessione (ma solo limitatamente agli spazi distinti con strisce blu).

Poiche’ tale ratio decidendi, adottata dal giudice di pace di Parma a sostegno della sentenza qui impugnata, con cui ha accolto l’opposizione del … omissis … e’ idonea a sostenere da sola la decisione adottata, l’ulteriore questione sollevata in ricorso ed afferente alla sussistenza o meno in capo all’operatrice TEP, della nomina ad ausiliario del traffico ad personam, risulta assorbita. Il ricorso deve essere pertanto respinto.

In ragione della sussistenza del rilevato contrasto giurisprudenziale, ora soltanto risolto, sussistono valide ragioni per compensare integralmente tra le parti le spese relative al presente procedimento per cassazione.

PQM la Corte respinge il ricorso e compensa le spese.

Cassazione civile , SS.UU, sentenza 02.04.2009 n. 7991 Giurisdizione, internazionale, garanzia, propria, impropria, civile (2009-04-28)

La Corte di Cassazione

Ritenuto in fatto

Con ricorso notificato tra il 16 e il 18 aprile 2007, la … NET A/S, società di diritto danese, con sede legale in Danimarca, ha proposto regolamento preventivo di giurisdizione nel giudizio promosso avanti al Tribunale di Latina, sede distaccata di Gaeta, da … s.p.a., con sede in …(LT), nei confronti della … s.r.l., con sede in … (Brescia) perché fosse accertato l’inadempimento della convenuta al contratto, stipulato con l’attrice, di fornitura di prodotti asseritamene difettosi (segnatamente reti in naylon per la coltivazione in acqua marina di avanotteri) e condannata la stessa alla somma complessiva di euro 1.011.718,19 oppure a diversa somma da accertare in corso di causa, anche a mezzo di CTU, oltre agli interessi legali dalla data della domanda al soddisfo.

Nel costituirsi, la … precisava che i beni, asseritamente difettosi, erano di produzione della società danese; eccepiva la incompetenza territoriale del Tribunale di Latina, ritenendo, invece, sussistere la competenza territoriale del Tribunale di Brescia, sotto il profilo della conclusione del contratto; contestava nel merito la fondatezza della pretesa e, per quel che interessa in questa sede, dichiarava di voler chiamare in causa la società danese, produttrice delle reti, perché, in caso di accoglimento della domanda, andava (previa risoluzione del contratto di vendita per inadempimento) condannata la chiamata società danese a restituire il prezzo versato da …, nonché a rifondere i danni; in via alternativa e/o cumulativa e/o subordinata condannarsi la società danese a rifondere tutti i danni a qualunque titolo subiti da essa … e/o da … sia ex contractu che ex delicto, eventualmente quale indennizzo per arricchimento senza causa e di manlevare e tenere indenne la convenuta da ogni domanda contro di lei proposta da …, che dovesse essere accolta anche solo parzialmente dal Tribunale.

Disposta la chiamata in causa, si costituiva la società danese, la quale eccepiva tempestivamente la carenza di giurisdizione del giudice italiano, per quanto concerneva la domanda subordinata formulata dalla …, e l’incompetenza territoriale del giudice adito, da identificarsi, a suo dire, comunque nel Tribunale di Brescia.

Con ordinanza del 6 dicembre 2006 il giudice riteneva che la questione di giurisdizione sollevata, nonché quella di incompetenza territoriale, potessero essere decise unitamente al merito.

La chiamata in causa danese proponeva l’attuale regolamento preventivo, assumendo il difetto di giurisdizione del giudice italiano. Essa ha anche presentato memoria.

Resiste con controricorso la ….

Il P.G. ha concluso per l’affermazione della giurisdizione del giudice italiano.

Considerato in diritto

1. Secondo la ricorrente, avendo essa venduto le reti alla … e quest’ultima alla …, dovrebbe affermarsi la giurisdizione del giudice danese a conoscere della domanda di garanzia impropria; che, in ogni caso, egualmente si apparteneva la giurisdizione a tale giudice per la domanda di risoluzione del contratto, proposta nei suoi confronti, poiché la causa dovrebbe essere regolata sulla base della Convenzione di Vienna sulla vendita di cose mobili dell’11 aprile 1980 (rat. con L. 11 dicembre 1985 n. 765).

