Cassazione civile anno 2005 n. 1097 Nullità

OBBLIGAZIONI E CONTRATTI

Sentenza scelta dal dott. Domenico Cirasole

Svolgimento del processo
Con atto di citazione notificato il 2 novembre 1990 il Comune di Brindisi conveniva in giudizio dinanzi al locale tribunale l’ing. X X e l’arch. X X proponendo opposizione contro il decreto ingiuntivo con il quale gli era stato intimato il pagamento di L. 182.552.970, oltre accessori a titolo di compenso per la redazione del progetto di ristrutturazione della via provinciale per Lecce, ex statale n. 16, dal sovrappasso al km. 761 + 547 sino all’incrocio con la linea ferroviaria Brindisi Centrale – Brindisi Marittima. Sosteneva l’opponente che la liquidazione dei compensi avrebbe dovuta essere deferita a un collegio arbitrale ai sensi della clausola compromissoria di cui all’art. 13 della convenzione per l’affidamento dell’incarico professionale che, in subordine, non avendo esso conseguito i fondi per l’esecuzione dell’opera, agli intimanti spettava solo la minor somma di L. 28.000.000 secondo le previsioni dell’art. 6 della citata convenzione; contestava inoltre i conteggi posti a fondamento del decreto ingiuntivo nonchè il calcolo e la decorrenza degli interessi richiesti.
I convenuti eccepivano l’infondatezza dell’opposizione e spiegavano in via riconvenzionale subordinata domanda di risarcimento dei danni derivanti dal comportamento omissivo e negligente tenuto dal Comune in sede di richiesta di finanziamento nonchè azione di arricchimento senza causa per aver il Comune riconosciuto l’utilità dell’opera professionale da essi svolta.
Con sentenza del 19 marzo – 19 giugno 1996 il tribunale, ritenuta la propria competenza, rigettava l’opposizione dichiarando assorbite le domande riconvenzionali.
Su gravame del Comune di Brindisi la Corte di Appello di Lecce, con sentenza del 19 gennaio – 21 febbraio 2001, condannava l’appellante al pagamento della minor somma di L. 122.000.000, oltre rivalutazione e interessi.
Premessa l’inesistenza di un valido contratto tra le parti per la mancata traduzione in un atto negoziale in forma scritta della delibera dell’organo collegiale del Comune che aveva autorizzato l’incarico professionale e la conseguente irrilevanza della sottoscrizione per accettazione degli allegati disciplinari, accoglieva l’azione di indebito, arricchimento riproposta dai creditori istanti; liquidava conseguentemente un indennizzo di complessi ve L. 150.000.000 e, detratto l’acconto corrisposto in misura di L. 28.000.000, condannava il Comune al pagamento della minor somma di L. 122.000.000, da rivalutarsi secondo gli indici I.S.T.A.T., oltre gli interessi di legge.
Contro la sentenza ricorre per Cassazione con un unico motivo il Comune di Brindisi.
Resistono con controricorso l’ing. X X e l’arch.
X X.

Motivi della decisione
Il ricorrente denuncia la violazione degli artt. 2697 cod. civ e 116 e 112 cod. proc. civ. in relazione all’art. 360, nn. 3 e 5, cod. proc. civ. e sostiene che la sentenza impugnata non avrebbe correttamente e prudentemente valutato la documentazione in atti dalla quale risulterebbe che le delibere di giunta per il conferimento dell’incarico professionale costituivano, insieme all’incorporato disciplinare, un documento unico sottoscritto dall’assessore anziano, dal sindaco e dal segretario generale del Comune, nonchè, per accettazione, dai due professionisti, integrando così l’atto negoziale con forma scritta ad substantiam richiesto dalla legge. Sostiene inoltre che nella specie si sarebbe verificata una violazione del principio di corrispondenza tra chiesto e pronunciato in quanto l’in sufficienza della documentazione in atti sarebbe stata rilevata d’ufficio, in mancanza di qualsiasi eccezione di parte mai formulata dagli istanti che hanno sempre sostenuto di aver sottoscritto un valido contratto per adesione.
Le censure in esame non meritano accoglimento poichè, indipendentemente dalle eccezioni dei controricorrenti – i quali contestano l’esistenza in atti di un unico documento contestualmente sottoscritto da entrambe le parti contraenti – la valutazione delle risultanze istruttorie costituisce espressione di un potere discrezionale del giudice di merito insindacabile dal giudice di legittimità al quale è precluso ogni esame della documentazione in atti, salva l’ipotesi in cui le carenze nell’esame degli atti trasmodino in vizio di motivazione, vizio che nella specie non sussiste e che neppure viene illustrato dal ricorrente che si è limitato ad un mero richiamo all’art. 360, n. 5, cod. proc.civ..
Parimenti insussistente è la denunciata violazione dell’art. 112 cod. proc. civ. poichè la nullità del contratto per vizio di forma può essere rilevata anche d’ufficio in ogni stato e grado del processo allorquando, come nella specie, venga richiesto l’adempimento delle obbligazioni da esso nascenti e non si siano verificate preclusioni di ordine processuale.
In conclusione il ricorso non può trovare accoglimento e deve essere resX.
Le spese giudiziali seguono la soccombenza.

