Cassazione civile Sez. Lavoro 22 giugno 2009, n. 14586 Lavoro, licenziamento, giusta causa, proporzionalità, fiducia, buona fede, correttezza, volontà (2009-07-03)

Con sentenza in data 13-18/4/2007 la Corte di appello di Torino, in riforma della sentenza del Tribunale di Biella dell’8/6/2006, impugnata dalle (…) rigettava la domanda proposta da (…) per l’annullamento del licenziamento intimatogli il 13/7/2005.

Osservava in sintesi la corte territoriale che, ai fini della legittimità del licenziamento, rilevava che la condotta del lavoratore aveva determinato il blocco, pur solo momentaneo, delle macchine e l’abbandono del posto di lavoro di cui lo stesso aveva la responsabilità, e che ciò era ancor più grave se si considera che il fatto era avvenuto in orario notturno, ove presumibilmente minori erano i controlli dei superiori, senza che potesse avere rilievo la lunga carriera lavorativa del dipendente, l’assenza di precedenti sanzioni, la mancanza di alcun danno alla produzione o la previsione di una più lieve sanzione da parte del contratto collettivo, trattandosi di elencazione meramente esemplificativa e rilevando nella fattispecie la posizione di responsabile del reparto del dipendente.

Per la cassazione della sentenza propone ricorso (…) con quattro motivi.

Resiste con controricorso la (…), illustrato con memoria.

Motivi della decisione

Con il primo motivo, proposto ai sensi dell’art. 360 n. 3 c.p.c., il ricorrente lamenta violazione degli artt. 2119 c.c. e dell’art. 1 della legge n. 604 del 1966 in relazione agli artt. 72 e 74 del CCNL settore tessile.

In particolare osserva che la corte piemontese, omettendo una lettura sistematica delle indicate disposizioni contrattuali, non ha considerato che, sulla base delle stesse, l’estrema sanzione del licenziamento è prevista come adeguata solo rispetto all’ipotesi di abbandono del posto di lavoro, che determini pregiudizio all’incolumità delle persone o alla sicurezza degli impianti : circostanze nella specie non sussistenti, essendosi trattato del momentaneo allontanamento dalla postazione lavorativa, con permanenza del lavoratore negli stessi locali aziendali, a breve distanza dalla prima e senza alcun danno per l’attività produttiva.

Con il secondo motivo, svolto ai sensi dell’art. 360 n. 3 e 5 c.p.c. in relazione agli artt. 1455, 2106, 2119, 2697 c.c. e agli artt. 1 e 5 della l. n. 604 del 1966, il ricorrente si duole che la corte territoriale ha adottato la massima sanzione senza alcuna effettiva indagine circa la posizione di responsabilità del dipendente, fatta derivare da documenti inutilizzabili (in quanto relativi a procedimenti disciplinari archiviati) e senza accertare la sua riconducibilità al piano tecnico, più che a quello gerarchico.

Con il terzo motivo, il ricorrente prospetta, ai sensi dell’art. 360 n. 3 e 5 c.p.c. in relazione agli artt. 1455, 2106, 2119, 2697, 2727 c.c. e agli artt. 1 e 5 della legge n. 604 del 1966, che la corte di merito ha connotato di particolare gravità il comportamento contestato tenendo conto dell’orario in cui l’episodio si è verificato senza, tuttavia, accertare l’effettiva assenza di controlli e l’assoluta occasionalità della presenza del direttore nello stabilimento in orario serale.

Con l’ultimo motivo, infine, il ricorrente lamenta, ai sensi dell’art. 360 n. 3 e 5 c.p.c., violazione e falsa applicazione degli artt. 1455, 2106, 2119 c.c. e 116 c.p.c., nonché vizio di motivazione su un fatto controverso e decisivo per il giudizio osservando che la sentenza impugnata, omettendo una valutazione concreta e complessiva dei fatti, sia sotto il profilo soggettivo che oggettivo, ha mancato di vagliare la lunga durata del rapporto di lavoro, l’assenza di recidiva e il comportamento successivo stesso del datore di lavoro, il quale si era interessato per reperire al dipendente una nuova occupazione.

