T.A.R. Calabria Catanzaro Sez. I, Sent., 13-06-2011, n. 899 Decisione amministrativa

Sentenza scelta dal dott. Domenico Cirasole direttore del sito giuridico http://www.gadit.it/

Svolgimento del processo – Motivi della decisione

1.- L’associazione provinciale Titolari di farmacie di C. espone che nel Comune di Botricello alla via Nazionale n. 633 è ubicata la Parafarmacia della dott.ssa Miliè che "che impropriamente ed illegalmente espone insegna pubblicitaria come croce di colore verde emblematica, nell’immaginario collettivo, delle Farmacie".

La ricorrente assume che tale insegna violerebbe l’art. 5 del d.lgs. 3 ottobre 2009, n. 153, il quale prevede, tra l’altro, che l’uso della croce verde è riservato alla farmacie aperte al pubblico.

Il Comune, si sottolinea nel ricorso, avrebbe dovuto iniziare e concludere il procedimento amministrativo volto alla rimozione della predetta insegna. Si chiede, pertanto, che venga accertato l’obbligo del Comune di concludere il procedimento con accertamento del dovere di rimozione dell’insegna.

2.- Si è costituita in giudizio la controinteressata chiedendo che il ricorso venga rigettato. In particolare, si deduce come ad essa non potrebbe applicarsi il divieto posto dall’art. 5 atteso che l’apertura della parafarmacia risalirebbe al 2007.

3.- Il ricorso è fondato.

Costituisce dato pacifico che la controinteressata sia titolare di una parafarmacia e che utilizzi la croce di colore verde.

Occorre, pertanto, accertare se l’impiego di tale croce sia illegittimo e, in caso di esito positivo, se il Comune aveva l’obbligo di ordinarne la rimozione.

3.1.- Con riferimento al primo aspetto, l’art. 5 del d.lgs. n. 153 del 2009, sopra riportato, prevede testualmente che "al fine di consentire ai cittadini un’immediata identificazione delle farmacie operanti nell’ambito del Servizio sanitario nazionale, l’uso della denominazione: "farmacia" e della croce di colore verde, su qualsiasi supporto cartaceo, elettronico o di altro tipo, è riservato alle farmacie aperte al pubblico e alle farmacie ospedaliere". La norma contempla, pertanto, il diritto di utilizzo della insegna in esame soltanto alle farmacie. Ne consegue che è illegittimo l’utilizzo della medesima insegna da parte delle parafarmacie. Né varrebbe rilevare, come fa la controinteressata, che l’attività è stata iniziata in data antecedente in quanto la norma è chiara nell’imporre un divieto generalizzato di impiego dell’insegna che prescinde dal momento temporale in cui l’attività è stata iniziata. Si tenga conto, inoltre, che già prima dell’adozione dell’art. 5 dai principi generali di disciplina del settore in esame si desumeva implicitamente la sussistenza di tale divieto. Non può, pertanto, richiamarsi l’esigenza di tutela del legittimo affidamento sull’impiego dell’insegna.

3.2.- Accertata l’illegittimità dell’impiego sopra descritto, occorre stabilire se il Comune aveva l’obbligo di ordinarne la rimozione.

A tale proposito, deve ritenersi che l’ente comunale abbia l’obbligo di vietare tale impiego e dunque di ordinare la rimozione sia in ragione del dovere di vigilanza nella fase di attuazione dell’autorizzazione rilasciata all’esercizio della relativa attività sia in ragione del dovere di reprimere tutte le forme di abusivismo nell’utilizzo di impianti pubblicitari.

Ne consegue che il Comune ha il dovere di iniziare e concludere il procedimento amministrativo entro il termine previsto dalla legge. Nella specie, decorrendo il dies a quo dall’emanazione della legge che impone in maniera chiara l’obbligo di non impiegare l’insegna in esame, deve ritenersi che il termine massimo previsto dalla legge n. 241 del 1990 sia scaduto e, pertanto, l’amministrazione si trovi in una situazione di inadempimento.

3.3.- Occorre a questo punto stabilire se al contenuto minimo dell’accertamento giudiziale nel rito speciale avverso il silenzio, rappresentato dalla verifica circa la violazione del dovere di provvedere, possa, nella specie, seguire anche il sindacato in ordine alla fondatezza della pretesa azionata.

L’art. 31, comma 2, cod. proc. amm. prevede che "il giudice può pronunciare sulla fondatezza della pretesa dedotta in giudizio solo quando si tratta di attività vincolata o quando risulta che non residuano ulteriori margini di esercizio della discrezionalità e non sono necessari adempimenti istruttori che debbano essere compiuti dall’amministrazione".

Come è noto questa norma disciplina l’azione di adempimento nel processo avverso il silenzio, che consente al privato di ottenere un sentenza di condanna dell’amministrazione all’adozione del provvedimento richiesto.