P. Q. M.
La Corte rigetta il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese giudiziali che liquida in complessivi euro 3.100,00 di cui euro 3.000,00 per onorario, oltre al rimborso delle spese generali ed accessori di legge.
Così deciso in Roma, il 13 dicembre 2004.
Depositato in Cancelleria il 19 gennaio 2005

Testo non ufficiale. La sola stampa del dispositivo ufficiale ha carattere legale.

Cass. civ. Sez. lavoro, Sent., 08-02-2011, n. 3045 Licenziamento per riduzione del personale

Sentenza scelta dal dott. Domenico Cirasole direttore del sito giuridico http://www.gadit.it/

Svolgimento del processo

La Corte di Appello di Catanzaro, riformando la sentenza di primo grado,accoglieva la domanda dei lavoratori in epigrafe proposta nei confronti della società Istituti Riuniti di Vigilanza rendente ad ottenere la declaratoria d’illegittimità del licenziamento loro intimato in data 29 novembre 2000.

La predetta Corte, rilevata l’inapplicabilità, per ragioni numeriche, della L. n. 223 del 1991, relativa ai licenziamenti collettivi e degli accordi interconfederali del 24 ottobre 950 e 5 maggio 1965, qualificava i licenziamenti impugnati come plurimi per ragioni obiettivo dell’azienda.

Riteneva, poi, la Corte del merito che la riduzione – dell’attività era stata non solo di scarsa entità, rispetto al suo volume complessivo, ma anche graduale per cui era stato possibile ridistribuire i lavoratori all’interno dell’organizzazione del lavoro. D’altro canto, precisava la Corte di Appello, le comprovate nuove assunzioni effettuate prima e dopo i licenziamenti confliggeva apertamente con la dedotta necessità di ridurre il personale facendola apparire pretestuosa.

Il licenziamento, inoltre, secondo i giudici di appello, si doveva considerare illegittimo perchè il datore di lavoro non rispettando, nella scelta dei lavoratori da espellere, i criteri sanciti cagli accordi inteconfederali non si era comportato secondo buona fede e correttezza. Nè, per i precitati giudici la società aveva fornito la prova di non poter utilizzare altrimenti i lavoratori licenziati non essendo a tal fine rilevante il numero di ore di lavoro straordinario prestate nei distaccamenti di (OMISSIS).

Avverso tale sentenza la società in epigrafe ricorre in cassazione sulla base di quattro censure.

Resistono con controricorso i lavoratori intimati che, tra l’altro, deducono l’inammissibilità dei motivi per violazione dell’art. 366 bis c.p.c..

Motivi della decisione

1 – Con il primo motivo la società, deducendo omessa, insufficiente e contraddittoria motivazione ed indicando quale fatto controverso la "riduzione del lavoro ai impresa" pone i seguenti quesiti:

1.1. "Si può ritenere non contraddittoria la motivazione della sentenza che, dopo aver dichiarato che non è data prova da parte del datore di lavoro della contrazione dei lavoro d’ impresa, non contesta le prove documentali consistenti nei contratti d’appalto con la ASL di Rossano, nonchè le lettere del direttore generale dell’ASL di Rossano del 22/7/99 e del 29/11/99, con le quali si comunica la riduzione del servizio di guardiania da 24 a 8 ore giornaliere?";

1.2. "Si può ritenere non provata la riduzione del lavoro di impresa, nonostante siano stati prodotti e non siano stati contestati neppure dai lavoratori le buste paga, i libri matricola, gli ordini di servizio, i contratti di appalto, le comunicazioni di riduzione dell’orario di guardiania provenienti da enti pubblici?";

