Cons. Stato Sez. V, Sent., 17-01-2011, n. 218 Carenza di interesse sopravvenuta

Sentenza scelta dal dott. Domenico Cirasole direttore del sito giuridico http://www.gadit.it/

Svolgimento del processo e motivi della decisione

Il TAR per la Liguria ha accolto il ricorso proposto dagli odierni appellati, condannando l’amministrazione sanitaria appellante alla corresponsione delle somme retributive corrispondenti ad ore lavorative effettuate in eccedenza al normale orario di servizio.

L’ente ospedaliero ha proposto appello.

Con l’atto indicato in epigrafe, corredato con l’atto di transazione sottoscritto dagli appellati in data 22 novembre 1999, l’amministrazione ha dichiarato di non avere più interesse all’appello.

Tale volontà è stata confermata in udienza.

Al collegio non rimane che prenderne atto e disporre in conformità.

P.Q.M.

Il Consiglio di Stato in sede giurisdizionale (Sezione Quinta)

definitivamente pronunciando sull’appello, come in epigrafe proposto, lo dichiara improcedibile per sopravvenuta carenza di interesse.

Nulla spese.

Ordina che la presente sentenza sia eseguita dall’autorità amministrativa.

Testo non ufficiale. La sola stampa del bollettino ufficiale ha carattere legale.

Cons. Stato Sez. VI, Sent., 31-01-2011, n. 714 Concessioni

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Svolgimento del processo – Motivi della decisione

1). Con un primo ricorso proposto avanti al T.R.G.A. del Trentino Alto Adige, la Soc. F.T. – che per finalità statutaria persegue la realizzazione e l’esercizio di complessi ricettivo/termali, in particolare su aree in proprietà dei soci, site in prossimità della fonte termale denominata "Alloch", ed al cui capitale partecipa anche il Comune di Pozza di Fassa – impugnava per dedotti motivi di violazione di legge ed eccesso di potere in diversi profili le determinazioni del Dirigente del Servizio minerario della Provincia autonoma di Trento nn. 4 e 5 del 22.2.2007, con le quali è stata negata alla ricorrente la concessione mineraria per acque termali denominata "Alloch" ed è stata rinnovata quella rilasciata alla controinteressata T.D. s.r.l. per la medesima risorsa termale.

A sostegno del provvedimento negativo – sulla scorta degli elementi emersi nella conferenza di servizi appositamente indetta – era posto il rilievo che la società Fassa s.r.l. "difetti dei requisiti per garantire l’immediato sfruttamento del giacimento e, pertanto, il rilascio della concessione alla predetta società interromperebbe di fatto l’immediato utilizzo dell’acqua, in violazione del principio che in vista dell’ interesse pubblico prevede un utilizzo proficuo del giacimento".

Nel provvedimento concessorio in favore della soc. T.D., erano introdotte clausole volte a garantire il congruo utilizzo della risorsa idrica sotto l’ aspetto sia qualitativo che quantitativo.

1.1). Con separata determinazione n. 7 del 14.3.2007, il Dirigente del Servizio minerario della Provincia autonoma negava il rilascio in favore della soc. F.T. del permesso di ricerca di acqua minerale naturale denominata "Alloch Antico Bagno" sul rilievo, tra l’altro, di potenziali interferenze con la portata della sorgente Alloch, per la quale era già intervenuto il rinnovo della concessione di utilizzo in favore di altro soggetto privato e stante, inoltre, idoneità nel flusso attuale della sorgente a soddisfare le esigenze anche di altri potenziali fruitori.

Anche detto provvedimento formava oggetto di ricorso avanti al T.R.G.A. di Trento per motivi di violazione degli artt. 1 della l.p. n. 6 del 1988; 97 della Costituzione; 3 e 10 bis della legge n. 241 del 1990 e di eccesso di potere in diverse figure sintomatiche.

1.3). Con la sentenza di estremi indicati in epigrafe, il T.R.G.A. adito, previa riunione, accoglieva il primo ricorso e dichiarava improcedibile il secondo per sopravvenuta carenza di interesse alla decisione.

Il T.R.G.A., in particolare, riteneva osservata la regola di esame comparativo delle domande intese a fruire della medesima risorsa mineraria e dava atto dell’irrilevanza del c.d. diritto di insistenza agli effetti del rinnovo del titolo di concessione in favore del precedente beneficiario.

Il Tribunale riconosceva, tuttavia, l’incongruità delle ragioni elevate dall’Amministrazione a condizione ostativa del rilascio della concessione in favore della soc. F.T., nonché l’omessa valutazione della richiesta formulata in via subordinata dalla società predetta di utilizzo della acque non sfruttate dalla soc. T.D..

Avverso detta sentenza ha proposto appello la soc. T.D., che ha contrastato le conclusioni del T.A.R. insistendo per la riforma della decisione impugnata.

Si è costituita il giudizio la Provincia autonoma di Trento, che ha svolto in memoria considerazioni a sostegno del rigetto dell’ appello incidentale e per la riforma della sentenza impugnata.

Resiste all’appello la soc. F.T. che, dopo aver contraddetto i motivi di impugnativa e riproposto le censure assorbite dal giudice di primo grado, ha, in via incidentale, censurato i capi della sentenza contrari alle proprie ragioni.

All’udienza del 16 novembre 2010 il ricorso è stato trattenuto per la decisione.

2). Il Servizio minerario della Provincia autonoma di Trento – sulla scorta delle risultanze istruttorie e del parere espresso dalla conferenza di servizi – con atto n. 5 del 22 febbraio 2007 perveniva alla statuizione di diniego di rilascio della concessione mineraria per acque termali denominata "Alloch" in favore dell’odierna appellata soc. F.T. sulla scorta di plurime considerazione che possono così riassumersi:

– la proposta della predetta società presenterebbe – come posto in rilievo dal Servizio turismo con nota dell’8 gennaio 2007 – "alcune incertezze, quali l’assenza del know how termale progettato, la sommarietà del progetto e la sovrastima degli utili di esercizio";

– difetta un organico programma di studi e di indagini geologiche, idrogeologiche e geochimiche per definire la qualità e la quantità d’acqua e per stabilire i criteri di salvaguardia della risorsa;

– la soc. F.T. non dispone di una struttura termale già realizzata;

– il rilascio della concessione mineraria in favore della soc. F.T. verrebbe ad incidere sulla continuità di utilizzo dell’acqua termale, con nocumento del pubblico interesse.

Contestualmente alla determinazione reiettiva della domanda presentata dalla soc. F.T., il Servizio minerario, con separato provvedimento n. 4 del 22 febbraio 2007, facendo proprie le conclusioni della conferenza di servizi, rinnovava per la durata di un ventennio la concessione mineraria per lo sfruttamento della sergente "Alloch" in favore della soc. T.D..

L’Amministrazione, in particolare, riconosceva che il progetto redatto dal precedente concessionario – recante l’ ampliamento dello stabilimento termale e la realizzazione di servizi per prestazioni di riabilitazione – consentiva l’ utile prosieguo del "programma di sfruttamento delle acque con l’obiettivo di favorire altresì un ulteriore sviluppo delle strutture termali".

Nell’atto concessorio era inserita una specifica prescrizione intesa a garantire l’ottimale sfruttamento della risorsa idrica sotto l’ aspetto sia qualitativo, che quantitativo, con possibilità di soddisfare, "anche attraverso contratti di somministrazione, le esigenze di eventuali progetti ed iniziative termali localmente promossi".

A tali conclusioni l’Amministrazione perveniva sulla base di una valutazione comparativa delle posizioni dei due soggetti aspiranti all’utilizzo della risorsa acquifera dopo aver assicurato pubblicità, ai sensi dell’art. 10 del regolamento provinciale 5 giugno 2000, n. 10, alla domanda di rinnovo della concessione presentata dalla soc. T.D..

2.1). In merito alle deduzioni formulate con il ricorso incidentale dalla soc. F.T. circa le modalità con cui si è svolta la valutazione comparativa, va osservato che in tale sede non doveva darsi luogo ad una pedissequa applicazione delle regole applicabili per l’affidamento degli appalti pubblici, secondo criteri più strettamente meccanicistici di convenienza economica e congruità tecnica, dovendosi esprimere una scelta orientata a garantire il miglior utilizzo delle risorse termali anche nei riflessi sull’offerta turistica locale.

L’Amministrazione tuttavia, come posto in rilievo nell’appello incidentale, doveva darsi carico, a mezzo di atto di indizione della procedura selettiva, di stabilire preliminarmente i contenuti qualificanti l’offerta di utilizzo della risorsa mineraria, nonché i criteri di massima di valutazione delle offerte medesime, così soddisfacendo la possibilità di accesso al bene pubblico in condizioni di trasparenza, concorsualità ed imparzialità della scelta.

In tali limiti l’impugnativa incidentale merita accoglimento.

