Parere legale motivato di diritto civile in tema di irreperibilità o rifiuto di ricevere la notifica ex art. 140 c.p.c.

La questione giuridica in esame interessa Sempronio che si vede notificare un decreto ingiuntivo – effettuata ex art. 140 cod. proc. civ.- ma di cui ha avuto conoscenza alcuni giorni dopo la notifica.
A causa di detta mancata conoscenza in tempo utile Sempronio non può appellarsi.
Infatti il decreto è efficace per il destinatario dal giorno in cui l’ufficiale giudiziario spedisce al destinatario la raccomandata.
Quindi l’opposizione dovrebbe considerarsi tardiva e quindi improcedibile, perché proposta oltre il termine decadenziale di quaranta giorni di cui all’art. 641, primo comma, cod. proc. civ.
Mentre, se si considera efficace per il destinatario il giorno di effettivo il ritiro del piego o decorsi i dieci giorni successivi alla spedizione , l’opposizione dovrebbe considerarsi tempestiva e quindi procedibile.
Infatti è del tutto evidente che l’art 140 c.p.c. è in contrasto con gli artt. 3 e 24 Cost. nella parte in cui, secondo il diritto vivente, fa decorrere gli effetti della notifica, per il destinatario della stessa, dal momento in cui l’ufficiale giudiziario, dopo aver eseguito il deposito dell’atto da notificare presso la casa comunale ed aver affisso il prescritto avviso alla porta dell’abitazione del destinatario, completa l’iter notificatorio inviando al destinatario medesimo una raccomandata con avviso di ricevimento contenente notizia dell’avvenuto deposito, anziché prevedere che la notificazione si ha per eseguita decorsi dieci giorni dalla data di spedizione della lettera raccomandata ovvero dalla data del ritiro della copia dell’atto, se anteriore.
E’ ravvisabile nella norma in esame affianco all’effetto anticipato per il notificante un ulteriore provvisorio e anticipato effetto per il destinatario.
La cassazione a Sezioni unite con l’ordinanza n. 627 del 2008 ha affermato che, nel caso della notifica del ricorso per cassazione sia a mezzo posta sia ex art.140 cod. proc. civ., l’avviso di ricevimento non è un elemento costitutivo della notifica, bensì esclusivamente una prova dell’intervenuto perfezionamento del procedimento notificatorio.
Ma si rammenta che sussiste conoscibilità nel momento in cui un atto entra nella sfera del destinatario, il che accade successivamente al momento in cui viene spedito in tale direzione come si trova riscontro, sul piano sostanziale, nell’art. 1335 cod. civ., che pone la presunzione di conoscenza degli atti ricettizi nel momento in cui giungono all’indirizzo del destinatario, e non nel momento in cui sono spediti a tale indirizzo.
Ergo quindi non vi è un’adeguata tutela per il destinatario che si costituisce: «se il destinatario si costituisce, per legge egli ha avuto conoscenza non quando la raccomandata informativa è giunta al suo indirizzo, bensì quando vi è stata spedita».
Per lo stesso destinatario che si costituisce vi sarebbe una riduzione dei termini a difesa (siano quelli per proporre una opposizione, siano quelli di comparizione per una costituzione tempestiva) rispetto ai soggetti che ricevono la notifica a mani proprie oppure a mezzo posta.
La stessa Corte di cassazione, con l’ordinanza delle Sezioni unite n. 458 del 2005, ha considerato comunque necessario che il notificante, esibendo l’avviso di ricevimento, ponga il giudice nelle condizioni di verificare se l’atto sia stato effettivamente consegnato al destinatario o sia comunque convenientemente entrato nella sua sfera di conoscibilità.
Così interpretata l’art. 140 cod. proc. civ non prevedendo che il contraddittorio si instauri all’atto della consegna al destinatario o al verificarsi della compiuta giacenza della suddetta raccomandata – violerebbe la Costituzione, per irragionevolezza, per ingiustificata disparità di trattamento rispetto alla notificazione di atti giudiziari a mezzo posta, per l’incidenza sul diritto di difesa del destinatario e per la lesione dei principi costituzionali in materia di giusto processo.
Ciò comporta che il notificante evita ogni decadenza a suo carico con la consegna dell’atto all’ufficiale giudiziario, mentre il destinatario trascurando la ricezione della stessa soffre di una riduzione dei termini per lo svolgimento delle successive attività difensive, giacché questi cominciano a decorrere da un momento anteriore rispetto a quello dell’effettiva conoscibilità dell’atto.
Nell’attuale sistema normativo si è dunque verificata una discrasia, ai fini dell’individuazione della data di perfezionamento della notifica per il destinatario.
È evidente che la disposizione così come interpretata dal diritto vivente, facendo decorrere i termini per la tutela in giudizio del destinatario da un momento anteriore alla concreta conoscibilità dell’atto a lui notificato, viola i parametri costituzionali, per il non ragionevole bilanciamento tra gli interessi del notificante, su cui ormai non gravano più i rischi connessi ai tempi del procedimento notificatorio, e quelli del destinatario, in una materia nella quale, invece, le garanzie di difesa e di tutela del contraddittorio devono essere improntate a canoni di effettività e di parità.
Infatti la corte costituzionale (Corte cost., 14-01-2010, n. 3)dichiarata l’illegittimità costituzionale dell’art. 140 cod. proc. civ., nella parte in cui prevede che la notifica si perfeziona, per il destinatario, con la spedizione della raccomandata informativa, anziché con il ricevimento della stessa o, comunque, decorsi dieci giorni dalla relativa spedizione.

