Cass. pen. Sez. VI, Sent., (ud. 24-05-2011) 27-05-2011, n. 21393

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Svolgimento del processo – Motivi della decisione

1. Nell’interesse della persona offesa C.E., il difensore avv. Orpello ricorre avverso il decreto 18.5.2010 con il quale il GIP di Piacenza, in esito all’udienza camerale, ha archiviato il procedimento sorto dalla querela della C. nei confronti di B.R.P., per maltrattamenti, con cinque motivi:

– nullità del provvedimento per l’illeggibilità della sottoscrizione e la non individuazione del decidente;

violazione del contraddittorio, in relazione all’utilizzazione determinante per la decisione di un documento prodotto dall’indagato direttamente all’udienza, sul quale la persona offesa non aveva potuto utilmente interloquire;

– violazione del contraddittorio nella formazione della prova e del giusto processo, per l’omessa motivazione del decreto sugli altri elementi probatori in atti (in particolare una sentenza della corte d’appello di Bologna, parte della cui motivazione è trascritta nel motivo);

inosservanza o erronea applicazione del principio dell’art. 127 c.p.p., comma 3, e art. 649 c.p.p.;

– inosservanza degli artt. 30, 146 e 155 c.c., e omessa motivazione in relazione alla falsità delle prove addotte dall’indagato ed alla gravità dei fatti, che "richiedevano maggior ponderazione" da parte del GIP che "avrebbe dovuto ordinare la prosecuzione" delle nuove indagini richieste, e riproposte nel motivo.

2. Il ricorso è inammissibile perchè i motivi che lo sostengono sono generici e diversi da quelli consentiti.

Avverso il provvedimento di archiviazione deliberato in esito all’udienza camerale, l’unico tipo di impugnazione ammesso è il ricorso per cassazione nei soli casi di nullità previsti dall’art. 127 c.p.p., comma 5, e quindi quelli disciplinati dai commi 1, 3 e 4, relativi all’avviso tempestivo dell’udienza ed alla possibilità di fisica presenza del pubblico ministero, del difensore e della parte personalmente interessata (SU, sent. 24 del 9.6 – 3.7.1995; Sez.6, sent. 5144 del 16.12.1997 – 12.1.1998; Sez.l, ord. 8842 del 7.2 – 14.3.2006).

Sono pertanto inammissibili, perchè non consentite, le censure attinenti il merito del provvedimento impugnato (secondo, terzo e quarto motivo) e quella relativa alla leggibilità della sottoscrizione e conseguentemente all’individuazione del giudice che ha redatto il provvedimento (primo motivo).

Il secondo motivo – con rilievo che è assorbente rispetto all’esame del tema relativo all’eventuale riconducibilità alla nullità di cui all’art. 127 c.p.p., comma 3, di un contraddittorio impedito – è inammissibile per la genericità dell’assunto: il ricorrente, infatti, deduce in termini del tutto generici che sia stato impedito un legittimo diritto di replica, non prospettando essere avvenuta e verbalizzata nè richiesta di termine per esame e difesa nè, tanto meno, che non sia stata data la parola, nonostante formale specifica e pertinente richiesta, per argomentare sul contenuto del documento.

Consegue la condanna della ricorrente al pagamento delle spese processuali e della somma, equa al caso, di Euro 1000 alla Cassa delle ammende.
P.Q.M.

Dichiara inammissibile il ricorso e condanna la ricorrente al pagamento delle spese processuali e della somma di Euro 1000 alla Cassa delle ammende.

Testo non ufficiale. La sola stampa del bollettino ufficiale ha carattere legale.

T.A.R. Lazio Roma Sez. I, Sent., 13-06-2011, n. 5225 Carenza di interesse sopravvenuta

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Svolgimento del processo – Motivi della decisione

con nota depositata in data 19 aprile 2011, il ricorrente ha revocato la domanda di fissazione d’udienza, avendo ottenuto il pagamento da parte degli IFO delle retribuzioni rivendicate ed essendo così cessato l’interesse alla decisione del ricorso;

Rilevato che la sopravvenuta carenza di interesse al ricorso è stata ribadita all’udienza pubblica del 25 maggio 2011;

Ritenuto, di conseguenza, che al Collegio null’altro resta che dichiarare l’improcedibilità del ricorso per sopravvenuta carenza di interesse;

Ritenuto – anche in considerazione del fatto che nella memoria conclusionale depositata il 19 aprile 2011 lo stesso ricorrente ha evidenziato che non si è costituita alcuna controparte e non vi è alcun motivo per la condanna alle spese – che nulla è dovuto per le spese del giudizio.
P.Q.M.