La disposizione in esame condiziona, per evitare indebite ingerenze del giudice in valutazioni di esclusiva spettanza dell’amministrazione, il legittimo esercizio dell’azione in esame alla ricorrenza di due alternativi presupposti, costituiti dalla sussistenza di un potere vincolato ovvero di un potere che, pur essendo nel complesso discrezionale, si connoti per avere, nella specie, l’amministrazione procedente espresso il proprio giudizio valutativo residuando soltanto, in mancanza di adempimenti istruttori complessi da effettuare, lo svolgimento di attività regolamentate, in tutti i suoi aspetti, dalla legge.

Nel caso di specie non sussiste alcun dubbio in ordine al fatto che il potere comunale sia vincolato, dovendo l’amministrazione limitare il proprio accertamento alla verifica dell’impiego da parte della controinteressata dell’insegna in esame. Ne consegue che il contenuto della decisione si estende anche all’accertamento della fondatezza della pretesa azionata.

4.- Sussistono giusti motivi per compensare integralmente tra le parti le spese di giudizio.
P.Q.M.

Il Tribunale Amministrativo Regionale per la Calabria (Sezione Prima)

definitivamente pronunciando sul ricorso, come in epigrafe proposto, lo accoglie e, per l’effetto, condanna il Comune di Botricello a concludere il procedimento amministrativo adottando il provvedimento di rimozione della croce verde impiegata dalla parte controiinteressata.

Spese compensate.

Ordina che la presente sentenza sia eseguita dall’autorità amministrativa.

Testo non ufficiale. La sola stampa del bollettino ufficiale ha carattere legale.

Cons. Stato Sez. VI, Sent., 30-06-2011, n. 3884 Commissione giudicatrice

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Svolgimento del processo – Motivi della decisione

1. Con sentenza n. 1274/2006, pubblicata in data 11.4.2006 e notificata in data 11.5.2006, il Tribunale Amministrativo Regionale per la Puglia, sede di Bari, sez. I, respingeva il ricorso proposto dal professor S. S. avverso gli atti di approvazione della procedura comparativa per la copertura di un posto di professore ordinario presso la facoltà di Medicina e Chirurgia, per il settore disciplinare MED/18, Chirurgia Generale, con finale dichiarazione di idoneità dei professori A. M. e F. M..

Nella citata sentenza si esprimeva l’avviso che non sussistesse la prospettata illegittimità della nomina del professor B. quale componente della Commissione esaminatrice, a norma dell’art. 3, comma 7 del d.P.R. n. 117/2000, in quanto – pur essendo il medesimo prof. B., all’atto della prima designazione, componente di altra Commissione per la stessa tipologia di valutazione comparativa – l’impedimento sarebbe venuto meno alla data del successivo decreto rettorale di nomina.

Ugualmente infondata era ritenuta la censura, riferita ad omessa predeterminazione dei criteri di valutazione, con specificazione maggiore rispetto alla mera, sostanziale reiterazione dei criteri enunciati nell’art. 6 del bando, conformi a quelli di cui all’art. 4 del d.P.R. 23.3.2000, n. 117, non esistendo al riguardo alcun obbligo normativo e dovendo ritenersi sufficiente un’adeguata informazione, nei confronti dei candidati, dei criteri valutativi prescelti.

Dalla documentazione prodotta, inoltre, non sarebbero emersi elementi, atti a far desumere una valutazione non imparziale dei titoli presentati, tenuto conto della complessità del giudizio di valore, da rendere su opere e lavori di carattere intellettuale e scientifico, nonché dell’insindacabilità nel merito delle valutazioni, frutto di discrezionalità tecnica.

Nella situazione in esame in conclusione, secondo il Giudice di primo grado, sia i giudizi individuali che quelli finali avrebbero fornito "chiara e puntuale indicazione" delle ragioni giustificatrici delle scelte compiute dalla Commissione, sia per la preferenza accordata ai due candidati dichiarati idonei, sia per il giudizio di non idoneità espresso nei confronti del ricorrente, per il quale risultavano espresse "valutazioni…solo raramente oltre il livello della mera sufficienza".

2. In sede di appello (n. 6412/06, notificato il 10.7.2006) vengono ribadite le seguenti prospettazioni difensive:

1) error in iudicando: violazione o falsa applicazione dell’art. 3, comma 7, del d.P.R. 23.3.2000, n. 117; eccesso di potere per sviamento, contraddittorietà, erroneità dei presupposti, essendo ricordato nello stesso provvedimento rettorale di nomina della Commissione che il prof. B. – membro designato dal Consiglio di Facoltà – risultava in situazione di incompatibilità fino al 16.2.2005, in quanto già nominato presso altra università per la stessa tipologia di valutazione comparativa; nel medesimo atto si faceva menzione, inoltre, della nomina solo parziale della Commissione Esaminatrice per il concorso di cui trattasi, con decreto rettorale n. 5171 del 29.4.2004, con finale designazione del prof. B. solo con l’impugnato decreto rettorale n. 1347 del 2.2.2005, peraltro di svariati giorni antecedente alla cessazione della causa di incompatibilità sopra ricordata; ancora più rilevante come indice di sviamento di potere, in ogni caso, dovrebbe ritenersi l’attesa di oltre un anno per completare la formazione della Commissione, con illegittimo aggravio del procedimento e senza che potesse considerarsi sanata, in ogni caso, la nomina da parte del Consiglio di Facoltà di un componente non designabile;

