DECRETO DEL PRESIDENTE DELLA REPUBBLICA 15 luglio 2010 Scioglimento del consiglio comunale di Locorotondo.

Aggiornamento offerto dal dott. Domenico Cirasole

Gazzetta Ufficiale – Serie Generale n. 185 del 10-8-2010

IL PRESIDENTE DELLA REPUBBLICA

Considerato che nelle consultazioni elettorali del 13 e 14 aprile
2008 sono stati rinnovati gli organi elettivi del comune di
Locorotondo (Bari);
Considerato altresi’ che, in data 23 giugno 2010, il sindaco e’
deceduto;
Ritenuto, pertanto, che, ai sensi dell’art. 53, comma 1, del
decreto legislativo 18 agosto 2000, n. 267, ricorrano gli estremi per
far luogo allo scioglimento della suddetta rappresentanza;
Visto l’art. 141, comma 1, lettera b), n. 1, del decreto
legislativo 18 agosto 2000, n. 267;
Sulla proposta del Ministro dell’interno, la cui relazione e’
allegata al presente decreto e ne costituisce parte integrante;

Decreta:

Il consiglio comunale di Locorotondo (Bari) e’ sciolto.
Dato a Roma, addi’ 15 luglio 2010

NAPOLITANO

Maroni, Ministro dell’interno

Testo non ufficiale. La sola stampa del dispositivo ufficiale ha carattere legale.

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Corte Costituzionale, Ordinanza n. 261/2010, interruzione del processo per intervenuta dichiarazione di fallimento della parte

Aggiornamento offerto dal dott. Domenico Cirasole

Gazzetta Ufficiale – 1ª Serie Speciale – Corte Costituzionale n. 30 del 28-7-2010

Ordinanza

nel giudizio di legittimita’ costituzionale dell’art. 305 del codice
di procedura civile, promosso dal Tribunale di Vicenza nel
procedimento vertente tra R. C. e la Gemma s.r.l. ed altri, con
ordinanza del 28 agosto 2009, iscritta al n. 293 del registro
ordinanze 2009 e pubblicata nella Gazzetta Ufficiale della Repubblica
n. 49, 1ª serie speciale, dell’anno 2009.
Visto l’atto di intervento del Presidente del Consiglio dei
ministri;
Udito nella camera di consiglio del 9 giugno 2010 il Giudice
relatore Alessandro Criscuolo.
Ritenuto che il Tribunale di Vicenza, con ordinanza depositata il
28 agosto 2009, ha sollevato, in riferimento agli articoli 24,
secondo comma, e 111, secondo comma, della Costituzione, questione di
legittimita’ costituzionale dell’articolo 305 del codice di procedura
civile «nella parte in cui prevede, nel caso di fallimento della
parte costituita, che il termine perentorio per la riassunzione del
processo decorra, per le parti diverse da quella fallita, dalla data
dell’interruzione anziche’ dalla data in cui tali parti ne abbiano
avuto effettiva conoscenza»;
che, come il rimettente riferisce, con atto di citazione
notificato in data 18 aprile 2006, R.C. ha proposto opposizione al
decreto ingiuntivo n. 407 del 2006 emesso dal Tribunale di Vicenza su
ricorso della societa’ G. s.r.l.;
che detta societa’ si e’ costituita con comparsa depositata
il 2 febbraio 2007;
che nell’udienza fissata in pari data il giudice, concessa la
provvisoria esecuzione del decreto ingiuntivo, ha ordinato la
chiamata in causa della G. P. s.n.c., la quale si e’ costituita con
comparsa depositata il 20 luglio 2007;
che all’udienza celebrata in quella data il giudice, concessi
alle parti i termini di cui all’art. 183, sesto comma, cod. proc.
civ., ha rinviato al 19 giugno 2008 per l’ammissione delle prove;
che, con atto depositato il 20 gennaio 2008, e’ intervenuta
in causa la R. s.r.l., assumendo di essere cessionaria del credito
della convenuta, oggetto del decreto ingiuntivo;
che l’udienza del 19 giugno 2008 e’ stata rinviata di ufficio
al 1° ottobre 2008;
che in tale udienza sono comparsi i soli difensori
dell’opponente, della terza chiamata in causa e della terza
intervenuta;
che alla medesima udienza l’opponente ha depositato una
visura camerale dalla quale e’ risultato che l’opposta era stata
dichiarata fallita dal Tribunale di Verona in data 11 marzo 2008;
che il giudice ha dichiarato l’interruzione del processo, ai
sensi dell’art. 43, terzo comma, del regio decreto 16 marzo 1942, n.
267 (Disciplina del fallimento, del concordato preventivo,
dell’amministrazione concordata e della liquidazione coatta
amministrativa), introdotto dall’art. 41 del decreto legislativo 9
gennaio 2006 n. 5 (Riforma organica della disciplina delle procedure
concorsuali a norma dell’art. 1, comma 5, della legge 14 maggio 2005
n. 80);
che, con ricorso depositato in data 19 marzo 2009,
l’opponente ha riassunto il processo, chiedendo la fissazione
dell’udienza per la prosecuzione dello stesso;
che tale udienza si e’ tenuta in data 24 giugno 2009;
che, con atto depositato il 3 giugno 2009, il fallimento G.
s.r.l. si e’ costituito eccependo, in via preliminare, l’estinzione
del processo per omessa tempestiva riassunzione nel termine di sei
mesi dalla data della dichiarazione di fallimento;
che alla predetta udienza l’opponente ha contestato che fosse
decorso il termine di sei mesi previsto dall’art. 305 cod. proc.
civ., ritenendo che tale termine decorresse, anche dopo la modifica
dell’art. 43 della legge fallimentare, dalla data di dichiarazione in
udienza dell’intervenuto fallimento e non dalla data della sentenza
di fallimento;
che, in subordine, l’opponente ha chiesto che fosse sollevata
questione di legittimita’ costituzionale dell’art. 305 cod. proc.
civ., mentre il fallimento G. s.r.l. ha insistito nella propria
eccezione di estinzione del processo;
che il giudice a quo ritiene applicabili al processo in corso
l’art. 305 cod. proc. civ., nel testo anteriore alle modifiche
apportate dall’art. 46, comma 14, della legge 18 giugno 2009 n. 69
(Disposizioni per lo sviluppo economico, la semplificazione, la
competitivita’ nonche’ in materia di processo civile) e l’art. 43
della legge fallimentare, nel testo risultante dalle modifiche
apportate con il d.lgs. n. 5 del 2006;
che, in particolare, il rimettente osserva che l’art. 305
cod. proc. civ., cosi’ come riformato, si applica solo ai processi
iniziati dopo la data di entrata in vigore della legge n. 69 del
2009, per cui non trova applicazione nel giudizio a quo;
che, ad avviso del giudicante, la questione comunque rileva
anche con riferimento al testo modificato dell’art. 305 cod. proc.
civ., in cui e’ previsto un termine piu’ breve per la riassunzione
del processo a seguito di interruzione dello stesso;
che, inoltre, il giudice a quo ritiene che l’art. 43 della
legge fallimentare, come integrato dal d.lgs. n. 5 del 2006, sia
applicabile alla fattispecie in esame, a norma degli artt. 150 e 153
del medesimo decreto legislativo, perche’ il fallimento della G.
s.r.l. e’ stato dichiarato dopo l’entrata in vigore della riforma,
cioe’ dopo il 16 luglio 2006;
che, infine, il rimettente osserva che l’art. 41 del citato
d.lgs. e’ applicabile anche ai processi pendenti, trattandosi di
norma processuale;
che, in punto di non manifesta infondatezza, il giudice a quo
afferma che, fino alla modifica della legge fallimentare operata nel
2006, nel caso di fallimento della parte costituita l’interruzione
del processo, a norma dell’art. 300, primo e secondo comma, cod.
proc. civ., conseguiva alla dichiarazione in giudizio o alla
notificazione dell’evento da parte del procuratore costituito per la
fallita;
che, invece, l’art. 41 del d.lgs. n. 5 del 2006 ha aggiunto
all’art. 43 della legge fallimentare il seguente comma: «l’apertura
del fallimento determina l’interruzione del processo», disposizione
da interpretare nel senso che il fallimento della parte provoca,
automaticamente, detta interruzione, senza necessita’ di
dichiarazione in giudizio o di notificazione alle parti dell’evento;
che in tal senso, ad avviso del rimettente, si sarebbe
espressa anche la Corte di cassazione nella sentenza resa a Sezioni
unite il 20 marzo 2008, n. 7443, sicche’ non vi sarebbe spazio per
una diversa interpretazione della norma, altrimenti destinata a
rivelarsi pleonastica, in quanto l’interruzione del processo, come
conseguenza della perdita della capacita’ della parte fallita di
stare in giudizio, sarebbe gia’ prevista dall’art. 300 cod. proc.
civ.;
che, con particolare riferimento al giudizio in corso,
secondo il rimettente la questione sarebbe rilevante perche’ il
deposito del ricorso in riassunzione (19 marzo 2009) e’ avvenuto dopo
il decorso del termine di sei mesi dalla data del fallimento (11
marzo 2008) e, pertanto, l’applicazione dei citati artt. 43 della
legge fallimentare e 305 cod. proc. civ. porterebbe all’accoglimento
dell’eccezione di estinzione del processo e alla definitiva
esecutivita’ del decreto ingiuntivo, a norma dell’art. 653 cod. proc.
civ.;
che, inoltre, secondo il giudice a quo, benche’ al momento
della dichiarazione d’interruzione del processo (udienza del 1°
