Cass. pen. Sez. V, Sent., (ud. 30-11-2010) 07-03-2011, n. 8821 Reato continuato e concorso formale

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Svolgimento del processo

Con sentenza in data 22-12-2009 il Giudice monocratico del Tribunale di Roma dichiarava non doversi procedere a carico dell’imputato P.J. per il reato ascrittogli ai sensi degli artt. 81 cpv., 485 e 491 c.p., per difetto di querela.

Tale pronunzia era conseguente ad eccezione difensiva, e la querela risultava presentata dalla figlia della persona offesa – D. C. – in data 6-6-2005, non legittimata, secondo quanto ritenuto dal Tribunale.

Avverso tale sentenza proponeva ricorso il P.M. evidenziando l’erronea pronunzia di improcedibilità, esistendo in atti verbale di sommarie informazioni testimoniali in cui la parte offesa, D. F., aveva dichiarato di proporre formale denunzia-querela.

Evidenziava altresì che per mero errore tale atto non risultava allegato al fascicolo del dibattimento e citava giurisprudenza secondo la quale è ammissibile l’allegazione dell’atto anche in grado di appello. (Cass. 3^, n. 10964/99). Inoltre rilevava che tale allegazione avrebbe potuto essere ordinata d’ufficio dal Giudice procedente.

Il PM chiedeva in tal senso l’annullamento della sentenza.
Motivi della decisione

La Corte rileva che il ricorso risulta inammissibile.

Invero il Giudice procedente ha correttamente dichiarato l’improcedibilità dell’azione penale in presenza di querela proposta da soggetto non legittimato.

La censura formulata dal P.M. ricorrente, riferita ad un verbale di sommarie informazioni dal quale si rileverebbe la istanza di punizione avanzata dal soggetto parte lesa, D.F., come tale legittimato a formulare apposita querela, resta in questa sede priva di ogni supporto probatorio allegato all’atto di impugnazione, non rinvenendosi in atti detto verbale, che si asserisce essere idoneo a configurare l’esercizio del diritto di querela, e che per mero errore il PM non avrebbe presentato, onde avrebbe potuto essere acquisito d’ufficio dal Giudice procedente. Pertanto, secondo il principio di autosufficienza del ricorso, deve ritenersi inammissibile tale censura di legittimità, non suffragata da alcuna allegazione, onde resta preclusa al giudice di legittimità la verifica del dedotto vizio di legittimità del provvedimento impugnato.
P.Q.M.

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE SEZIONE QUINTA PENALE Dichiara inammissibile il ricorso.

Testo non ufficiale. La sola stampa del bollettino ufficiale ha carattere legale.

Cass. pen. Sez. VI, Sent., (ud. 15-03-2011) 23-03-2011, n. 11700

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Svolgimento del processo

1. Con la sentenza in epigrafe la Corte d’Appello di Campobasso, qualificato il fatto come esercizio arbitrario delle proprie ragioni, ha affermato la responsabilità di G.B. per tale reato riducendo la pena inflittagli e confermando la condanna al risarcimento del danno alle persone offese, costituitesi parti civili.

2. L’originaria imputazione era di violenza privata perchè adottando una condotta violenta e frasi minacciose, collocava barrire quali vetrine, cartelloni pubblicitari, gazebo all’entrata del negozio "Costantino Sport" in modo da bloccarne l’accesso e da impedire ai gestori, C.A.M. e R.G.P., l’accesso al magazzino e l’uso della galleria condominiale.

3. Ricorre il G. il quale con un primo motivo deduce l’assenza dell’elemento oggettivo della minaccia, invece ritenuta sussistente con vizio di motivazione, travisamento del fatto e omessa valutazione di prova testimoniale.

Fermo che non vi fu alcuna condotta violenta, le frasi asseritamele profferite potevano rappresentare espressioni di recriminazione in ordine alla proprietà delle cose, specie in relazione al contesto nel quale vennero pronunziate. D’altronde le parole riportate in querela non erano state udite dai testimoni indifferenti e quelle "questo è niente per quello che vi succederà" non erano state percepite nemmeno dai testi dipendenti delle persone offese. Il rilievo era stato avanzato nei motivi d’appello, ma la sentenza impugnata nulla ha argomentato al riguardo.