2.2). Le conclusioni cui è pervenuto il T.A.R. in ordine ai profili di inadeguatezza e non congruità della motivazione in base alla quale è stata respinta l’istanza della Soc. F.T. alla captazione e sfruttamento della risorsa idrica non recedono a fronte dei motivi articolati in appello.

2.3). Diversamente da quanto dedotto dalla soc. T.D., il T.A.R. non ha sovrapposto né sostituito una propria valutazione di merito tecnico alle conclusioni rassegnate dalla conferenza di servizi ed alle pedisseque determinazioni del Servizio minerario.

Il sindacato del primo giudice è, avvenuto, invero nei limiti di stretta legittimità in ordine alla sufficienza e coerenza interna della motivazione, in raffronto ai presupposti del provvedere ed al possesso dei requisiti richiesti per rivestire la qualità di concessionario della risorsa mineraria.

2.4). Ciò posto – come correttamente dedotto in prime cure dalla soc. F.T. – non poteva condizionarsi il rilascio della concessione ad uno studio propedeutico sulla quantità e quantità dell’acqua, trattandosi di sorgente ormai nota nella sua portata e nelle qualità chimiche e terapeutiche ed avendo formato già oggetto di pluriennale concessione per il suo utilizzo.

Quanto al rilievo dato nel parere della conferenza di servizi all’assenza di una "struttura termale realizzata", si tratta di requisito non esigibile in capo a chi intende accedere all’utilizzo delle acque termali, che solo in presenza dell’ atto di concessione può assumere validi impegni sul piano economico per la realizzazione delle strutture a ciò necessarie.

Accedere all’opposta tesi verrebbe a determinare un evidente sbilanciamento, in sede di valutazione comparativa, fra il precedente concessionario, che già dispone delle strutture termali, e chi per la prima volta intende accedere all’utilizzo della sorgente. Surrettiziamente verrebbe a privilegiarsi il diritto di insistenza nella concessione (che la stessa Amministrazione, dando luogo alla valutazione comparativa, ha inteso ripudiare), impedendosi l’accesso al bene pubblico da parte di chi non ne aveva la precedente disponibilità, in violazione dei principi di concorrenza e della libertà di stabilimento garantita dall’art. 42 del Trattato C.E. (cfr. sui principi Corte Costituzionale, 1° luglio 2010, n. 233).

Quanto precede vale anche per la valorizzazione della continuità dello sfruttamento del giacimento – che nel provvedimento impugnato è elevato ad elemento preferenziale per la scelta del precedente concessionario – trattandosi di regola di selezione che discrimina il potenziale nuovo entrante nell’utilizzo del giacimento il quale, dopo il rilascio del titolo di concessione, necessariamente deve disporre di un congruo arco temporale per approntare i mezzi a ciò necessari. In disparte resta la considerazione che le esigenze di proficuo e continuo sfruttamento del giacimento possono essere soddisfatte collegando la data di scadenza dell’esercizio del precedente concessionario al momento in cui il nuovo abbia realizzato le strutture per l’utilizzo delle acque termali.

Quanto al parere espresso dal Servizio turismo sul progetto predisposto dalla soc. F.T., lo stesso è connotato da valutazioni di segno positivo in merito al suo impatto per la qualificazione dell’offerta turistica, tant" è che – pur esprimendo la scelta preferenziale in favore del precedente concessionario – contestualmente segnala l’opportunità di assecondare accordi contrattuali per assicurare la disponibilità dell’acqua in esubero da parte della stessa società F.T..

2.5). Il T.A.R. ha, inoltre, correttamente accolto il motivo formulato avverso la mancata valutazione della domanda prodotta in via subordinata per la concessione dell’acqua sorgiva in esubero e non utilizzata dal concessionario.

Dagli atti del procedimento e dalla stessa motivazione del provvedimento conclusivo, emerge infatti l’esigenza di "garantire un effettivo incremento dello sfruttamento dell’ acqua ed un congruo utilizzo della risorsa sia sotto l’aspetto qualitativo che quantitativo" (cfr. il verbale della conferenza di servizi del 25 gennaio 2007 e il parere del Servizio turismo dell’ 8 gennaio 2007).

Con il provvedimento di rinnovo della concessione in favore della soc. T.D., l’ Amministrazione ha inteso ovviare al sottoutilizzo dell’acqua consentendo la stipula di "contratti di somministrazione (per) le esigenze di eventuali progetti o iniziative termali localmente promossi".

La su riferita soluzione provvedimentale si pone, tuttavia, in contrasto con la possibilità di accesso al bene pubblico in condizioni di parità da parte di una pluralità di soggetti che aspirano al suo utilizzo, venendosi a determinare – pur in presenza di una sovrabbondante disponibilità della risorsa – una condizione di monopolio e, quindi, anticoncorrenziale dell’unico concessionario che, con autonome scelte, è posto in condizione di selezionare i soggetti ai quale consentire lo sfruttamento del giacimento.

La scelta di ogni altro utilizzatore del bene minerario va, invece, riservata alla sfera dei poteri pubblicistici dell’ente e non può formare oggetto di un implicita sub delega all’unico concessionario.

Non è di ostacolo all’esame della domanda presentata in via subordinata dalla soc. F.T. l’art. 10 del d.p.p. 5 giugno 2003, n. 10, che prevede il divieto di rilascio della concessione mineraria in caso di interferenza con un’area già oggetto di concessione relativa alla medesima sostanza.

La disposizione assume a riferimento la nozione di "area" asservita allo sfruttamento del giacimento e si riferisce ad una situazione di fatto che, sul piano materiale, impedisce ogni contestuale attività di estrazione mineraria da parte di altro soggetto. Detta ipotesi non ricorre nel caso di captazione di una risorsa liquida che, a mezzo di opportuni accorgimenti tecnici, può essere consentita nella misura eccedente le esigenze dell’unico ed originario concessionario.

3) La soc. F.T., inoltre, fondatamente ripropone le doglianze – non esaminate dal T.A.R. per assorbimento – formulate avverso il diniego del permesso di ricerca mineraria di acqua minerale naturale denominata "Alloch Antico Bagno" in un" area di ettari 8,70, ricadente nel territorio del Comune di Pozza di Fassa.

Va, invero, ribadito il differente ruolo funzionale che è chiamato ad assolvere il permesso di ricerca – consistente nella verifica preliminare dell’esistenza nel sottosuolo del deposito minerario – rispetto al provvedimento concessorio che abilita allo sfruttamento delle risorsa mineraria, ove effettivamente esistente.

Ciò comporta che non può costituire idonea motivazione del diniego il giudizio prognostico di un possibile esito negativo dell’istanza di utilizzo della sorgente per uso termale. Valgono al riguardo i principi affermati dalla giurisprudenza amministrativa – cui fa conferente richiamo la società appellante – secondo i quali il permesso di ricerca per lo sfruttamento di acque minerali non costituisce presupposto in senso tecnico e giuridico della concessione mineraria, trattandosi di provvedimenti fra loro autonomi che concludono procedimenti distinti e che sono preordinati al raggiungimento di finalità diverse (Cons. Stato, sez. VI, 24 novembre 1983, n. 852).

Alla luce di detti principi non possono essere elevati a causa ostativa del rilascio del permesso di ricerca le valutazioni sull’idoneità della sorgente "Alloch", nell’attuale portata, a garantire il fabbisogno dell’attuale concessionaria e di altri soggetti interessati allo sfruttamento, nel quadro del prefigurato sviluppo termale locale, trattandosi di questioni che potranno assumere rilievo unicamente in sede di esame di una richiesta di concessione mineraria, e non gli effetti del rilascio del solo permesso di ricerca.

Quanto agli aspetti più strettamente tecnici, ritenuti impeditivi allo svolgimento dell’ attività di ricerca, la limitata interferenza per circa 200 mt. della zona di ricerca (indicata in circa ettari 8.70) con la porzione di territorio interessata dalla concessione rilasciata alla soc. T.D. avrebbe potuto, tutto al più, giustificare il diniego dell’ atto autorizzatorio limitatamente a detta area, ma non il suo rigetto "in toto", ovvero, in via alternativa, costituire presupposto per l’attivazione di una fase istruttoria per ovviare a detto interferenza, nel quadro di un rapporto collaborativo con il responsabile del procedimento secondo quanto previsto dall’ art. 6 della legge 7 agosto 1990, n. 241.

In ordine, infine, al rilievo del Servizio minerario in merito all’interferenza delle perforazioni sulla portata della sorgente "Alloch", la soc. F.T. correttamente rileva che l’attività di ricerca nel suo contenuto ricognitivo non comporta captazione della risorsa acquifera, mentre la paventata incidenza (peraltro non comprovata in base ad puntuali e documentate verifiche tecniche) potrebbe assumere rilievo solo all’atto del rilascio del titolo concessorio per lo sfruttamento della sorgente.