ottobre 2008) il termine semestrale, tenuto conto della sospensione
feriale, non fosse ancora spirato e la parte fosse a conoscenza
dell’atto interruttivo, tale argomento non sarebbe decisivo per
affermare che non vi sia stata violazione del diritto di difesa e del
diritto di uguaglianza delle parti nel processo, non essendo noto il
momento in cui l’opponente era venuta a conoscenza del fallimento e
non essendo provato che ne fosse a conoscenza prima dell’udienza del
1° ottobre 2008; sicche’, in ogni caso, essa avrebbe avuto a
disposizione un termine assai breve e del tutto insufficiente per
valutare l’opportunita’ di proseguire nell’attivita’ processuale
oppure di lasciare che il processo si estinguesse;
che, in particolare, il rimettente ritiene, alla luce della
modifica della legge fallimentare, che il fallimento della parte
costituita produca l’effetto automatico dell’interruzione del
processo cosi’ come gia’ previsto dagli artt. 299, 300, terzo comma,
e 301 cod. proc. civ., per le ipotesi, rispettivamente, della morte o
della perdita della capacita’ di stare in giudizio della parte non
ancora costituita; della medesima evenienza con riguardo alla parte
costituita personalmente; della morte, radiazione o sospensione del
procuratore della parte costituita;
che, in relazione a dette ipotesi, la Corte costituzionale e’
intervenuta per dichiarare la illegittimita’ costituzionale dell’art.
305 cod. proc. civ. nella parte in cui fa decorrere il termine per la
riassunzione dall’interruzione del processo, anziche’ dal momento in
cui le parti hanno avuto conoscenza dell’evento;
che, al riguardo, il giudice a quo cita la pronunzia n. 139
del 1967 concernente l’art. 301 cod. proc. civ. e quella n. 159 del
1971 relativa agli artt. 299 e 301, terzo comma, cod. proc. civ.;
egli richiama, inoltre, la sentenza n. 34 del 1970 in tema di
decorrenza del termine per la prosecuzione del processo sospeso, di
cui all’art. 297, primo comma, cod. proc. civ., del quale fu
dichiarata l’illegittimita’ costituzionale in base ad argomentazioni
analoghe a quelle in tema d’interruzione del processo;
che il giudicante osserva come in passato la Corte
costituzionale sia intervenuta con pronunzie di illegittimita’
dell’art. 305 cod. proc. civ., in tutti i casi in cui il codice aveva
previsto il carattere automatico dell’effetto interruttivo al
verificarsi dell’evento;
che il rimettente, inoltre, sottolinea la possibilita’ che la
parte, diversa da quella fallita, resti ignara del fallimento della
controparte anche per lungo tempo, venendo a conoscenza del
fallimento stesso dopo il decorso del termine di legge per la
riassunzione o comunque, come nel caso di specie, a ridosso del detto
termine;
che, a suo avviso, benche’ gli artt. 16 e 17 della legge
fallimentare prevedano forme di pubblicita’ volte a rendere noto ai
terzi il fallimento (peraltro, soltanto dalla data d’iscrizione della
sentenza nel registro delle imprese), sembra incongruo addossare alla
parte l’onere di effettuare continue verifiche nei registri per
controllare se la controparte e’ fallita;
che, dunque, secondo il rimettente la disposizione censurata
si pone in contrasto con l’art. 111, secondo comma, Cost. e con il
principio di uguaglianza in quanto la parte in bonis, a seguito della
modifica dell’art. 43 della legge fallimentare, e’ posta in una
posizione di svantaggio rispetto alla parte fallita perche’ ad essa
e’ imposto l’onere di svolgere indagini onerose al fine di evitare
che l’ignoranza del fallimento dell’avversario possa far maturare
preclusioni a suo danno, con esiti assai gravosi, come nei giudizi di
impugnazione;
che, inoltre, ad avviso del giudice a quo, un comportamento
malizioso o negligente della curatela, consistente nel mero astenersi
dal dare notizia all’altra parte del fallimento, puo’ trasformare un
istituto come quello dell’interruzione, diretto a garantire la parte
interessata dall’evento dal rischio che il processo prosegua in un
momento nel quale essa non puo’ svolgere attivita’ difensiva, in uno
strumento per danneggiare, anche in modo irreparabile, la controparte
ignara;
che, ancora, secondo il rimettente, la norma impugnata
risulta in contrasto anche con l’art. 24, secondo comma, Cost.,
perche’ alla parte interessata alla prosecuzione del giudizio ed
estranea all’evento interruttivo non e’ assicurato il diritto di
difesa, in modo effettivo ed adeguato; essa e’, infatti, posta nella
condizione di subire il rischio che un evento ignoto, e non
conoscibile secondo canoni di ordinaria diligenza, vada a
pregiudicare la possibilita’ di difendere le proprie ragioni nel
processo, subendo anche conseguenze assai gravi derivanti
dall’estinzione del giudizio;
che per il rimettente, anche in questo caso, e’ necessario,
per ricondurre ad equita’ il sistema, come modificato a seguito della
riforma del 2006 della legge fallimentare, un intervento della Corte
costituzionale sulla disposizione impugnata;
che il Presidente del Consiglio dei ministri, rappresentato e
difeso dall’Avvocatura generale dello Stato, e’ intervenuto in
giudizio chiedendo che la questione sia dichiarata manifestamente
inammissibile, perche’ il rimettente non avrebbe esperito il doveroso
tentativo di ricercare una interpretazione costituzionalmente
orientata della normativa censurata.
Considerato che il Tribunale di Vicenza dubita, in riferimento
agli articoli 24, secondo comma, e 111, secondo comma, della
Costituzione, della legittimita’ costituzionale dell’art. 305 del
codice di procedura civile, «nella parte in cui prevede, nel caso di
fallimento della parte costituita, che il termine perentorio per la
riassunzione del processo decorra, per le parti diverse da quella
fallita, dalla data dell’interruzione anziche’ dalla data in cui tali
parti ne abbiano avuto effettiva conoscenza»;
che la questione e’ manifestamente infondata;
che, infatti, identica questione e’ stata gia’ dichiarata non
fondata «nei sensi di cui in motivazione» da questa Corte con
sentenza n. 17 del 2010;
che nella pronunzia citata e’ stato ribadito che la
disciplina in tema d’interruzione del processo e’ espressiva
dell’esigenza di tutelare non soltanto la parte colpita dall’evento
interruttivo, ma anche di preservare il diritto di difesa della parte
cui il fatto interruttivo non si riferisce, con la conseguenza che
quest’ultima deve essere messa in grado di conoscere se si sia o meno
verificato l’evento interruttivo e da quale momento decorra il
termine per la riassunzione;
che questa Corte, dunque, richiamando i principi gia’
affermati nelle sentenze n. 36 del 1976, n. 159 del 1971, n. 34 del
1970 e n. 139 del 1967, ha nuovamente affermato che nel vigente
sistema di diritto processuale civile e’ ormai acquisito il principio
secondo cui, nei casi d’interruzione automatica del processo (artt.
299, 300, terzo comma, 301, primo comma, cod. proc. civ.), il termine
per la riassunzione decorre non gia’ dal giorno in cui l’evento
interruttivo si e’ verificato, bensi’ dal giorno in cui esso e’
venuto a conoscenza della parte interessata alla riassunzione e che
«l’art. 43 del r.d. n. 267 del 1942, con il terzo comma (aggiunto
dall’art. 41 del d.lgs. n. 5 del 2006), ha introdotto un nuovo caso
d’interruzione automatica del processo, conseguente all’apertura del
fallimento, mentre in precedenza anche nell’ipotesi di fallimento
della parte l’interruzione del processo derivava dalla dichiarazione
in giudizio o dalla notificazione dell’evento interruttivo ad opera
del procuratore costituito della parte medesima (ex multis: Cass.,
Sez. un., n. 7443 del 2008, e giurisprudenza in essa richiamata)»;
che, in particolare, nella sentenza n. 17 del 2010 questa
Corte ha affermato che il terzo comma dell’art. 43 della legge
fallimentare «nulla ha previsto per la riassunzione, sicche’ al
riguardo continua a trovare applicazione l’art. 305 cod. proc. civ.,
nel testo risultante a seguito delle ricordate pronunzie di questa
Corte e del principio di diritto che sulla base di esse si e’
consolidato. Infatti, non sono ravvisabili ragioni idonee a
giustificare, per la fattispecie qui in esame, una disciplina
giuridica diversa rispetto alle altre ipotesi d’interruzione
automatica, attesa l’identita’ di ratio e di posizione processuale
delle parti interessate, che le accomuna»;
che il rimettente non adduce elementi nuovi per superare il
convincimento qui richiamato, sicche’ va ribadita l’interpretazione
costituzionalmente orientata dell’articolo 305 cod. proc. civ. alla
luce delle sentenze citate.
Visti gli artt. 26, secondo comma, della legge 11 marzo 1953,
n. 87, e 9, comma 2, delle norme integrative per i giudizi davanti
alla Corte costituzionale.