4. Nè v’era stata violenza sulle cose in quanto mancava ogni danneggiamento, trasformazione o mutamento di destinazione d’uso delle aree occupate, in quanto i cosiddetti ostacoli non avevano creato alcun serio impedimento come può rilevarsi dalle fotografie.

Tali ostacoli per di più erano stati posti in loco anche negli anni precedenti e riguardavano solo il periodo estivo negli orari di pranzo e di cena quando il negozio delle persone offese era in via di chiusura.

5. Non v’era una controversia in atto al riguardo della collocazione di tali ostacoli, mentre l’unica controversia riguardava solo lo sfratto delle persone offese dal locale, per il quale gli ostacoli di cui si parla non potevano essere ragionevolmente intesi come strumentali.

6. Del tutto trascurato è stato poi l’elemento soggettivo del reato, col quale contrasta il fatto che il comportamento dell’imputato di utilizzare gli spazi antistanti il negozio si ripeteva ormai da anni e non poteva certo dirsi determinato dalla controversia sullo sfratto. Molti testi avevano confermato che le modalità erano sempre le stesse sicchè è illogica la sentenza quando ipotizza un aggravamento dell’occupazione. In ogni modo tale circostanza doveva essere provata dall’accusa ed invece la sentenza ritiene che era onere del ricorrente provare l’identità della sua condotta nel tempo. E per di più al riguardo era stata svalutata la testimonianza di una dipendente dell’imputato senza alcuna dimostrazione della sua inattendibilità.
Motivi della decisione

1. Il ricorso è inammissibile.

Nessun vizio di motivazione è dato riscontrare nell’aver ritenuta minacciosa l’espressione "questo è niente per quello che vi succederà", dato che simile giudizio si è basato su massime di esperienza largamente condivise in ordine al turbamento psicologico che una simile frase può provocare.

La sentenza in esame, anche richiamandosi a quella di primo grado, fornisce logica spiegazione del perchè debbano considerarsi attendibili le persone offese sulla circostanza che tale espressione sia stata in realtà pronunziata e il ricorrente con le sue censure invita ad una terza lettura degli atti.

2. Corrisponde a violenza sulle cose ingombrare il fondo comune, in modo tale da renderlo praticamente inagibile agli usi precedenti.

Il numero degli ostacoli e il grado di ingombro è oggetto di valutazione di fatto non ripetibile in questa Sede.

3. Che la minaccia alle persone e la violenza sulle cose fossero strumentali ad accelerare lo sfratto delle persone offese è anch’esso risultato di un ragionevole giudizio di fatto, nel quale si è dato conto delle occupazioni del suolo operate nelle precedenti stagioni e dell’aggravamento in relazione a quella per cui è processo.

4. Ne risulta che le censure dedotte sono o non consentite o manifestamente infondate.

Alla dichiarazione di inammissibilità del ricorso segue la condanna del ricorrente al pagamento delle spese processuali e al versamento alla cassa dell’ammende di una somma che si stima equo liquidare in mille Euro.
P.Q.M.

La Corte di Cassazione dichiara inammissibile il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali e della somma di mille Euro alla cassa delle ammende.

Testo non ufficiale. La sola stampa del bollettino ufficiale ha carattere legale.

Cons. Stato Sez. IV, Sent., 01-04-2011, n. 2040 Piano di lottizzazione convenzionato