I motivi, per la connessione delle argomentazioni e delle problematiche, vanno esaminati congiuntamente e risultano meritevoli di accoglimento nei limiti che saranno oltre specificati.

Deve permettersi, con riferimento al principio di necessaria proporzionalità fra fatto addebitato e recesso (che costituisce il tema controverso essenziale della presente controversia), come la giurisprudenza di questa Suprema Corte abbia da tempo individuato l’inadempimento idoneo a giustificare il licenziamento in ogni comportamento che, per la sua gravità, sia suscettibile di scuotere la fiducia del datore di lavoro e di far ritenere che la continuazione del rapporto si risolva in un pregiudizio per gli scopi aziendali (cfr. per tutte Cass. n. 14551/2000; Cass. n. 16260/2004), sicché quel che è veramente decisivo, ai fini della valutazione della proporzionalità fra addebito e sanzione, è l’influenza che sul rapporto di lavoro sia in grado di esercitare il comportamento del lavoratore che, per le sue concrete modalità e per il contesto di riferimento, appaia suscettibile di porre in dubbio la futura correttezza dell’adempimento e denoti una scarsa inclinazione ad attuare diligentemente gli obblighi assunti, conformando il proprio comportamento ai canoni di buona fede e correttezza.

Ne deriva che la proporzionalità della sanzione non può essere valutata solo in conformità alla funzione dissuasiva che la stessa sia destinata ad esercitare sul comportamento degli altri dipendenti, dal momento che il principio di proporzionalità implica un giudizio di adeguatezza eminentemente soggettivo, e cioè calibrato sulla gravità della colpa e sull’intensità della violazione della buona fede contrattuale che esprimano i fatti contestati, alla luce di ogni circostanza utile (in termini soggettivi ed oggettivi) ad apprezzarne l’effettivo disvalore ai fini della prosecuzione del rapporto contrattuale.

Solo a queste condizioni, del resto, il principio di proporzionalità risulta in grado di influire sul comportamento degli altri dipendenti senza assumere un valore di “esemplarità” disgiunto dalla misura della responsabilità del dipendente e dalla conseguente realizzazione dell’interesse aziendale in termini proporzionati alla portata della prima, garantendo in tal modo, per come si è detto, la reale eticità del rapporto.

Sulla base di tale configurazione, spetta, pertanto, al giudice di merito valutare la congruità della sanzione espulsiva non sulla base di una valutazione astratta del fatto addebitato, ma tenendo conto di ogni aspetto concreto della vicenda processuale che, alla luce di un apprezzamento unitario e sistematico, risulti sintomatico della sua gravità rispetto ad un’utile prosecuzione del rapporto di lavoro, assegnandosi, innanzitutto, rilievo alla configurazione che delle mancanze addebitate faccia la contrattazione collettiva, ma pure all’intensità dell’elemento intenzionale, al grado di affidamento richiesto delle mansioni svolte dal dipendente, alle precedenti modalità di attuazione del rapporto (ed in specie alla sua durata e all’assenza di precedenti sanzioni), alla sua particolare natura e tipologia.

In particolare merita di essere ribadito che, se la nozione di giusta causa è nozione legale ed il giudice non è vincolato alle previsioni contrattuali configuranti determinate condotte quali giusta causa di recesso, tuttavia ciò non gli impedisce di far riferimento alle valutazioni che le parti sociali abbiano fatto della gravità di determinate condotte come espressive di criteri di normalità (cfr. Cass. n. 2906/2005), con la conseguenza che il datore di lavoro non potrà in linea di principio (e cioè, in assenza di puntuali controindicazioni in punto di proporzionalità) irrogare un licenziamento per giusta causa quando questo costituisca una sanzione più grave di quella prevista dal contratto collettivo in relazione ad una determinata infrazione (cfr. Cass. n. 19053/2005).