Per questi motivi
LA CORTE COSTITUZIONALE

Dichiara la manifesta infondatezza della questione di
legittimita’ costituzionale dell’art. 305 del codice di procedura
civile, sollevata, in riferimento agli articoli 24, secondo comma, e
111, secondo comma, della Costituzione, dal Tribunale di Vicenza con
l’ordinanza indicata in epigrafe.
Cosi’ deciso in Roma, nella sede della Corte costituzionale,
Palazzo della Consulta il 7 luglio 2010.

Il Presidente: Amirante

Il redattore: Criscuolo

Il cancelliere: Di Paola

Depositata in cancelleria il 21 luglio 2010.

Il direttore della cancelleria: Di Paola

Testo non ufficiale. La sola stampa del dispositivo ufficiale ha carattere legale.

Fonte: http://www.gazzettaufficiale.it/

Corte Costituzionale, Ordinanza n. 277, disposizioni per la formazione del bilancio annuale e pluriennale dello Stato – legge finanziaria 2006

Aggiornamento offerto dal dott. Domenico Cirasole

Gazzetta Ufficiale – 1ª Serie Speciale – Corte Costituzionale n. 30 del 28-7-2010

Ordinanza nel giudizio di legittimita’ costituzionale dell’art. 1, commi 231, 232 e 233, della legge 23 dicembre 2005, n. 266 (Disposizioni per la formazione del bilancio annuale e pluriennale dello Stato – legge finanziaria 2006), promosso dalla Corte dei conti – terza sezione centrale d’appello, nei procedimenti riuniti vertenti tra il Procuratore regionale presso la sezione giurisdizionale per la Regione Calabria e G.S. ed altro, con ordinanza del 24 marzo 2009, iscritta al n. 182 del registro ordinanze 2009 e pubblicata nella Gazzetta Ufficiale della Repubblica n. 26, 1ª serie speciale, dell’anno 2009. Visti l’atto di costituzione di G.S. ed altro nonche’ l’atto di intervento del Presidente del Consiglio dei ministri; Udito nell’udienza pubblica del 6 luglio 2010 il Giudice relatore Paolo Maddalena; Uditi l’avvocato Antonino Murmura per G.S. ed altro e l’avvocato dello Stato Gabriella Palmieri per il Presidente del Consiglio dei ministri. Ritenuto che la Corte dei conti, sezione terza centrale d’appello, ha sollevato, in riferimento agli artt. 3, 24, 97 e 111 della Costituzione, questione di legittimita’ costituzionale dell’art. 1, commi 231, 232 e 233, della legge 23 dicembre 2005, n. 266 (Disposizioni per la formazione del bilancio annuale e pluriennale dello Stato – legge finanziaria 2006), nella parte in cui non prevede l’applicazione dell’istituto della definizione agevolata anche a coloro la cui sentenza di assoluzione in primo grado sia stata riformata in appello, a seguito dell’accoglimento del gravame interposto dal pubblico ministero; che, in punto di descrizione della fattispecie, il giudice a quo riferisce che la sezione giurisdizionale per la Regione Calabria della Corte dei conti, con sentenza in data 14 maggio 2005, ha mandato assolti V.R., assessore ai lavori pubblici del Comune di San Calogero, ed il responsabile dell’ufficio tecnico comunale, S.G., essendo stata, nei loro confronti, esclusa la violazione di obblighi di servizio quanto alla vigilanza sulla esecuzione dei singoli adempimenti connessi a una procedura acquisitiva per pubblica utilita’; rileva ancora che, avverso tale pronuncia, il pubblico ministero ha proposto appello, chiedendo la condanna dei convenuti assolti in primo grado, mentre il R. ed il G. hanno chiesto la conferma della pronuncia assolutoria; che le norme denunciate prevedono, con riferimento alle sentenze di primo grado pronunciate nei giudizi di responsabilita’ dinanzi alla Corte dei conti per fatti commessi antecedentemente alla data di entrata in vigore della legge, che i soggetti nei cui confronti sia stata pronunciata sentenza di condanna possono chiedere alla competente sezione di appello, in sede d’impugnazione, che il procedimento venga definito mediante il pagamento di una somma non inferiore al 10 per cento e non superiore al 20 per certo del danno quantificato nella sentenza; che la sezione di appello, con decreto in camera di consiglio, sentito il procuratore competente, delibera in merito alla richiesta e, in caso di accoglimento, determina la somma dovuta in misura non superiore al 30 per cento del danno quantificato nella sentenza di primo grado, stabilendo il termine per il versamento; che il giudizio di appello s’intende definito a decorrere dalla data di deposito della ricevuta di versamento presso la segreteria della sezione di appello; che, quanto alla rilevanza del dubbio di costituzionalita’, il giudice a quo ne motiva la sussistenza, affermando che i convenuti «erano stati assolti in primo grado ed ora l’appello principale della parte pubblica ne chiede una condanna che verrebbe eventualmente pronunciata per la prima volta in questo secondo grado del giudizio»; che, in punto di non manifesta infondatezza della questione, la Corte dei conti osserva che le disposizioni denunciate si propongono di "far cassa", vale a dire di far conseguire alle pubbliche amministrazioni con immediatezza i proventi derivanti dalle sentenze contabili di condanna pronunciate a loro favore, cui si aggiunge l’esigenza di porre sia pur parziale rimedio all’asserita esigua percentuale di realizzazioni di crediti erariali derivanti da tali sentenze: come ricorda la sentenza n. 242 del 2008 della Corte costituzionale, «la ratio delle norme in esame e’ soltanto quella di ottenere un’accelerazione del processo, nonche’ un rapido incameramento da parte dell’Erario almeno delle somme di minore entita’ e non quello di configurare una ipotesi di condono»; che, secondo il giudice rimettente, rimane «difficilmente comprensibile come un soggetto la cui responsabilita’ sia apparsa con minore evidenza non possa giovarsi di una normativa di favore, ma cio’ possa invece fare un soggetto ritenuto colpevole sin dal primo grado del giudizio»: infatti «in quest’ultimo caso il pubblico ministero contabile, avendo realizzato la propria pretesa, non potra’ proporre appello, ma nel primo [caso], non avendo conseguito successo, potra’ insistere nella sua domanda» e, «se dovesse conseguire il risarcimento in extremis», lo otterrebbe «definitivamente ed incondizionatamente, a differenza di quanto sarebbe avvenuto in primo grado, dove il risarcimento immediatamente conseguito sarebbe stato esposto al concreto rischio di una diminuzione»; che vi sarebbe una violazione del principio di eguaglianza e di parita’ processuale delle parti, giacche’, a parita’ di condizioni, un soggetto condannato in primo grado potrebbe avvalersi del beneficio, mentre un altro si vedrebbe sottratta tale facolta’ soltanto perche’ la pretesa della parte pubblica ha trovato soddisfazione nel secondo grado del giudizio; che sarebbe violato anche il principio di ragionevolezza, poiche’ l’esigenza di un rapido incameramento da parte dell’Erario permarrebbe anche in caso di condanna solo nel grado di appello, perche’ anche in tal caso l’acquisizione nel processo e prima della sua definizione di una parte delle somme porrebbe rimedio alle lungaggini ad ai rischi connessi all’esecuzione delle sentenze contabili, consentendo una pronta e sicura, pur se parziale, riscossione; che, secondo la Corte dei conti, non potrebbe negarsi alla parte privata la possibilita’ di richiedere di avvalersi della procedura in esame perche’ la pronuncia di condanna e’ intervenuta solo in appello: le norme impugnate violerebbero pertanto l’art. 24 Cost., perche’ il soccombente solo in secondo grado sarebbe espropriato dell’accesso alla procedura agevolata; che nel giudizio dinanzi alla Corte e’ intervenuto il Presidente del Consiglio dei ministri, rappresentato e difeso dall’Avvocatura generale dello Stato, che ha concluso per l’inammissibilita’ e, comunque, per la non fondatezza della questione; che la difesa erariale ricorda che, secondo la giurisprudenza costituzionale (sentenze n. 183 e n. 184 del 2007; ordinanza n. 392 del 2007), le norme di cui all’art. 1, commi 231, 232 e 233, della legge n. 266 del 2005 non comportano alcuna deroga al sistema della responsabilita’ amministrativa, ma hanno una finalita’ di accelerazione dei relativi giudizi e di garanzia dell’incameramento certo e immediato della quota di risarcimento dovuto, si muovono all’interno della discrezionalita’ decisionale spettante al giudice contabile e non producono alcun ingiustificato ed automatico meccanismo premiale, in quanto l’operativita’ di esse presuppone una valutazione di merito del giudice contabile sul fatto che l’esigenza di giustizia possa ritenersi soddisfatta a mezzo della procedura accelerata, sicche’ alla definizione in appello non puo’ accedersi in presenza di dolo del condannato o di particolare gravita’ della condotta; inoltre, la riduzione fino al trenta per cento della condanna di primo grado non e’ automatica, ma scaturisce unicamente da un esame della Corte dei conti in sede camerale, condotto in base al normale potere del giudice contabile di determinare equitativamente quanta parte del danno accertato debba essere addossato al convenuto (sentenza n. 242 del 2008); che, secondo l’Avvocatura, non saremmo in presenza di situazioni uguali trattate in modo diverso o di situazioni omogenee o assimilabili fra loro, ma di situazioni differenti che giustificano una distinta disciplina: in un caso (condanna in primo grado) c’e’ una determinazione del debito risarcitorio da parte del giudice contabile, sicche’, muovendosi all’interno del perimetro della sua discrezionalita’ decisionale, il giudice d’appello potra’ valutare se accogliere l’istanza di definizione agevolata, consentendo di soddisfare sia l’esigenza di giustizia, di accelerare i tempi di definizione del giudizio e di garantire il soddisfacimento del credito erariale con l’incameramento certo e immediato della percentuale ritenuta congrua del giudice d’appello stesso; nell’altro caso (assoluzione in primo grado) manca l’elemento fondamentale e imprescindibile della determinazione del debito risarcitorio da parte del giudice di primo grado e non si realizza neanche l’altro indefettibile presupposto dell’accelerazione del grado di giudizio d’appello e dell’effetto deflattivo del contenzioso, che dovrebbe, invece, svolgersi compiutamente proprio per quantificare l’intero danno subito dall’Amministrazione; che, ad avviso della difesa erariale, le disposizioni impugnate sono coerenti, non contraddittorie e non contrarie al principio di ragionevolezza: il giudice rimettente finirebbe per chiedere alla Corte costituzionale di «scrivere» una nuova e diversa norma, che dovrebbe avere anche presupposti diversi sotto il profilo sia qualitativo che quantitativo, e di compiere valutazioni di opportunita’ riservate alla competenza esclusiva del legislatore; che nel giudizio dinanzi alla Corte si sono costituiti S.G. e V.R., i quali hanno concluso per la declaratoria di illegittimita’ costituzionale dei commi 231, 232 e 233 dell’art. 1 della legge n. 266 del 2005, instando, in subordine, per «la possibilita’ di una decisione additiva che consenta, su esplicita istanza dell’interessato successiva alla pronuncia di accoglimento totale o parziale dell’appello», «di ottenere il beneficio previsto»; che, secondo la difesa delle parti private, la limitazione al solo condannato in prima sede del beneficio riduttivo della sanzione violerebbe lo spirito della Costituzione, poiche’ non solo derogherebbe alla norma generale della parita’ tra le parti nel processo, ma vulnererebbe canoni di logica, di senso comune e di ragionevolezza in ordine alla parita’ di trattamento rispetto alla giurisdizione: le norme denunciate, quindi, introdurrebbero una "pesante arbitrarieta’", realizzando un regime differenziato, e senza un interesse apprezzabile determinerebbero una discriminazione nei confronti dell’assolto in primo grado. Considerato che la questione di legittimita’ costituzionale investe l’art. 1, commi 231, 232 e 233, della legge 23 dicembre 2005, n. 266 (Disposizioni per la formazione del bilancio annuale e pluriennale dello Stato – legge finanziaria 2006), il quale stabilisce, con riferimento alle sentenze di primo grado pronunciate nei giudizi di responsabilita’ dinanzi alla Corte dei conti per fatti commessi antecedentemente alla data di entrata in vigore della legge, che i soggetti nei cui confronti sia stata pronunciata sentenza di condanna possono chiedere alla competente sezione di appello, in sede d’impugnazione, che il procedimento venga definito mediante il pagamento di una somma non inferiore al 10 per cento e non superiore al 20 per certo del danno quantificato nella sentenza (comma 231); che la sezione di appello, con decreto in camera di consiglio, sentito il procuratore competente, delibera in merito alla richiesta e, in caso di accoglimento, determina la somma dovuta in misura non superiore al 30 per cento del danno quantificato nella sentenza di primo grado, stabilendo il termine per il versamento (comma 232); che il giudizio di appello s’intende definito a decorrere dalla data di deposito della ricevuta di versamento presso la segreteria della sezione di appello (comma 233); che la disposizione e’ impugnata nella parte in cui non prevede l’applicazione dell’istituto della definizione agevolata a coloro la cui sentenza di assoluzione in primo grado sia stata riformata in appello, a seguito dell’accoglimento del gravame interposto dal pubblico ministero; che, ad avviso della Corte dei conti, sarebbero violati gli artt. 3 e 97 Cost., sotto il profilo della ragionevolezza, risultando privo di logica e di giustificazione che un soggetto la cui responsabilita’ sia apparsa con minore evidenza non possa giovarsi di una normativa di favore, ma cio’ possa invece fare un soggetto ritenuto colpevole sin dal primo grado del giudizio; tanto piu’ che l’esigenza di un rapido incameramento da parte dell’Erario almeno delle somme di minore entita’ permarrebbe anche in relazione alle somme dedotte in condanna solo nel grado di appello, giacche’ anche in tal caso l’acquisizione nel processo e prima della sua definizione di una parte delle somme predette porrebbe rimedio alle lungaggini ad ai rischi connessi all’esecuzione delle sentenze contabili, consentendo un pronta e sicura, pur se parziale, riscossione; che, inoltre, ad avviso del rimettente, la mancata applicazione della definizione agevolata ai condannati in appello contrasterebbe con gli artt. 3 e 111 Cost., sotto il profilo del principio di eguaglianza e di parita’ processuale delle parti, giacche’ un soggetto condannato in primo grado potrebbe avvalersi del beneficio, mentre un altro si vedrebbe sottratta tale facolta’ perche’ la pretesa della parte pubblica ha trovato soddisfazione solo nel secondo grado del giudizio; che, infine, sarebbe violato l’art. 24 Cost., perche’ il soccombente solo in secondo grado sarebbe espropriato dell’accesso alla procedura agevolata; che il petitum avanzato dal giudice rimettente riguarda la dichiarazione di illegittimita’ costituzionale della disposizione censurata nella parte in cui non consente l’accesso all’istituto della definizione agevolata anche a coloro la cui sentenza di assoluzione in primo grado sia stata riformata in appello, a seguito dell’accoglimento dell’impugnazione proposta dal pubblico ministero; che si tratta di questione che, avuto riguardo al procedimento principale, si presenta come astratta e prematura; che il giudice del gravame non ha valutato se l’impugnazione appaia, almeno prima facie, non infondata; che, difettando il presupposto prefigurato dal petitum (accertamento in appello della responsabilita’ dei convenuti, destinatari di una pronuncia di assoluzione in primo grado), manca la rilevanza attuale della questione per la definizione del giudizio a quo (cfr. sentenza n. 317 del 2009; ordinanze n. 77, n. 39 e n. 3 del 2009); che, pertanto, la questione va dichiarata manifestamente inammissibile.