Parere legale motivato di diritto penale.Tentato omicidio doloso.

Parere offerto dal dott. Domenico CIRASOLE

La questione giuridica in esame vede interessato il sig. Tizio, che nel corso di un raid punitivo, avrebbe tentato di uccidere Mevio colpevole di non aver saldato un debito contratto con Caio.

Sempronio genero della vittima rilascia delle dichiarazioni senza che abbia materialmente assistito al raid, avendo solo riferito cose apprese da altri desumendo la sussistenza dei gravi indizi di colpevolezza, precisando e distinguendo ciò che ha riferito avendolo percepito direttamente, da ciò che ha dichiarato per averlo appreso dalla moglie e dalla suocera, quindi ricostruendo le modalità dell’attentato sulla base di elementi logici di natura indiziaria, con forti connotazioni di precisione e concordanza, offrendo una credibile spiegazione circa le ragioni del raid, determinate da un debito della vittima nei confronti di Caio.
L’attentato è stato posto in essere con l’uso di armi da sparo, mirando verso il balcone in cui si trovava il Tizio, sicchè è corretto ritenere l’ipotesi del tentato omicidio sulla base dell’idoneità degli atti e dei mezzi a provocare la morte della vittima.
Inoltre vi è dolo nel tentativo di omicidio, in quanto la volontà dell’agente a cagionare la morte della vittima, può essere desunti dalle regole di esperienza e che possono essere rappresentati dalla micidialità del mezzo adoperato, dalla reiterazione dell’azione, dalla mancanza di motivazioni alternative dell’azione, desumendo il tutto dall’utilizzo delle armi e dei numerosi colpi esplosi, tutti indirizzati verso il suo balcone.

Infine, vi è l’aggravante di cui alla L. n. 203 del 1991, art. 7 non solo per le modalità dell’azione, ma per l’appartenenza degli autori del fatto a clan camorristici. (Cass. pen. 13-07-2010, n. 27092)

Parere motivato di diritto civile in merito a concorsi pubblici interni per il passaggio di qualifica.