1.3. "Si può ritenere non contraddittoria e logica la motivazione della sentenza che dopo aver affermato che l’appellante non abbia fornito la prova di quanto richiesto (ovvero riduzione del lavoro e possibilità di utilizzo diverso dei lavoratori), dichiara successivamente se ne deduce che la riduzione di lavoro proveniente dall’ASL era antecedente al nuovo appalto e risalente ad un anno prima dei licenziamenti impugnati?";

1.4. "Si può ritenere non contraddittorio affermare che i lavoratori potevano essere utilizzati in altri luoghi dello stesso distaccamento, dopo aver affermato che la riduzione di lavoro vi è stata nella stessa sede aziendale? Si può ritenere che nella motivazione della sentenza sia stata correttamente interpretata la possibilità di utilizzare i lavoratori in altre mansioni confondendola con luoghi?";

1.5. "Si può ritenere contraddittoria o insufficiente la motivazione della sentenza che censura il giudizio del Tribunale che ritiene le ore di straordinario del tutto fisiologico per un azienda di 98 guardie giurate, sostenendo Trattasi di una valutazione basata su meri criteri personali, non supportata da argomentazioni oggettive, nè verificabili con criteri comunemente accettati, mentre invece tale valutazione è conseguenza di un calcolo matematico sulle ore settimanali stabilite dal CCNL?". 2 – Con il secondo motivo la società, allegando violazione e falsa applicazione dell’art. 2119 c.c., pone, ex art. 366 bis c.p.c., il seguente quesito di diritto: "Si possono ritenere correttamente applicate alle norme relative al licenziamento per giustificato motivo obiettivo quelle previste per il licenziamento per giusta causa?". 3 – Con la terza censura la società, denunciando violazione e falsa applicazione degli artt. 56 e 57 del CCNL nonchè delle norme relative alla scelta dei licenziandi (L. n. 604 del 1966 e L. n. 223 del 1991) e contraddittorietà della motivazione, pone i seguenti quesiti:

3.1. "Si può ritenere logica e non contraddittoria la motivazione della sentenza che dichiara indubbiamente risulta non provato il nesso con la sede di (OMISSIS) in relazione agli artt. 56 e 57 del CCNL di categoria (che prevedono rispettivamente l’obbligo di utilizzare il personale in località prossime alla loro residenza ed il diritto all’indennità in caso contrario, dopo avere affermato che l’art. 56 del CCNL è solo giustificativo dei fatto che i ricorrenti residenti due a (OMISSIS) ed uno a (OMISSIS) siano stati utilizzati in luoghi prossimi al luogo di residenza e nulla più?";

3.2. "E’ stata omessa alcuna motivazione sulla scelta operata dall’azienda tra i dipendenti da licenziare con il criterio dell’art. 57 CCNL?";

3.3. Sono state correttamente interpretate ed applicate le predette norme del contratto collettivo di categoria?". 4 – Con il quarto motivo la società, prospettando violazione e falsa applicazione degli artt. 99 e 112 c.p.c., pone, ex art. 366 bis c.p.c. cit., il seguente quesito di diritto: "Si può ritenere violato il principio del chiesto e pronunciato quando i ricorrenti chiedono la tutela per i licenziamento collettivo e la Corte si pronuncia sul licenziamento individuale?". 5 – E’ pregiudiziale l’esame di quest’ultima censura la quale è infondata.

5.1 Premette il Collegio, a confutazione dell’eccezione sollevata dai resistenti, che il motivo in esame risulta redatto secondo la prescrizione di cui all’art. 366 bis c.p.c., contenendo il relativo quesito in modo autosufficiente la prospettazione di una questione di diritto che giustificherebbe la cassazione della sentenza una volta accolta.

5.2 Tante precisato e passando all’esame del merito del motivo rileva la Corte che la critica non è condivisibile in quanto come del resto ne da atto la stessa società ricorrente nel descrivere i fatti di causa, i lavoratori, hanno impugnato il licenziamento deducendo anche la mancanza di giusta causa e/o giustificato motivo e, pertanto, non è ipotizzabile alcuna violazione del principio di cui al denunciato art. 112 c.p.c., per aver la Corte di appello valutato la legittimità del licenziamento sotto il profilo del giustificato motivo oggettivo.

