Cass. civ. Sez. I, Sent., 09-06-2011, n. 12623 Diritti politici e civili

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Svolgimento del processo

Con il decreto impugnato la Corte d’appello di Napoli ha liquidato, ai sensi della L. 24 marzo 2001, n. 89, art. 2, Euro 7.000,00 a titolo di equa riparazione del danno non patrimoniale subito dal sig. L.P., dipendente pubblico, per l’irragionevole durata di un processo per il riconoscimento di differenze retributive dal medesimo iniziato davanti al TAR Campania. La Corte ha altresì compensato per metà le spese processuali e condannato l’Amministrazione alla residua metà.

L’interessato ha quindi proposto ricorso per cassazione per sette motivi, cui l’Amministrazione intimata ha resistito con controricorso.
Motivi della decisione

1. – I motivi di ricorso riguardano tutti le statuizioni sulle spese processuali, contestandone l’immotivata e illegittima compensazione parziale, nonchè l’illegittima e immotivata riduzione degli importi indicati nella nota depositata dal difensore.

1.1. – Le complessive censure, da esaminare congiuntamente per l’evidente connessione, sono fondate solo nei limiti che seguono.

In primo luogo, infatti, il potere di disporre la compensazione parziale o integrale delle spese processuali è espressamente riconosciuto al giudice dalla disciplina processuale nazionale (l’unica applicabile anche al processo di equa riparazione ai sensi della L. n. 89 del 2001), ossia dall’art. 92 c.p.c..

Inoltre il giudice di merito ha nella specie espressamente motivato la propria decisione di compensare parzialmente le spese, facendo riferimento all’accoglimento solo parziale della domanda e al carattere seriale del giudizio.

La Corte di merito ha invece errato nel liquidare l’importo dei diritti in soli Euro 250,00, così violando i minimi tariffari (corretto è, invece, l’importo di Euro 400,00 liquidato per gli onorari, considerato lo scaglione di valore della causa corrispondente alla somma per la quale è stata pronunciata condanna).

Sul punto, tuttavia, alla cassazione del decreto impugnato non segue il rinvio ad altro giudice. E’ infatti possibile la decisione nel merito, ai sensi dell’art. 384 c.p.c., comma 1, ult. parte, con la liquidazione di Euro 300,00, pari alla metà dell’importo dovuto in base alla tariffa.

6. – Le spese del giudizio li legittimità vanno compensate fra le parti in ragione della reciproca soccombenza.
P.Q.M.

La Corte accoglie il ricorso nei sensi di cui in motivazione; cassa il decreto impugnato in relazione alle censure accolte e, decidendo nel merito, liquida a titolo di diritti del giudizio di merito Euro 300,00; dichiara compensate le spese del giudizio di legittimità.

Testo non ufficiale. La sola stampa del bollettino ufficiale ha carattere legale.

Cass. pen. Sez. V, Sent., (ud. 02-03-2011) 11-04-2011, n. 14494 Reato continuato e concorso formale

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Svolgimento del processo

Il GdP di Alghero, con la sentenza di cui in epigrafe, ha: 1) dichiarato NDP a carico di C.R. in ordine ai reati a lei ascritti ( artt. 81, 594, 612 e 581 c.p.) per mancanza di querela e 2) ha assolto la predetta dai medesimi reati perchè i fatti non sussistono.

Ricorre per cassazione il competente PM e deduce violazione di legge processuale e illogicità della motivazione, atteso che le dichiarazioni della PO furono raccolte presso la stazione CC di Alghero in un verbale intestato "verbale di querela", il quale si conclude con le parole "sporgo formale querela nei confronti dei responsabili…ecc.".

Per altro, una volta dichiarata la improcedibilità, non è più possibile per il giudice pronunziarsi nel merito.
Motivi della decisione

Il ricorso è fondato e merita accoglimento; la impugnata sentenza va annullata con rinvio al medesimo Ufficio del GdP. Dall’esame del verbale indicato dal PM si evince con assoluta chiarezza che S.M. ha formulato istanza punitiva a carico di C.R..

Ciò che si legge in sentenza, infatti, non corrisponde al vero e appare inspiegabile come il GdP possa aver ritenuto che la S. non abbia formulato un inequivoco atto di querela. Invero, la esplicita istanza punitiva è contenuta nel retro del foglio, sul quale il verbalizzante Carabiniere ha trascritto le dichiarazioni della donna; inoltre, come rileva l’impugnante, lo scritto è addirittura intestato "Verbale di querela".