Parere offerto dal dott. Domenico CIRASOLE

La questione giuridica in esame vede interessati Caio e Sempronio unitamente ad altri loro colleghi, che esponevano di esser tutti ex dirigenti di cancelleria addetti a vari Tribunali.
Gli stessi esponevano che era stato pubblicato il CCNL per il comparto e che era stato infine pubblicato il vero e proprio bando di concorso per 500 posti.
Caio e Sempronio unitamente ad altri avevano presentato domanda, ma erano stati esclusi dal concorso poiché erano nel frattempo cessati dal servizio.
Gli stessi contestano l’esclusione rappresentando che la tardiva domanda era stata determinata soltanto dal ritardo del Ministero nel bandire il concorso, e chiedono il loro diritto a partecipare al concorso per 500 posti livello, nonché annullare e/o revocare i provvedimenti di loro esclusione dal concorso , ovvero ordinare al Ministero di procedere a nuovo scrutinio o, in alternativa, annullare e/o revocare la graduatoria approvata per i 500 posti .
In generale deve ribadirsi che, in materia di giurisdizione nelle controversie concorsuali di pubblico impiego per l’attribuzione ai dipendenti della qualifica superiore la fattispecie è rimessa alla giurisdizione del giudice amministrativo.
Dove il concorso interno riguardi la progressione verso una qualifica superiore della stessa area ovvero verso una qualifica superiore tout court, in tal caso la giurisdizione è del giudice ordinario.
Vi è quindi un carattere residuale, eccezionale, limitato della giurisdizione del giudice amministrativo in materia di concorsi pubblici interni per il passaggio di qualifica (Cass., sez. un., 23 aprile 2008, n. 10459; id, 28 novembre 2005, n. 25042).

Dunque la corte ha ribadito l’applicazione del D.Lgs. n. 165 del 2001, art. 63, comma 4, nel riservare alla giurisdizione del giudice amministrativo le controversie in materia di procedure concorsuali per l’assunzione dei dipendenti delle pubbliche amministrazioni.
Mentre assegna al giudice ordinario le controversie attinenti a concorsi interni che comportino il passaggio da una qualifica ad un’altra nell’ambito della stessa area (Cass., sez. un., 4 giugno 2007, n. 13049).
Detto ciò l’amministrazione che ha bandito il concorso in esame, lo ha comunque circoscritto ad un’ipotesi di mobilita verticale, ovvero da una qualifica ad un’altra superiore.
In detta fattispecie in materia di controversie nel lavoro pubblico privatizzato – come già ricordato – la giurisdizione è del giudice ordinario. (Cass. civ. Sez. Unite, 25-05-2010, n. 12764).

Parere di diritto civile: Svolgimento di mansioni ulteriori, compiti che non erano professionalmente equivalenti a quelle in precedenza assegnategli

Il caso giuridico in esame vede interessato il sig. CAIO che dichiara di essere stato adibito allo svolgimento di mansioni ulteriori rispetto a quelle di custodia, e precisamente delle mansioni di pulizia degli impianti e dei servizi igienici.
Caio assumeva l’illegittimità di tale ulteriore adibizione atteso che i nuovi compiti, non erano professionalmente equivalenti a quelle in precedenza assegnategli.
Caio chiedeva quindi la condanna del Comune al risarcimento del danno derivante dalla dequalificazione professionale.
Inoltre egli non poteva compiere dette mansioni perchè affetto da malattia cardiaca per la quale era stato riconosciuto invalido nella misura del 25% e non idoneo alla qualifica di operatore della nettezza urbana.
Il D.Lgs. n. 165 del 2001, art. 52 prevede che il lavoratore deve essere adibito "alle mansioni per le quali è stato assunto o alle mansioni considerate equivalenti nell’ambito della classificazione professionale prevista dai contratti collettivi".
L’equivalenza deve essere valutata in concreto, valutando se le nuove mansioni abbiano pari valore professionale rispetto a quelle in precedenza svolte.
Sul concetto di equivalenza, è il giudice a valutare se determinate mansioni possono essere, in concreto, ritenute equivalenti, sulla base del bagaglio professionale necessario per svolgerle.
L’equivalenza contrattuale sta a significare che la disciplina collettiva che fa riferimento alla qualifica si applica di norma a tutte tali mansioni così accorpate, ancorchè espressione di diverse professionalità" (Cass. SS.UU., 24.11.2006, n. 25033).

In quest’ottica, affinchè le mansioni possano essere considerate equivalenti è sufficiente la previsione in tal senso della contrattazione collettiva. (Cass. SS.UU., 4.4.2008, n. 8740; Cass. sez. lav., 21.5.2009, n. 11835).