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Svolgimento del processo

Con ricorso iscritto al n. 7999 del 2004, il Comune di Perugia propone appello avverso la sentenza del Tribunale amministrativo regionale per l’Umbria, n. 248 del 17 maggio 2004 con la quale è stato accolto il ricorso proposto dalla B. s.r.l. in liquidazione, già C.D. s.r.l., e dalla S.D. s.r.l. per l’accertamento del diritto delle ricorrenti, ciascuna per la quota parte di spettanza, a veder rideterminato il contributo da pagare al Comune di Perugia per il rilascio della concessione edilizia n. 1543 in data 8 luglio 1993, nella somma di lire 484.914.536 per la quota afferente al costo di costruzione e in lire 61.135.253 per la quota afferente agli oneri di urbanizzazione, con condanna del Comune stesso a ripetere a favore delle ricorrenti, ciascuna per la quota parte di spettanza, in ragione dei pagamenti da ciascuna effettuati, la somma di lire 640.666.716 e quella di lire 27.681.750 nel frattempo indebitamente percepite a titolo, rispettivamente, di quota di contributo per opere di urbanizzazione e quota di contributo afferente al costo di costruzione, con gli interessi legali dal pagamento dell’indebito al saldo e con le altre statuizioni conseguenzialmente necessarie, nonchéè, per quanto occorrer possa, per l’annullamento: A) della concessione edilizia n. 1543 rilasciata dal Sindaco di Perugia alla I.C.O. s.r.l. (originaria concessionaria) in data 8 luglio 1993 e degli atti del procedimento di determinazione del contributo di concessione afferenti al rilascio di tale titolo abilitativo (di estremi e data ignoti) nella parte in cui ha: a.a. individuato in lire 1.110.933.626 (importo peraltro inferiore a quello effettivamente dovuto, pari a lire 1.110.945.092) la quota di contributo per opere di urbanizzazione; ammesso a scomputo il corrispettivo delle opere realizzate direttamente non per lire 1.090.916.000, ma per l’importo parziale di lire 855.716.000; erroneamente operato tale scomputo sulla sola quota di contributo per primarie (pari a lire 470.266.272), e non globalmente sulla quota per primarie e secondarie (pari alle citate 1.110.933.626 lire);, determinatno in lire 701.801.969, invece che in lire 61.135.253, la somma da pagare a titolo di quota di contributo afferente alle opere di urbanizzazione; b. determinatno in lire 512.596.286 piuttosto che in quella di lire 484.914.536 effettivamente dovuta la somma da pagare a titolo di quota di contributo afferente al costo di costruzione; B) della deliberazione del Consiglio Comunale di Perugia n. 789 in data 1° marzo 1990, con la quale viene approvato lo schema della convenzione urbanistica, poi stipulata (il 6 giugno 1990) tra il Comune di Perugia e gli originari danti causa delle odierne ricorrenti, se e nella parte in cui dovesse essere intesa nel senso: a. che i corrispettivi delle opere di urbanizzazione primaria suscettibili di scomputo dovessero essere limitati a lire 855.716.000, escludendo cosìi quell’altro (pari al minimo a lire 235.200.000) afferente alle residue opere di urbanizzazione primaria che l’autrice dell’intervento si era comunque obbligata a realizzare;, e b. che il corrispettivo così determinato dovesse essere oggetto di scomputo separato e non globale; C) della nota a firma dell’assessore delegato in data 6 ottobre 1994, a mezzo della quale è stato opposto il diniego alla istanza motivata, a suo tempo proposta, di dar luogo alla rideterminazione dei contributi di concessione dovuti per il rilascio della concessione edilizia n.1543/1993; D) di tutti gli altri atti presupposti, connessi, collegati e conseguenti, ivi comprese, per quanto necessario, ove non dovessero essere considerati come atti meramente confermativi, i provvedimenti con cui il Sindaco di Perugia (in data 11 marzo 1994 e 15 novembre 1994) ha provveduto (in ragione delle rispettive proprietà) alla voltura della concessione edilizia 1543/1993 a favore delle ricorrenti.

A sostegno delle doglianze proposte dinanzi al giudice di prime cure, le parti ricorrenti avevano chiesto l’accertamento del diritto (con le inerenti condanne) alla rideterminazione, in difformità dall’inerente convenzione, dei contributi per oneri di urbanizzazione e di quelli correlati al costo di costruzione, connessi alla concessione edilizia n.1543 in data 8 luglio 1993.

Impugnavano altresì la deliberazione del Consiglio Comunale n.798/1990 (approvazione dello schema di convenzione) ed il provvedimento di rigetto (6 ottobre 1994 n. 32650) dell’istanza a suo tempo presentata dalle parti ricorrenti per la rideterminazione degli oneri di cui trattasi.

