Cassazione sez II civile n. 9888 del 27 aprile 2009 Contravvenzioni, circolazione stradale, semaforo, rosso, giallo, auto (2009-06-15)

FATTO E DIRITTO

Il Comune di Castellammare di Stabia impugna la sentenza del Giudice di Pace di Castellammare di Stabia n. 2922 del 2005, che accoglieva l’opposizione proposta dall’odierno intimato, PI.Fe. , avverso il verbale redatto dalla Polizia municipale di quel Comune n. (OMESSO), relativa alla contestata violazione dell’articolo 146 C.d.S. (prosecuzione della marcia nonostante la segnalazione semaforica emettesse luce rossa o gialla).

Il Giudice di Pace accoglieva il ricorso, rilevando che il verbale conteneva una contestazione contraddittoria, poiche’ veniva contestato il transito con luce gialla o rossa.

L’odierno ricorrente articola quattro motivi di ricorso con i quali deduce la violazione e falsa applicazione della Legge n. 689 del 1981, articolo 1 e articoli 41 e 46 C.d.S., nonche’ la violazione e falsa applicazione della Legge n. 689 del 1981, articolo 23, articoli 2699, 2700 e 2697 c.c., la omessa, insufficiente e contraddittoria motivazione e infine la violazione e falsa applicazione degli articoli 45 e 201 C.d.S. e dell’articolo 192 reg. att. C.d.S..

Parte intimata non ha svolto attivita’ difensiva in questa sede.

Attivatasi procedura ex articolo 375 c.p.c., il Procuratore Generale invia requisitoria scritta nella quale conclude con richiesta di rigetto del ricorso per manifesta infondatezza.

Il ricorso e’ infondato va respinto.

Occorre, infatti, considerare che il rilievo, del tutto fondato, dell’indeterminatezza dell’addebito appare assorbente rispetto al ogni altra questione. Infatti, nel caso in questione la contestazione era stata effettuata con riferimento all’avvenuto superamento dell’incrocio regolato da semaforo con la luce rossa o con quella gialla, essendo evidente che si tratta di due fattispecie del tutto diverse e potendo il passaggio con luce gialla, ai sensi dell’articolo 41 C.d.S., comma 10, risultare non sempre vietato.

Occorre, altresi’, osservare che il passaggio avvenuto ai sensi di quest’ultima disposizione costituisce eccezione alla regola imponente negli altri casi l’arresto anche con luce gialla, ma la contestazione risultava comunque generica in quanto formulante due ipotesi alternative, delle quali l’una escludeva l’altra.

Si e’ di fronte quindi a due ipotesi di contestazione del tutto diverse, ancorche’ accomunate dallo stesso trattamento sanzionatorio di cui all’articolo 146 C.d.S., comma 3.

Di conseguenza il primo motivo di ricorso e’ da ritenersi manifestamente infondato, mentre i rimanenti risultano inammissibili per difetto di concreta rilevanza. Infatti, occorre rilevare che la

Cassazione Sez. Lavoro – Sent. del 27.05.2009, n. 12326 Lavoro, infortunio in itinere, danno dei congiunti, eredi, figlio maggiorenni, danno tanatologico (2009-06-15)

Svolgimento del processo

1. Con ricorso depositato il 8.42003 dinanzi al Tribunale di Napoli, in funzione di giudice del lavoro, il coniuge ed i figli superstiti del prof (…) esponevano che quest’ultimo veniva coinvolto, in data 1.8.2001,. verso le ore 17.00 in un incidente stradale in seguito ai quale era deceduto, nel mentre era trasportato su di una moto che si scontrava con altra autovettura. L’Università di Napoli aveva denunciato l’infortunio all’INAIL: ma la domanda di infortunio in itinere era stata respinta dall’INAIL che sosteneva non essersi verificato l’infortunio nell’ambiente di lavoro; infortunio che secondo I’ Istituto riguardava un rischio generico non protetto dal dpr_1124_1965.

Gli originari ricorrenti ritenevano sussistere gli estremi dell’infortunio in itinere in quanto il Prof. (…) era obbligato a recarsi a casa per consumare il pasto essendo affetto da varie patologie e non avendo l’università una mensa: pertanto richiedevano il riconoscimento dell’ infortunio in itinere con diritto alla rendita vitalizia e la condanna dell’INAIL al risarcimento del danno biologico.