La sentenza, per altro, è affetta da un’altra grave singolarità, dal momento che il GdP, dopo aver ritenuto – erroneamente, come si è visto – l’ìmprocedibilità, si è pronunziato nel merito, per altro, esibendo una motivazione illogica (nella parte in cui fonda il giudizio di inattendibilità della querelante sul fatto che il tentativo di conciliazione non sia andato a buon fine), monca (nella parte in cui non chiarisce se i testi – mai indicati nominatim – abbiano compreso il senso delle parole rivolte dall’imputato alla S.), priva di riferimenti fattuali e anche giuridicamente errata (nella parte in cui si osserva che le percosse non hanno lasciato traccia significativa, dimenticando che, se postumi avessero lasciato, sarebbe stato ravvisabile il delitto di lesioni).
P.Q.M.

annulla la sentenza impugnata con rinvio all’Ufficio del giudice di pace di Alghero per nuovo giudizio.

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Cass. civ. Sez. lavoro, Sent., 27-07-2011, n. 16450 Licenziamento per giusta causa

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Svolgimento del processo

Con sentenza del 30 novembre 2007. Il Tribunale di Sanremo respingeva la domanda del M. diretta alla declaratoria di illegittimità del licenziamento per giusta causa irrogatogli dalla società BILLA A.G. il 25 luglio 2006, e delle precedenti sanzioni disciplinari.

Proposto appello dal M. e radicatosi il contraddittorio, all’udienza di discussione l’appellante eccepiva l’esistenza di giudicato esterno, costituito da altra sentenza del Tribunale di Sanremo (del 27 marzo 2007) con cui, dichiarata l’illegittimità del distacco (20.6.02) del M. dalla filiale di (OMISSIS) a quella di (OMISSIS), venne accertata la persistenza del rapporto di lavoro subordinato a tale data.

La Corte d’appello di Genova, con sentenza depositata il 6 agosto 2008, riteneva che tale ultima pronuncia, passata in giudicato, avendo disposto "la reintegrazione del M. nelle mansioni di capo macelleria presso la Filiale di Sanremo", aveva anche definitivamente accertato l’esistenza di un rapporto di lavoro subordinato a tale data (27 marzo 2007) con la conseguente inefficacia del licenziamento precedentemente intimato e di cui si discuteva.

Avverso tale sentenza propone ricorso per cassazione la società BILLA A.G., affidato a quattro motivi. Resiste il M. con controricorso.

Entrambe le parti hanno depositato memoria ex art. 378 c.p.c..
Motivi della decisione

Deve preliminarmente respingersi l’eccezione di nullità della procura, sollevata dal controricorrente e neppure riformulata in sede di discussione, per dedotta non veridicità delle sottoscrizione apposte dai deleganti, in assenza di proposizione di querela di falso (Cass. 25 settembre 2006 n. 20783).

1- Con primo motivo la ricorrente denuncia violazione e falsa applicazione dell’art. 2909 c.c. per avere la corte territoriale attribuito valore di giudicato esterno alla citata sentenza 27 marzo 2007 del Tribunale di Sanremo, avente ad oggetto unicamente il provvedimento di distacco del M. presso la filiale di (OMISSIS), e dunque un diverso petitum ed una diversa causa petendi.

2.- Il motivo è fondato ed assorbe l’intero ricorso.

Questa Corte ha più volte affermato che l’autorità del giudicato sostanziale opera solo entro i rigorosi limiti degli elementi costitutivi dell’azione, e presuppone che tra la causa precedente e quella in atto vi sia identità di soggetti, oltre che di "petitum" e "causa petendi" (Cass. 20 aprile 2011 n. 9043, Cass. 16 marzo 2007 n. 6293, Cass. 19 luglio 2005 n. 15222, Cass. 30 luglio 2004 n. 14593).

Nella specie il precedente giudizio del cui giudicato si controverte, aveva indubbiamente diverso petitum e causa petendi: l’illegittimità del distacco del M. presso la filiale di Alassio disposta dalla società il 20 giugno 2002, rispetto alla declaratoria di illegittimità del licenziamento per giusta causa irrogatogli dalla società BILLA A.G. il 25 luglio 2006, e delle precedenti sanzioni disciplinari. Per tale ragione non poteva avere autorità di giudicato esterno.

Nè rileva, come deduce il M., che il giudicato copre non solo il dedotto ma anche il deducibile.