Nel ricorso, rilevata anche la presenza di alcuni secondari errori materiali nel calcolo degli oneri, si sostenevano le tesi di seguito sintetizzate:

I°- i parcheggi privati pertinenziali obbligatori avrebbero dovuto essere esentati dal contributo commisurato al costo di costruzione (in applicazione dell’ art. 9, comma 1 lettera f) L. 28 gennaio 1977 n. 10) giacché ontologicamente equiparabili ai parcheggi pubblici, in relazione alle finalità perseguite;

II°- il costo dei parcheggi sotterranei avrebbe dovuto essere detratto dal contributo per gli oneri di urbanizzazione così come consentito per i parcheggi di superficie;

III° – il contributo per gli oneri di urbanizzazione avrebbe dovuto essere determinato al netto del costo delle opere di urbanizzazione direttamente eseguite, tanto primarie, quanto secondarie (c.d. scomputo globale).

Si costituiva il Comune di Perugia, controdeducendo ed eccependo l’inammissibilità del gravame, sia perché la materia era stata consensualmente definita nella convenzione stipulata in data 6 giugno 1990 e le parti non dimostrano vizi del consenso, sia perché nella delibera consiliare numero 789/1990 era stato recepito integralmente il contenuto del D.P.G.R. nN. 569/77, che conterrebbe il criterio dello "scomputo binario", contrastante con la prospettazione delle ricorrenti sopra riferita sub III°.

Il ricorso veniva deciso con la sentenza appellata. In essa, il T.A.R. riteneva fondate le doglianze, sulla base della ricostruzione in senso contrattuale del rapporto instauratosi tra le parti.

Criticando Contestando le statuizioni del primo giudice, la parte appellante evidenzia l’erroneità della sentenza, di cui si contesta la ricostruzione in diritto ed in fatto dei rapporti intercorsi tra le parti.

Nel giudizio di appello, si sono costituite la B. s.r.l. in liquidazione, già C.D. s.r.l., e la S.D. s.r.l., chiedendo di dichiarare inammissibile o, in via gradata, rigettare il ricorso.

Alla pubblica udienza del 25 gennaio 2011, il ricorso è stato discusso ed assunto in decisione.
Motivi della decisione

1. – L’appello è fondato e merita accoglimento.

2. – L’atto di appello contiene sette diversi motivi di doglianza, che possono essere fondamentalmente raggruppati in due diversi filoni, corrispondenti alle due diverse argomentazioni che sorreggono la sentenza gravata.

Da un lato, vi sono i primi tre motivi di ricorso, che riguardano la ricostruzione dogmatica del rapporto convenzionale all’interno dei procedimenti in materia edilizia. Si tratta delle questioni scaturenti dalla decisione del T.A.R. di ritenere ammissibile l’impugnazione degli atti amministrativi presupposti alla convenzione urbanistica, senza poi nulla decidere in merito al loro annullamento, avendo ritenuto detta impugnazione non necessaria. Dall’altro lato, vi sono gli ultimi quattro motivi di doglianza, che riguardano la scelta del giudice di prime cure di considerare la convenzione urbanistica alla stregua di un contratto tra privati; di conseguenza, e quindi viene censurata la tesi del primo giudice, secondo cui, ritenendo assumendosi che le norme relative alla materia in esame abbiano natura imperativa, ha considerato la materia oggetto del contendere è stata ritenuta come sottratta allae disponibilità delle parti, ritenendo di potercon ciò giungendosi ad accertare la nullità delle clausole della convenzione contrastanti con dette norme imperative e provvedendosi alla loro sostituzione automatica, a norma degli artt. 1418 e 1419 c.c..

Le questioni proposte sono quindi sostanzialmente due, e possono essere esaminate concentrando raggruppando i due diversi gruppi di doglianza.