Si costituiva in giudizio l’INAIL che chiedeva il rigetto della domanda.

Espletata la prova per testi prodotta documentazione e depositate note la causa veniva decisa dal Tribunale di Napoli che qualificava l’infortunio patito dal prof. (…) quale infortunio “in itinere’ e condannava l’INAIL al pagamento delle indennità di cui all’art 85 DPR n. 1124/65 e del danno biologico nella misura di € 72.000,00 oltre rivalutazione monetaria ed interessi dalla domanda al saldo.

2. Avverso detta sentenza I’INAIL proponeva appello eccependo in rito la nullità del ricorso e, nel merito reiterando le argomentazioni svolte in primo grado quanto alla non configurabilità dell’infortunio “in itinere e alla non indennizzabilità del danno biologico per gli infortuni mortali chiedeva pertanto, il rigetto della domanda con l’annullamento della condanna al pagamento della rendita e del danno biologico.

Si costituivano nel giudizio d’appello i resistenti i quali, riportandosi alle argomentazioni svolte in primo grado, all’esito della prova testimoniale ed alla documentazione prodotta, chiedevano il rigetto dall’ atto di appello

La Corte di Appello di Napoli con sentenza n. 5603/2006 rigettava il gravame dell’Inail così confermando il diritto del coniuge e dei figli superstiti alla rendita vitalizia, nonché all’indennizzo per danno biologico da morte.

3. Avverso questa pronuncia l’INAIL propone ricorso per cassazione con tre motivi.

Resistono con controricorso le parti intimate che hanno depositato anche memoria,

MOTIVI DELLA DECISIONE

1. 11 ricorso è articolato in tre motivi.

Con il primo motivo l’Istituto denuncia la violazione dell’art. 2 del D.P.R. n. 11124 del 30 giugno 1965, come modificato dall’art. 12 deI decreto_legislativo_38_2000; nonché l’erronea motivazione in ordine ad un punto decisivo della controversia, il tutto in relazione ai nn. 3 e 5 dell’art 360 c. 3 del c.p.c. Assume I ‘ INAIL che, avendo accertato sia il Tribunale che la Corte di Appello che l’incidente si era verificato alle ore 17,00, la scelta del mezzo di trasporto privato era una semplice comodità e non necessità. Ne derivava, pertanto che si era alla presenza di un puro rischio c.d. elettivo.

Con il secondo motivo l‘Istituto denuncia la violazione dell’art 85 del d.P.R. n. 1124/1965. Assume l’INAIL che la rendita vitalizia di cui all’art. 85 del d.P.R. n. 1124/1965 spetta oltre che al coniuge superstite esclusivamente ai figli minori studenti entro il 21° anno d’età ed universitari sino al 26 anno di età ovvero inabili.

Presupposti questi che nella specie non ricorrevano.

Con il terzo motivo l’Istituto denuncia la violazione dell’art. 13 comma 9 del d. lgs. n. 38 del 23.2.2000 nonché l’erronea motivazione circa un punto decisivo delta controversia, il tutto in relazione ai nn. 3 e 5 del codice di procedura civile. L’INAIL si duole della condanna dell’Istituto al pagamento della somma di € 172.000,00 a titolo di danno biologico. A sostegno della propria tesi l’istituto richiama il comma 9 dell’art 13 del DPR n. 1124/1965 ed assume la non indennizzabilità a tale titolo degli eredi del danno biologico che sarebbe spettato al defunto. Inoltre deduce l’istituto ricorrente che nel secondo comma lettera a della tabella, per l’indennizzo da danno biologico si fa riferimento all’età dell’ assicurato al momento della guarigione”. Sostiene, inoltre l’lstituto che, ai sensi dell’ n. 13 in questione, non è prevista l’indennizzabilità del danno biologico temporaneo e, trattandosi di un tempo relativamente breve intercorso tra I’infortunio e la morte, l’indennizzo sarebbe del tutto irrisorio.

2. 11 primo motivo del ricorso è infondato

I giudici di merito, con motivazione sufficiente e non contraddittoria hanno ritenuto sussistente nella specie i presupposti dell ‘infortunio in itinere suscettibile di indennizzo.