Per le considerazioni che precedono va respinto l’appello principale e va accolta l’impugnativa incidentale nei limiti di cui in motivazione.

In relazione ai particolari profili delle controversia, le spese e gli onorari del giudizio possono essere compensati fra le parti.
P.Q.M.

Il Consiglio di Stato in sede giurisdizionale (Sezione Sesta) definitivamente pronunciando sull’appello n. 259 del 2009, come in epigrafe proposto:

– respinge l’ appello principale;

– accoglie in parte l’appello incidentale, nei sensi indicati in motivazione;

– compensa fra le parti le spese del giudizio.

Ordina che la presente sentenza sia eseguita dall’autorità amministrativa.

Testo non ufficiale. La sola stampa del bollettino ufficiale ha carattere legale.

Cass. pen. Sez. II, Sent., (ud. 27-01-2011) 23-02-2011, n. 6944

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Svolgimento del processo – Motivi della decisione

Con sentenza in data 30.9.2004, il Tribunale di Roma, fra l’altro, dichiarò B.R., M.B.M. e R. L.G. responsabili dei reati di associazione per delinquere (capo A), falso in atto pubblico con induzione in errore del pubblico ufficiale (capi B i primi due e C tutti e tre), falso in atto pubblico con induzione in errore e truffa (capi D, E, F solo R. e M., G ed H) unificati sotto il vincolo della continuazione e – concesse le attenuanti generiche equivalenti all’aggravante – condannò B. e R. alla pena di anni 4 mesi 6 di reclusione e M. alla pena di anni 4 mesi 5 di reclusione.

Gli imputati furono altresì condannati, in solido con altri, al risarcimento dei danni ed alla rifusione delle spese a favore della parte civile Banca di Roma.

Avverso tale pronunzia gli imputati sopra indicati, insieme ad altri, proposero gravame e la Corte d’appello di Roma, con sentenza in data 20.11.2009, in riforma della decisione di primo grado, fra l’altro, dichiarò non doversi procedere in ordine ai delitti di truffa perchè estinti per prescrizione, assolse B., M. B. e R.L. dai reati loro rispettivamente ascritti ai capi B, C, D, H perchè il fatto non sussiste e determinò le pene residue per i menzionati imputati in anni 3 mesi 3 di reclusione ciascuno.

Ricorrono per cassazione i difensori degli imputati B. e M.B., nonchè R.L. personalmente. Il difensore di B.R. deduce:

1. violazione di legge in relazione al reato associativo ritenuto senza i requisiti minimi indispensabili; nel caso in esame era esiguo il numero di episodi qualificati come reati fine contestati (benchè la finanziaria amministrata da B. svolgesse moltissime operazioni analoghe a quelle contestate) in un arco temporale ridotto; non vi è prova del coinvolgimento degli imputati nei reati fine; non sono dimostrati rapporti se non episodici fra B. e R., mentre è apodittica l’affermazione che B. e M. si conoscessero, in quanto l’unica affermazione in proposito di M. è inutilizzabile in quanto solo resa al P.M. e mai confermata; nessun elemento conferma la comune volontà di commettere una serie indeterminata di delitti; il capo di imputazione fa riferimento ad un mutuo in data 24.5.1995 in realtà mai erogato;

era pertanto al più ipotizzabile un concorso di persone nel reato continuato;

2. violazione della legge processuale in relazione alla genericità del capo di imputazione sub A) relativo al reato associativo;

3. vizio di motivazione in relazione alla ritenuta responsabilità per il reato di cui al capo A) basata solo sulla affermazione che gli imputati erano estremamente collegati tra loro; in relazione ai reati di falso non vi è risposta alle doglianze svolte nei motivi di appello; in particolare per il capo G era stato segnalato che B. si era limitato ad erogare il mutuo, mentre per il capo E non si era occupato dell’istruttoria delle pratiche relative al mutuo, ma nulla di ciò è stato valutato nella sentenza di appello.

Il difensore di M.B.M. deduce:

1. erronea determinazione della pena in quanto, essendo stata affermata la responsabilità solo per il reato associativo, non poteva essere effettuato un aumento di pena per continuazione;

2. vizio di motivazione in relazione all’affermazione di responsabilità dell’imputato in ordine al reato associativo; la partecipazione avrebbe dovuto essere dimostrata con l’esistenza di condotte sintomatiche di divisione di compiti, comunità di mezzi, utilizzazione in comune di strutture; i vari reati erano contestati a soggetti diversi, ad alcuni dei quali non era contestato il reato associativo; difetta la struttura organizzativa e comunque la sentenza non motiva sugli elementi ritenuti indispensabili dalla giurisprudenza di legittimità.

R.L.G. deduce:

1. nullità del giudizio di appello in quanto per l’udienza del 5.10.2009 il difensore di R.L. aveva chiesto rinvio per legittimo impedimento e la Corte territoriale, in accoglimento della richiesta, rinviò all’udienza del 20.11.2009, disponendo la notifica al difensore Avv. Egidio Lanari, ma il verbale di udienza non fu notificato; all’udienza del 20.11.2009, stante l’assenza dell’avv. Egidio Lanari, fu nominato un difensore d’ufficio; ciò determinerebbe nullità assoluta;

2. nullità della notifica, laddove fosse stata effettuata per fax, in quanto tale modalità non fu autorizzata; peraltro mai nessun fax fu ricevuto dall’Avv. Lanari;

3. nullità del dibattimento d’appello in conseguenza delle nullità esposte nel primo e nel secondo motivo di ricorso;

4. nullità della sentenza impugnata in conseguenza delle nullità esposte nei precedenti motivi di ricorso;

5. nullità del giudizio e della sentenza impugnata per violazione dell’art. 420 c.p.p. (già 486) in quanto in data 18.5.2004, nel giudizio di primo grado, fu rigettata la richiesta di rinvio per legittimo impedimento per motivi di salute dell’Avv. Egidio Lanari, supportata da certificato medico, nonostante altra Sezione dello stesso Tribunale avesse ritenuto la sussistenza del legittimo impedimento;

6. nullità del giudizio per indeterminatezza dei capi di imputazione relativi ai delitti di falso, senza indicazione del pubblico ufficiale ingannato e degli atti falsi; la Corte territoriale ha affermato che è stato tratto in inganno il notaio rogante con l’esibizione di documenti falsi ( R.L. presentando un documento a nome di P.), ma nel capo G non vi è riferimento ad un atto pubblico, nè ad un notaio; in tale capo, come nei capi E ed F, si fa solo riferimento all’aver ingannato la banca; non vi è falsità nè materiale nè ideologica compiuta dal pubblico ufficiale, neppure per induzione in errore ai sensi dell’art. 48 c.p.; non è precisata la modalità con la quale il pubblico ufficiale sarebbe stato ingannato; la banca è un soggetto privato, sicchè la presentazione alla banca di atti falsi non potrebbe mai determinare la induzione in errore di un pubblico ufficiale;

l’indeterminatezza del capo di imputazione avrebbe impedito un’adeguata difesa;

7. nullità della sentenza per mancata corrispondenza fra imputazione e sentenze di primo e di secondo grado, dal momento che la contestazione del reato di cui agli artt. 48 – 476 c.p. di cui all’imputazione è stata modificata in quella di cui agli artt. 48 – 479 c.p., peraltro mantenendo l’indeterminatezza già denunziata nel sesto motivo;

8. mancato riconoscimento dello stato di necessità in quanto R. L. sarebbe stato sottoposto a minacce dirette anche alla famiglia da parte di B.R. in ragione della pregressa attività usuraria posta in essere nei confronti del ricorrente e dei suoi familiari da B.; la prova dell’esimente sarebbe fornita da documenti allegati al ricorso;

9. violazione della legge penale in relazione alla ritenuta sussistenza del reato associativo e comunque mancata applicazione della circostanza attenuante di cui all’art. 114 c.p.;

10. riduzione della pena ai minimi edittali stante l’incensuratezza del ricorrente;

11. mancato esame della richiesta di riapertura del dibattimento.

Con motivi nuovi depositati in data 1.12.2010 il difensore di M.B.M. deduce:

1. vizio di motivazione in relazione al reato associativo;

mancherebbero un programma delittuoso indeterminato ed una struttura;

2. intervenuta prescrizione del reato.

Il primo ed il terzo motivo proposto nell’interesse di B. R., il secondo motivo di ricorso proposto nell’interesse di M.B.M. ed il nono motivo di ricorso proposto da R.L.G. sono manifestamente infondati e svolgono censure di merito.

La Corte territoriale ha ritenuto la sussistenza dell’associazione per delinquere in base ai seguenti elementi: esistenza di un gruppo organizzato in modo stabile ed efficiente, partecipazione di almeno tre persone ( B., M.B. e R.L.), predisposizione di mezzi (finanziaria del B., impresa Ripolina servizi di R.L., realizzazione di materiale falso da parte di M.B.), realizzazione di un rilevante numero di delitti fine (fra i quali vanno considerati anche i reati di truffa per i quali è stata pronunziata sentenza di non doversi procedere per prescrizione).