6 – Venendo allo scrutinio del primo motivo del ricorso, in ordine al quale a confutazione dell’eccezione d’inammissibilità posta dai resistenti, va sottolineato che il fatto controverso risulta precisato nei relativi plurimi quesiti come innanzi trascritti, rileva la Corte che lo stesso è infondato.

6.1 Innanzitutto, e con riferimento al primo quesito, osserva il Collegio che ancorchè si richiamino a sostegno della assunta contraddittorietà della motivazione contratti di appalto e lettere del direttore generale dell’ASL di Rossano, la società ricorrente, in violazione del principio di autosufficienza, non trascrive nel ricorso il testo dei siffatti documenti impedendo in tal modo qualsiasi sindacato di legittimità. 7. Analoghe considerazioni valgono riguardo ai secondo quesito dove si prospetta la contraddittorietà della motivazione in relazione ali e buste paga, ordini di servizi,contratti di appalto e comunicazioni dell’orario di guardiania provenienti da enti pubblici.

8 – Riguardo al terzo quesito conviene rimarcare che la motivazione della sentenza impugnata non è affatto contraddittoria atteso che secondo la Corte del merito la riduzione dell’attività era stata non solo di scarsa entità, rispetto al suo volume complessivo, ma anche graduale per cui era stato possibile ridistribuire i lavoratori all’interne dell’organizzazione del lavoro. Si tratta per la Corte del merito, quindi, di una scarsa riduzione dell’attività che come tale non è idonea a giustificare gli intimali licenziamenti. Non vi è, pertanto nessuna contraddizione nell’affermare prima che la società non ha fornito la prova della riduzione dell’attività e poi, successivamente, rilevare che la riduzione era antecedente al nuovo appalto.

9 – Relativamente al quarto quesito è sufficiente rilevare che secondo la Corte del merito, come innanzi precisato, non vi è stata riduzione del lavoro tale da giustificare il licenziamento impugnato, sicchè non è contraddittorio affermare che i lavoratori potevano essere utilizzati in altri luoghi dello stesso distaccamento.

10 – Quanto al quinto quesito, relativo alle ore di straordinario, si tratta di un accertamento di fatto che in quanto coerentemente motivato si sottrae al sindacato di questa Corte. Del resto, e vale la pena di sottolinearlo, il richiamo al CCNL, per confutare quanto asserito dalla Corte sul punto in questione, è del tutto generico.

11 – Il secondo motivo de ricorso è inammissibile essendo il relativo quesito di diritto formulato in modo del tutto generico e cioè senza alcun riferimento alla fattispecie concreta ed alla ratio decidendi della sentenza impugnata e come tale, quindi, è inidoneo ad assumere qualsiasi rilevanza ai fini della decisione (Cass. S.U. 9 luglio 2008 n. 18759).

Ne si può desumere il quesito dal contenuto del motivo o integrare il primo con il secondo, pena la sostanziale abrogazione del suddetto articolo (per tutte V. Cass. S.U. 11 marzo 2008 n. 6420).

12 – Il terzo motivo del ricorso, che riguarda la violazione di norme di contratto collettivo e il connesso vizio di motivazione, non è esaminabile non risultando depositato, a norma del novellato art. 369 c.p.c., il contratto collettivo sul quale si fonda e come tale va ritenuto improcedibile.

In conclusione il ricorso va rigettato.

Le spese del giudizio di legittimità seguono la soccombenza.

P.Q.M.

La Corte rigetta il ricorso. Condanna la società ricorrente al pagamento delle spese del giudizio di legittimità liquidate in Euro 22,00 oltre Euro 4.300,00 per onorario ed oltre spese, I.V.A. e C.P.A..

Testo non ufficiale. La sola stampa del bollettino ufficiale ha carattere legale.

Cass. civ. Sez. lavoro, Sent., 09-03-2011, n. 5555 Lavoro subordinato

Sentenza scelta dal dott. Domenico Cirasole direttore del sito giuridico http://www.gadit.it/

Svolgimento del processo

1. Con sentenza del 5 novembre 2004 il Tribunale di Reggio Calabria rigettava la domanda di L.P.S., intesa all’annullamento del licenziamento intimatogli dalla Banca Commerciale Italiana (divenuta poi Banca Intesa s.p.a. e, infine, Intesa Sanpaolo s.p.a.) in data 2 luglio 1997. In particolare, al dipendente, investito di funzioni di responsabilità in diverse filiali della banca, erano state contestate diverse inadempienze, emerse in sede ispettiva, specialmente in relazione alla concessione di finanziamenti irregolari e con finalità improprie; egli aveva dedotto la inesistenza di alcuna infrazione, rilevando che, in realtà, il licenziamento aveva carattere ritorsivo, essendo riconducibile a contrasti insorti con il condirettore della filiale di (OMISSIS) circa la gestione del credito in relazione a determinati gruppi finanziari.