Va in generale ribadito (cfr. Cass. sez. lav. 27 gennaio 2006. n. 1712) che perché un infortunio occorso a un lavoratore possa ritenersi verificato in occasione di lavoro e, in quanto tale, tutelato dalle specifiche norme di protezione antinfortunistiche, occorre che sussista uno specifico collegamento tra l’evento lesivo e l’attività lavorativa, in particolare ha precisato Cass., sez. lav., 4 aprile 2005. n. 6929 ai fini dell’indennizzabilità dell’infortunio in itinere, anche in caso di utilizzo del mezzo di trasporto privato deve aversi riguardo ai criteri che individuino la legittimità o meno dell’uso del mezzo in questione secondo gli «standars» comportamentali esistenti nella società civile e rispondenti ad esigenze tutelate dall’ordinamento, quali un più intenso legame con la comunità familiare ed un rapporto con l’attività lavorativa diretto ad una maggiore efficienza delle prestazioni.

In particolare, ha precisato Cass. Sez. lav., 23 maggio 2008, n. 13376 l’indennizzabilità dell’infortunio subito dal lavoratore neI percorrere, con mezzo privato la distanza fra la sua abitazione ed il luogo di lavoro, postula: a) la sussistenza di un nesso eziologico tra il percorso seguito e l’evento, nel senso che tale percorso deve costituire per l’infortunato quello normale per recarsi al lavoro e per tornare alla propria abitazione: b) la sussistenza di un nesso almeno occasionale tra itinerario seguito ed attività lavorativa, nel senso che il primo non sia dal lavoratore percorso per ragioni personali o in orari non collegabili alla seconda; c) la necessità dell’uso del veicolo privato, adoperato dal lavoratore, per il collegamento tra abitazione e luogo di lavoro, da accertarsi in considerazione della compatibilità degli orari dei pubblici servizi di trasporto rispetto all’orario di lavoro dell’assicurato, ovvero della sicura fruibilità dei pubblici servizi di trasporto qualora risulti impossibile. tenuto conto delle peculiarità dell’attività svolta, la previa determinazione della durata della sua prestazione lavorativa- Presupposti questi la cui sussistenza è stata verificata dai giudici di merito.

Nella specie l’infortunio è avvenuto il 1′ agosto 2001 alle ore 17.00 allorché il prof. (…) passeggero su un motoveicolo guidato da altri, è stato coinvolto in un incidente stradale per essere stata la moto investita da una autovettura nell’incidente il prof. (…) perdeva la vita.

I giudici di merito, con valutazione in fatto non censurabile nel giudizio di legittimità hanno accertato che il prof. Docente universitario della facoltà di ingegneria di ingegneria del locale ateneo aveva necessità di rientrare presso la propria abitazione per il pranzo, seguendo egli un particolare regime dietetico che solo al proprio domicilio poteva essere scrupolosamente seguito.

Inoltre i giudici di merito hanno ritenuto che l’orario in cui si era verificato l’incidente (h. 17.00) fosse compatibile con quello di normale consumazione dei pasti.

stante le particolari abitudini del prof. (…)I che era solito allontanarsi dalla Facoltà per far ritorno a casa verso le 14,00 -14, 30.

In ordine poi al carattere necessitato della scelta del mezzo i giudici di merito hanno motivato in proposito considerando che nel periodo estivo il servizio pubblico di trasporto cittadino diradava i propri orari talché il mezzo privato diventava “una vera e propria necessità. Nella specie il prof. (…) aveva approfittato di un passaggio occasionale su un motociclo di uno studente.

Si tratta nel complesso di una tipica valutazione di merito che si sottrae al sindacato di questa Corte. Infatti il giudice di legittimità non è chiamato a riesaminare autonomamente il merito della intera vicenda processuale sottoposta al suo vaglio, bensì può e deve soltanto controllare sotto il profilo della correttezza giuridica e della coerenza logico formale le argomentazioni svolte dal giudice del merito, al quale spetta in via esclusiva l’accertamento dei fatti, all’esito della insindacabile selezione e valutazione della fonti del proprio convincimento. Il controllo di logicità del giudizio di fatto non equivale alla revisione del “ragionamento decisorio” ossia dell’opzione che ha condotto il giudice del merito ad una determinata soluzione della questione esaminata invero una revisione siffatta si risolverebbe, sostanzialmente, in una nuova formulazione del giudizio di fatto riservato al giudice del merito, e risulterebbe affatto estranea alla funzione assegnata dal l’ordinamento al giudice di legittimità.

In breve, non ravvisandosi nell’iter argomentativo della Corte di appello incongruenze o deficienze motivazionali il primo motivo deve essere disatteso.