2) error in iudicando: violazione dell’art. 6 del bando di concorso; eccesso di potere per irrazionalità manifesta, difetto di motivazione e carenza dei presupposti, in quanto la predeterminazione di criteri di massima, riferiti allo specifico settore e disciplina rilevanti per il posto da ricoprire, sarebbe stato specifico obbligo della Commissione, a tutela dell’imparzialità dei relativi giudizi; nella situazione in esame, inoltre, le valutazioni espresse risulterebbero "del tutto astratte e generiche", nonché sottratte a qualsiasi possibile verificazione, come nell’annotazione secondo cui, nei lavori in collaborazione, risulterebbe "evidente l’apporto individuale del candidato", nonché in assenza di qualsiasi riferimento alla diffusione, all’interno della comunità scientifica, dei lavori (il cui livello era definito "ottimo") di uno dei due controinteressati, e senza alcuna annotazione circa la pubblicazione di testi dell’altro controinteressato (ritenuto idoneo con giudizio di eccellenza) solo su riviste nazionali, o presso una casa editrice di Napoli poco conosciuta. Altro indice di irragionevolezza ed arbitrarietà delle predette valutazioni riguarderebbe l’esperienza didattica dei candidati, definita soltanto "discreta" per l’attuale appellante, docente universitario dal 1978 e professore associato per la disciplina di chirurgia generale dal 1983, con funzioni anche di Direttore di Dipartimento Universitario: risulterebbe incomprensibile, pertanto, il giudizio di eccellenza al riguardo attribuito ai controinteressati, in possesso dell’idoneità a professore associato solo dal 2000 (peraltro, in esito a procedura valutativa presieduta dal medesimo prof. B.). Ad ulteriore dimostrazione dell’incongruenza dei giudizi, formulati al termine della procedura comparativa di cui trattasi, infine, nell’atto di appello si riporta il seguente giudizio, espresso nel 2001 da altra Commissione nei confronti del prof. F. M., per un posto di professore ordinario messo a concorso dalla Seconda Università di Napoli: "Carriera lunga nel ruolo di ricercatore, breve nel ruolo di associato: Le linee di ricerca nelle quali il suo ruolo assume caratteri di autonomia e preminenza sono limitate alla chirurgia vascolare ed alle emergenze chirurgiche. L’attività clinicoassistenziale, congrua col ruolo di aiuto, appare prevalente rispetto alla produzione scientifica".

3. Le parti appellate, costituitesi in giudizio, hanno formulato articolate controdeduzioni, nei termini di seguito sintetizzati:

– l’Università degli Studi di Bari sottolinea, in particolare, l’impossibilità che la sospensione della procedura costitutiva della Commissione esercitasse effetto invalidante della procedura stessa, sulla base di sospetti infondati e sforniti di supporti probatori;

– il prof. F. M. richiama l’avvenuta designazione all’unanimità del prof. B. quale componente della Commissione, con preclusa possibilità di soluzioni alternative, nonché l’incompletezza dei dati forniti dall’appellante, che avrebbe menzionato solo i giudizi collegiali sintetici formulati dalla Commissione, mentre ben più ampie sarebbero state le valutazioni individuali dei singoli candidati, fra cui quella che sottolineava il carattere settoriale della produzione scientifica dell’appellante stesso, a fronte di un’ampia rassegna di pubblicazioni nazionali e internazionali del prof. M. stesso (sulla rete telematica "Pub Med" – ufficialmente riconosciuta per le pubblicazioni scientifiche nel settore – il nome del prof. M. figurerebbe 19 volte e quello dell’appellante solo 9 volte);

– il prof. Antonio M., a sua volta, contraddice le argomentazioni difensive di controparte, definendo come mere illazioni, prive di pregio giuridico, le argomentazioni riferite al voluto ritardo nella formazione della Commissione esaminatrice, per garantire la presenza del citato prof. B.; i criteri di valutazione sarebbero stati determinati, inoltre, così come previsti a livello normativo, con successiva ragionevole formulazione dei diversi giudizi, tenuto conto del carattere settoriale dell’attività di ricerca del prof. S., in rapporto alla più vasta produzione scientifica dello stesso prof. M. (161 lavori scientifici con due monografie e sei film, con attività di ricerca condotta anche all’estero ed importante attività anche sul piano didattico, sia presso le scuole di specializzazione che presso la Facoltà di Medicina e Chirurgia dell’Università degli Studi di Bari).

4. Il prof. S., a sua volta, ha ribadito in una memoria conclusiva le proprie argomentazioni difensive, sottolineando, in particolare, come la carriera accademica del prof. M. fosse stata interamente avallata dal prof. B., a partire dalla tesi di laurea, per cui quest’ultimo aveva svolto la funzione di relatore.

5. Premesso quanto sopra, il Collegio ritiene che l’appello non possa trovare accoglimento, pur non mancando nella procedura contestata profili problematici, che tuttavia appaiono recessivi rispetto all’ampia discrezionalità dell’apprezzamento, rimesso alla Commissione esaminatrice in un settore particolarmente delicato e complesso, sotto il profilo sia della legittimità dei parametri procedurali, sia della congruità della valutazione finale.