Per questi motivi
LA CORTE COSTITUZIONALE

Dichiara la manifesta inammissibilita’ della questione di
legittimita’ costituzionale dell’art. 1, commi 231, 232 e 233, della
legge 23 dicembre 2005, n. 266 (Disposizioni per la formazione del
bilancio annuale e pluriennale dello Stato – legge finanziaria 2006),
sollevata, in riferimento agli artt. 3, 24, 97 e 111 della
Costituzione, dalla Corte dei conti, terza sezione centrale
d’appello, con l’ordinanza indicata in epigrafe.
Cosi’ deciso in Roma, nella sede della Corte costituzionale,
Palazzo della Consulta, il 7 luglio 2010.

Il Presidente: Amirante

Il redattore: Maddalena

Il cancelliere: Di Paola

Depositata in cancelleria il 22 luglio 2010.

Il direttore della cancelleria: Di Paola

Testo non ufficiale. La sola stampa del dispositivo ufficiale ha carattere legale.

Fonte: http://www.gazzettaufficiale.it/

DECRETO DEL PRESIDENTE DELLA REPUBBLICA 2 agosto 2010, n. 150 Regolamento recante norme relative al rilascio delle informazioni antimafia a seguito degli accessi e accertamenti nei cantieri delle imprese interessate all’esecuzione di lavori pubblic

Regolamento recante norme relative al rilascio delle informazioni antimafia a seguito degli accessi e accertamenti nei cantieri delle imprese interessate all’esecuzione di lavori pubblici.

Aggiornamento offerto dal dott. Domenico Cirasole

Gazzetta Ufficiale N. 212 del 10 Settembre 2010

IL PRESIDENTE DELLA REPUBBLICA

Visto l’articolo 87 della Costituzione;
Visto l’articolo 20 della legge 15 marzo 1997, n. 59, e l’allegato
1, n. 86;
Visto l’articolo 17, comma 94, della legge 15 maggio 1997, n. 127;
Visto il decreto del Presidente della Repubblica 3 giugno 1998, n.
252;
Vista la legge 31 maggio 1965, n. 575;
Vista la legge 17 gennaio 1994, n. 47;
Visto l’articolo 5-bis del decreto legislativo 8 agosto 1994, n.
490, introdotto dall’articolo 2, comma 2, lettera b), della legge 15
luglio 2009, n. 94;
Visto l’articolo 17, comma 2, della legge 23 agosto 1988, n. 400;
Vista la preliminare deliberazione del Consiglio dei Ministri,
adottata nella riunione del 1° aprile 2010;
Udito il parere del Consiglio di Stato, espresso dalla sezione
consultiva per gli atti normativi, nell’adunanza del 26 aprile 2010;
Acquisiti i pareri della Commissione permanente Giustizia della
Camera dei deputati in data 21 luglio 2010 e della Commissione
permanente Affari costituzionali del Senato della Repubblica in data
29 giugno 2010;
Vista la deliberazione del Consiglio dei Ministri, adottata nella
riunione del 30 luglio 2010;
Sulla proposta del Presidente del Consiglio dei Ministri e del
Ministro per la pubblica amministrazione e l’innovazione, di concerto
con i Ministri dell’interno, il Ministro della giustizia, il Ministro
per lo sviluppo economico e il Ministro delle infrastrutture e dei
trasporti;

E m a n a

il seguente regolamento:

Art. 1
Oggetto e ambito di applicazione

1. Le disposizioni del presente regolamento disciplinano le
modalita’ con le quali sono rilasciate le informazioni concernenti la
sussistenza di una delle cause di decadenza, di divieto o di
sospensione di cui all’articolo 10 della legge 31 maggio 1965, n.
575, e dei tentativi di infiltrazione mafiosa di cui all’articolo 10
del decreto del Presidente della Repubblica 3 giugno 1998, n. 252, a
seguito degli accessi e degli accertamenti effettuati presso i
cantieri delle imprese interessate all’esecuzione di lavori pubblici.
2. Ai fini di cui al comma 1 sono imprese interessate
all’esecuzione di lavori pubblici tutti i soggetti che intervengono a
qualunque titolo nel ciclo di realizzazione dell’opera, anche con
noli e forniture di beni e prestazioni di servizi, ivi compresi
quelli di natura intellettuale, qualunque sia l’importo dei relativi
contratti o dei subcontratti.