2. La decisione veniva confermata dalla Corte d’appello di Reggio Calabria, che, con la sentenza qui impugnata, respingeva il gravame proposto dal L.P.. La Corte territoriale, alla stregua degli accertamenti emersi in giudizio, riteneva determinante il comportamento del dipendente, realizzato mediante diversi episodi, da cui era risultato che il L.P. aveva posto in essere non solo violazioni delle regole di condotta imposte da prescrizioni regolamentari interne, ma anche infrazioni che, per la frequenza e la molteplicità, erano divenute espressione di un modus agendi sistematico, sì che diventava superflua ogni indagine sulla eventuale sussistenza di motivi ritorsivi. I giudici d’appello sottolineavano, in modo specifico, le violazioni accertate in relazione alla irregolare negoziazione di numerosi assegni e alla concessione irregolare di finanziamenti e mutui ipotecari, stipulati per l’acquisto di appartamenti di cui i richiedenti erano già proprietari, ovvero concessi in presenza di gravi irregolarità edilizie o di situazioni patrimoniali prive di alcun affidamento, o, ancora, richiesti per il completamento e la ristrutturazione di alcuni immobili e finalizzati, in realtà, a ripianare posizioni debitorie dei richiedenti; rilevavano altresì la inammissibilità della deduzione di non immediatezza del licenziamento, in quanto non formulata nel ricorso introduttivo.

3. Di questa decisione il L.P. domanda la cassazione deducendo cinque motivi di impugnazione, illustrati con successiva memoria, cui resiste la Intesa Sanpaolo s.p.a. (già Banca Commerciale Italiana s.p.a.).
Motivi della decisione

1. Il primo motivo denuncia violazione della L. n. 604 del 1966, art. 3 e L. n. 300 del 1970, art. 15, in relazione alla L. n. 108 del 1990, art. 3 e artt. 1344 e 1324 c.c.. Si lamenta che la Corte di merito abbia ritenuto l’irrilevanza del carattere ritorsivo del licenziamento, in riferimento all’origine della contestazione, limitandosi a considerare semplicemente la oggettiva esistenza degli addebiti contestati senza alcuna valutazione della incidenza del motivo ritorsivo.

2. Con il secondo motivo, denunciando vizio di motivazione, il ricorrente sottolinea come la contestazione sia conseguita ad una ispezione disposta immediatamente dopo che egli si era dissociato dalle modalità di gestione di un gruppo finanziario, segnalando la necessità di una denuncia "antiriciclaggio". 3. Con il terzo motivo si lamenta che non sia stata esaminata l’eccezione di non immediatezza del licenziamento, sull’erroneo presupposto della novità della deduzione, mentre, in realtà, la medesima era stata già precedentemente formulata, in sede di procedimento cautelare in corso di causa.

4. Il quarto motivo denuncia vizio di motivazione. Si lamenta che la Corte d’appello non abbia adeguatamente valutato deduzioni, istanze e risultanze istruttorie, testimoniali e documentali, riguardanti le operazioni bancarie relative agli addebiti contestati, e ciò, in particolare, con riferimento a diverse pratiche di mutuo, finanziamento e gestione di conti bancari.

5. Con il quinto motivo si lamenta l’omessa valutazione della gravità dei comportamenti addebitati e della proporzionalità, o meno, del licenziamento in relazione alle violazioni accertate.