La sentenza impugnata non ha fatto corretta applicazione dei principi indicati.

In particolare, la corte piemontese, non operando una valutazione coordinata e unitaria dei dati legalmente rilevanti ai fini della valutazione della proporzionalità della sanzione, ha assegnato esclusivo ed auto sufficiente rilievo alla posizione (peraltro non formalizzata) di responsabilità del dipendente, senza considerare, nell’ambito di un apprezzamento che doveva essere necessariamente globale e non parcellizzato, innanzitutto le difformi previsioni della contrattazione collettiva, che, enucleate al fine di “garantire un rapporto quanto più definito tra sanzione e mancanza”, hanno tipizzato espressamente il fatto contestato prevedendo, con riferimento allo stesso, le minori sanzioni della sospensione o della multa: previsioni dalle quali la corte di merito non poteva prescindere, specie in un contesto professionale (sicuramente rilevante ai fini della prognosi circa la correttezza del futuro adempimento) caratterizzato da una durata ultraventennale del rapporto e dall’assenza di precedenti sanzioni.

A ciò si aggiunga che, nella ricostruzione dei fatti (sulla quale pure è pesato il rilievo assorbente ed autosufficiente riconosciuto alla posizione di responsabilità del dipendente), i giudici di appello hanno omesso di valutare, anche alla luce delle previsioni contrattuali, se si trattò di vero e proprio abbandono del posto di lavoro, ovvero di momentaneo allontanamento dalla postazione lavorativa, con trasferimento per un assai breve arco di tempo in locali attigui a quelli ove erano siti gli impianti (e quindi, di sospensione di lavoro), così come si è trascurato di considerare il carattere non preordinato della riunione e l’assoluta assenza di danno per la produzione (sospesa per non più di dieci minuti).

Il che implica che la corte di merito ha operato una valutazione sostanzialmente astratta della vicenda processuale, incapace di cogliere, attraverso la rilevazione degli elementi sintomatici essenziali della sua gravità, l’effettivo disvalore del comportamento addebitato.

La sentenza impugnata va, pertanto, cassata e la causa rimessa ad altra corte territoriale, la quale decidendo anche in ordine alle spese, provvederà a nuovo esame da compiersi alla luce del seguente principio di diritto:

“In caso di licenziamento per giusta causa, ai fini della proporzionalità fra fatto addebitato e recesso, viene in considerazione ogni comportamento che, per la sua gravità, sia suscettibile di scuotere la fiducia del datore di lavoro e di far ritenere che la continuazione del rapporto si risolva in un pregiudizio per gli scopi aziendali, essendo determinante, ai fini del giudizio di proporzionalità, l’influenza che sul rapporto di lavoro sia in grado di esercitare il comportamento del lavoratore che, per le sue concrete modalità e per il contesto di riferimento, appaia suscettibile di porre in dubbio la futura correttezza dell’adempimento e denoti una scarsa inclinazione ad attuare diligentemente gli obblighi assunti, conformando il proprio comportamento ai canoni di buona fede e correttezza.

Spetta al giudice di merito valutare la congruità della sanzione espulsiva non sulla base di una valutazione astratta del fatto addebitato, ma tenendo conto di ogni aspetto concreto della vicenda processuale che, alla luce di un apprezzamento unitario e sistematico, risulti sintomatico della sua gravità rispetto ad un’utile prosecuzione del rapporto di lavoro, assegnandosi a tal fine preminente rilievo alla configurazione che delle mancanze addebitate faccia la contrattazione collettiva, ma pure l’intensità dell’elemento intenzionale, al grado di affidamento richiesto della mansioni svolte dal dipendente, alle precedenti modalità di attuazione del rapporto (ed in specie alla sua durata e all’assenza di precedenti sanzioni), alla sua particolare natura e tipologia”.