Nella memoria la resistente contesta che l’unica domanda rivolta contro la società danese sia quella di garanzia, da quest’ultima qualificata impropria e sostiene di aver formulato nei confronti della chiamata in causa una serie di domande in via tra loro alternativa e/o cumulativa e/o subordinata, per cui “di tutte le domande era necessario tener conto ai fini della determinazione della giurisdizione del giudice italiano”.

2.1. Ritengono queste Sezioni Unite che vada dichiarata la giurisdizione del giudice italiano, anche relativamente alla domanda contenuta nell’atto di chiamata in causa da parte della … s.r.l. della … Net a/s.

Va, anzitutto, rilevato che la domanda è stata proposta dalla convenuta nei confronti della chiamata subordinatamente all’accoglimento della domanda proposta dall’attrice contro essa convenuta ed attiene alla risoluzione del contratto di vendita tra loro intervenuto relativamente ai soli beni per cui era stata iniziata la causa dall’attrice nei suoi confronti, con conseguente condanna alla restituzione del prezzo ed al pagamento dei danni subiti e da accertarsi.

Essendo la domanda nei confronti della chiamata stata proposta in via subordinata all’accoglimento della domanda proposta dall’attrice nei confronti della convenuta ed avendo la domanda della chiamante ad oggetto l’accertamento degli stessi vizi dei beni ed il ristoro dei danni da corrispondersi all’attrice, ai fini della decisione sulla giurisdizione tale domanda della chiamante nei confronti della società danese si pone come domanda di garanzia (tra le varie domande proposte alternativamente la chiamante richiede anche che la chiamata sia condannata a corrispondere direttamente all’attrice il risarcimento del danno, da quest’ultima lamentato). Con la chiamata in causa, la convenuta mira a riversare sulla chiamata i costi risarcitori che essa convenuta eventualmente sia tenuta a corrispondere all’attrice. L’apparente pluralità delle cause petendi nella domanda della chiamante nei confronti della chiamata non modifica tale struttura e funzione della domanda.

Anche ai fini del riparto della giurisdizione tra il giudice italiano ed il giudice straniero opera il criterio del “petitum” sostanziale. Di conseguenza, anche la giurisdizione del giudice italiano e quella del giudice straniero vanno determinate non già in base al criterio della cosiddetta prospettazione della domanda (ossia in base alla qualificazione giuridica soggettiva che l’istante dà all’interesse di cui domanda la tutela), ma in base al diverso criterio secondo cui, ai fini del relativo riparto, non è sufficiente e decisivo avere riguardo alle deduzioni ed alle richieste formalmente avanzate dalle parti, ma occorre tener conto della vera natura della controversia, da stabilire con riferimento alle concrete posizioni soggettive delle parti in relazione alla disciplina legale della materia, il tutto nell’esame delle prove costituite già acquisite agli atti di causa (Cass. Sez. Unite, 24/07/2007, n. 16296).

2.2. Ai fini dell’ordinamento interno italiano deve ritenersi sufficientemente pacifica la giurisprudenza di legittimità (Cass. 24.1.2007, n. 1515; Cass. n. 13178/2006; Cass., 19208/2005; Cass., n. 12029/2002) sulla distinzione tra garanzia propria e garanzia impropria, nel senso che la prima si ha quando la causa principale e quella accessoria hanno in comune lo stesso titolo e anche quando ricorra una connessione oggettiva tra i titoli delle due domande; la seconda, quando il convenuto tende a riversare le conseguenze del proprio inadempimento su di un terzo in base ad un titolo diverso da quello dedotto con la domanda principale, ovvero in base ad un titolo connesso al rapporto principale solo in via occasionale.