6. I primi due motivi, da esaminare congiuntamente per l’intima connessione delle relative censure, non dono fondati.

Secondo il consolidato principio enunciato da questa Corte l’intento ritorsivo deve avere avuto un’efficacia, non solo determinativa, ma anche esclusiva, in relazione alla volontà del datore di lavoro, anche rispetto ad altri fatti rilevanti ai fini della configurazione di un provvedimento legittimo di licenziamento (cfr. Cass. n. 10047 del 2004; n, 18283 del 2010). Risulta del tutto ininfluente, con tale presupposto, che le contestazioni mosse al dipendente siano state originate da un’ispezione che sarebbe stata disposta, a suo dire, come reazione ingiusta a sue segnalazioni circa la gestione di "gruppi finanziari" di dubbia provenienza, non essendo affatto necessario procedere, come invece sostiene il ricorrente, ad un giudizio di comparazione fra le diverse ragioni causative del recesso, cioè quelle riconducibili ad una ritorsione e quelle connesse, oggettivamente, ad inadempienze emerse in sede ispettiva.

7. Anche il terzo motivo è infondato. Dagli stessi riferimenti del ricorrente alla lettera di contestazione (allegata e inserita nel corpo del ricorso), nonchè dall’accertamento compiuto dalla decisione impugnata, emerge che il licenziamento era conseguito all’instaurazione di un procedimento disciplinare ai sensi della L. n. 300 del 1970, art. 7, così configurandosi, non solo ontologicamente, ma anche formalmente, come una sanzione espulsiva di carattere disciplinare (in riferimento alla quale, comunque, la banca resistente rileva, puntualmente, la tempestività, in relazione alla complessità delle risultanze ispettive); ne consegue, in maniera assorbente, la operatività del principio – richiamato dallo stesso ricorrente – della necessaria deduzione in giudizio, da parte del lavoratore, della non immediatezza della sanzione, ovvero della contestazione degli addebiti (cfr. ex multis Cass. n. 8264 del 2005).

Nè rileva, per escludere la novità della questione posta in appello, la sua eventuale proposizione nel giudizio cautelare, sia pure instaurato in corso di causa, stante la autonomia dei due giudizi, di cui quello cautelare attiene ad un’istanza meramente strumentale (cfr. Cass. n. 22830 del 2010), sì che la novità, o meno, ai sensi dell’art. 437 c.p.c., va valutata dal giudice esclusivamente in relazione al contenuto della domanda proposta ai sensi dell’art. 414 c.p.c., non essendo neanche consentito introdurre la nuova questione nel corso del giudizio di primo grado ex art. 420 c.p.c..

8. Infondato è anche il quarto motivo. Nella decisione della Corte d’appello l’apprezzamento relativo al comportamento del L.P. è scaturito, in concreto, dalla analitica valutazione delle risultanze indicate, con riferimento all’obbligo di fedeltà e correttezza insito nelle mansioni svolte all’interno della banca. In particolare, la violazione di tale obbligo è stata riferita ad alcuni specifici comportamenti del dipendente, ritenuti con esso incompatibili. In relazione a tali circostanze, le critiche del ricorrente si compendiano in deduzioni inammissibili rispetto alla valutazione operata dalla decisione impugnata. In particolare, si insiste sulla assenza di responsabilità in alcune procedure di concessione di crediti personali e di apertura di conti correnti, in ragione del comportamento della banca e dell’asserita osservanza delle circolari interne, nonchè della inattendibilità di alcuni testimoni, ma, da un lato, si finisce per contrapporre una propria valutazione della prova rispetto alla valutazione adottata dai giudici di merito e, dall’altro, si censura, inammissibilmente, la valutazione operata dal giudice circa l’attendibilità dei testimoni e la autenticità e decisività delle prove documentali. Ugualmente, per quanto concerne le operazioni di mutuo ipotecario, il ricorrente sostiene, e ribadisce, la avvenuta dimostrazione della regolarità dei suoi comportamenti, nonchè l’infondatezza delle contestazioni, fondandosi su dati e circostanze che implicano accertamenti di fatto, ovvero il riesame e la nuova valutazione di risultanze documentali o condotte processuali; parimenti inammissibili si rivelano le censure sollevate in ordine ad altre specifiche operazioni, relative a contestati favoritismi e irregolarità nella gestione di conti correnti e nella negoziazione di titoli, anch’esse fondate sulla asserita falsità e inattendibilità delle testimonianze assunte e dei documenti acquisiti, ovvero sulla mera reiterazione di deduzioni in fatto già formulate in sede di merito, come nel caso della contestazione relativa a "scoperture" indebitamente concesse.