Come emerge dalla stessa pronuncia 11 aprile 2008 n. 9544 di questa Corte, citata dal controricorrente, il giudicato, formatosi con la sentenza intervenuta tra le parti, copre non solo il dedotto ma anche il deducibile solo in relazione al medesimo oggetto, rilevando le ragioni giuridiche e di fatto che, sebbene non dedotte specificamente, costituiscono precedenti logici essenziali e necessari della pronuncia, come chiarito dalle sezioni unite di questa Corte (sentenza 17 dicembre 2007 n. 26482).

Nella specie, essendo pacifico che la questione non formò oggetto esplicito di quel giudizio, non può ritenersi che la persistenza del rapporto di lavoro nel 2007 costituisca premessa logica ed essenziale dell’accertamento di illegittimità del provvedimento di distacco adottato dal datore di lavoro nel lontano 2002, sicchè il dispositivo: "ordina la reintegrazione nelle mansioni di capo macelleria presso la filiale di Sanremo", non essendo sorretto da alcun supporto motivazionale circa l’esistenza di un rapporto dì lavoro alla data della pronuncia, non risulta idoneo, di per sè, a formare giudicato sul punto, posto che la portata del giudicato, sia esso giudicato esterno od interno, va effettuata con riferimento non soltanto al dispositivo della sentenza, ma anche alla motivazione di quest’ultima, Cass. 23 novembre 2005 n. 24594, Cass. 18 gennaio 2007 n. 1093.

Il ricorso va pertanto accolto, la sentenza impugnata cassata, con rinvio, anche per le spese, alla corte d’appello in dispositivo indicata, che si atterrà, per l’ulteriore esame della causa, ai principi sopra enunciati.
P.Q.M.

La Corte accoglie il ricorso, cassa la sentenza impugnata e rinvia, anche per le spese, alla Corte d’appello di Genova in diversa composizione.

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Cons. Stato Sez. IV, Sent., 13-05-2011, n. 2942 Personale carcerario

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Svolgimento del processo

1. – Con ricorso al TAR Puglia, sezione di Lecce, il sig. A. G., dipendente dell’amministrazione penitenziaria, esponeva di essere stato sottoposto a procedimento disciplinare con le modalità che seguono.

Con provvedimento n. 036802006 del 20.11.2006 del Direttore Generale del Personale e della Formazione – Ufficio IV – sez. III veniva nominato il funzionario istruttore che avviava, in data 22.11.2006, il procedimento a carico del ricorrente mediante contestazione scritta degli addebiti, riferiti a fatti per i quali era stato instaurato precedente procedimento penale conclusosi con la prescrizione. In esito al procedimento disciplinare, avviato per l’infrazione di cui all’art. 6, comma 2, lett. a) e b) del d.lvo n. 449/’92, al ricorrente veniva irrogata la sanzione della destituzione dal servizio dalla data della notifica del relativo decreto, n. 00225272007/12004/ds6, emesso il 31.07.2007 dal Vice Capo del Dipartimento dell’Amministrazione Penitenziaria e notificato al Greco in data 1.08.2007. Il ricorrente, pertanto, impugnava tale provvedimento col predetto ricorso al TAR.

Il giudice di prima istanza accoglieva l’impugnativa, ritenendo fondata la censura di violazione dei termini perentori stabiliti dalla legge (art. 7, comma 6, del d.l.vo n. 449/’92) con riferimento all’instaurazione dei procedimenti disciplinari, con conseguente caducazione degli atti e provvedimenti emessi.

Il Ministero della difesa ha tuttavia impugnato la sentenza del TAR, chiedendone la riforma e svolgendo motivi ed argomentazioni riassunti nella sede della loro trattazione in diritto da parte della presente decisione.

Si è costituito nel giudizio d’appello il sig. Greco resistendo al gravame ed esponendo in successiva memoria le proprie argomentazioni difensive..