Sulla base di tale distinzione, inoltre, si era pressoché consolidato nella giurisprudenza elaborata dalle Sezioni Unite di questa Suprema Corte (ex plurimis: Cass. civ., Sez. Unite, 15/03/2007, n. 5978; Cass., sez. un., n. 579/99; Cass., sez. un., n. 10891/2001; Cass., sez. un., n. 20998/2005) il principio che, in tema di giurisdizione nei confronti dello straniero, il criterio di cui all’art. 6, n. 2, della Convenzione di Bruxelles 27 settembre 1968, resa esecutiva in Italia con la L. 21 giugno 1971, n. 804 – secondo cui, in caso di azione di garanzia, il garante può, di massima, essere citato davanti al giudice presso il quale è stata proposta la domanda principale, anche se carente di giurisdizione rispetto a tale domanda – si applica solo in caso di garanzia propria, ravvisatale esclusivamente quando la domanda principale e quella di garanzia abbiano lo stesso titolo, o quando si verifichi una connessione obiettiva tra i titoli delle domande, ovvero quando sia unico il fatto generatore delle responsabilità prospettato con l’azione principale e con quella di garanzia.

3.1. Il principio è stato recentemente rivisitato da queste S.U. con sentenza n. 5965 del 12.3.2009.

Questa Corte con tale ultimo arresto ha ritenuto che, ai fini della giurisdizione internazionale, non ha alcuna valenza la distinzione tra garanzia impropria e garanzia propria, di cui all’ordinamento interno italiano.

Ritengono queste S.U. di dover ribadire tale principio.

3.2. L’irrilevanza della distinzione tra garanzia propria ed impropria vale segnatamente per determinare la giurisdizione internazionale, ai sensi dell’art. 6, c. 1, n. 2 del Reg. CE n. 44/2001 (identico all’art. 6, c. 1, n. 2, della Convenzione di Bruxelles del 1968).

Infatti, quanto alla nozione di chiamata in garanzia e, più in generale di chiamata di un terzo nel processo, se non può superarsi l’ostacolo costituito dalla mancanza nel diritto nazionale di un istituto analogo (per questa ragione l’art. V del protocollo, la cui disposizione è ora ripresa dall’art. 65 Reg., aveva disposto che la competenza giudiziaria contemplata dall’art. 6, n. 2, non poteva essere invocata in Germania, trovando invece applicazione norme che prevedono un diverso istituto), va applicato il principio che le norme nazionali, che delineano l’ambito di applicazione della chiamata in causa di un terzo, devono essere interpretate alla luce della funzione della norma convenzionale, quale delineata dalla giurisprudenza della CGCE, a proposito dell’art. 6, punto 1.

Come rilevato dalla sentenza CGCE 15.5.1990, C – 365/88, Hagen, la Convenzione ha lo scopo non di uniformare le regole processuali nazionali degli Stati contraenti e quindi è lasciato a queste di disporre in ordine ai tempi ed ai modi che devono essere osservati per chiamare un terzo nel processo; tuttavia queste norme non devono precludere l’effetto utile della convenzione e, quindi, non possono essere applicate per limitare l’operatività delle norme di competenza previste dalla convenzione (principio affermato anche dalla sentenza CGCE Duijnstee, 15.11.1983, C – 288/92).

La distinzione interna all’ordinamento italiano tra garanzia propria ed impropria, se applicata anche ai fini della giurisdizione internazionale, realizza la limitazione dell’operatività della norma regolamentare dell’art. 6, punto 2 citato.

3.3. Inoltre la CGCE ha indicato in numerose sentenze la finalità della norma di cui all’art. 6, punto 1 della Convenzione, ed essa in effetti integra la ratio anche della norma di cui al punto 2 dello stesso articolo.

Si richiede che tra le domande nei confronti di vari convenuti, ai fini del foro facoltativo di cui all’art. 6, punto 1, vi sia connessione.