9. Infondato, infine, è il quinto motivo, relativo al giudizio di gravità delle condotte contestate. La decisione impugnata, difatti, contiene una esplicita valutazione del comportamento del ricorrente, esaminato sia in relazione alle singole operazioni, sia nel suo complesso, con l’espressione di un giudizio di gravità riferito alle condotte specifiche e alla molteplicità e frequenza delle medesime, tali da configurare un modo di agire sistematico, idoneo a far venire meno la fiducia del datore di lavoro, specialmente in relazione alle funzioni di responsabilità rivestite dal dipendente.

10. In conclusione il ricorso è respinto. Il ricorrente va condannato al pagamento delle spese del giudizio, secondo soccombenza, con liquidazione come in dispositivo.
P.Q.M.

La Corte rigetta il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese del giudizio, liquidate in Euro 35,00 per esborsi e in Euro tremila per onorario.

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Cons. Stato Sez. IV, Sent., 18-02-2011, n. 1063 Ricorso per l’esecuzione del giudicato

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Svolgimento del processo – Motivi della decisione

1.- Con la sentenza epigrafata la Corte di Cassazione, annullando provvedimento della Corte d’appello di Roma, condannava il Ministero della Giustizia al pagamento, in favore del sig. T.G., della somma di Euro 2.400 (oltre spese di giudizio ed accessori), a seguito di giudizio svoltosi per equa riparazione di danno non patrimoniale, causato dall’inosservanza del principio della ragionevole durata del processo di cui alla Convenzione dei diritti dell’uomo, ratificata dall’Italia con la legge n. 848/1955.

La sentenza esecutiva veniva notificata all’amministrazione. Seguiva atto di diffida e messa in mora notificato dal T. ai sensi dell’art. 90 del r.d. n. 642/1907, con assegnazione del termine previsto per provvedere (tenuto conto di precedente parziale incasso) al pagamento a saldo della somma complessiva di Euro 1600,00=.

Nonostante tali adempimenti l’amministrazione non procedeva ad eseguire la pronunzia mediante corresponsione delle somme determinate dal giudice ordinario; di qui l’azione proposta, col ricorso in esame e tesa ad ottenere l’ottemperanza del provvedimento in parola, per il pagamento della predetta somma a saldo del credito riconosciuto dalla sentenza. Il procuratore della parte ricorrente ha altresì richiesto l’attribuzione a se stesso delle spese e degli onorari del presente giudizio di esecuzione, delle quali si è dichiarato antistatario.

2- Alla camera di consiglio del 30 novembre 2010 il ricorso è stato trattenuto in decisione.

3- Sussistendo tutti i presupposti processuali per l’azione di ottemperanza proposta, il Collegio non può che rilevarne la fondatezza nel merito, non risultando in atti alcun elemento che attesti il pagamento effettivo, da parte dell’amministrazione condannata, delle somme. riconosciute dalla pronuncia in epigrafe specificata.

Occorre pertanto ordinare all’amministrazione stessa il pagamento della somme richiesta a saldo, entro un termine certo ed altresì procedere alla nomina, per il caso di inottemperanza perdurante oltre detto termine, di un commissario "ad acta", fissandone sin da ora il compenso per l’eventuale attività e da porsi a carico dell’amministrazione condannata.

4- Le spese del presente giudizio seguono il principio della soccombenza (art. 91 c.p.c) e vanno poste a carico dell’amministrazione intimata e liquidate, come richiesto, in favore del procuratore della parte ricorrente, in qualità di antistatario.
P.Q.M.

Il Consiglio di Stato in sede giurisdizionale (sezione IV), definitivamente pronunziando in merito al ricorso in epigrafe, lo accoglie e per l’effetto:

1- ordina all’amministrazione intimata di dare esecuzione alla sentenza in epigrafe mediante corresponsione alla parte ricorrente della somma richiesta, entro sessanta giorni dalla notifica delle presente sentenza o, in mancanza, dal deposito della stessa presso la segreteria;

2- nomina, per il caso di inottemperanza perdurante oltre detto termine, quale commissario "ad acta" il Ragioniere generale dello Stato o un dirigente dal medesimo delegato, fissandone il compenso, per l’eventuale attività, in Euro duemila, da porsi a carico dell’amministrazione ordinataria;

3- condanna l’amministrazione intimata al pagamento, in favore del procuratore della parte ricorrente, delle spese del presente giudizio, che liquida complessivamente in Euro 500, oltre accessori ed al pagamento a commissario per l’eventuale attività esecutiva.

Ordina che la presente sentenza sia eseguita dall’autorità amministrativa.

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