In tale valutazione non vi è alcuna violazione di legge nè alcun vizio di motivazione che la renda sindacabile in questa sede.

Infatti, ai fini della configurabilità di una associazione a delinquere, il cui programma criminoso preveda un numero indeterminato di delitti contro il patrimonio e la conseguente distrazione dei beni dell’impresa nel cui nome gli associati compiano l’attività contrattuale, non si richiede l’apposita creazione di una organizzazione, sia pure rudimentale, ma è sufficiente una struttura che può anche essere preesistente alla ideazione criminosa e già dedita a finalità lecita, nè è necessario che il vincolo associativo assuma carattere di stabilità, essendo sufficiente che esso non sia a priori circoscritto alla consumazione di uno o più reati predeterminati, con la conseguenza che non si richiede un notevole protrarsi del rapporto nel tempo, bastando anche un’attività associativa che si svolga per un breve periodo. (Cass. Sez. 5, Sentenza n. 31149 del 5.5.2009 dep. 28.7.2009 rv 244486).

Nella valutazione espressa dalla Corte d’appello è implicito il rigetto delle doglianze svolte nei motivi d’appello.

La applicazione della circostanza attenuante di cui all’art. 114 c.p. relativamente a R. non è stata richiesta nei motivi di appello ed è comunque esclusa dalle modalità dei fatti contestati.

Il secondo motivo proposto nell’interesse di B.R. è manifestamente infondato.

Anzitutto l’insufficiente enunciazione dell’imputazione nel decreto che dispone il giudizio determina una nullità relativa, che come tale deve essere eccepita, pena altrimenti la sanatoria, entro il termine previsto dall’art. 491 c.p.p., comma 1, (Cass. Sez. 5, Sentenza n. 20739 del 25.3.2010 dep. 1.6.2010 rv 247590).

Nel caso in esame, non risulta neppure che tale ipotizzata nullità sia stata dedotta con i motivi d’appello.

In ogni caso la contestazione relativa al reato associativo non è generica posto che attraverso l’indicazione degli associati, dello scopo e delle modalità di realizzazione dei reati fine è individuato il nucleo essenziale dell’accusa, tanto che il ricorrente ha potuto svolgere puntuali deduzioni difensive.

Il primo motivo di ricorso proposto nell’interesse di M. B.M. è manifestamente infondato.

Il predetto imputato è stato ritenuto responsabile non solo del reato associativo, ma anche dei delitti di cui ai capi E, F e G, sicchè correttamente è stato operato l’aumento di pena per continuazione di un mese di reclusione per ciascuno dei predetti capi.

Il primo, secondo, terzo e quarto motivo proposti da R.L. sono manifestamente infondati.

Le Sezioni Unite di questa Corte con sent. n. 8285 del 28.2.2006 dep. 9.3.2006 rv 232906 hanno affermato che "il difensore che abbia ottenuto la sospensione o il rinvio della udienza per legittimo impedimento a comparire ha diritto all’avviso della nuova udienza solo quando non ne sia stabilita la data già nella ordinanza di rinvio, posto che, nel caso contrario, l’avviso è validamente recepito, nella forma orale, dal difensore previamente designato in sostituzione, ai sensi dell’art. 97 c.p.p., comma 4, il quale esercita i diritti ed assume i doveri del difensore sostituito e nessuna comunicazione è dovuta a quest’ultimo".

Il quinto motivo di ricorso proposto da R.L. è generico, dal momento che costituisce mera reiterazione del motivo di appello corrispondente, rigettato dalla Corte territoriale con motivazione circa la non attualità dell’impedimento (v. p. 15 sentenza impugnata). Rispetto a tali argomentazioni della Corte d’appello nessuna considerazione è svolta nel motivo di ricorso che, per tale ragione è aspecifico.

Il sesto motivo proposto da R.L. è manifestamente infondato e svolge censure di merito.

La contestazione relativa ai reati di falso non è generica posto che attraverso l’indicazione delle modalità di induzione in errore del pubblico ufficiale rogante (attraverso l’utilizzo di documenti falsi, attestanti una falsa identità) e l’individuazione dell’immobile di riferimento è individuato il nucleo essenziale dell’accusa, tanto che il ricorrente ha potuto svolgere puntuali deduzioni difensive.

La Corte territoriale ha confermato la responsabilità per i delitti di falso limitatamente alle ipotesi in cui è stato indotto in errore il pubblico ufficiale rogante solo nei casi in cui, attraverso l’utilizzo di documenti falsi, è stata rappresentata una falsa identità (v. p. 17 sentenza impugnata).

In particolare il riferimento ad un pubblico ufficiale (notaio) è implicito quanto al capo G nel richiamo alle spese notarili e quanto ai capi E ed F nel richiamo alla compravendita di immobili.

Il settimo motivo proposto da R.L. è inammissibile perchè l’eventuale nullità andava eccepita con i motivi di appello e non lo è stata.

Secondo l’orientamento di questa Corte, che il Collegio condivide, infatti, "la nullità della sentenza per mancata correlazione tra imputazione e fatto accertato dal giudice non rientra tra quelle assolute e insanabili ma, attenendo all’esercizio del diritto di difesa, configura una nullità a regime intermedio, che non può essere più rilevata dal giudice nè dedotta dall’interessato, essendosi verificata nel giudizio di primo grado, dopo la deliberazione della sentenza nel grado successivo. Ne consegue la indeducibilità di tale vizio per la prima volta in sede di legittimità ove esso non sia stato denunciato nei motivi di appello". (Cass. Sez. 6 sent. 7957 del 14.05.1997 dep. 26.08.1997 rv 209753. V. anche Cass. Sez. 4 sent. 41 del 22.11.1996 dep. 9.1.1997 rv 207407: "la mancanza di correlazione tra l’imputazione contestata e la sentenza integra una nullità di ordine generale qualificabile come nullità a regime intermedio ex art. 180 c.p.p.. Essa, pertanto, deve essere rilevata di ufficio o dedotta dall’interessato nel tennine previsto dal menzionato art. 180". Cass. Sez. 1 sent. 10684 del 19.9.1995 dep. 27.10.1995 rv 202536: "il difetto di correlazione tra fatto contestato e fatto ritenuto in sentenza, non comporta nullità di ordine generale assoluta ed insanabile: ne consegue la sua indeducibilità per la prima volta in sede di legittimità ove il vizio concerna la sentenza di primo grado ed esso non sia stato denunciato in appello").

L’ottavo motivo proposto da R.L. è manifestamente infondato, svolge censure di merito e costituisce una mera reiterazione del corrispondente motivo d’appello, motivatamente rigettato dalla Corte territoriale.

Il giudice di secondo grado ha infatti rilevato che non vi fosse conferma probatoria di quanto allegato riguardo allo stato di necessità e che comunque la situazione rappresentata non era idonea ad integrare l’esimente invocata.

Il decimo motivo d’appello proposto da R.L. è proposto al di fuori dei casi consentiti, investendo valutazioni di merito ed è generico dal momento che neppure precisa se si deduce violazione di legge o vizio di motivazione.

La determinazione in concreto della pena, peraltro, costituisce il risultato di una valutazione complessiva e non di un giudizio analitico sui vari elementi offerti dalla legge, sicchè l’obbligo della motivazione da parte del giudice dell’impugnazione deve ritenersi compiutamente osservato, anche in relazione alle obiezioni mosse con i motivi d’appello, quando egli, accertata l’irrogazione della pena tra il minimo e il massimo edittale, affermi di ritenerla adeguata o non eccessiva. Ciò dimostra, infatti, che egli ha considerato sia pure intuitivamente e globalmente, tutti gli aspetti indicati nell’art. 133 c.p. ed anche quelli specificamente segnalati con i motivi d’appello. (Cass. Sez. 6, sent. n. 10273 del 20.5.1989 dep. 12.7.1989 rv 181825. Conf. mass. N. 155508; n. 148766; n. 117242).

L’undicesimo motivo di ricorso è manifestamente infondato. La rinnovazione del dibattimento avrebbe dovuto essere disposta, ai sensi dell’art. 603 c.p.p., non trattandosi di prove nuove, solo se il giudice di appello avesse ritenuto di non poter decidere allo stato degli atti ed anche tale valutazione è di merito e la motivazione può essere implicita (v. Cass. Sez. 5 sent. n. 6379 del 17.3.1999 dep. 21.5.1999 rv 213403: "In tema di giudizio di appello, poichè il vigente cod. proc. pen., pone una presunzione di completezza della istruttoria dibattimentale svolta in primo grado, la rinnovazione, anche parziale, del dibattimento ha carattere eccezionale e può essere disposta solo qualora il giudice ritenga di non poter decidere allo stato degli atti. Pertanto, mentre la decisione di procedere a rinnovazione deve essere specificamente motivata, occorrendo dar conto dell’uso del potere discrezionale derivante dalla acquisita consapevolezza di non poter decidere allo stato degli atti, nel caso, viceversa, di rigetto, la decisione può essere sorretta anche da motivazione implicita nella stessa struttura argomentativa posta a base della pronuncia di merito, che evidenzi la sussistenza di elementi sufficienti per una valutazione – in senso positivo o negativo – sulla responsabilità, con la conseguente mancanza di necessità di rinnovare il dibattimento".