Il Tribunale Amministrativo Regionale per il Lazio (Sezione Prima)

dichiara improcedibile il ricorso in epigrafe.

Nulla per le spese.

Ordina che la presente sentenza sia eseguita dall’autorità amministrativa.

Testo non ufficiale. La sola stampa del bollettino ufficiale ha carattere legale.

Cons. Giust. Amm. Sic., Sent., 30-06-2011, n. 457 Albo professionale

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Svolgimento del processo – Motivi della decisione

Con ricorso al T.A.R. Catania, il dott. Sa.Ro. impugnava il giudizio negativo espresso con voto numerico nei suoi confronti dalla Commissione incaricata di valutare le prove scritte degli esami di abilitazione alla professione di avvocato.

Alla Camera di Consiglio del 15 dicembre 2010 fissata per la discussione dell’istanza cautelare, accertata la sussistenza dei prescritti presupposti, il Tribunale adito decideva la causa nel merito e, ritenendo fondato il motivo di ricorso relativo alla violazione dell’art. 3 L. n. 241/90, per difetto di motivazione, in relazione all’attribuzione di mero voto numerico, con sentenza in forma semplificata, n. 4812/2010, accoglieva il ricorso e, per l’effetto, annullava i provvedimenti impugnati.

Avverso detta decisione proponeva appello l’Avvocatura dello Stato, per il Ministero della Giustizia, che, richiamando consolidata giurisprudenza, secondo cui il voto numerico è sufficiente a dare conto della valutazione delle commissioni di pubblici concorsi, chiedeva preliminarmente la sospensione in via provvisoria, con decreto d’urgenza, della sentenza impugnata e, quindi, l’annullamento della stessa, previa sospensione.

Con decreto n. 236/11 del Presidente di questo C.G.A. è stata accolta la superiore istanza del Ministero appellante.

Con memoria di costituzione, il dott. Sa.Ro., odierno appellato, assistito dal suo difensore, ha dichiarato, in via preliminare ed assorbente, di rinunziare ad ogni e qualsivoglia diritto nascente dalla sentenza n. 4812/2010, in epigrafe indicata, ivi compreso il favore delle spese legali.

A tal fine, ha sottoscritto anche personalmente la memoria suddetta ed ha dichiarato di non avere più interesse ai motivi del ricorso originario né all’appello.

Alla Camera di Consiglio del 24 febbraio 2011, fissata per la discussione dell’istanza cautelare, accertata la completezza del contraddittorio e dell’istruttoria, le parti sono state sentite circa la possibilità che il Collegio decida la causa con sentenza in forma semplificata.

Pertanto, attesa la suddetta rinuncia, validamente espressa, il Collegio dichiara estinto il giudizio ai sensi dell’art. 35, comma 2, lett. c) del D.Lgs. n. 104/2010.

Si ritiene che sussistano giusti motivi per compensare tra le parti le spese del doppio grado di giudizio.

P.Q.M.

Il Consiglio di Giustizia Amministrativa per la Regione Siciliana, in sede giurisdizionale, definitivamente pronunciando, dà atto della rinunzia al ricorso in appello e per l’effetto dichiara estinto il giudizio, annullando senza rinvio la sentenza impugnata.

Spese del doppio grado compensate.

Ordina che la presente sentenza sia eseguita dall’Autorità amministrativa.

Testo non ufficiale. La sola stampa del bollettino ufficiale ha carattere legale.

Cass. civ. Sez. lavoro, Sent., 30-11-2011, n. 25465 Passaggio ad altra amministrazione

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Svolgimento del processo – Motivi della decisione

La parte ricorrente chiede l’annullamento della sentenza di appello che ha negato il suo diritto al riconoscimento integrale dell’anzianità maturata presso l’ente locale di provenienza da parte del Ministero dell’istruzione, dell’università e della ricerca (MIUR).