5.1. E’ vero infatti che in ordine a detto apprezzamento – insindacabile nel merito – la cognizione del giudice amministrativo deve ritenersi piena, (in conformità all’indirizzo giurisprudenziale formatosi a partire dalla nota decisione del Consiglio di Stato, sez. IV, 9.4.1999, n. 601, in cui si chiarisce come il sindacato giurisdizionale non possa essere limitato ad un esame estrinseco della valutazione discrezionale, secondo i noti parametri di logicità, congruità e completezza dell’istruttoria, dovendo invece l’oggetto del giudizio estendersi alla esatta valutazione del fatto, secondo i parametri della disciplina nella fattispecie applicabile); l’indubbia evoluzione della giurisprudenza in tema di sindacabilità degli atti discrezionali, tuttavia, non può prescindere dalla priorità che deve essere accordata alle scelte dell’Amministrazione, ove di tali scelte – pur opinabili – sia comunque pienamente comprensibile la logica interna, sulla base di circostanze di fatto non smentite da chi vi abbia interesse.

In tale ottica – ed in applicazione del principio di effettività della tutela delle situazioni soggettive protette, rilevanti a livello comunitario (quale principio imposto anche dall’art. 6 della Convenzione per la salvaguardia dei diritti dell’uomo e delle libertà fondamentali, promossa dal Consiglio d’Europa nel 1950: cfr. Corte europea dei diritti dell’uomo, Albert et Le Compte c. Belgio, par. 29, 10 febbraio 1983 e Obermeier c. Austria, par 70, 28 giugno 1990) – se è vero che il Giudice non può esimersi dal valutare l’eventuale erroneità, o arbitrarietà, dell’apprezzamento dell’Amministrazione, ove tali elementi siano in concreto valutabili, è anche vero che il Giudice non può sostituirsi all’Amministrazione stessa nel puro apprezzamento di valore, sottostante alle scelte discrezionali.

La stessa Corte cost., con la recentissima decisione 15 giugno 2011 n. 175, ha affermato che il giudice amministrativo, nelle procedure concorsuali, non può sostituire il proprio giudizio a quello della ommissione esaminatrice, e può sindacare tale giudizio nei casi in cui sussistano elementi in grado di porre in evidenza vizi logici, errori di fatto o profili di contraddizione ictu oculi rilevabili.

Le scelte della pubblica amministrazione, come è noto, possono corrispondere alla cosiddetta discrezionalità amministrativa, ove si tratti di individuare la linea operativa più opportuna nel caso concreto, per il soddisfacimento dell’interesse pubblico (adeguatamente bilanciato con ogni altro interesse rilevante), ovvero a discrezionalità tecnica, quando l’esercizio del potere richieda non una scelta di opportunità, ma l’esatta valutazione di un fatto secondo i criteri di determinate scienze o tecniche; in altri casi, infine, la discrezionalità può avere carattere misto, come nel caso dell’individuazione dei criteri selettivi in un pubblico concorso, trattandosi in tal caso di effettuare una scelta in base a parametri di oggettiva professionalità, ma anche secondo l’apprezzamento effettuato dagli organi competenti, in ordine ai profili ritenuti ottimali per la copertura del posto da assegnare. Il controllo del giudice, nella seconda fattispecie, può incidere su valutazioni che si pongano al di fuori dell’ambito di esattezza o attendibilità, quando non appaiano rispettati parametri tecnici di univoca lettura, ovvero orientamenti già oggetto di giurisprudenza consolidata, o di dottrina dominante in materia (cfr. anche, in termini, Cons. St., sez IV, 13 ottobre 2003, n. 6201); in situazioni corrispondenti alla prima ed alla terza tipologia di valutazione discrezionale, invece, il vizio funzionale può emergere solo sotto il profilo dell’arbitrarietà, quando la ragione delle scelte amministrative compiute non appaia logica e verificabile, di modo che sia impossibile valutare l’effettiva rispondenza della scelta stessa all’interesse pubblico, perseguito dalla norma attributiva del potere (in tal senso Cons. St., sez. VI, 17.1.2011, n. 229).

5.2. Nella vicenda sottoposta a giudizio appare necessario ricordare, in primo luogo, le peculiarità di una procedura concorsuale, che investendo settori ristretti della comunità scientifica non può sottostare a regole restrittive in tema di neutralità della selezione. E’ noto infatti che – in materia di cattedre universitarie – non invalida la composizione della Commissione esaminatrice la presenza nella stessa di componenti che abbiano personale conoscenza, o rapporti di collaborazione, con taluni candidati, o abbiano redatto con gli stessi pubblicazioni, presentate come titoli nell’ambito della selezione stessa (fatta salva, a quest’ultimo riguardo, la necessità di individuare l’apporto personale del candidato e con salvaguardia delle situazioni di incompatibilità, connesse a rapporti di parentela o alle altre ragioni, di cui all’art. 51 cod. proc. civ.; cfr. anche, per il principio, Cons. St., sez. VI, 5.9.1996, n. 1197 e 16.3.1995, n. 269).