3. – In merito al primo ordine di questioni, la parte appellante delinea tre diverse ragioni di censura. Con il primo motivo di ricorso, evidenzia il difetto di giurisdizione del giudice amministrativo, sottolineando come la questione in scrutinio attenga alla validità delle clausole di una convenzione in merito all’assunzione di obbligazioni pecuniarie da parte di un privato per l’attuazione di un piano urbanistico. Con il secondo motivo, si censura la ritenuta ammissibilità dell’impugnativa in relazione agli atti amministrativi gravati, sebbene invece dovesse mentre si sarebbe dovuta essere dichiarareta la tardività del ricorso. Con il terzo motivo, si rammenta come la sentenza, sebbene la domanda del ricorrente fosse di carattere demolitorio, ha omesso di pronunciare sulla questione dell’annullamento dell’atto, andando invece ad incidere sulla questione della nullità delle clausole, che esorbitava invece dal thema decidendum.

3.1. – Le questioni possono essere decise congiuntamente, in quanto conseguenza di un’unica impostazione concettuale, riguardante la natura delle convenzioni urbanistiche, e di quelle di lottizzazione in particolare.

Non può che osservarsi come, superate le difficoltà di inquadramento determinate dalla particolarità dello strumento giuridico e, anche, dalle questioni di riparto tra il giudice ordinario e quello amministrativo, la natura di tali atti sia oramai ricondotta pacificamente a quella di accordi sostitutivi del provvedimento ai sensi dell’art. 11 della legge 7 agosto 1990 n. 241 (tra le sentenze più significative e recenti, cfr. Consiglio di Stato, sez. IV, 27 giugno 2008, n. 3255; id., 31 gennaio 2005, n. 222; Consiglio di Stato, sez. V, 15 settembre 2003, n. 5152).

Dal dettoDa tale inquadramento, discendono una serie di conseguenze sistematiche in ordine alle alle dette dette convenzioni, quali la loro non modificabilità in caso di mancato coinvolgimento di tutti i loro originari firmatari; la possibilità per la pubblica amministrazione di sciogliersi dall’accordo per sopravvenuti motivi di pubblico interesse ed ae di regolare unilateralmente ed autoritativamente i rapporti e le attività oggetto della convenzione; ed infine l’attribuzione delle relative controversie alla giurisdizione del giudice amministrativo.

Trasportando i detti descritti elementi all’interno della questione in valutazione, va quindi osservato che, se è da respingere la censura di difetto di giurisdizione proposta con il primo motivo di ricorso, devono invece valutarsi positivamente le doglianze di cui alla seconda e terza ragione di censura.

Se, infatti, la questione si inserisce in una fattispecie procedimentale, la disciplina dei singoli atti è quella tipica degli atti amministrativi, comprensiva anche del termine decadenziale di impugnativa. Deve quindi convenirsi con l’appellante che il ricorso, notificato in data 29 dicembre 2004, era tardivo in relazione a tutti i provvedimenti impugnati, visto che gli ultimi atti erano stati emessi in data 8 luglio 1993 (concessione edilizia n. 1543) e che in data 6 ottobre 1994 era stata assunta la determinazione negativa in ordine alla richiesta di riesame del citato provvedimento.

Conclusivamente, il ricorso in primo grado è stato correttamente introdotto dinanzi al giudice attributario della cognizione, ma era irrimediabilmente tardivo.

4. – La seconda serie di questioni attiene alla configurabilità o meno del meccanismo di tutela evidenziato dal giudice di prime cure, e impone di valutare se, all’interno della convenzione sottoscritta, sussista uno spazio di tutela di posizioni di diritto soggettivo che permetta di operare tramite la sostituzione automatica delle clausole nulle per contrasto con norme imperative.

La difesa appellante contesta tale impostazione nel quarto motivo di ricorso, mentre nelle successive ultime tre censure attacca il meccanismo di rivalutazione adottato dal T.A.R. nel rideterminare gli oneri dovuti.

4.1. – La doglianza del Comune è fondata.

La giurisprudenza si è oramai orientata nell’affermare, all’interno delle convenzioni di urbanizzazione, la prevalenza del profilo della libera negoziazione. Infatti, si è affermato (Consiglio di Stato, sez. V, 10 gennaio 2003, n. 33; Consiglio di Stato, sez. IV, 28 luglio 2005, n. 4015) che, sebbene sia innegabile che la convenzione di lottizzazione, a causa dei profili di stampo giuspubblicistico che si accompagnano allo strumento dichiaratamente contrattuale, rappresenti un istituto di complessa ricostruzione, non può negarsi che in questo si assista all’incontro di volontà delle parti contraenti nell’esercizio dell’autonomia negoziale retta dal codice civile.