Alla pubblica udienza dell’8 marzo 2011 il ricorso è stato trattenuto in decisione.
Motivi della decisione

1. – Deve preliminarmente essere esaminata l’eccezione di tardività del gravame proposta dall’appellato, il quale, nella propria memoria difensiva, fa rilevare che la sentenza impugnata è stata notificata presso l’avvocatura in data 30 marzo 2010, mentre l’atto di appello risulta notificato soltanto il 31.5.2010, quindi oltre i sessanta giorni previsti dalla legge. L’eccezione va respinta. Essa oblitera che nella fattispecie il sessantesimo giorno (29.5.2010) cadeva di sabato, sicchè al caso trova applicazione l’ultimo comma dell’art. 155 c.p.c, in base al quale il termine di notificazione è prorogato di diritto al primo giorno non festivo per gli atti (compiuti fuori udienza) il cui termine di compimento scade di sabato. La notificazione dell’appello effettuata con la consegna alla posta il giorno lunedì 31.5.2010 è pertanto tempestiva ai sensi di legge (per un’applicazione del principio v. Cons. di Stato, sez.V, n.469/del 2009).

2. – Nel merito, come già accennato in fatto, la sentenza impugnata ha accolto il ricorso del sig. Greco (destinatario di destituzione disciplinare a seguito di sentenza penale di proscioglimento per prescrizione), ritenendo fondata la censura di violazione dei termini perentori stabiliti dalla legge con riferimento all’instaurazione del procedimento disciplinare, con conseguente caducazione degli atti e dei provvedimenti emessi dall’amministrazione.

La norma applicata, costituita dall’art. 7, comma 6, del d.l.vo n. 449/’92 ("Determinazione delle sanzioni disciplinari per il personale del Corpo di polizia penitenziaria e per la regolamentazione dei relativi procedimenti, a norma dell’art. 21, comma 1, della legge 15 dicembre 1990, n. 395") dispone quanto segue: "Quando da un procedimento penale comunque definito emergono fatti e circostanze che rendano l’appartenente al Corpo di polizia penitenziaria passibile di sanzioni disciplinari, questi deve essere sottoposto a procedimento disciplinare entro il termine di 120 giorni dalla data di pubblicazione della sentenza, oppure entro 40 giorni dalla data di notificazione della sentenza stessa all’Amministrazione". Con riferimento al caso di specie, il giudice di prime cure ha rilevato che l’attivazione del procedimento disciplinare, con nomina del funzionario istruttore in data 20.11.2006 e contestazione degli addebiti il 22.11.2006, è avvenuta ben oltre i termini dei 120 giorni dalla pubblicazione della sentenza (14.03.2005) e dal suo passaggio in giudicato (24.04.2005), dovendosi, pertanto, considerare intempestiva, secondo noto orientamento giurisprudenziale (Consiglio Stato, sez. IV, n. 3827/2007).

Con l’appello in esame il Ministero della Giustizia, oppone alla tesi del TAR, in sintesi, che, secondo quanto ritenuto dalla prevalente giurisprudenza, il termine decadenziale per l’inizio del procedimento disciplinare deve essere conteggiato non dal giorno di pubblicazione della sentenza irrevocabile ma da quello in cui l’amministrazione ne ha avuto comunicazione. Così procedendo il termine di legge risulta nella specie rispettato, poiché la sentenza è stata comunicata all’amministrazione l’8.11.2006 e l’avvio del procedimento disciplinare è stato emesso pochi giorni dopo. L’appello è meritevole di accoglimento.

2.1 – Al riguardo deve evidenziarsi che la misura destitutiva è stata resa sulla base di fatti emersi a seguito di un giudizio penale conclusosi con sentenza di non doversi procedere per estinzione del reato causa prescrizione dello stesso. La fattispecie, pertanto, trova collocazione nella norma di natura residuale (Cons. di Stato, sez. IV, n. 3017/2009), costituita dall’art. 7, comma 6, del decreto n.449 che dispone: "Quando da un procedimento penale comunque definito emergono fatti e circostanze che rendano l’appartenente al Corpo di polizia penitenziaria passibile di sanzioni disciplinari, questi deve essere sottoposto a procedimento disciplinare entro il termine di 120 giorni dalla data di pubblicazione della sentenza, oppure entro 40 giorni dalla data di notificazione della sentenza stessa all’Amministrazione". Ma detta norma, con riferimento alla decorrenza del termine, non può che essere interpretata tenuto conto dell’esigenza che l’azione amministrativa si svolga secondo i canoni del giusto procedimento e del buon andamento, i quali suggeriscono di individuare "il dies a quo" del termine in questione dalla data di conoscenza della pronunzia penale. Infatti, diversamente ragionando (e seguendo quindi l’orientamento del TAR) si perverrebbe alla conclusione, illogica e contraddittoria, di sottoporre l’esercizio del potere disciplinare al termine decadenziale in questione senza che l’amministrazione abbia alcuna conoscenza degli elementi fattuali emersi in sede penale e suscettibili di legittimare il procedimento sanzionatorio. In tale situazione, atteso che, d’altro canto, l’organo giurisdizionale non ha alcun dovere di notificare all’amministrazione di appartenenza dell’impiegato la sentenza penale definitiva che lo riguardi, la p.a. potrebbe scegliere solo tra il non procedere disciplinarmente o procedere senza elementi, in entrambi i casi con risultati del tutto incompatibili con il principio del giusto procedimento.