Avvertenza:
– Il testo delle note qui pubblicato e’ stato redatto
dall’amministrazione competente per materia, ai sensi
dell’art. 10, comma 3, del testo unico delle disposizioni
sulla promulgazione delle leggi, sull’emanazione dei
decreti del Presidente della Repubblica e sulle
pubblicazioni ufficiali della Repubblica italiana,
approvato con D.P.R. 28 dicembre 1985, n. 1092, al solo
fine di facilitare la lettura delle disposizioni di legge
modificate o alle quali e’ operante il rinvio. Restano
invariati il valore e l’efficacia degli atti legislativi
qui trascritti.
Note alle premesse:
– L’art. 87 della Costituzione conferisce, tra l’altro,
al Presidente della Repubblica il potere di promulgare le
leggi ed emanare i decreti aventi valore di legge e i
regolamenti.
– Si riporta il testo dell’art. 20 e dell’allegato 1,
n. 86 della legge 15 marzo1997, n. 59, recante «Delega al
Governo per il conferimento di funzioni e compiti alle
regioni ed enti locali, per la riforma della pubblica
amministrazione e per la semplificazione amministrativa:
«Art. 20. – 1. Il Governo, sulla base di un programma
di priorita’ di interventi, definito, con deliberazione del
Consiglio dei Ministri, in relazione alle proposte
formulate dai Ministri competenti, sentita la conferenza
unificata di cui all’art. 8 del decreto legislativo 28
agosto 1997, n. 281, entro la data del 30 aprile, presenta
al Parlamento, entro il 31 maggio di ogni anno, un disegno
di legge per la semplificazione e il riassetto normativo,
volto a definire, per l’anno successivo, gli indirizzi, i
criteri, le modalita’ e le materie di intervento, anche ai
fini della ridefinizione dell’area di incidenza delle
pubbliche funzioni con particolare riguardo all’assetto
delle competenze dello Stato, delle regioni e degli enti
locali. In allegato al disegno di legge e’ presentata una
relazione sullo stato di attuazione della semplificazione e
del riassetto.
2. Il disegno di legge di cui al comma 1 prevede
l’emanazione di decreti legislativi, relativamente alle
norme legislative sostanziali e procedimentali, nonche’ di
regolamenti ai sensi dell’art. 17, commi 1 e 2, della legge
23 agosto 1988, n. 400, e successive modificazioni, per le
norme regolamentari di competenza dello Stato.
3. Salvi i principi e i criteri direttivi specifici per
le singole materie, stabiliti con la legge annuale di
semplificazione e riassetto normativo, l’esercizio delle
deleghe legislative di cui ai commi 1 e 2 si attiene ai
seguenti principi e criteri direttivi:
a) definizione del riassetto normativo e
codificazione della normativa primaria regolante la
materia, previa acquisizione del parere del Consiglio di
Stato, reso nel termine di novanta giorni dal ricevimento
della richiesta, con determinazione dei principi
fondamentali nelle materie di legislazione concorrente;
a-bis) coordinamento formale e sostanziale del testo
delle disposizioni vigenti, apportando le modifiche
necessarie per garantire la coerenza giuridica, logica e
sistematica della normativa e per adeguare, aggiornare e
semplificare il linguaggio normativo;
b) indicazione esplicita delle norme abrogate, fatta
salva l’applicazione dell’art. 15 delle disposizioni sulla
legge in generale premesse al codice civile;
c) indicazione dei principi generali, in particolare
per quanto attiene alla informazione, alla partecipazione,
al contraddittorio, alla trasparenza e pubblicita’ che
regolano i procedimenti amministrativi ai quali si
attengono i regolamenti previsti dal comma 2 del presente
articolo, nell’ambito dei principi stabiliti dalla legge 7
agosto 1990, n. 241, e successive modificazioni;
d) eliminazione degli interventi amministrativi
autorizzatori e delle misure di condizionamento della
liberta’ contrattuale, ove non vi contrastino gli interessi
pubblici alla difesa nazionale, all’ordine e alla sicurezza
pubblica, all’amministrazione della giustizia, alla
regolazione dei mercati e alla tutela della concorrenza,
alla salvaguardia del patrimonio culturale e dell’ambiente,
all’ordinato assetto del territorio, alla tutela
dell’igiene e della salute pubblica;
e) sostituzione degli atti di autorizzazione,
licenza, concessione, nulla osta, permesso e di consenso
comunque denominati che non implichino esercizio di
discrezionalita’ amministrativa e il cui rilascio dipenda
dall’accertamento dei requisiti e presupposti di legge, con
una denuncia di inizio di attivita’ da presentare da parte
dell’interessato all’amministrazione competente corredata
dalle attestazioni e dalle certificazioni eventualmente
richieste;
f) determinazione dei casi in cui le domande di
rilascio di un atto di consenso, comunque denominato, che
non implichi esercizio di discrezionalita’ amministrativa,
corredate dalla documentazione e dalle certificazioni
relative alle caratteristiche tecniche o produttive
dell’attivita’ da svolgere, eventualmente richieste, si
considerano accolte qualora non venga comunicato apposito
provvedimento di diniego entro il termine fissato per
categorie di atti in relazione alla complessita’ del
procedimento, con esclusione, in ogni caso,
dell’equivalenza tra silenzio e diniego o rifiuto;
g) revisione e riduzione delle funzioni
amministrative non direttamente rivolte:
1) alla regolazione ai fini dell’incentivazione
della concorrenza;
2) alla eliminazione delle rendite e dei diritti di
esclusivita’, anche alla luce della normativa comunitaria;
3) alla eliminazione dei limiti all’accesso e
all’esercizio delle attivita’ economiche e lavorative;
4) alla protezione di interessi primari,
costituzionalmente rilevanti, per la realizzazione della
solidarieta’ sociale;
5) alla tutela dell’identita’ e della qualita’
della produzione tipica e tradizionale e della
professionalita’;
h) promozione degli interventi di autoregolazione per
standard qualitativi e delle certificazioni di conformita’
da parte delle categorie produttive, sotto la vigilanza
pubblica o di organismi indipendenti, anche privati, che
accertino e garantiscano la qualita’ delle fasi delle
attivita’ economiche e professionali, nonche’ dei processi
produttivi e dei prodotti o dei servizi;
i) per le ipotesi per le quali sono soppressi i
poteri amministrativi autorizzatori o ridotte le funzioni
pubbliche condizionanti l’esercizio delle attivita’
private, previsione dell’autoconformazione degli
interessati a modelli di regolazione, nonche’ di adeguati
strumenti di verifica e controllo successivi. I modelli di
regolazione vengono definiti dalle amministrazioni
competenti in relazione all’incentivazione della
concorrenzialita’, alla riduzione dei costi privati per il
rispetto dei parametri di pubblico interesse, alla
flessibilita’ dell’adeguamento dei parametri stessi alle
esigenze manifestatesi nel settore regolato;
l) attribuzione delle funzioni amministrative ai
comuni, salvo il conferimento di funzioni a province,
citta’ metropolitane, regioni e Stato al fine di
assicurarne l’esercizio unitario in base ai principi di
sussidiarieta’, differenziazione e adeguatezza;
determinazione dei principi fondamentali di attribuzione
delle funzioni secondo gli stessi criteri da parte delle
regioni nelle materie di competenza legislativa
concorrente;
m) definizione dei criteri di adeguamento
dell’organizzazione amministrativa alle modalita’ di
esercizio delle funzioni di cui al presente comma;
n) indicazione esplicita dell’autorita’ competente a
ricevere il rapporto relativo alle sanzioni amministrative,
ai sensi dell’art. 17 della legge 24 novembre 1981, n. 689.
3-bis. Il Governo, nelle materie di competenza
esclusiva dello Stato, completa il processo di
codificazione di ciascuna materia emanando, anche
contestualmente al decreto legislativo di riassetto, una
raccolta organica delle norme regolamentari regolanti la
medesima materia, se del caso adeguandole alla nuova
disciplina di livello primario e semplificandole secondo i
criteri di cui ai successivi commi.
4. I decreti legislativi e i regolamenti di cui al
comma 2, emanati sulla base della legge di semplificazione
e riassetto normativo annuale, per quanto concerne le
funzioni amministrative mantenute, si attengono ai seguenti
principi:
a) semplificazione dei procedimenti amministrativi, e
di quelli che agli stessi risultano strettamente connessi o
strumentali, in modo da ridurre il numero delle fasi
procedimentali e delle amministrazioni intervenienti, anche
riordinando le competenze degli uffici, accorpando le
funzioni per settori omogenei, sopprimendo gli organi che
risultino superflui e costituendo centri interservizi dove
ricollocare il personale degli organi soppressi e
raggruppare competenze diverse ma confluenti in un’unica
procedura, nel rispetto dei principi generali indicati ai
sensi del comma 3, lettera c), e delle competenze riservate
alle regioni;
b) riduzione dei termini per la conclusione dei
procedimenti e uniformazione dei tempi di conclusione
previsti per procedimenti tra loro analoghi;
c) regolazione uniforme dei procedimenti dello stesso
tipo che si svolgono presso diverse amministrazioni o
presso diversi uffici della medesima amministrazione;
d) riduzione del numero di procedimenti
amministrativi e accorpamento dei procedimenti che si
riferiscono alla medesima attivita’;
e) semplificazione e accelerazione delle procedure di
spesa e contabili, anche mediante l’adozione di
disposizioni che prevedano termini perentori, prorogabili
per una sola volta, per le fasi di integrazione
dell’efficacia e di controllo degli atti, decorsi i quali i
provvedimenti si intendono adottati;
f) aggiornamento delle procedure, prevedendo la piu’
estesa e ottimale utilizzazione delle tecnologie
dell’informazione e della comunicazione, anche nei rapporti
con i destinatari dell’azione amministrativa;
f-bis) generale possibilita’ di utilizzare, da parte
delle amministrazioni e dei soggetti a queste equiparati,
strumenti di diritto privato, salvo che nelle materie o
nelle fattispecie nelle quali l’interesse pubblico non puo’
essere perseguito senza l’esercizio di poteri autoritativi;
f-ter) conformazione ai principi di sussidiarieta’,
differenziazione e adeguatezza, nella ripartizione delle
attribuzioni e competenze tra i diversi soggetti
istituzionali, nella istituzione di sedi stabili di
concertazione e nei rapporti tra i soggetti istituzionali
ed i soggetti interessati, secondo i criteri
dell’autonomia, della leale collaborazione, della
responsabilita’ e della tutela dell’affidamento;
f-quater) riconduzione delle intese, degli accordi e
degli atti equiparabili comunque denominati, nonche’ delle
conferenze di servizi, previste dalle normative vigenti,
aventi il carattere della ripetitivita’, ad uno o piu’
schemi base o modelli di riferimento nei quali, ai sensi
degli articoli da 14 a 14-quater della legge 7 agosto 1990,
n. 241, e successive modificazioni, siano stabilite le
responsabilita’, le modalita’ di attuazione e le
conseguenze degli eventuali inadempimenti;
f-quinquies) avvalimento di uffici e strutture
tecniche e amministrative pubbliche da parte di altre
pubbliche amministrazioni, sulla base di accordi conclusi
ai sensi dell’art. 15 della legge 7 agosto 1990, n. 241, e
successive modificazioni.
5. I decreti legislativi di cui al comma 2 sono emanati
su proposta del Ministro competente, di concerto con il
Presidente del Consiglio dei Ministri o il Ministro per la
funzione pubblica, con i Ministri interessati e con il