I ricorsi devono pertanto essere dichiarati inammissibili.

La inammissibilità del ricorso principale comporta la inammissibilità dei motivi nuovi proposti nell’interesse di M.B.M., ai sensi dell’art. 585 c.p.p., comma 4.

Ai sensi dell’art. 616 c.p.p., con il provvedimento che dichiara inammissibili i ricorsi, gli imputati che li hanno proposti devono essere condannati al pagamento delle spese del procedimento, nonchè – ravvisandosi profili di colpa nella determinazione della causa di inammissibilità – ciascuno al pagamento a favore della Cassa delle ammende della somma di mille Euro, così equitativamente fissata in ragione dei motivi dedotti.

La dichiarazione di inammissibilità dei ricorsi comporta altresì la condanna degli imputati in solido alla rifusione a favore della parte civile Unicredit (conferitaria Banca di Roma), delle spese di questo grado di giudizio liquidate in Euro 3.000,00 per onorari, oltre rimborso spese forfettarie, I.V.A. e C.P.A., come da nota spese ritenuta congrua.
P.Q.M.

Dichiara inammissibili i ricorsi e condanna i ricorrenti al pagamento delle spese processuali e ciascuno al versamento della somma di Euro mille alla Cassa delle ammende.

Condanna altresì gli imputati in solido alla rifusione a favore della parte civile Unicredit (conferitala Banca di Roma) delle spese di questo grado di giudizio liquidate in Euro 3.000,00 per onorari, oltre spese forfettarie, I.V.A. e C.P.A..

Testo non ufficiale. La sola stampa del bollettino ufficiale ha carattere legale.

Cass. pen. Sez. II, Sent., (ud. 24-02-2011) 08-03-2011, n. 9057

Sentenza scelta dal dott. Domenico Cirasole direttore del sito giuridico http://www.gadit.it/

Svolgimento del processo

Il Tribunale di Crotone, con sentenza in data 22/1/2008, dichiarava, tra gli altri, S.P., T.G., A.N., V.S., V.A., V.C., V.R. e F.C., colpevoli dei reati loro rispettivamente ascritti, cosi come riqualificarti in sentenza, di, estorsione aggravata, tentata estorsione aggravata e T. G. e S.P. anche di associazione per delinquere di stampo mafioso finalizzata alla consumazione di estorsione ai danni di operatori economici e di imprenditori edili, costretti a versare una somma di denaro solitamente corrispondente ad una percentuale del valore dei lavori, condizionando le imprese nell’esecuzione dei lavori in subappalto, indicando le imprese di loro fiducia cui dovevano rivolgersi per l’esecuzione dei lavori di movimento terra, fornitura di inerti, impiantistica ed altro.

I reati di estorsione e di violenza privata venivano individuati nelle diverse condotte, da parte degli imputati, finalizzate alla costrizione degli imprenditori commerciali, impegnati in attività edili in appalto, indotti a versare somme di denaro quale prezzo per la "tranquillità" dei vari cantieri, costretti ad accettare subappaltatori loro indicati, per l’esecuzione di lavori in appalto (impiantistica idraulica, riscaldamento, fornitura di materiali, etc.).

Il Tribunale condannava, riqualificate le imputazioni come in dispositivo, con la continuazione, a) S.P. alla pena di anni nove di reclusione e Euro 1880 di multa, b) T.G. (assolto per le imputazioni di cui ai capi 5 e 6), alla pena di anni otto, mesi due di reclusione e Euro 1660 di multa; c) A.N. alla pena di anni otto, mesi quattro di reclusione e Euro 1680 di multa; d) V.S. (assolto dei reati di cui ai capi 5,6,7), alla pena di anni sei di reclusione e Euro 1100 di multa; e) V.A., con le attenuanti generiche ritenute equivalenti all’aggravante, alla pena di anni cinque, mesi sei di reclusione e Euro 600 di multa; f) V.C., riconosciute le attenuanti generiche equivalenti all’aggravante, alla pena di anni sei di reclusione e Euro 800 di multa; g) V.R., riconosciute le attenuanti generiche equivalenti all’aggravante, alla pena di anni cinque, mesi sei di reclusione e Euro 600 di multa,h) F.C., riconosciute le attenuanti generiche equivalenti all’aggravante, alla pena di anni cinque, mesi sei di reclusione e Euro 600 di multa, con le pene accessorie di legge per tutti gli imputati, applicando nei confronti di S.P. e T. G. anche la misura di sicurezza della libertà vigilata per la durata di anni uno, oltre al risarcimento dei danni in favore della parte civile, da liquidarsi in separato giudizio.

La Corte di appello di Catanzaro, con sentenza in data 25/2/2010, in parziale riforma della sentenza del Tribunale, appellata dagli imputati, assolveva S.P. e T.G. del reato loro ascritto al capo nove per non aver commesso il fatto, e, esclusa l’aggravante di cui all’art. 629 c.p., comma due in relazione all’art. 628 c.p., comma 3, n. 3, rideterminava le pene irrogate, nei confronti di S.P. in anni sei, mesi 10 di reclusione e Euro 980 di multa e nei confronti di T.G. in anni sei di reclusione e Euro 760 di multa.

Riduceva le pene nei confronti di A.N. ad anni sei, mesi 10 di reclusione e Euro 980 di multa, nei confronti di V. R., V.A., F.C. ad anni tre di reclusione e Euro 300 di multa ciascuno; ritenuta, quanto a V.S. e V.C. la continuazione con i reati di cui alla sentenza della Corte d’appello di Catanzaro in data 26/2/2008, divenuta irrevocabile, aumentava la pena irrogata a V.S. di mesi sei di reclusione e Euro 120 di multa e la pena irrogata a V.C. di anni uno di reclusione e Euro 240 di multa, revocando la pena accessoria della libertà vigilata nei confronti di S.P. e T.G., con le pene accessorie di legge per tutti gli imputati, confermando, nel resto, la sentenza impugnata.

Proponevano ricorso per cassazione il difensore degli imputati, deducendo tutti, quale motivo comune la incompetenza territoriale del Tribunale di Crotone, avendo il M., con riferimento al reato ritenuto più grave, consegnato il denaro richiesto non a (OMISSIS), come ritenuto dalla Corte di appello, ma a (OMISSIS), con conseguente competenza del tribunale di Vibo Valentia.

I difensori di S.P., T.G., A.N., V.R. con autonomi ricorsi, deducevano il seguente ulteriore motivo comune:

a) violazione del principio di correlazione tra imputazione e sentenza con riferimento alla ritenuta sussistenza all’aggravante speciale di cui all’art. 628 c.p., comma 3, n. 1 in luogo dell’aggravante comune di cui all’art. 112 c.p., mancando, peraltro, la condizione legittimante l’applicazione dell’aggravante speciale di "più persone riunite" prevista dall’art. 628 c.p., comma 3, n. 1, emergendo dagli atti la sola presenza della vittima e dell’estortore;

Nell’interesse di A.N. venivano dedotti i seguenti ulteriori motivi:

a) erronea riqualificazione del reato originariamente contestato ai capi 2, 3 e 4 della pubblica, nella più grave fattispecie di cui all’art. 629 c.p., comma 2, non sussistendo rapporto di specialità tra agli artt. 610 e 629 c.p.;

b) violazione dell’art. 606 c.p.p., comma 1, lett. b) c) ed e) con riferimento agli artt. 416 bis e 629 c.p. in relazione all’art. 628 c.p., comma 3 e artt. 125 e 192 c.p.p., avendo ritenuto non necessari i riscontri esterni alla dichiarazione del M., testimone di giustizia, sottoposto a protezione dello Stato, rilevando la genericità delle dichiarazioni dello stesso, contestando l’attendibilità del teste che non può costituire unico elemento probatorio ai fini della responsabilità del ricorrente;

c) erronea applicazione dell’aggravante di cui alla L. n. 203 del 1991, art. 7 essendo stati i singoli reati commessi in epoca antecedente rispetto all’entrata in vigore della normativa speciale;