P.Q.M.

Accoglie il ricorso, cassa la sentenza impugnata e rinvia anche per le spese alla Corte di appello di Genova.

Depositata in Cancelleria

il 22.06.2009

Recante proroga di termini previsti da disposizioni legislative e disposizioni finanziarie urgenti Legge n. 14 del 27 Febbraio 2009, G.U. n. 49 del 28 Febbraio 2009 (suppl.ord.) Testo coordinato G.U. n. 49 del 28 Febbraio 2009 (suppl.ord.)

Il documento è presente a questo indirizzo:

http://www.camera.it/parlam/leggi/elelenum.htm

Regolamento (CE) n. 1126/2009 della Commissione, del 23/11/09, recante apertura e modalità di gestione di contingenti tariffari comunitari per taluni prodotti agricoli originari della Svizzera e che abroga il regolamento (CE) n.933/02 della Commissione

Aggiornamento offerto dal dott. Domenico Cirasole.

L 308/14 Gazzetta ufficiale dell’Unione europea 24.11.2009

LA COMMISSIONE DELLE COMUNITÀ EUROPEE,
visto il trattato che istituisce la Comunità europea,
vista la decisione 2002/309/CE, Euratom, del Consiglio e, per quanto riguarda l’Accordo sulla Cooperazione Scientifica e Tecnologica,
della Commissione, del 4 aprile 2002, relativa alla
conclusione di sette accordi con la Confederazione svizzera ( 1 ),
in particolare l’articolo 5, paragrafo 3, primo trattino, e
l’articolo 5, paragrafo 4,
considerando quanto segue:
(1) Con decisione n. 2/2008 del Comitato misto per l’agricoltura
istituito dall’accordo tra la Comunità europea e la
Confederazione svizzera sul commercio di prodotti agricoli,
del 24 giugno 2008, in merito all’adattamento degli
allegati 1 e 2 ( 2 ), detti allegati 1 e 2 dell’accordo tra la
Comunità europea e la Confederazione svizzera sul commercio
di prodotti agricoli (di seguito «l’accordo») sono
stati sostituiti.
(2) L’allegato 2 dell’accordo, nella sua versione modificata,
stabilisce le concessioni tariffarie accordate dalla Comunit
alle importazioni di prodotti agricoli originari della
Svizzera. Alcune di queste concessioni tariffarie si applicano
ai contingenti tariffari gestiti ai sensi degli articoli
308 bis, 308 ter e 308 quater del regolamento (CEE) n.
2454/93 della Commissione, del 2 luglio 1993, che fissa
talune disposizioni d’applicazione del regolamento (CEE)
n. 2913/92 del Consiglio che istituisce il codice doganale
( 3 ).
(3) A fini di chiarezza, è opportuno stabilire le disposizioni
di applicazione di tali contingenti tariffari per i prodotti
agricoli in un unico atto legislativo che sostituisca il
regolamento (CE) n. 933/2002 della Commissione ( 4 ).
Conformemente all’accordo i contingenti tariffari devono
essere aperti per il periodo compreso fra il 1 o gennaio e
il 31 dicembre.
(4) Poiché la decisione n. 2/2008 del Comitato misto per
l’agricoltura entrerà in vigore il 1 o gennaio 2010, il presente
regolamento deve essere applicabile a decorrere da
questa stessa data.
(5) Le misure previste dal presente regolamento sono conformi
al parere del comitato del codice doganale,
HA ADOTTATO IL PRESENTE REGOLAMENTO:
Articolo 1
I contingenti tariffari per i prodotti originari della Svizzera
elencati nell’allegato sono aperti annualmente alle aliquote doganali
di cui all’allegato.
Articolo 2
I contingenti tariffari di cui all’articolo 1 sono gestiti dalla
Commissione conformemente agli articoli 308 bis, 308 ter e
308 quater del regolamento (CEE) n. 2454/93.
Articolo 3
Il regolamento (CE) n. 933/2002 è abrogato.
Articolo 4
Il presente regolamento entra in vigore il terzo giorno successivo
alla pubblicazione nella Gazzetta ufficiale dell’Unione europea.
Esso si applica a decorrere dal 1 o gennaio 2010.
Il presente regolamento è obbligatorio in tutti i suoi elementi e direttamente applicabile in
ciascuno degli Stati membri.
Fatto a Bruxelles, il 23 novembre 2009.
Per la Commissione
László KOVÁCS
Membro della Commissione