3. Il secondo motivo di ricorso va accolto.

La Corte d’appello ha ritenuto provata la qualità di eredi dei figli superstiti del prof. (…) sulla base del certificato storico di famiglia. Ma non ha considerato che ex art. 85 d.P.R. n. 11124 del 1965 il presupposto del beneficio della rendita non è la qualità di erede la quota della rendita spetta ai figlio superstite fino al raggiungimento del diciottesimo anno di età e per i figli viventi a carico del lavoratore infortunato al momento del decesso e che non prestino lavoro retribuito, la rendita spetta fino al raggiungimento del ventunesimo anno di età, se studenti di scuola media o professionale e per tutta la durata normale del corso, ma non oltre il ventiseiesimo anno di età, se studenti universitari.

Essendo incontestato in causa che, al momento dell’infortunio, i figli del prof. (…) erano tutti laureati ed avevano superato il ventiseiesimo anno di età, consegue che unica beneficiaria della rendita IN AIL era il coniuge superstite.

Anche il terzo motivo di ricorso è fondato.

Va ribadito in proposito come già affermato da Cass. sez. III. 13 gennaio 2009. n, 455 che il danno cd. “tanatologico” o da morte immediata va ricondotto nella dimensione del danno morale, inteso nella sua più ampia accezione, come sofferenza della vittima che lucidamente assiste allo spegnersi della propria vita; ciò perché la lesione dell’integrità fisica con esito letale intervenuta immediatamente o a breve distanza dall’evento lesivo non è configurabile quale danno biologico dal momento che la morte non costituisce la massima lesione possibile del diritto alla salute, ma incide sul diverso bene giuridico della vita (Cass. sez. 3, 30 giugno 1998, n. 6404); cfr. anche C. cost n. 372 del 1994 che ha dichiarato infondata la questione di legittimità costituzionale dell’art. 2043 c. c. nella parte in cui non consente il risarcimento del danno per violazione del diritto alla vita del de cuius o del danno alla salute subito da un familiarea causa dell’evento mortale. Ed in particolare Cass. sez. 3. 28 novembre 2008. n. 28423 che ha precisato che in caso di morte che segua le lesioni dopo breve tempo la sofferenza patita dalla vittima durante l’agonia è autonomamente risarcibile non come danno biologico ma come danno morale “jure haereditatis”, a condizione però che la vittima sia stata in condizione di percepire il proprio stato, mentre va esclusa anche la risarcibilità del danno morale quando all’evento lesivo sia conseguito immediatamente lo stato di coma e la vittima non sia rimasta lucida nella fase che precede il decesso. Cfr. anche Cass, sez. III. 16 maggio 2003. ti. 7632. secondo cui non è risarcibile la domanda di risarcimento del danno da ‘perdita del diritto alla vita o danno tanatologico proposta iure hereditatis dagli eredi del de cuius, in quanto la lesione dell’integrità fisica con il verificarsi dell’evento tende immediatamente o a breve distanza di tempo dall’evento lesivo non è configurabile come danno tanatologico. in quanto comporta la perdita del bene giuridico della vita in capo al soggetto che non può tradursi nel contestuale acquisto al patrimonio della vittima di un corrispondente diritto al risarcimento, trasferibile agli eredi attesa la funzione non sanzionatoria ma di reintegrazione e riparazione degli effettivi pregiudizi svolta dal risarcimento del danno e la conseguente impossibilità che, con riguardo alla lesione di un bene intrinsecamente connesso alla persona del suo titolare e da questi fruita solo in natura, esso operi quando la persona abbia cessato di esistere, non essendo possibile un risarcimento per equivalente che operi quando la persona più non esiste.

Pertanto il danno per perdita della vita non rientra nella nozione di danno biologico quale accolta dall’ad 13 d. lgs 23 febbraio 2000 n. 38 al fine dell’assicurazione contro gli infortuni sul lavoro e le malattie professionali nozione che fa riferimento alla ‘lesione dell’ integrità psicofisica” suscettibile di valutazione medico- legale e causativa di una menomazione valutabile secondo le tabelle di cui al d.m. 12 luglio 2000; entro questo limite opera l’assicurazione sociale del danno biologico.