Per contro l’ evidente esigenza, sottolineata anche dal primo giudice, di non prolungare oltre il necessario (ed a discapito dell’incolpato) il momento di avvio del procedimento disciplinare, trova ampia tutela nella possibilità, offertagli dalla norma, di dare egli stesso notizia della sentenza all’amministrazione, abbreviando così a 40 giorni il termine disponibile per avviare il procedimento.

Nel medesimo senso ermeneutico sopra illustrato, viene in rilievo anche l’art.9, comma 2°, della legge 19/1990 che (pur riferentesi alle ipotesi di condanna), come chiarito dalla giurisprudenza, va interpretato nel senso che "l’Amministrazione procedente è tenuta a concludere il procedimento disciplinare nel termine di complessivi duecentosettanta (270) giorni da quando ha avuto notizia della condanna penale del dipendente incolpato. Tale termine complessivo si ricava sommando al termine di 180 giorni imposto per l’inizio del procedimento disciplinare (e decorrente dalla ridetta notizia) quello di "successivi" 90 giorni imposto appunto per la conclusione del procedimento disciplinare." (Cons. di Stato, a.p.,n.1/2009).

– L’appello, infine, non è logicamente contrastabile con la tesi (sostenuta dalla sentenza dall’appellato) che pone in luce come la sentenza penale non sia di condanna ma di proscioglimento per prescrizione del reato; al contrario è invero pacifica, anche in caso di sentenza di prescrizione del reato, la possibilità per l’amministrazione di valutare ai fini disciplinari i fatti oggettivamente emersi a carico del dipendente penalmente prosciolto (cfr. Cons. Stato, Sez. IV, n. 4392/2007 e Sez. VI, n.2843/2009). In tema di termini procedimentali applicabili, pertanto, la sentenza penale dichiarativa della prescrizione che contenga comunque un accertamento dei fatti a carico dell’incolpato in sede disciplinare non presenta particolarità che le permettano di ricevere una regolamentazione differente da quella di condanna. Va segnalato per completezza che il primo giudice, a conforto della tesi sulla non invocabilità dell’art. 9, c.2, della l.n.19/1990, menziona una giurisprudenza amministrativa che non pare poter supportare l’orientamento sostenuto. Ed invero:

– Cons. di Stato, sez. VI, n.624/2008 concerne una misura disciplinare adottata a seguito di sentenza di condanna;

– idem dicasi per Cons. di Stato, sez. IV, n.2935/2009 che riguarda inoltre fattispecie diversa, inerente violazione di termine procedimentale intermedio e non iniziale;

– Cons. di Stato, a.p., n.10/06, ha addirittura escluso che la perentorietà del termine di cui al citato art. 9 trovi applicazione (in un caso però di procedimento disciplinare instaurato seguito di una sentenza applicativa di pena su richiesta delle parti).

2.2. – In definitiva, per le sopra esposte ragioni, a fronte di una comunicazione della sentenza irrevocabile avvenuta l’8.11.2006, l’avvio del procedimento disciplinare in data 20.11.2006 risultava del tutto tempestivo.

2.3. – Conclusivamente, l’appello deve essere accolto, con le conseguenze di cui in dispositivo.

3.- Sussistono giuste ragioni per disporre la compensazione delle spese del presente grado di giudizio, attese talune difformità degli orientamenti giurisprudenziali in materia.
P.Q.M.

Il Consiglio di Stato in sede giurisdizionale (Sezione Quarta)

Il Consiglio di Stato in sede giurisdizionale (sezione IV), definitivamente pronunziando in merito al ricorso in epigrafe, accoglie l’appello e per l’effetto, in riforma della sentenza impugnata, respinge il ricorso di primo grado.

Dichiara interamente compensate tra le parti le spese del grado.

Ordina che la presente sentenza sia eseguita dall’autorità amministrativa.

Testo non ufficiale. La sola stampa del bollettino ufficiale ha carattere legale.