d) violazione dell’art. 606 c.p.p., comma 1, lett. b) c) ed e) con riferimento agli artt. 416 bis e 629 c.p. in relazione all’art. 628 c.p., comma 3 e artt. 125 e 192 c.p.p. avendo posto a fondamento della responsabilità del reato associativo le dichiarazioni del collaboratore di giustizia Ma.To., la cui credibilità è stata messa in discussione con la sentenza della Corte d’appello di Catanzaro in data 16/10/1998 e le cui dichiarazioni non sono idonei a fondare un giudizio di responsabilità penale per il reato associativo, stante l’assoluzione di S.P. e T. G., circostanza che ha evidenti riflessi anche in ordine alla responsabilità del ricorrente, non essendo stato provato il concreto coinvolgimento dell’ A. nella vicenda criminosa;

e) mancata concessione delle attenuanti generiche;

f) intervenuta prescrizione dei reati V.S., V.C., V.A. deducevano i seguenti ulteriori motivi:

a) violazione dell’art. 192 c.p.p., motivazione errata e illogica, essendo stata fondata la responsabilità dei prevenuti unicamente sulle dichiarazioni accusatorie rese della persona offesa, omettendo di considerare gli ulteriori elementi di segno contrario;

b) violazione dell’art. 629 c.p., con riferimento al capo cinque della rubrica, stante la inattendibilità del teste Z. che riferisce di vicende estorsive non poste in essere, comunque, dai ricorrenti F.C. deduceva i seguenti ulteriori motivi:

a) erronea ritenuta insussistenza della cd. desistenza volontaria, essendosi il reato consumato successivamente alla condotta ascrivibile al ricorrente, senza alcun intervento dello stesso e senza che la precedente condotta posta in essere avesse in qualche modo agevolato la determinazione della parte offesa al pagamento;

b) erronea affermazione di equivalenza, e non di prevalenza, delle attenuanti generiche rispetto alla contestata aggravante.
Motivi della decisione

Tutti i ricorsi sono infondati e vanno rigettati.

1) Deve essere preliminarmente disattesa l’eccezione di prescrizione dei reati, genericamente formulata dal difensore di A.N., essendo il termine massimo di prescrizione di anni 22, mesi sei, correttamente individuato dalla Corte territoriale (pag. 6 e 7), non ancora decorso, indipendentemente da eventuali sospensioni della prescrizione.

2) Correttamente la Corte territoriale ha statuito che la competenza per territorio per i procedimenti connessi spetta al giudice competente per il reato più grave e, in caso di pari gravità, al giudice competente a giudicare il reato anteriormente commesso, ai sensi dell’art. 16 c.p.p., individuando, tra reati di pari gravità, quello di cui al capo 1 della rubrica, commesso, in base a quanto affermato dalla Corte con una valutazione fattuale non censurabile in sede di legittimità, a (OMISSIS) e, comunque, nel circondario del Tribunale di Crotone ove è avvenuto il pagamento in due diverse frazioni, da parte della persona offesa M. G. agli A., la prima volta personalmente e la seconda volta tramite V.C., condotte estorsive poste in continuazione tra loro nella stessa enunciazione del capo di imputazione.

Risulta, nella stessa motivazione della sentenza di appello che i primi 30 milioni il M. li consegnò a S.P., recandosi a casa di quest’ultimo a (OMISSIS), posto nel circondario di (OMISSIS) insieme a V.C. (pag. 17 sentenza), mentre i rimanenti 20 milioni furono consegnati dalla parte offesa a V.C. che poi si occupò di farli recapitare agli A., senza indicazione della località ove avvenne tale consegna (pag. 18 sentenza), dovendosi ritenere che tale consegna sia avvenuta sempre nel medesimo circondario di (OMISSIS), in mancanza di elementi certi che possano far ritenere la consegna avvenuta in una località ricompresa in altro e diverso circondario, (cfr anche testimonianza M., pag. 72 – ud. 28.4.2004 Tribunale).

Anche considerando che una trance della somma estorta è stata consegnata a (OMISSIS), e non a (OMISSIS), tale circostanza non modifica la affermata competenza territoriale del tribunale di Crotone.

Va, quindi, ritenuta la competenza territoriale del Tribunale di Crotone che non può essere ribaltata in sede di legittimità se non in forza di un errore "percettivo" emergente "ictu oculi" o per travisamento documentato degli atti di causa (situazioni entrambe da escludere nella specie) e non in forza di una diversa valutazione degli stessi dovendosi disattendere la diversa ricostruzione dei fatti operata dai ricorrenti.

3) Con riferimento al motivo di ricorso relativo alla violazione del principio di correlazione tra imputazione e sentenza in relazione alla ritenuta sussistenza all’aggravante speciale di cui all’art. 628 c.p., comma 3, n. 1 in luogo dell’aggravante comune di cui all’art. 112 c.p., questa Corte, con motivazione condivisa dal Collegio, ha ritenuto che in tema di correlazione tra l’imputazione contestata e la sentenza, il fatto di cui agli artt. 521 e 522 cod. proc. pen. va definito come l’accadimento di ordine naturale dalle cui connotazioni e circostanze soggettive ed oggettive, geografiche e temporali, poste in correlazione fra loro, vengono tratti gli elementi caratterizzanti la sua qualificazione giuridica, sicchè la violazione del principio postula una modificazione – nei suoi elementi essenziali – del fatto, inteso come episodio della vita umana, originariamente contestato (Sez. 1, Sentenza n. 13408 del 14/02/2008 Ud. (dep. 28/03/2008) Rv.

239903. La giurisprudenza di legittimità si ispira, nel verificare la mancata corrispondenza tra accusa contestata e fatto ritenuto in sentenza, al principio secondo cui il parametro che consente di verificare, nel caso in cui sia accertato lo scostamento indicato, l’esistenza della violazione del principio in questione è costituito dal rispetto del diritto di difesa nel senso che l’imputato deve avere avuto, in concreto, la possibilità di difendersi dall’addebito contestatogli.

Con riferimento alla medesima contestazione formulata da V. R. è pacifico che la compiuta contestazione del fatto, come avvenuto nella fattispecie, al di là della qualificazione dello stesso, neutralizza erronee o assenti indicazioni della norma violata, dovendosi ritenere soddisfatto il diritto del ricorrente ad essere informato in modo dettagliato della natura e dei motivi dell’accusa, anche nel caso di diversa qualificazione del fatto operata dal giudice "ex officio" qualora sia stata rappresentata al difensore dell’imputato con un atto del Collegio in modo che la parte abbia potuto beneficiare e comunque richiedere un termine per apprestare la propria difesa (cfr Cass. 25.5.2009,n. 36323, Drassich).

Nella fattispecie la diversa qualificazione giuridica del fatto è stata formulata all’esito del contraddittorio del primo grado di giudizio e il diritto di difesa ha potuto esplicarsi anche nel pieno contraddittorio del giudizio di secondo grado.

Inoltre in base ai principi della Corte Europea dei Diritti dell’Uomo (CEDU) (sentenza 11.12 2007, Drassich c. Italia) è consentita la modifica peggiorativa della qualificazione giuridica del fatto allorchè, come nella specie, la nuova e più grave definizione del fatto sia stata oggetto di contraddittorio.

Questa Corte ha anche evidenziato, al riguardo, che il giudice che riconosca la diversità di una circostanza aggravante rispetto a quella originariamente contestata, non può trasmettere gli atti al pubblico ministero ai sensi dell’art. 521 c.p.p., comma 2, atteso che le circostanze sono elementi esterni al fatto che non ne determinano la diversità (Sez. 4, Sentenza n. 31446 del 25/06/2008 Ud. (dep. 28/07/2008) Rv. 240896).

4) La circostanza che i medesimi fatti possano configurare l’aggravante speciale di cui all’art. 628 c.p., comma 3, n. 1 in luogo dell’aggravante comune di cui all’art. 112 c.p., originariamente contestata, non costituisce immutazione del fatto originariamente contestato, in quanto le imputazioni evidenziavano la condotta degli agenti.

Peraltro la mancata correlazione tra contestazione e fatto ritenuto in sentenza si verifica solo quando si manifesti una radicale difformità tra i due dati, in modo che possa derivarne assoluta incertezza sull’oggetto della imputazione, con conseguente pregiudizio dei diritti di difesa (Cass. 11.6.1999,n. 7583, Grossi) Per la configurazione dell’aggravante speciale di cui all’art. 628 c.p., comma 3, n. 1, delle "più persone riunite" in tema di estorsione, non è necessaria la simultanea presenza fisica di più soggetti attivi nel luogo e nel momento di commissione del reato, essendo sufficiente che il soggetto passivo abbia acquisito la sensazione che la minaccia provenga non solo dal singolo che la profferisce, ma che costui manifesti le comuni, perverse, intenzioni di più persone, di cui si faccia portavoce, in modo da far percepire alla vittima che la relazione costrittiva proviene da più persone organizzate ai suoi danni, come nella fattispecie, avendo tale fatto, per se stesso, maggiore effetto intimidatorio. (Sez. 2, Sentenza n. 23038 del 14/05/2010 Ud. (dep. 15/06/2010) Rv. 247529; Sez. 5, Sentenza n. 35054 del 19/06/2009 Ud. (dep. 09/09/2009) Rv. 245146;

Sez. 5, Sentenza n. 35054 del 19/06/2009 Ud. (dep. 09/09/2009) Rv.