Ministro dell’economia e delle finanze, previa acquisizione
del parere della Conferenza unificata di cui all’art. 8 del
decreto legislativo 28 agosto 1997, n. 281, e,
successivamente, dei pareri delle commissioni parlamentari
competenti che sono resi entro il termine di sessanta
giorni dal ricevimento della richiesta.
6. I regolamenti di cui al comma 2 sono emanati con
decreto del Presidente della Repubblica, previa
deliberazione del Consiglio dei Ministri, su proposta del
Presidente del Consiglio dei Ministri o del Ministro per la
funzione pubblica, di concerto con il Ministro competente,
previa acquisizione del parere della Conferenza unificata
di cui all’art. 8 del decreto legislativo 28 agosto 1997,
n. 281, quando siano coinvolti interessi delle regioni e
delle autonomie locali, del parere del Consiglio di Stato
nonche’ delle competenti commissioni parlamentari. I pareri
della conferenza unificata e del Consiglio di Stato sono
resi entro novanta giorni dalla richiesta; quello delle
commissioni parlamentari e’ reso, successivamente ai
precedenti, entro sessanta giorni dalla richiesta. Per la
predisposizione degli schemi di regolamento la Presidenza
del Consiglio dei Ministri, ove necessario, promuove, anche
su richiesta del Ministro competente, riunioni tra le
amministrazioni interessate. Decorsi sessanta giorni dalla
richiesta di parere alle commissioni parlamentari, i
regolamenti possono essere comunque emanati.
7. I regolamenti di cui al comma 2, ove non
diversamente previsto dai decreti legislativi, entrano in
vigore il quindicesimo giorno successivo alla data della
loro pubblicazione nella Gazzetta Ufficiale. Con effetto
dalla stessa data sono abrogate le norme, anche di legge,
regolatrici dei procedimenti.
8. I regolamenti di cui al comma 2 si conformano, oltre
ai principi di cui al comma 4, ai seguenti criteri e
principi:
a) trasferimento ad organi monocratici o ai dirigenti
amministrativi di funzioni anche decisionali, che non
richiedono, in ragione della loro specificita’, l’esercizio
in forma collegiale, e sostituzione degli organi collegiali
con conferenze di servizi o con interventi, nei relativi
procedimenti, dei soggetti portatori di interessi diffusi;
b) individuazione delle responsabilita’ e delle
procedure di verifica e controllo;
c) soppressione dei procedimenti che risultino non
piu’ rispondenti alle finalita’ e agli obiettivi
fondamentali definiti dalla legislazione di settore o che
risultino in contrasto con i principi generali
dell’ordinamento giuridico nazionale o comunitario;
d) soppressione dei procedimenti che comportino, per
l’amministrazione e per i cittadini, costi piu’ elevati dei
benefici conseguibili, anche attraverso la sostituzione
dell’attivita’ amministrativa diretta con forme di
autoregolamentazione da parte degli interessati,
prevedendone comunque forme di controllo;
e) adeguamento della disciplina sostanziale e
procedimentale dell’attivita’ e degli atti amministrativi
ai principi della normativa comunitaria, anche sostituendo
al regime concessorio quello autorizzatorio;
f) soppressione dei procedimenti che derogano alla
normativa procedimentale di carattere generale, qualora non
sussistano piu’ le ragioni che giustifichino una difforme
disciplina settoriale;
g) regolazione, ove possibile, di tutti gli aspetti
organizzativi e di tutte le fasi del procedimento.
8-bis. Il Governo verifica la coerenza degli obiettivi
di semplificazione e di qualita’ della regolazione con la
definizione della posizione italiana da sostenere in sede
di Unione europea nella fase di predisposizione della
normativa comunitaria, ai sensi dell’art. 3 del decreto
legislativo 30 luglio 1999, n. 303. Assicura la
partecipazione italiana ai programmi di semplificazione e
di miglioramento della qualita’ della regolazione interna e
a livello europeo.
9. I Ministeri sono titolari del potere di iniziativa
della semplificazione e del riassetto normativo nelle
materie di loro competenza, fatti salvi i poteri di
indirizzo e coordinamento della Presidenza del Consiglio
dei Ministri, che garantisce anche l’uniformita’ e
l’omogeneita’ degli interventi di riassetto e
semplificazione. La Presidenza del Consiglio dei Ministri
garantisce, in caso di inerzia delle amministrazioni
competenti, l’attivazione di specifiche iniziative di
semplificazione e di riassetto normativo.
10. Gli organi responsabili di direzione politica e di
amministrazione attiva individuano forme stabili di
consultazione e di partecipazione delle organizzazioni di
rappresentanza delle categorie economiche e produttive e di
rilevanza sociale, interessate ai processi di regolazione e
di semplificazione.
11. I servizi di controllo interno compiono
accertamenti sugli effetti prodotti dalle norme contenute
nei regolamenti di semplificazione e di accelerazione dei
procedimenti amministrativi e possono formulare
osservazioni e proporre suggerimenti per la modifica delle
norme stesse e per il miglioramento dell’azione
amministrativa.».
«Allegato 86. Procedimento per la certificazione
antimafia:
legge 31 maggio 1965, n. 575;
legge 19 marzo 1990, n. 55;
legge 17 gennaio 1994, n. 7;
decreto legislativo 8 agosto 1994, n. 490.».
– Si riporta il testo del comma 94 dell’art. 17 della
legge 15 maggio 1997, n. 127, recante: Misure urgenti per
lo snellimento dell’attivita’ amministrativa e dei
procedimenti di decisione e di controllo:
«94. Nell’ambito dell’ulteriore semplificazione,
prevista dall’art. 20 della legge 15 marzo 1997, n. 59, dei
procedimenti amministrativi di cui alla legge 31 maggio
1965, n. 575, alla legge 19 marzo 1990, n. 55, alla legge
17 gennaio 1994, n. 47, e al decreto legislativo 8 agosto
1994, n. 490, i regolamenti individuano le disposizioni che
pongono a carico di persone fisiche, associazioni, imprese,
societa’ e consorzi obblighi in materia di comunicazioni e
certificazioni, che si intendono abrogate ove gli obblighi
da esse previsti non siano piu’ rilevanti ai fini della
lotta alla criminalita’ organizzata.».
– Il decreto del Presidente della Repubblica 3 giugno
1998, n. 252, recante: «Regolamento recante norme per la
semplificazione dei procedimenti relativi al rilascio delle
comunicazioni e delle informazioni antimafia e’ pubblicato
nella Gazzetta Ufficiale 30 luglio 1998, n. 176.
– La legge 31 maggio 1965 n. 575 recante: «Disposizioni
contro le organizzazioni criminali di tipo mafioso, anche
straniere» e’ pubblicata nella Gazzetta Ufficiale 5 giugno
1965, n. 138.
– La legge 17 gennaio 1994, n. 47, recante: «Delega al
Governo per l’emanazione di nuove disposizioni in materia
di comunicazioni e certificazioni di cui alla legge 31
maggio 1965, n. 575.» e’ pubblicata nella Gazzetta
Ufficiale 25 gennaio 1994, n. 19.
– Si riporta il testo dell’art. 5-bis (Poteri di
accesso e accertamento del prefetto) del decreto
legislativo 8 agosto 1994, n. 490, recante: «Disposizioni
attuative della legge 17 gennaio 1994, n. 47, in materia di
comunicazioni e certificazioni previste dalla normativa
antimafia nonche’ disposizioni concernenti i poteri del
prefetto in materia di contrasto alla criminalita’
organizzata»:
«Art. 5-bis (Poteri di accesso e accertamento del
prefetto). – 1. Per l’espletamento delle funzioni volte a
prevenire infiltrazioni mafiose nei pubblici appalti, il
prefetto puo’ disporre accessi ed accertamenti nei cantieri
delle imprese interessate all’esecuzione di lavori
pubblici, avvalendosi, a tal fine, dei gruppi interforze di
cui all’art. 5, comma 3, del decreto del Ministro
dell’interno 14 marzo 2003, pubblicato nella Gazzetta
Ufficiale n. 54 del 5 marzo 2004.
2. Con regolamento da emanare ai sensi dell’art. 17,
comma 2, della legge 23 agosto 1988, n. 400, entro tre mesi
dalla data di entrata in vigore della presente
disposizione, su proposta del Presidente del Consiglio dei
Ministri e del Ministro per la pubblica amministrazione e
l’innovazione, di concerto con il Ministro dell’interno, il
Ministro della giustizia, il Ministro dello sviluppo
economico e il Ministro delle infrastrutture e dei
trasporti, sono definite, nel quadro delle norme previste
dal regolamento di cui al decreto del Presidente della
Repubblica 3 giugno 1998, n. 252, le modalita’ di rilascio
delle comunicazioni e delle informazioni riguardanti gli
accessi e gli accertamenti effettuati presso i cantieri di
cui al comma 1.».
– Si riporta il testo dell’art. 17 della legge 23
agosto1988, n. 400, recante «Disciplina dell’attivita’ di
Governo e ordinamento della Presidenza del Consiglio dei
Ministri»:
«Art. 17 (Regolamenti). – 1. Con decreto del Presidente
della Repubblica, previa deliberazione del Consiglio dei
Ministri, sentito il parere del Consiglio di Stato che deve
pronunziarsi entro novanta giorni dalla richiesta, possono
essere emanati regolamenti per disciplinare:
a) l’esecuzione delle leggi e dei decreti
legislativi, nonche’ dei regolamenti comunitari;
b) l’attuazione e l’integrazione delle leggi e dei
decreti legislativi recanti norme di principio, esclusi
quelli relativi a materie riservate alla competenza
regionale;
c) le materie in cui manchi la disciplina da parte di
leggi o di atti aventi forza di legge, sempre che non si
tratti di materie comunque riservate alla legge;
d) l’organizzazione ed il funzionamento delle
amministrazioni pubbliche secondo le disposizioni dettate
dalla legge;
e)
2. Con decreto del Presidente della Repubblica, previa
deliberazione del Consiglio dei Ministri, sentito il
Consiglio di Stato e previo parere delle commissioni
parlamentari competenti in materia, che si pronunciano
entro trenta giorni dalla richiesta, sono emanati i
regolamenti per la disciplina delle materie, non coperte da
riserva assoluta di legge prevista dalla Costituzione, per
le quali le leggi della Repubblica, autorizzando
l’esercizio della potesta’ regolamentare del Governo,
determinano le norme generali regolatrici della materia e
dispongono l’abrogazione delle norme vigenti, con effetto
dall’entrata in vigore delle norme regolamentari.
3. Con decreto ministeriale possono essere adottati
regolamenti nelle materie di competenza del ministro o di
autorita’ sottordinate al Ministro, quando la legge
espressamente conferisca tale potere. Tali regolamenti, per
materie di competenza di piu’ ministri, possono essere
adottati con decreti interministeriali, ferma restando la
necessita’ di apposita autorizzazione da parte della legge.
I regolamenti ministeriali ed interministeriali non possono
dettare norme contrarie a quelle dei regolamenti emanati
dal Governo. Essi debbono essere comunicati al Presidente
del Consiglio dei Ministri prima della loro emanazione.
4. I regolamenti di cui al comma 1 ed i regolamenti
ministeriali ed interministeriali, che devono recare la
denominazione di "regolamento", sono adottati previo parere
del Consiglio di Stato, sottoposti al visto ed alla
registrazione della Corte dei conti e pubblicati nella
Gazzetta Ufficiale.
4-bis. L’organizzazione e la disciplina degli uffici
dei Ministeri sono determinate, con regolamenti emanati ai
sensi del comma 2, su proposta del Ministro competente
d’intesa con il Presidente del Consiglio dei Ministri e con
il Ministro del tesoro, nel rispetto dei principi posti dal
decreto legislativo 3 febbraio 1993, n. 29, e successive
modificazioni, con i contenuti e con l’osservanza dei
criteri che seguono:
a) riordino degli uffici di diretta collaborazione
con i Ministri ed i sottosegretari di Stato, stabilendo che