In ogni caso – tenuto conto del fatto che la morte è sopraggiunta a breve distanza dall’incidente (1.3 ore) può richiamarsi in proposito anche Cass, sez. lav, 13 gennaio 2006. n. 517. secondo cui la lesione dell’integrità fisica con esito letale, intervenuta immediatamente o a breve distanza dall’evento lesivo, non è configurabile come danno biologico giacché la morte non costituisce la massima lesione possibile del diritto alla salute, ma incide sul diverso bene giuridico della vita.

5 In conclusione il ricorso va respinto nel suo primo motivo ed accolto quanto al secondo e terzo motivo.

L’impugnata sentenza va quindi cassata limitatamente ai motivi accolti e, non essendo necessari ulteriori accertamenti di merito, può respingersi la domanda dei figli superstiti del prof. (…), alla rendita INAIL e la domanda del coniuge superstite degli stessi figli superstiti aI risarcimento del danno biologico.

Sussistono giustificati motivi (in considerazione dell’accoglimento solo parziale del ricorso) per compensare tra le parti le spese dell’intero giudizio

PER QUESTI MOTIVI

La Corte rigetta il primo motivo di ricorso accoglie il secondo ed il terzo motivo cassa la sentenza impugnata nei limiti dei motivi accolti e decidendo nel merito rigetta la domanda dei figli superstiti del prof. (…) e rigetta la domanda avente ad oggetto il danno biologico.

Compensa tra te parti le spese dell’intero processo

Depositata in Cancelleria

il 27.05.2009

Corte Costituzionale sentenza 173 del 2009 Intercettazioni (2009-06-17)

LA CORTE COSTITUZIONALE

riuniti i giudizi,

dichiara l’illegittimità costituzionale dell’art. 240, commi 4 e 5, del codice di procedura penale, nella parte in cui non prevede, per la disciplina del contraddittorio, l’applicazione dell’art. 401, commi 1 e 2, dello stesso codice;

dichiara l’illegittimità costituzionale dell’art. 240, comma 6, cod. proc. pen., nella parte in cui non esclude dal divieto di fare riferimento al contenuto dei documenti, supporti e atti, nella redazione del verbale previsto dalla stessa norma, le circostanze inerenti l’attività di formazione, acquisizione e raccolta degli stessi documenti, supporti e atti;

dichiara inammissibile la questione di legittimità costituzionale dell’art. 240, commi 3, 4, 5 e 6, cod. proc. pen., sollevata dal Giudice per le indagini preliminari del Tribunale di Vibo Valentia, in riferimento agli artt. 24, 111, primo, secondo e quarto comma, e 112 della Costituzione, con l’ordinanza indicata in epigrafe (r.o. n. 50 del 2008);

dichiara inammissibile la questione di legittimità costituzionale dell’art. 240, commi 3, 4, 5 e 6, cod. proc. pen., sollevata dal Giudice per le indagini preliminari del Tribunale di Milano, in riferimento agli artt. 24, primo e secondo comma, 111, primo, secondo e quarto comma, e 112 della Costituzione, con l’ordinanza indicata in epigrafe (r.o. n. 84 del 2008).

Così deciso in Roma, nella sede della Corte costituzionale, Palazzo della Consulta, il 22 aprile 2009.

F.to:

Francesco AMIRANTE, Presidente

Gaetano SILVESTRI, Redattore

Giuseppe DI PAOLA, Cancelliere

Depositata in Cancelleria l’11 giugno 2009.

Il Direttore della Cancelleria

F.to: DI PAOLA

Cassazione I civile 20 maggio 2009, n. 11803 Immigrazione, ricongiungimento familiare, reddito, alloggio (2009-06-17)

REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

PRIMA SEZIONE CIVILE

ha pronunciato la seguente

SENTENZA

sul ricorso 19295-2006 proposto da:

MINISTERO DELL’INTERNO, in persona del Ministro in Carica, elettivamente domicjliato in ROMA, VIA DEI PORTOGHESI 12, presso l’AVVOCATURA GENERALE DELLO STATO, che lo rappresenta e difende ope Iegis;

– ricorrente

contro

– controricorrente –

avverso il decreto Rg. 482/05 della CORTE D’APPELLO di MILANO, depositato il 10.01.2006 il 20/01/2006;

udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio dei 27/01/2009 dai Consigliere e Relatore Dott. GIUSEPPE SALME’

udito l’Avvocato P. DARIO per il controricorrente che insiste nel rigetto del ricorso;

udito il P.G. in persona del Dott. MARINELLI VINCENZO che conferma le conclusioni scritte.