245146) Questa Corte non ignora il diverso orientamento che ritiene che occorra la simultanea presenza di non meno di due persone nel luogo e nel momento in cui si realizza la violenza o la minaccia, non potendo dirsi sufficiente il fatto che la vittima percepisca che la minaccia o la violenza di un solo soggetto agente in realtà promanino da più persone. (Sez. 2, Sentenza n. 24367 del 11/06/2010 Ud. (dep. 25/06/2010 )Rv. 247865).

Si ritiene, tuttavia, difformemente da tale ultimo orientamento, che l’aggravante trovi giustificazione, indipendentemente dalla materiale presenza fisica di due o più persone nel luogo di esecuzione del reato, ove sussista la maggiore idoneità dell’azione a produrre gravi effetti sia fisici e psicologici in danno del soggetto passivo, tendendo ad elidere o diminuire la sua capacità di resistenza, purchè sussista la percezione, da parte del soggetto passivo, come nella fattispecie, della minaccia realizzata nei suoi confronti da più persone, anche con condotte frazionate nel tempo anche per il maggior effetto di intimidazione esercitato sulla vittima.

Peraltro, in occasione della consegna della prima trance di 30 milioni, a casa dello S. vi era anche V.C. e, ai fini della sussistenza dell’ aggravante contestata, nel caso di persone simultaneamente presenti, è sufficiente la presenza di due persone nel luogo e nel momento del fatto,.

Correttamente, inoltre, la Corte territoriale ha ritenuto che la circostanza aggravante di cui all’art. 628 c.p., comma 3, n. 1, esclude l’applicazione della circostanza aggravante comune dell’art. 112 c.p., n. 1, in forza del principio di specialità sancito dall’art. 15 cod. pen. (Sez. 6, Sentenza n. 16515 del 11/03/2010 Ud.

(dep. 28/04/2010 )Rv. 247004).

5) Con riferimento al primo motivo ulteriore di ricorso proposto da A.N., anche se appare condividibile l’affermazione che il reato di violenza privata non può ritenersi sempre assorbito da quello di estorsione, nel caso in cui la minaccia profferita, sia pure contemporaneamente a quella estorsiva, tenda a costringere la parte lesa ad una ulteriore limitazione della sua libertà, (quale, ad esempio, a non denunciare il torto patito), tutelata appunto dal disposto dell’art. 610 cod. pen., tuttavia, ove la violenza sia considerata elemento costitutivo dell’estorsione, rimane assorbita nell’ultimo più grave delitto. Peraltro, nella fattispecie, la Corte ha ritenuto, valutate le modalità della condotta, la realizzazione del reato di estorsione con l’aggravante, per l’ A., del secondo comma dell’articolo 629 c.p., in relazione all’art. 628 c.p., comma 3, n. 3, nella particolare forma dell’estorsione contrattuale, fungendo da elementi specializzanti il conseguimento di un ingiusto profitto e il correlativo danno alla persona offesa,ritenendo in esso assorbito, in forza del principio di specialità, il reato di violenza privata (cfr Sez. 1, Sentenza n. 7856 del 10/06/1997 Ud.

(dep. 09/08/1997) Rv. 208262; Sez. 2, Sentenza n. 27040 del 22/05/2003 Ud. (dep. 20/06/2003) Rv. 225161; Sez. 1, Sentenza n. 5639 del 03/11/2005 Ud. (dep. 14/02/2006) Rv. 233837).

In particolare, sussiste il reato di estorsione e non di violenza privata nel caso in cui la violenza o minaccia sia finalizzata a stipulare un contratto svantaggioso per sè e vantaggioso per altri che non avrebbe stipulato se non fosse stato minacciato di un danno ingiusto, ravvisandosi il danno patrimoniale nella differenza tra l’importo stabilito in capitolato e quello che la vittima avrebbe potuto pattuire rivolgendosi a imprese che gli offrivano un prezzo più vantaggioso, considerando, inoltre, che già aveva a disposizione alcuni mezzi (pag. 31-32 sentenza).

Peraltro, in tema di "estorsione contrattuale", il danno patrimoniale subito della persona offesa è insito nella stessa violazione della libertà contrattuale, anche senza necessità di quantificare il decremento patrimoniale, in quanto l’elemento dell’ingiusto profitto con altrui danno è stato ritenuto implicito nel fatto stesso che il contraente-vittima sia costretto al rapporto in violazione della propria autonomia negoziale, impedendogli di perseguire i propri interessi economici nel modo da lui ritenuto più opportuno (Sez. 1, Sentenza n. 18722 del 31/03/2010 Ud. (dep. 18/05/2010) Rv. 247450;

Sez. 6, Sentenza n. 46058 del 14/11/2008 Cc. (dep. 12/12/2008) Rv.

241924; Sez. 6, Sentenza n. 10463 del 05/02/2001 Cc. (dep. 14/03/2001) Rv. 218433. 6) Contestano A.N., V.S., V. C., V.A. la valutazione di attendibilità del teste M., senza i necessari riscontri delle sue dichiarazioni, omettendo la Corte di merito di considerare che trattasi anche di testimone di giustizia. Va premesso che l’attendibilità del teste non può essere inficiata dalla circostanza che lo stesso sia sottoposto a misure di protezione a tutela della sua incolumità, potendo, anzi, tale circostanze rafforzare la veridicità delle sue dichiarazioni ove, come nella fattispecie, venga escluso l’intento calunniatorio da parte del denunciante (pag. 8 sentenza).

E’ indiscusso nella giurisprudenza di questa Corte che a base del libero convincimento del giudice possono essere poste le dichiarazioni della parte offesa (Cass., sez. 3, 5 marzo 1993, Russo, m. 193862; Cass., sez. 4, 26 giugno 1990, Falduto, m. 185349) che, pur se non può essere equiparata a quella del testimone estraneo, può tuttavia essere anche da sola assunta come fonte di prova, ove venga sottoposta a un attento controllo di credibilità oggettiva e soggettiva (Cass., sez. 1, 28 febbraio 1992, Simbula, m. 189916;

Cass., sez. 6, 20 gennaio 1994, Mazzaglia, m. 198250; Cass., sez. 2, 26 aprile 1994, Gesualdo, m. 198323; Cass., sez. 6, 30 novembre 1994, Numelter, m. 201251; Cass., sez. 3, 20 settembre 1995, Azingoli, m.

203155), non richiedendo necessariamente neppure riscontri esterni, quando non sussistano situazioni che inducano a dubitare della sua attendibilità (Cass., sez. 6, 13 gennaio 1994, Patan, m. 197386, Cass., sez. 4, 29 gennaio 1997, Benatti, m. 206985, Cass., sez. 6, 24 febbraio 1997, Orsini, m. 208912, Cass., sez. 6, 24 febbraio 1997, Orsini, m. 208913, Cass., sez. 2, 13 maggio 1997, Di Candia, m.

208229, Cass., sez. 1, 11 luglio 1997, Bello, m. 208581, Cass., sez. 3, 26 novembre 1997, Caggiula, m. 209404). A tali dichiarazioni, invero, non si applicano le regole di cui all’art. 192 c.p.p., commi 3 e 4, che riguardano le propalazioni dei coimputati del medesimo reato o di imputati in procedimenti connessi o di persone imputate di un reato collegato e che presuppongono l’esistenza di altri elementi di prova unitamente ai quali le dichiarazioni devono essere valutate per verificarne l’attendibilità.

Nel caso di specie i Giudici di merito, come già evidenziato, hanno sottoposto ad attento controllo le dichiarazioni della vittima, valutate nel contesto delle emergenze processuali, segnatamente evidenziando le caratteristiche peculiari di precisione, coerenza ed uniformità delle dichiarazioni accusatorie ed estendendo il vaglio anche ad altri elementi, quali, la coincidenza tra le dichiarazioni della parte offesa in ordine alle difficoltà di svolgere la propria attività imprenditoriale nella zona di (OMISSIS) e quelle del teste L. che ha affermato che, in quella zona, vige un generale clima di intimidazione al quale soggiacevano, oltre al M., anche altri imprenditori del luogo, descrivendo una lunga serie di danneggiamene e intimidazioni in danno di operatori economici.

Il M. ha anche fornito elementi specifici in ordine alla faida in corso tra famiglie contrapposte nella quale erano coinvolti anche i V. (pag. 10-11 sentenza).

La coerenza e attendibilità delle dichiarazioni del M. si evince anche dal comportamento dello stesso nella vicenda, analiticamente descritto dalla Corte territoriale (pag. 8-22 sentenza). Certamente è credibile il M. allorchè, aggiudicatosi per la prima volta l’appalto in territorio diverso, a (OMISSIS), i V. gli dicono che per poter operare doveva corrispondere del denaro agli A., e V.C., in altra occasione (all’uscita della cassa di S.), dice al M. che avrebbe dovuto dare agli A. L. 60 milioni (successivamente ridotta a 50 milioni).