5.3. Nella situazione in esame, pertanto, non costituisce vizio di procedura (né è in tale ottica prospettata come tale) l’individuazione, come componente della Commissione esaminatrice per il concorso di cui trattasi, del prof. B., già relatore per la tesi di laurea di uno dei candidati e componente della Commissione, che aveva riconosciuto lo stesso idoneo per la nomina a professore associato.

5.4. Le segnalate circostanze, tuttavia, proietterebbero ombre di sviamento di potere sulla designazione del citato prof. B. da parte del Consiglio di facoltà, quando lo stesso non poteva essere nominato – a norma dell’art. 7, comma 3 del d.P.R. n. 117/2000 – perché componente di altra Commissione d’esame; dette ombre risulterebbero rafforzate, poi, dalla prolungata sospensione della nomina dell’intera Commissione, nomina perfezionata solo quando era imminente la scadenza del termine, al di là del quale l’incompatibilità in questione sarebbe cessata.

Resta però il fatto che, una volta costituita, la Commissione non aveva tra i propri componenti soggetti incompatibili e che la designazione, a suo tempo effettuata dal Consiglio di Facoltà, poteva considerarsi affetta da invalidità sanabile, nel caso, in concreto verificatosi, di cessazione della causa di ineleggibilità prima dell’insediamento della Commissione stessa.

Quello che l’appellante segnala come anomalo ritardo per il predetto insediamento può, dunque, essere raffigurato come elemento indiziario di eccesso di potere per sviamento, non sufficiente però di per sé per invalidare l’intera procedura, in assenza di altri elementi sintomatici.

5.5. A non diverse conclusioni il Collegio ritiene di dover pervenire per la predeterminazione dei criteri, da utilizzare per la valutazione di merito: tale predeterminazione non è infatti mancata, ma non ha ricevuto alcuna elaborazione ulteriore rispetto ai criteristandards, elencati nell’art. 4 del d.P.R. n. 117/2000 e recepiti dall’art. 6 del bando. Anche in questo caso la soluzione prescelta non appare ottimale, non risultando nemmeno fissato un valore percentuale (o preferenziale) delle singole "voci" valutative.

Può condividersi a tale riguardo, tuttavia, la tesi recepita nella sentenza appellata, secondo cui la mancanza di parametri più analitici, rispetto a quelli fissati dalla norma, poteva ritenersi giustificata – o comunque non traducibile in vizio di legittimità – in considerazione del complesso giudizio di valore, da rendere su opere e lavori di tipo intellettuale e scientifico, ben potendo tale giudizio risultare congruo e comprensibile se adeguatamente motivato, in modo tale da fornire con chiarezza riscontro dell’iter logico seguito dalla Commissione (cfr. in tal senso Cons. St., sez. V, 12.10.2004, n. 6575; Cons. St., sez. VI, 8.5.2008, n. 2128; TAR Toscana, Firenze, sez. I, 24.4.2004, n. 1490).

5.6. In tale contesto l’appellante segnala un solo dato degno di nota, che tuttavia non può avere carattere conclusivo per rovesciare il giudizio di valore finale, formulato sui singoli candidati: la maggiore anzianità (di ben 17 anni) dell’appellante stesso come professore associato, rispetto a quella maturata dai candidati ritenuti idonei nella medesima qualifica.

Alle circostanze – pur significative – sopra illustrate non si aggiungono tuttavia argomentazioni difensive, atte ad evidenziare l’inattendibilità o l’arbitrarietà del giudizio della Commissione esaminatrice, che ha ragionevolmente ed analiticamente esposto le ragioni delle proprie scelte, senza puntuali controdeduzioni in punto di fatto.

Il vizio di eccesso di potere – così come segnalato ed avvalorato da alcuni elementi indiziari – avrebbe dovuto infatti trovare più oggettivo riscontro in palesi vizi logici o contraddittorietà dei giudizi espressi: ad esempio, per formulazione di osservazioni non coerenti, o frutto di documentato travisamento della situazione di fatto; in assenza di incongruità di immediata percezione, deve invece ritenersi che fosse onere dell’interessato fornire ulteriori elementi di riscontro (dati personali, documenti scientifici, o anche perizia tecnica di parte), atti a dimostrare non la possibilità di conclusioni diverse, ma la formulazione – da parte della commissione – di valutazioni non rispondenti a realtà, in ordine ai "curricula" degli interessati ed alla diffusione nella comunità scientifica delle pubblicazioni dai medesimi prodotte. Tali elementi non appaiono deducibili dagli atti di causa e non sorreggono, pertanto, le tesi difensive in esame.

Dalle schede valutative – per quanto qui interessa, dei due docenti dichiarati idonei e dell’attuale appellante – emerge un quadro di superiorità professionale dei primi, tale da bilanciare e superare la maggiore anzianità del terzo come associato, sia sul piano dell’attività clinica (con scelta che non appare illogica per una cattedra di chirurgia), sia sotto il profilo della rilevanza, anche internazionale, della produzione pubblicistica.