Testo non ufficiale. La sola stampa del bollettino ufficiale ha carattere legale.

Fonte: http://eur-lex.europa.eu/LexUriServ/LexUriServ.do?uri=OJ:L:2009:308:0014:0016:IT:PDF

LEGGE 30 aprile 2010, n. 77

Ratifica ed esecuzione del Protocollo all’Accordo tra il Governo della Repubblica italiana e il Governo della Repubblica di Malta per evitare le doppie imposizioni in materia di imposte sul reddito e per prevenire le evasioni fiscali, fatto a Roma il 13 marzo 2009.

Aggiornamento offerto dal dott. Domenico Cirasole.

Gazzetta Ufficiale – Serie Generale n. 123 del 28-5-2010

La Camera dei deputati ed il Senato della Repubblica hanno
approvato;

IL PRESIDENTE DELLA REPUBBLICA

Promulga

la seguente legge:
Art. 1

Autorizzazione alla ratifica

1. Il Presidente della Repubblica e’ autorizzato a ratificare il
Protocollo all’Accordo tra il Governo della Repubblica italiana e il
Governo della Repubblica di Malta per evitare le doppie imposizioni
in materia di imposte sul reddito e per prevenire le evasioni
fiscali, fatto a Roma il 13 marzo 2009.

Art. 2 Ordine di esecuzione 1. Piena ed intera esecuzione e’ data al Protocollo di cui all’articolo 1, a decorrere dalla data della sua entrata in vigore, in conformita’ a quanto disposto dall’articolo V del Protocollo stesso.

Art. 3

Entrata in vigore

1. La presente legge entra in vigore il giorno successivo a quello
della sua pubblicazione nella Gazzetta Ufficiale.
La presente legge, munita del sigillo dello Stato, sara’ inserita
nella Raccolta ufficiale degli atti normativi della Repubblica
italiana. E’ fatto obbligo a chiunque spetti di osservarla e di farla
osservare come legge dello Stato.
Data a Roma, addi’ 30 aprile 2010

NAPOLITANO

Berlusconi, Presidente del
Consiglio dei Ministri

Frattini, Ministro degli affari
esteri

Visto, il Guardasigilli: Alfano

LAVORI PREPARATORI

Senato della Repubblica (atto n. 1934):
Presentato dal Ministro degli affari esteri (Frattini) il 15
dicembre 2009.
Assegnato alla 3ª commissione (Affari esteri) in sede referente,
il 20 gennaio 2010, con pareri delle commissioni 1ª, 5ª e 6ª.
Esaminato dalla 3ª commissione il 3 e 16 febbraio 2010.
Esaminato in aula ed approvato il 17 febbraio 2010.
Camera dei deputati (atto n. 3227):
Assegnato alla III commissione (Affari esteri), in sede
referente, il 23 febbraio 2010, con pareri delle commissioni I, V e
VI.
Esaminato dalla III commissione il 9 e 18 marzo 2010.
Esaminato in aula ed approvato l’8 aprile 2010.

Testo non ufficiale. La sola stampa del bollettino ufficiale ha carattere legale.

Fonte: http://www.gazzettaufficiale.it/guridb/dispatcher?service=1&datagu=2010-05-28&task=dettaglio&numgu=123&redaz=010G0100&tmstp=1275984089966