Significativo è anche il comportamento dell’ A. che, presentandosi alla parte offesa, dimostra il potere di imposizione affermando "guardateci bene in faccia … al di sopra di noi c’è solo lui", evidenziando in tono di minaccia implicita in tale espressione che, a giudizio della Corte territoriale, assume un significato maggiormente chiaro e preciso se inserita nel contesto dei metodi utilizzati per avvicinare la parte offesa al fine di estorcergli denaro. Il M., inoltre, ha specificato che i rapporti con i V. erano iniziati molto tempo prima che lui incominciasse la sua attività imprenditoriale, avendo già costruito per il defunto V.C. una cappella di circa 600 m2, per V.D. un edificio di circa 600 m2 e acquistato un’autovettura nuova per V.S., senza ricevere in cambio alcun corrispettivo. Con riferimento a V.C. è emerso, in particolare, che il M. ha consegnato allo stesso la seconda tranche di denaro, destinata agli A., dopo aver ricevuto dallo stesso una richiesta originaria di L. 60 milioni, poi ridotta a 50 milioni, sollecitando il pagamento di tale importo, accompagnandolo a casa dello S. a (OMISSIS), allorchè la parte offesa versa i primi 30 milioni. Nel momento in cui V. fanno sapere alla parte offesa che per la costruzione di 56 alloggi popolari avrebbe dovuto versare del denaro, V.S. si reca a casa del M. e gli dice che per i lavori appena iniziatici dovrà parlare con gli altri membri della sua famiglia, fissando un appuntamento in cui erano presenti, tra gli altri anche V.A., F.C., V.R.. La Corte territoriale ha evidenziato come sia emerso anche che gli A. avevano avvicinato anche un altro imprenditore, Z.R., affinchè pagasse una somma il denaro a titolo estorsivo ai V.. La Corte territoriale effettua una ricostruzione analitica delle dichiarazioni della parte offesa, alla luce di riscontri anche di carattere storico, concludendo per l’attendibilità del teste. L’utilizzazione della fonte di prova è stata condotta dai Giudici del merito nella corretta osservanza delle regole di giudizio che disciplinano la valutazione della testimonianza delle persone offese dal reato e con adeguata motivazione, che si sottrae a censura in questa sede.

E’ appena il caso di aggiungere che l’esattezza delle suddette valutazioni, non può formare oggetto di contestazione in questa sede, essendo notoriamente preclusi alla Corte di legittimità l’esame degli elementi fattuali e l’apprezzamento fattone dal giudice del merito al fine di pervenire al proprio convincimento. In conclusione si tratta di reiterazione delle difese di merito ampiamente e compiutamente disattese dai giudici di secondo grado, oltre che censura in punto di fatto della sentenza impugnata, inerendo esclusivamente alla valutazione degli elementi di prova ed alla scelta delle ragioni ritenute idonee a giustificare la decisione, cioè ad attività che rientrano nel potere discrezionale del giudice di merito, il cui apprezzamento è insindacabile in sede di legittimità se sorretto, come nel caso in esame, da adeguata e congrua motivazione esente da vizi logico-giuridici. Dalla ritenuta attendibilità dell’accusa discende, quindi, l’esatta affermazione della sussistenza dei contestati delitti, così come ritenuti o riqualificati dalla Corte.

Gli argomenti proposti dai ricorrenti costituiscono, in realtà, solo un diverso modo di valutazione dei fatti, ma il controllo demandato alla Corte di cassazione, è solo di legittimità e non può certo estendersi ad una valutazione di merito.

7) La censura relativa alla mancata considerazione dello spaziotemporale della presunta commissione di reati ai fini dell’applicazione dell’aggravante di cui alla L. n. 203 del 1991, art. 7 è generica, non supportata da alcun concreto elemento valutativo.

Peraltro l’aggravante di cui al D.L. 13 maggio 1991, art. 7 convertito nella L. n. 203 del 1991, risulta contestata, con riferimento al reato di cui al capo sei, per reati commessi fino al (OMISSIS), in epoca, quindi, successiva all’entrata in vigore del D.L. citato. Anche se la Corte territoriale ha escluso la sussistenza del reato associativo a carico degli imputati S. e T., tuttavia l’organizzazione criminale di stampo mafioso facente capo alla famiglia Arena è stata accertata, con sentenza passata in giudicato dalla Corte di appello di Catanzaro in data 27/9/1997 e l’assoluzione dei predetti imputati non ha incidenza alcuna in ordine alle vicende criminose e ai fatti storici che riguardano l’attuale ricorrente che si limita ad una generica richiesta di rilettura delle circostanze emerse, in forza di una diversa qualificazione dei fatti, inammissibile in sede di legittimità. 8) Le doglianze relative al diniego di concessione di attenuanti generiche sono manifestamente infondate in quanto il giudizio sulle circostanze e sulla quantificazione della sanzione deve ritenersi esaurientemente compiuto con il porre in risalto anche una sola delle circostanze suscettibili di valutazione. Nel caso specifico la Corte territoriale ha ritenuto di non concederle con riguardo ai numerosi precedenti specifici, non essendo il giudice comunque tenuto a considerare in maniera analitica i singoli elementi di cui all’art. 133 cod. pen. esponendo per ciascuno di questi le rispettive ragioni che lo hanno indotto a formulare il proprio conclusivo giudizio (Cass. 2 2.9.00 n. 9387, ud. 15.6.00, rv. 216924).

9) F.C. lamenta la erronea ritenuta insussistenza della cd. desistenza volontaria, essendosi il reato consumato successivamente alla condotta ascrivibile al ricorrente, a seguito di ulteriori pressioni sulla parte offesa e senza che la precedente condotta posta in essere avesse in qualche modo agevolato la condotta altrui o determinato la parte offesa al pagamento.

Tale motivo è infondato; F.C., genero di V. G. si era recato, a bordo di una golf di colore scuro blindata all’appuntamento con la parte offesa al bivio dell'(OMISSIS) ed era a conoscenza delle richieste di denaro fatte al M. (cfr motivazione pag. 24 sentenza).

Anche a un secondo appuntamento per andare a (OMISSIS) a casa di S.P., è presente F.C. insieme a V.C., V.A., V.G. il ricorrente, quindi, era presente e ascoltò la richiesta estorsiva fatta al M. da V.D., che ripetè tale richiesta alla presenza di altri coimputati, tra cui il F., rafforzando con la forza intimidatrice della loro presenza la richiesta di denaro, facilitando l’esecuzione del reato in quanto la parte offesa potè in tal modo percepire la richiesta come proveniente da parte della famiglia Vallelunga alla quale in passato aveva dovuto sottostare. Appare, quindi evidente, che trattasi di condotta significativa, come ritenuto dalla Corte territoriale, avendo fornito il ricorrente, con la condotta posta in essere, un contributo causale agevolando, con la forza intimidatrice della sua presenza, le richieste estorsive indipendentemente dalla circostanza che lo stesso non fosse presente allorchè il M. ha pagato le somme estorte.

10) La Corte ha confermato il giudizio di equivalenza, operato dal Tribunale, tra attenuanti generiche e aggravante contestata, valutando gli elementi di cui all’articolo 133 del codice penale. Le statuizioni relative al giudizio di comparazione tra circostanze aggravanti ed attenuanti, effettuato in riferimento ai criteri di cui all’art. 133 cod. pen., sono censurabili in cassazione solo quando siano frutto di mero arbitrio o ragionamento illogico, essendo sufficiente a giustificare la equivalenza tra attenuanti e aggravanti, aver ritenuto detta soluzione la più idonea a realizzare l’adeguatezza della pena irrogata in concreto. (Sez. 4, Sentenza n. 25532 del 23/05/2007 Ud. (dep. 04/07/2007) Rv. 236992, Sez. 3, Sentenza n. 26908 del 22/04/2004 Ud. (dep. 16/06/2004) Rv. 229298).

Conclusivamente tutti i ricorsi devono essere rigettati. Ai sensi dell’art. 616 cod. proc. pen., con il provvedimento che rigetta il ricorso, le parti private che lo hanno proposto devono essere condannate al pagamento delle spese del procedimento, nonchè, in via tra loro solidale, al rimborso delle spese della parte civile costituita liquidate come in dispositivo.
P.Q.M.

Rigetta i ricorsi e condanna i ricorrenti al pagamento delle spese processuali nonchè, in solido, alla rifusione delle spese sostenute nel grado dalla parte civile M.G. che liquida in complessivi Euro 2.500,00, oltre spese generali, Iva e CPA. Così deciso in Roma, nella Camera di consiglio, il 24 febbraio 2011.

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