5.7. L’appellante contesta giustamente la valutazione riduttiva della propria lunga attività come professore associato, definita quale "discreta esperienza", ma non contraddice altre annotazioni, come quella riferita alla "buona collocazione editoriale nazionale" della propria produzione scientifica – a fronte del "buon indice di diffusione nazionale ed internazionale", ovvero alla "buona collocazione editoriale in Italia e all’estero" di cui si fa menzione per i controinteressati -, così come non nega la mancata presentazione di propria casistica operatoria, a fronte della segnalazione, per i medesimi controinteressati, di "contributi di rilievo", ovvero di documentata effettuazione di interventi di "alta ed altissima chirurgia", con conclusiva descrizione della figura professionale dei soggetti ritenuti idonei in termini nettamente più lusinghieri.

6. Per le ragioni esposte, in conclusione, il Collegio ritiene che l’appello debba essere respinto; quanto alle spese giudiziali, tuttavia, la complessità e le caratteristiche della vicenda sottoposta a giudizio ne rendono equa, ad avviso del Collegio stesso, l’integrale compensazione fra le parti.

P.Q.M.

Il Consiglio di Stato in sede giurisdizionale (Sezione Sesta), definitivamente pronunciando, RESPINGE l’appello indicato in epigrafe; COMPENSA le spese giudiziali.

Ordina che la presente sentenza sia eseguita dall’autorità amministrativa.

Testo non ufficiale. La sola stampa del bollettino ufficiale ha carattere legale.

Cass. civ. Sez. lavoro, Sent., 30-11-2011, n. 25481 Passaggio ad altra amministrazione

Sentenza scelta dal dott. Domenico Cirasole direttore del sito giuridico http://www.gadit.it/

Svolgimento del processo – Motivi della decisione

La parte ricorrente chiede l’annullamento della sentenza di appello che ha negato il suo diritto al riconoscimento integrale dell’anzianità maturata presso l’ente locale di provenienza da parte del Ministero dell’istruzione, dell’università e della ricerca (MIUR).

La medesima questione è stata già decisa da Cass. 12 ottobre 2011, n. 20980 e Cass. 14 ottobre 2011, n. 21282, cui si rinvia per una motivazione più analitica. In estrema sintesi, deve rilevarsi quanto segue.

La controversia concerne il trattamento giuridico ed economico del personale amministrativo, tecnico ed ausiliario (ATA) della scuola trasferito dagli enti locali al Ministero in base alla L. 3 maggio 1999, n. 124, art. 8.

Tale norma fu oggetto di un vasto contenzioso concernente, specificamente, l’applicazione che della stessa venne data dal D.M. Pubblica Istruzione 5 aprile 2001, che recepì l’accordo stipulato tra l’ARAN e i rappresentanti delle organizzazioni sindacali in data 20 luglio 2000. Le controversie giudiziarie riguardarono in particolare la possibilità di incidere, su di una norma di rango legislativo, da parte di un accordo sindacale poi recepito in D.M..

La giurisprudenza si orientò in senso negativo, sebbene con percorsi argomentativi diversi (ex plurimis, Cfr. Cass., 17 febbraio 2005, n. 3224; 4 marzo 2005, n. 4722, nonchè 27 settembre 2005, n. 18829).

Intervenne il legislatore, dettando la L. n. 266 del 2005, art. 1, comma 218 (Finanziaria del 2006), che recepì, a sua volta, i contenuti dell’accordo sindacale e del D.M.. Il legislatore elevò, quindi, a rango di legge la previsione dell’autonomia collettiva.

Si sostenne, da un lato, che tale norma non avesse efficacia retroattiva e, dall’altro, che se dotata di efficacia retroattiva, fosse incostituzionale sotto molteplici profili. Entrambe le posizioni sono stata giudicate non fondate. L’efficacia retroattiva è stata affermata da questa Corte (per tutte, S.U., 8 agosto 2011, n. 17076) e dalla Corte costituzionale (sentenza n. 234 del 2007).

L’incostituzionalità è stata esclusa in quattro interventi del giudice delle leggi (Corte cost. n. 234 e n. 400 del 2007; n. 212 del 2008; n. 311 del 2009). Per tali motivi, ricorsi di contenuto analogo a quello qui considerato, sono stati respinti (cfr. per tutte, Cass., 9 novembre 2010, n. 22751).

Questo approdo deve ora essere integrato con quanto statuito dalla Corte di giustizia dell’Unione europea (Grande sezione) nella sentenza 6 settembre 2011 (procedimento C- 108/10), emessa su domanda di pronuncia pregiudiziale in merito all’interpretazione della direttiva del Consiglio 14 febbraio 1977, 77/187/CEE. La Corte ha risposto a quattro questioni poste dal Tribunale di Venezia. La prima consisteva nello stabilire se il fenomeno successorio disciplinato dalla L. n. 124 del 1999, art. 8 costituisca un trasferimento d’impresa ai sensi della normativa dell’Unione relativa al mantenimento dei diritti dei lavoratori. La soluzione è affermativa ("La riassunzione, da parte di una pubblica autorità di uno Stato membro, del personale dipendente di un’altra pubblica autorità, addetto alla fornitura, presso le scuole, di servizi ausiliari comprendenti, in particolare, compiti di custodia e assistenza amministrativa, costituisce un trasferimento di impresa ai sensi della direttiva del Consiglio 14 febbraio 1977, 77/187/CEE, concernente il ravvicinamento delle legislazioni degli Stati membri relative al mantenimento dei diritti dei lavoratori in caso di trasferimenti di imprese, di stabilimenti o di parti di stabilimenti, quando detto personale è costituito da un complesso strutturato di impiegati tutelati in qualità di lavoratori in forza dell’ordinamento giuridico nazionale di detto Stato membro").