tali uffici hanno esclusive competenze di supporto
dell’organo di direzione politica e di raccordo tra questo
e l’amministrazione;
b) individuazione degli uffici di livello
dirigenziale generale, centrali e periferici, mediante
diversificazione tra strutture con funzioni finali e con
funzioni strumentali e loro organizzazione per funzioni
omogenee e secondo criteri di flessibilita’ eliminando le
duplicazioni funzionali;
c) previsione di strumenti di verifica periodica
dell’organizzazione e dei risultati;
d) indicazione e revisione periodica della
consistenza delle piante organiche;
e) previsione di decreti ministeriali di natura non
regolamentare per la definizione dei compiti delle unita’
dirigenziali nell’ambito degli uffici dirigenziali
generali.
4-ter. Con regolamenti da emanare ai sensi del comma 1
del presente articolo, si provvede al periodico riordino
delle disposizioni regolamentari vigenti, alla ricognizione
di quelle che sono state oggetto di abrogazione implicita e
all’espressa abrogazione di quelle che hanno esaurito la
loro funzione o sono prive di effettivo contenuto normativo
o sono comunque obsolete.».
Note all’art. 1:
– Si riporta il testo dell’art. 10 della legge 31
maggio 1965, n. 575 (Disposizioni contro le organizzazioni
criminali di tipo mafioso, anche straniere) pubblicata
nella Gazzetta Ufficiale 5 giugno 1965, n. 138.
«Art. 10. – 1. Le persone alle quali sia stata
applicata con provvedimento definitivo una misura di
prevenzione non possono ottenere:
a) licenze o autorizzazioni di polizia e di
commercio;
b) concessioni di acque pubbliche e diritti ad esse
inerenti nonche’ concessioni di beni demaniali allorche’
siano richieste per l’esercizio di attivita’
imprenditoriali;
c) concessioni di costruzione, nonche’ di costruzione
e gestione di opere riguardanti la pubblica amministrazione
e concessioni di servizi pubblici;
d) iscrizioni negli albi di appaltatori o di
fornitori di opere, beni e servizi riguardanti la pubblica
amministrazione e nell’albo nazionale dei costruttori, nei
registri della camera di commercio per l’esercizio del
commercio all’ingrosso e nei registri di commissionari
astatori presso i mercati annonari all’ingrosso;
e) altre iscrizioni o provvedimenti a contenuto
autorizzatorio, concessorio, o abilitativo per lo
svolgimento di attivita’ imprenditoriali, comunque
denominati;
f) contributi, finanziamenti o mutui agevolati ed
altre erogazioni dello stesso tipo, comunque denominate,
concessi o erogati da parte dello Stato, di altri enti
pubblici o delle Comunita’ europee, per lo svolgimento di
attivita’ imprenditoriali.
2. Il provvedimento definitivo di applicazione della
misura di prevenzione determina la decadenza di diritto
dalle licenze, autorizzazioni, concessioni, iscrizioni,
abilitazioni ed erogazioni di cui al comma 1, nonche’ il
divieto di concludere contratti di appalto, di cottimo
fiduciario, di fornitura di opere, beni o servizi
riguardanti la pubblica amministrazione e relativi
subcontratti, compresi i cottimi di qualsiasi tipo, i noli
a caldo e le forniture con posa in opera. Le licenze, le
autorizzazioni e le concessioni sono ritirate e le
iscrizioni sono cancellate a cura degli organi competenti.
3. Nel corso del procedimento di prevenzione, il
tribunale, se sussistono motivi di particolare gravita’,
puo’ disporre in via provvisoria i divieti di cui ai commi
1 e 2 e sospendere l’efficacia delle iscrizioni, delle
erogazioni e degli altri provvedimenti ed atti di cui ai
medesimi commi. Il provvedimento del tribunale puo’ essere
in qualunque momento revocato dal giudice procedente e
perde efficacia se non e’ confermato con il decreto che
applica la misura di prevenzione.
4. Il tribunale dispone che i divieti e le decadenze
previsti dai commi 1 e 2 operino anche nei confronti di
chiunque conviva con la persona sottoposta alla misura di
prevenzione nonche’ nei confronti di imprese, associazioni,
societa’ e consorzi di cui la persona sottoposta a misura
di prevenzione sia amministratore o determini in qualsiasi
modo scelte e indirizzi. In tal caso i divieti sono
efficaci per un periodo di cinque anni.
5. Per le licenze ed autorizzazioni di polizia, ad
eccezione di quelle relative alle armi, munizioni ed
esplosivi, e per gli altri provvedimenti di cui al comma 1
le decadenze e i divieti previsti dal presente articolo
possono essere esclusi dal giudice nel caso in cui per
effetto degli stessi verrebbero a mancare i mezzi di
sostentamento all’interessato e alla famiglia.
5-bis. Salvo che si tratti di provvedimenti di rinnovo,
attuativi o comunque conseguenti a provvedimenti gia’
disposti, ovvero di contratti derivati da altri gia’
stipulati dalla pubblica amministrazione, le licenze, le
autorizzazioni, le concessioni, le erogazioni, le
abilitazioni e le iscrizioni indicate nel comma 1 non
possono essere rilasciate o consentite e la conclusione dei
contratti o subcontratti indicati nel comma 2 non puo’
essere consentita a favore di persone nei cui confronti e’
in corso il procedimento di prevenzione senza che sia data
preventiva comunicazione al giudice competente, il quale
puo’ disporre, ricorrendone i presupposti, i divieti e le
sospensioni previsti a norma del comma 3. A tal fine, i
relativi procedimenti amministrativi restano sospesi fino a
quando il giudice non provvede e, comunque, per un periodo
non superiore a venti giorni dalla data in cui la pubblica
amministrazione ha proceduto alla comunicazione.
5-ter. Le disposizioni dei commi 1, 2 e 4 si applicano
anche nei confronti delle persone condannate con sentenza
definitiva o, ancorche’ non definitiva, confermata in grado
di appello, per uno dei delitti di cui all’art. 51, comma
3-bis, del codice di procedura penale.».
– Si riporta il testo dell’art. 10 del decreto del
Presidente della Repubblica 3 giugno 1998, n. 252
(Regolamento recante norme per la semplificazione dei
procedimenti relativi al rilascio delle comunicazioni e
delle informazioni antimafia), pubblicato nella Gazzetta
Ufficiale 30 luglio 1998, n. 176:
«Art. 10 (Informazioni del prefetto). – 1. Salvo quanto
previsto dall’art. 1, ed in deroga alle disposizioni
dell’art. 4 del decreto legislativo 8 agosto 1994, n. 490,
fatto salvo il divieto di frazionamento di cui al comma 2
del predetto articolo, le pubbliche amministrazioni, gli
enti pubblici e gli altri soggetti di cui all’art. 1,
devono acquisire le informazioni di cui al comma 2 del
presente articolo, prima di stipulare, approvare o
autorizzare i contratti e subcontratti, ovvero prima di
rilasciare o consentire le concessioni o erogazioni
indicati nell’art. 10 della legge 31 maggio 1965, n. 575,
il cui valore sia:
a) pari o superiore a quello determinato dalla legge
in attuazione delle direttive comunitarie in materia di
opere e lavori pubblici, servizi pubblici e pubbliche
forniture, indipendentemente dai casi di esclusione ivi
indicati;
b) superiore a 300 milioni di lire per le concessioni
di acque pubbliche o di beni demaniali per lo svolgimento
di attivita’ imprenditoriali, ovvero per la concessione di
contributi, finanziamenti e agevolazioni su mutuo o altre
erogazioni dello stesso tipo per lo svolgimento di
attivita’ imprenditoriali;
c) superiore a 300 milioni di lire per
l’autorizzazione di subcontratti, cessioni o cottimi,
concernenti la realizzazione di opere o lavori pubblici o
la prestazione di servizi o forniture pubbliche.
2. Quando, a seguito delle verifiche disposte dal
prefetto, emergono elementi relativi a tentativi di
infiltrazione mafiosa nelle societa’ o imprese interessate,
le amministrazioni cui sono fornite le relative
informazioni, non possono stipulare, approvare o
autorizzare i contratti o subcontratti, ne’ autorizzare,
rilasciare o comunque consentire le concessioni e le
erogazioni.
3. Le informazioni del prefetto, sono richieste
dall’amministrazione interessata, indicando l’oggetto e il
valore del contratto, subcontratto, concessione o
erogazione ed allegando, esclusivamente, copia del
certificato di iscrizione dell’impresa presso la camera di
commercio, industria, artigianato e agricoltura corredato
della apposita dicitura antimafia. Nel caso di societa’
consortili o di consorzi, il certificato e’ integrato con
la indicazione dei consorziati che detengono una quota
superiore al 10% del capitale o del fondo consortile,
nonche’ dei consorziati per conto dei quali la societa’
consortile o il consorzio opera in modo esclusivo nei
confronti della pubblica amministrazione. Per le imprese di
costruzioni il certificato e’ integrato con l’indicazione
del direttore tecnico.
4. In luogo o ad integrazione del certificato di cui al
comma 3 puo’ essere allegata una dichiarazione del legale
rappresentante recante le medesime indicazioni.
5. Ai fini di cui ai commi 1 e 2, la richiesta di
informazioni e’ inoltrata al prefetto della provincia nella
quale hanno residenza o sede le persone fisiche, le
imprese, le associazioni, le societa’ o i consorzi
interessati ai contratti e subcontratti di cui al comma 1,
lettere a) e c), o che siano destinatari degli atti di
concessione o erogazione di cui alla lettera b) dello
stesso comma 1.
6. La richiesta puo’ essere effettuata anche dal
soggetto privato interessato o da persona da questi
specificamente delegata, previa comunicazione
all’amministrazione destinataria di voler procedere
direttamente a tale adempimento. La delega deve risultare
da atto recante sottoscrizione autenticata e deve essere
esibita unitamente ad un documento di identificazione
personale. In ogni caso la prefettura fa pervenire le
informazioni direttamente all’amministrazione indicata dal
richiedente.
7. Ai fini di cui al comma 2 le situazioni relative ai
tentativi di infiltrazione mafiosa sono desunte:
a) dai provvedimenti che dispongono una misura
cautelare o il giudizio, ovvero che recano una condanna
anche non definitiva per taluno dei delitti di cui agli
articoli 629, 644, 648-bis, e 648-ter del codice penale, o
dall’art. 51, comma 3-bis, del codice di procedura penale;
b) dalla proposta o dal provvedimento di applicazione
di taluna delle misure di cui agli articoli 2-bis, 2-ter,
3-bis e 3-quater della legge 31 maggio 1965, n. 575;
c) dagli accertamenti disposti dal prefetto anche
avvalendosi dei poteri di accesso e di accertamento
delegati dal Ministro dell’interno, ovvero richiesti ai
prefetti competenti per quelli da effettuarsi in altra
provincia.
8. La prefettura competente estende gli accertamenti
pure ai soggetti, residenti nel territorio dello Stato, che
risultano poter determinare in qualsiasi modo le scelte o
gli indirizzi dell’impresa e, anche sulla documentata
richiesta dell’interessato, aggiorna l’esito delle
informazioni al venir meno delle circostanze rilevanti ai
fini dell’accertamento dei tentativi di infiltrazione
mafiosa.
9. Le disposizioni dell’art. 1-septies del
decreto-legge 6 settembre 1982, n. 629, convertito, con
modificazioni, dalla legge 12 ottobre 1982, n. 726, come
successivamente integrato dalla legge 15 novembre 1988, n.
486, non si applicano alle informazioni previste dal
presente articolo, salvo che gli elementi o le altre
indicazioni fornite siano rilevanti ai fini delle
valutazioni discrezionali ammesse dalla legge. Sono fatte
salve le procedure di selezione previste dalle disposizioni
in vigore in materia di appalti, comprese quelle di
recepimento di direttive europee.».