Svolgimento del processo

La corte d’appello di Milano con decreto deI 20 gennaio 2005 ha respinto l’appello proposto dal Ministero dell’ Interno avverso il decreto del tribunale di Milano dell’ 11 luglio 2005, con il quale è stato annullato il rifiuto del Questore di Lecco di concessione del nulla osta per il ricongiungimento familiare richiesto dal cittadino senegalese … in favore della figlia …, nata il 18 novembre 1985.

La corte territoriale, premesso che il nulla osta era stato rifiutato per l’accertata mancanza di un contratto di lavoro della durata di almeno un anno da parte del richiedente, ha osservato che quando sia richiesto il ricongiungimento con una figlio minore (tale essendo la figlia del richiedente al momento della richiesta) l’art. 29, 3 comma lettera b) del d. lgs. n. 286 del 1998 richiede non la titolarità di un contratto di lavoro a tempo indeterminato di durata non inferiore ad un anno ma soltanto che lo straniero dimostri la disponibilità di un reddito annuo derivante da fonti lecite non inferiore all’importo annuo dell’assegno sociale e ha rilevato che lo straniero aveva fornito la prova, mediante produzione di buste paga di percepire nell’ultimo anno un reddito ben superiore alla soglia minima prevista dalla legge.

Il Ministero dell’inteno ha proposto ricorso per cassazione articolato in due motivi.

Resiste con controricorso il …

Motivi della decisione

1. Deducendo diversi profili di violazione e falsa applicazione dell’art. 29 del d. lgs. n. 286 del 1998, il Ministero lamenta che la corte territoriale abbia fatto applicazione della lettera b) della citata disposizione, riguardante i figli minori, mentre nella specie, avendo la stessa compiuto la maggiore età dopo la domanda di nulla osta, avrebbe dovuto farsi applicazione della lettera b bis. Lamenta inoltre che non stata richiesta la dimostrazione della titolarità di un rapporto di lavoro di durata almeno annuale.

2. Il ricorso à manifestamente infondato.

L’art. 29, 30 comma lettera lettera b) d.lgs. n. 286/1998, nel caso in cui lo straniero richieda il

ricongiungimento con figlio minore: a) di un alloggio che rientri nei parametri minimi previsti dalla legge regionale per gli alloggi di edilizia residenziale pubblica, ovvero, nel caso di un figlio di età inferiore agli anni 14 al seguito di uno dei genitori, del consenso del titolare dell’alloggio nel quale il minore effettivamente dimorerà; b) di un reddito annuo derivante da fonti lecite non inferiore all’importo annuo dell’assegno sociale se si chiede il ricongiungimento di un solo familiare, al doppio dell’importo annuo dell’assegno sociale se si chiede il ricongiungimento di due o tre familiari, al triplo dell’importo annuo dell’assegno sociale se si chiede il ricongiungimento di quattro o più familiari. Ai fini della determinazione del reddito si tiene conto anche del reddito annuo complessivo dei familiari conviventi con il richiedente.

Il secondo comma della disposizione indicata, nel testo risultante dalle modifiche introdotte, prima con l’art, 23, l comma della legge n. 189 del 2002 e poi con l’art. 2, 10 comma lettera e) del d.lgs. n. 5 del 2007, dispone che ai fini del ricongiungimento si considerano minori i figli di età inferiore a diciotto anni al momento della presentazione dell’istanza di ricongiungimento. La norma ha un’evidente natura interpretativa, e quindi efficacia retroattiva, essendo diretto a risolvere, in senso conforme al principio generale che la durata del procedimento non può andare a danno dell’interessato, la questione del momento rilevante per l’accertamento del requisito soggettivo della minore età.

Non v’è dubbio, pertanto che, trattandosi di ricongiungimento con figlio minore i requisiti oggettivi siano quelli indicati nelle lettere a) e b) del terzo comma dell’art. 29 cit., in particolare il requisito reddituale di cui alla lettera b) come correttamente hanno ritenuto i giudici del merito

Il ricorso deve essere rigettato.

Le spese seguono la soccombenza.

P.Q.M.

La Corte rigetta il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese che si liquidano in € 1.500,00 (di cui € 1.00, 00 per esborsi) oltre alle spese generali e agli accessori come per legge.

DEPOSITATO N CANCELLERIA il 20.05.2009.