Con la seconda e la terza questione si chiedeva alla Corte di stabilire: -se la continuità del rapporto di cui all’art. 3, n. 1 della 77/187 deve essere interpretata nel senso di una quantificazione dei trattamenti economici collegati presso il cessionario all’anzianità di servizio che tenga conto di tutti gli anni effettuati dal personale trasferito anche di quelli svolti alle dipendenze del cedente (seconda questione);

-se tra i diritti del lavoratore che si trasferiscono al concessionario rientrano anche posizioni di vantaggio conseguite dal lavoratore presso il cedente quale l’anzianità di servizio se a questa risultano collegati nella contrattazione collettiva vigente presso il cessionario, diritti di carattere economico (terza questione). Il dispositivo della decisione è: "quando un trasferimento ai sensi della direttiva 77/187 porta all’applicazione immediata, ai lavoratori trasferiti, del contratto collettivo vigente presso il cessionario e inoltre le condizioni retributive previste da questo contratto sono collegate segnatamente all’anzianità lavorativa, l’art. 3 di detta direttiva osta a che i lavoratori trasferiti subiscano, rispetto alla loro posizione immediatamente precedente al trasferimento, un peggioramento retributivo sostanziale per il mancato riconoscimento dell’anzianità da loro maturata presso il cedente, equivalente a quella maturata da altri lavoratori alle dipendenze del cessionario, all’atto della determinazione della loro posizione retributiva di partenza presso quest’ultimo. E’ compito del giudice del rinvio esaminare se, all’atto del trasferimento in questione nella causa principale, si sia verificato un siffatto peggioramento retributivo".

Il giudice nazionale è quindi chiamato dalla Corte di giustizia ad accertare se, a causa del mancato riconoscimento integrale della anzianità maturata presso l’ente cedente, il lavoratore trasferito abbia subito un peggioramento retributivo.

In motivazione la Corte rileva che, una volta inquadrato nel concetto di trasferimento d’azienda e quindi assoggettato alla direttiva 77/187, al trasferimento degli ATA si applica non solo il n. 1 dell’art. 3 della direttiva, ma anche il n. 2, disposizione che riguarda segnatamente l’ipotesi in cui l’applicazione del contratto in vigore presso il cedente venga abbandonata a favore di quello in vigore presso il cessionario (come nel caso in esame). Il cessionario ha diritto di applicare sin dalla data del trasferimento le condizioni di lavoro previste dal contratto collettivo per lui vigente, ivi comprese quelle concernenti la retribuzione (punto n. 74 della sentenza). Ciò premesso, la Corte sottolinea che gli stati dell’Unione, pur con un margine di elasticità, devono attenersi allo scopo della direttiva, consistente "nell’impedire che i lavoratori coinvolti in un trasferimento siano collocati in una posizione meno favorevole per il solo fatto del trasferimento" (n. 75, il concetto è ribadito al n. 77 in cui si precisa che la direttiva "ha il solo scopo di evitare che determinati lavoratori siano collocati, per il solo fatto del trasferimento verso un altro datore di lavoro, in una posizione sfavorevole rispetto a quella di cui godevano precedentemente").

Quindi, nella definizione delle singole controversie, è necessario stabilire se si è in presenza di condizioni meno favorevoli. A tal fine, il giudice del rinvio deve osservare i seguenti criteri.

1. Quanto ai soggetti la cui posizione va comparata, il confronto è con le condizioni immediatamente antecedenti al trasferimento dello stesso lavoratore trasferito (così il n. 75 e, al n. 77, si precisa "posizione sfavorevole rispetto a quella di cui godevano prima del trasferimento". Idem nn. 82 e 83). Al contrario, non ostano eventuali disparità con i lavoratori che all’atto del trasferimento erano già in servizio presso il cessionario (n. 77).

2. Quanto alle modalità, si deve trattare di peggioramento retributivo sostanziale (così il dispositivo) ed il confronto tra le condizioni deve essere globale (n. 76: "condizioni globalmente meno favorevoli"; n. 82: "posizione globalmente sfavorevole"), quindi non limitato allo specifico istituto.

3. Quanto al momento da prendere in considerazione, il confronto deve essere fatto all’atto del trasferimento (nn. 82 e 84, oltre che nel dispositivo: "all’atto della determinazione della loro posizione retributiva di partenza").