La detta ricostruzione assume particolare valenza quando, come nel caso in specie, si assuma che alcuni dei contenuti dell’accordo vengono imposti dalla pubblica amministrazione in termini non modificabili dal privato, visto che, anche in questo caso, ciò non esclude che la parte che abbia sottoscritto la convenzione, conoscendone il contenuto, abbia inteso aderirvi, restandone vincolata, salvo il ricorso agli strumenti di tutela in caso di invalidità del contratto.

Ne deriva che l’argomento sostenuto nel ricorso in primo grado, ossia che le clausole convenute, in quanto aggiuntive rispetto agli oneri di urbanizzazione, riferiti ad opere e servizi menzionati dalla normativa, non siano consentite, con conseguente nullità delle stesse, non può essere sostenuto, trattandosi di determinazione pattizia rimessa alla contrattazione tra i due diversi soggetti coinvolti.

In tal senso, i contenuti della concessione edilizia e le determinazioni ivi contenute rispecchiano la volontà espressa dalle parti, e non appaiono in contrasto con clausole imperative dell’ordinamento civile, non potendo così essere incise dal meccanismo di automatica sostituzione individuato dal giudice di prime cure.

Consequenzialmente, il quarto motivo di doglianza del Comune di Perugia deve essere accolto, con annullamento della sentenza gravata, mentre la Sezione può esimersi dalla valutazione delle rimanenti tre censure perché non ulteriormente rilevanti, non potendo procedersi alla rivalutazione degli oneri come individuati nel rapporto convenzionalmente costituito.

5. – L’appello va quindi accolto. Le spese processuali seguono la complessiva e sostanziale soccombenza e si liquidano come in dispositivo.
P.Q.M.

Il Consiglio di Stato in sede giurisdizionale (Sezione Quarta), definitivamente pronunziando in merito al ricorso in epigrafe, così provvede:

1. Accoglie l’appello n. 7999 del 2004 e per l’effetto, in riforma della sentenza del Tribunale amministrativo regionale per l’Umbria, n. 248 del 17 maggio 2004, respinge il ricorso di primo grado;

2. Condanna B. s.r.l. in liquidazione, già C.D. s.r.l., e S.D. s.r.l., in solido tra loro, a rifondere al Comune di Perugia le spese del doppio grado di giudizio, che liquida in Euro. 5.000,00 (euro cinquemila, comprensivi di spese, diritti di procuratore e onorari di avvocato) oltre I.V.A., C.N.A.P. e rimborso spese generali, come per legge.

Ordina che la presente decisione sia eseguita dall’autorità amministrativa.

Testo non ufficiale. La sola stampa del bollettino ufficiale ha carattere legale.

T.A.R. Lombardia Brescia Sez. I, Sent., 22-04-2011, n. 628 Carenza di interesse sopravvenuta

Sentenza scelta dal dott. Domenico Cirasole direttore del sito giuridico http://www.gadit.it/

Svolgimento del processo – Motivi della decisione

che come da nota della p.a. depositata il 16 marzo 2011 il provvedimento richiesto è stato emesso il 4 marzo, ovvero dopo la notifica del ricorso;

che pertanto lo stesso va dichiarato improcedibile;

che sussiste giusto motivo per compensare le spese, mente l’amministrazione, dato che la pretesa del ricorrente era fondata, va come per legge condannata a rifondere l’importo del contributo unificato;
P.Q.M.

Il Tribunale Amministrativo Regionale per la Lombardia sezione staccata di Brescia (Sezione Prima)

definitivamente pronunciando sul ricorso, come in epigrafe proposto, lo dichiara improcedibile. Compensa per intero le spese fra le parti e condanna l’amministrazione dell’Interno a rifondere al ricorrente l’importo del contributo unificato.

Ordina che la presente sentenza sia eseguita dall’autorità amministrativa.

Testo non ufficiale. La sola stampa del bollettino ufficiale ha carattere legale.