Art. 2
Accessi ed accertamenti nei cantieri

1. Ai sensi dell’articolo 5-bis del decreto legislativo 8 agosto
1994, n. 490, il prefetto avvalendosi del gruppo interforze di cui
all’articolo 5, comma 3, del decreto del Ministro dell’interno in
data 14 marzo 2003, pubblicato nella Gazzetta Ufficiale del 5 marzo
2004, n. 54, dispone gli accessi e gli accertamenti nei cantieri
delle imprese indicate dall’articolo 1, comma 2.
2. Gli accessi e gli accertamenti di cui al comma 1 sono improntati
ai criteri di celerita’ ed efficacia dell’azione amministrativa.

Art. 3
Informazioni antimafia

1. Al termine degli accessi ed accertamenti disposti dal prefetto,
il gruppo interforze redige, entro trenta giorni, la relazione
contenente i dati e le informazioni acquisite nello svolgimento
dell’attivita’ ispettiva, trasmettendola al prefetto che ha disposto
l’accesso.
2. Il prefetto, acquisita la relazione di cui al comma 1, fatta
salva l’ipotesi di cui al comma 3, valuta se dai dati raccolti
possano desumersi, in relazione all’impresa oggetto di accertamento e
nei confronti di tutti i soggetti che risultano poter determinare in
qualsiasi modo le scelte o gli indirizzi dell’impresa stessa,
elementi relativi a tentativi di infiltrazione mafiosa di cui
all’articolo 10, del decreto del Presidente della Repubblica 3 giugno
1998, n. 252. In tal caso, il prefetto emette, entro quindici giorni
dall’acquisizione della relazione del gruppo interforze,
l’informazione prevista dal citato articolo 10, previa eventuale
audizione dell’interessato secondo le modalita’ individuate
dall’articolo 5.
3. Qualora si tratti di impresa avente sede in altra provincia, il
prefetto che ha disposto l’accesso trasmette senza ritardo gli atti
corredati dalla relativa documentazione al prefetto competente, che
provvede secondo le modalita’ stabilite nel comma 2.

Art. 4
Effetti delle informazioni rilasciate a seguito
degli accessi e degli accertamenti nei cantieri

1. Il rilascio dell’informazione prevista all’articolo 10 del
decreto del Presidente della Repubblica 3 giugno 1998, n. 252,
produce gli effetti di cui all’articolo 11, comma 3, del medesimo
decreto.
2. Ai fini dell’adozione degli ulteriori provvedimenti di
competenza delle altre amministrazioni, dell’informazione di cui al
comma 1 e’ data tempestiva comunicazione, a cura del prefetto, ai
seguenti soggetti:
a) stazione appaltante;
b) Camera di commercio del luogo ove ha sede l’impresa oggetto di
accertamento;
c) prefetto che ha disposto l’accesso;
d) Osservatorio centrale appalti pubblici, presso la direzione
investigativa antimafia;
e) Osservatorio dei contratti pubblici relativi a lavori, servizi
e forniture istituito presso l’Autorita’ di vigilanza sui contratti
pubblici, ai fini dell’inserimento nel casellario informatico di cui
all’articolo 7, comma 10, del decreto legislativo 12 aprile 2006, n.
163;
f) Ministero delle infrastrutture e dei trasporti;
g) Ministero dello sviluppo economico.

Note all’art. 4:
– Per il testo dell’art. 10 del decreto del Presidente
della Repubblica n. 252 del 1998 si vede nelle note
all’art. 1.
– Si riporta il testo del comma 10 dell’art. 7 del
decreto legislativo 12 aprile 2006, n. 163, recante:
«Codice dei contratti pubblici relativi a lavori, servizi e
forniture in attuazione delle direttive 2004/17/CE e
2004/18/CE»:
«10. E’ istituito il casellario informatico dei
contratti pubblici di lavori, servizi e forniture presso
l’Osservatorio. Il regolamento di cui all’art. 5 disciplina
il casellario informatico dei contratti pubblici di lavori,
servizi e forniture, nonche’ le modalita’ di funzionamento
del sito informatico presso l’osservatorio, prevedendo
archivi differenziati per i bandi, gli avvisi e gli estremi
dei programmi non ancora scaduti e per atti scaduti,
stabilendo altresi’ il termine massimo di conservazione
degli atti nell’archivio degli atti scaduti, nonche’ un
archivio per la pubblicazione di massime tratte da
decisioni giurisdizionali e lodi arbitrali.».

Art. 5
Procedimento per l’audizione degli interessati

1. Il prefetto competente al rilascio dell’informazione di cui
all’articolo 3, ove lo ritenga utile, sulla base della documentazione
e delle informazioni acquisite invita, in sede di audizione
personale, i soggetti interessati a produrre, anche allegando
elementi documentali, ogni informazione ritenuta utile.
2. All’audizione di cui al comma 1, si provvede mediante
comunicazione formale da inviarsi al responsabile legale
dell’impresa, contenente l’indicazione della data e dell’ora e
dell’Ufficio della prefettura ove dovra’ essere sentito l’interessato
ovvero persona da lui delegata.
3. Dell’audizione viene redatto apposito verbale in duplice
originale, di cui uno consegnato nelle mani dell’interessato.

Art. 6
Acquisizione e gestione informatica dei dati

1. I dati acquisiti nel corso degli accessi di cui all’articolo 1
devono essere inseriti a cura della Prefettura della provincia in cui
e’ stato effettuato l’accesso, nel sistema informatico, costituito
presso la Direzione investigativa antimafia, previsto dall’articolo
5, comma 4, del citato decreto del Ministro dell’interno in data 14
marzo 2003.
2. Al fine di rendere omogenea la raccolta dei dati di cui al
precedente comma su tutto il territorio nazionale, il personale
incaricato di effettuare le attivita’ di accesso e accertamento nei
cantieri si avvale di apposite schede informative predisposte dalla
Direzione investigativa antimafia e da questa rese disponibili
attraverso il collegamento telematico di interconnessione esistente
con le Prefetture – Uffici Territoriali del Governo.

Art. 7
Entrata in vigore

1. Il presente regolamento entra in vigore il quindicesimo giorno
successivo a quello della sua pubblicazione nella Gazzetta Ufficiale.
Il presente decreto, munito del sigillo dello Stato, sara’ inserito
nella Raccolta ufficiale degli atti normativi della Repubblica
italiana. E’ fatto obbligo a chiunque spetti di osservarlo e di farlo
osservare.

Dato a Roma, addi’ 2 agosto 2010

NAPOLITANO

Berlusconi, Presidente del Consiglio
dei Ministri e ad interim Ministro
dello sviluppo economico

Brunetta, Ministro per la pubblica
amministrazione e l’innovazione

Maroni, Ministro dell’interno

Alfano, Ministro della giustizia

Matteoli, Ministro delle
infrastrutture e dei trasporti

Visto, il Guardasigilli: Alfano

Registrato alla Corte dei conti il 25 agosto 2010
Ministeri istituzionali, registro n. 11, foglio n. 282

Testo non ufficiale. La sola stampa del bollettino ufficiale ha carattere legale.

Fonte: http://gazzette.comune.jesi.an.it/gazzette2010.htm