La quarta ed ultima questione posta dal Tribunale di Venezia atteneva alla conformità della disciplina italiana e specificamente della Legge Finanziaria del 2006, art. 1, comma 218, all’art. 6, n. 2 TUE in combinato disposto con gli artt. 6 della CEDU e artt. 46, 47 e 52 n. 3 della Carta dei diritti fondamentali dell’Unione europea, proclamata a Nizza il 7 dicembre 2000, come recepiti nel Trattato di Lisbona. La Corte, dando atto della pronunzia emessa il 7 giugno 2011 dalla Corte europea dei diritti dell’uomo, ha statuito che "vista la risposta data alla seconda ed alla terza questione, non c’è più bisogno di esaminare se la normativa nazionale in oggetto, quale applicata alla ricorrente nella causa principale, violi i principi" di cui alle norme su indicate. La sentenza della Corte di giustizia incide sul presente giudizio. In base all’art. 11 Cost. e all’art. 117 Cost., comma 1, il giudice nazionale e, prima ancora, l’amministrazione, hanno il potere-dovere di dare immediata applicazione alle norme della Unione europea provviste di effetto diretto, con i soli limiti derivanti dai principi fondamentali dell’assetto costituzionale dello Stato ovvero dei diritti inalienabili della persona, nel cui ambito resta ferma la possibilità del controllo di costituzionalità (cfr, per tutte, Corte cost. sentenze n. 183 del 1973 e n. 170 del 1984; ordinanza n. 536 del 1995 nonchè, da ultimo, sentenze n. 284 del 2007, n. 227 del 2010, n. 288 del 2010, n. 80 del 2011). L’obbligo di applicazione è stato riconosciuto anche nei confronti delle sentenze interpretative della Corte di giustizia (emanate in via pregiudiziale o a seguito di procedura di infrazione) ove riguardino norme europee direttamente applicabili (cfr. Corte cost. sentenze n. 113 del 1985, n. 389 del 1989 e n. 168 del 1991, nonchè, sull’onere di interpretazione conforme al diritto dell’Unione, sentenze n. 28 del 2010 e n. 190 del 2000).

Il caso in esame deve quindi essere deciso in consonanza con la sentenza della Corte di giustizia dell’Unione europea. Ciò comporta che il ricorso deve essere accolto perchè la violazione del complesso normativo, costituito dalla L. n. 124 del 1999, art. 8 e L. n. 266 del 2005, art. 1, comma 218 denunziata, deve essere verificata in concreto sulla base dei principi enunciati dalla Corte di giustizia europea. La decisione impugnata deve, pertanto, essere cassata con rinvio alla medesima Corte d’appello in diversa composizione, la quale, applicando i criteri di comparazione su indicati, dovrà decidere la controversia nel merito, verificando la sussistenza, o meno, di un peggioramento retributivo sostanziale all’atto del trasferimento e dovrà accogliere o respingere la domanda del lavoratore in relazione al risultato di tale accertamento. Il giudice del rinvio provvederà anche sulle spese del giudizio. Il collegio ha deliberato che la presente sentenza venisse redatta con motivazione semplificata.

P.Q.M.

La Corte accoglie il ricorso, cassa e rinvia alla medesima Corte d’appello in diversa composizione, anche per le spese.

Testo non ufficiale. La sola stampa del bollettino ufficiale ha carattere legale.

Cass. civ. Sez. I, Sent., 19-12-2011, n. 27298 Danno non patrimoniale

Sentenza scelta dal dott. Domenico Cirasole direttore del sito giuridico http://www.gadit.it/

Svolgimento del processo

Con ricorso ritualmente depositato, il Ministero dell’Economia e delle Finanze, impugnava il decreto della Corte d’Appello di Potenza, del 18 marzo 2009 che lo aveva condannato al pagamento di somma in favore di L.L., quale equa riparazione del danno morale per irragionevole durata di procedimento. Resiste con controricorso il L., che pure deposita memorie difensiva.

Il collegio dispone redigersi la sentenza con motivazione semplificata.

Motivi della decisione

Il ricorrente Ministero sostiene l’improponibilità della domanda, non essendo stata presentata nel giudizio presupposto davanti al giudice amministrativo l’istanza di prelievo, ai sensi del D.L. n. 112 del 2008, art. 54, convertito nella L. n. 133 del 2008.

Questa Corte ha avuto modo di pronunciarsi ripetutamente al riguardo (tra le altre, Cass. N. 24901/08), precisando che la nuova disciplina non può incidere sugli atti anteriormente compiuti i cui effetti restano regolati dalla normativa anteriore, in mancanza di ogni disciplina transitoria, e dunque non rileva quando, come nella specie il procedimento presupposto sia stato definito anteriormente alla sua entrata in vigore.

Il ricorso va pertanto rigettato.

Le spese seguono la soccombenza.

P.Q.M.

La Corte rigetta il ricorso e condanna l’Amministrazione al pagamento delle spese processuali del presente giudizio di legittimità, che liquida in Euro 900,00 per onorari ed Euro 100,00 per esborsi, oltre spese generali ed accessori di legge.
Testo non ufficiale. La sola stampa del bollettino ufficiale ha carattere legale.