Nelle sentenze Kalfelis (27.9.1988, C – 189/87) e Rèunion Européenne (27.101998, C – 51/1997) questo vincolo di connessione è indicato in una relazione tra le domande tale da consigliare che istruzione e decisione avvengano in un medesimo giudizio, per evitare soluzioni che potrebbero essere incompatibili se le cause fossero giudicate separatamente.

Questo rischio di incompatibilità tra decisioni separate esiste anche nel caso di chiamata di terzo per la c.d. garanzia impropria, quale quella in esame, in quanto con essa il chiamante fa valere nei confronti del chiamato una responsabilità contrattuale per gli stessi vizi della cosa venduta, su cui si fonda la domanda di responsabilità contrattuale proposta nei suoi confronti.

Infine, con la sentenza 14-03-2006, in causa C-103/05, la stessa Corte dì giustizia (sulla premessa secondo la quale la Convenzione di Bruxelles del 1968 sarebbe stata sostituita con il regolamento n. 44/2001 con l’intento di unificare le regole che designano il giudice competente a decidere delle controversie al fine di salvaguardare il funzionamento del mercato interno) avrebbe avuto modo di precisare come le norme (sia pur con riferimento alle «controversie intracomunitarie») dovessero presentare «un alto grado di prevedibilità», fondandosi sul generale principio «nel domicilio del convenuto (…) salvo in alcuni casi rigorosamente determinati nei quali la materia del contendere o l’autonomia delle parti giustifichi un diverso criterio di collegamento», anche se il detto foro deve essere completato attraverso fori alternativi, «in base al collegamento stretto tra l’organo giurisdizionale e la controversia, ovvero al fine di agevolare la buona amministrazione della giustizia». Sulla base di tali premesse, ha ritenuto la Corte che, ai fini della legittima instaurazione di una controversia dinanzi al giudice nazionale nonostante il chiamato in garanzia sia soggetto di diritto estero, non rilevi affatto la natura del rapporto di garanzia (se essa, cioè, risulta “propria” o “impropria”, secondo una distinzione cara all’interprete italiano ma sostanzialmente sconosciuta a quello europeo), decisiva risultando, per converso, “la verifica se il ricorso della società attrice al foro speciale di cui all’art. 6 della Convenzione abbia, o meno, come unico scopo quello di sottrarre le parti al foro generale del domicilio del convenuto”.

3.4. In definitiva è irrilevante la distinzione tra garanzia propria e impropria ai fini di affermare o negare la giurisdizione del giudice nazionale in caso di chiamata, da parte del convenuto nella causa principale, di un soggetto di diritto straniero, dal quale egli pretenda di essere manlevato, onde consentire la celebrazione del simultaneus processus, dovendo l’indagine circoscriversi, viceversa, al solo accertamento della non pretestuosità di tale chiamata.

4. Nella fattispecie, quindi, poiché la domanda proposta dalla convenuta nei confronti della chiamata società danese, per i pretesi vizi della cosa acquistata (e poi rivenduta all’attrice) integra un’ipotesi di garanzia (essendo irrilevante a questi fini della giurisdizione internazionale che si tratti di garanzia impropria) e poiché è evidente la non strumentalità e la non pretestuosità della chiamata in garanzia della … Net A/S, va affermata la giurisdizione del giudice italiano sulla base dell’art. 6, n. 2, della Convenzione di Bruxelles del 1968 (attesa l’inapplicabilità, alla Danimarca, del corrispondente art. 6 del reg. CE n. 44/2001, a norma dell’art. 1 dello stesso regolamento), relativamente alle domande proposte dalla convenuta … s.r.l. nei confronti della chiamata … Net A/S.

Poiché la decisione è stata resa sulla base del recente diverso orientamento di questa Corte in tema di rilevanza della domanda di garanzia ai fini della giurisdizione internazionale, sussistono giusti motivi per compensare tra le parti le spese di questo regolamento.

P.Q.M.

Pronunziando sul ricorso, dichiara la giurisdizione del giudice italiano relativamente alle domande proposte dalla convenuta … s.r.l. nei confronti della chiamata … Net A/S.

Compensa le spese di questo regolamento preventivo di giurisdizione.