La medesima questione è stata già decisa da Cass. 12 ottobre 2011, n. 20980 e Cass. 14 ottobre 2011, n. 21282, cui si rinvia per una motivazione più analitica. In estrema sintesi, deve rilevarsi quanto segue.

La controversia concerne il trattamento giuridico ed economico del personale amministrativo, tecnico ed ausiliario (ATA) della scuola trasferito dagli enti locali al Ministero in base alla L. 3 maggio 1999, n. 124, art. 8.

Tale norma fu oggetto di un vasto contenzioso concernente, specificamente, l’applicazione che della stessa venne data dal D.M. Pubblica Istruzione 5 aprile 2001, che recepì l’accordo stipulato tra l’ARAN e i rappresentanti delle organizzazioni sindacali in data 20 luglio 2000. Le controversie giudiziarie riguardarono in particolare la possibilità di incidere, su di una norma di rango legislativo, da parte di un accordo sindacale poi recepito in D.M..

La giurisprudenza si orientò in senso negativo, sebbene con percorsi argomentativi diversi (ex plurimis, Cfr. Cass., 17 febbraio 2005, n. 3224; 4 marzo 2005, n. 4722, nonchè 27 settembre 2005, n. 18829).

Intervenne il legislatore, dettando la L. n. 266 del 2005, art. 1, comma 218 (Finanziaria del 2006), che recepì, a sua volta, i contenuti dell’accordo sindacale e del D.M.. Il legislatore elevò, quindi, a rango di legge la previsione dell’autonomia collettiva.

Si sostenne, da un lato, che tale norma non avesse efficacia retroattiva e, dall’altro, che se dotata di efficacia retroattiva, fosse incostituzionale sotto molteplici profili. Entrambe le posizioni sono stata giudicate non fondate. L’efficacia retroattiva è stata affermata da questa Corte (per tutte, S.U., 8 agosto 2011, n. 17076) e dalla Corte costituzionale (sentenza n. 234 del 2007).

L’incostituzionalità è stata esclusa in quattro interventi del giudice delle leggi (Corte cost. n. 234 e n. 400 del 2007; n. 212 del 2008; n. 311 del 2009). Per tali motivi, ricorsi di contenuto analogo a quello qui considerato, sono stati respinti (cfr. per tutte, Cass., 9 novembre 2010, n. 22751).

Questo approdo deve ora essere integrato con quanto statuito dalla Corte di giustizia dell’Unione europea (Grande sezione) nella sentenza 6 settembre 2011 (procedimento C- 108/10), emessa su domanda di pronuncia pregiudiziale in merito all’interpretazione della direttiva del Consiglio 14 febbraio 1977, 77/187/CEE. La Corte ha risposto a quattro questioni poste dal Tribunale di Venezia. La prima consisteva nello stabilire se il fenomeno successorio disciplinato dalla L. n. 124 del 1999, art. 8 costituisca un trasferimento d’impresa ai sensi della normativa dell’Unione relativa al mantenimento dei diritti dei lavoratori. La soluzione è affermativa ("La riassunzione, da parte di una pubblica autorità di uno Stato membro, del personale dipendente di un’altra pubblica autorità, addetto alla fornitura, presso le scuole, di servizi ausiliari comprendenti, in particolare, compiti di custodia e assistenza amministrativa, costituisce un trasferimento di impresa ai sensi della direttiva del Consiglio 14 febbraio 1977, 77/187/CEE, concernente il ravvicinamento delle legislazioni degli Stati membri relative al mantenimento dei diritti dei lavoratori in caso di trasferimenti di imprese, di stabilimenti o di parti di stabilimenti, quando detto personale è costituito da un complesso strutturato di impiegati tutelati in qualità di lavoratori in forza dell’ordinamento giuridico nazionale di detto Stato membro").

Con la seconda e la terza questione si chiedeva alla Corte di stabilire: -se la continuità del rapporto di cui all’art. 3, n. 1 della 77/187 deve essere interpretata nel senso di una quantificazione dei trattamenti economici collegati presso il cessionario all’anzianità di servizio che tenga conto di tutti gli anni effettuati dal personale trasferito anche di quelli svolti alle dipendenze del cedente (seconda questione);

-se tra i diritti del lavoratore che si trasferiscono al concessionario rientrano anche posizioni di vantaggio conseguite dal lavoratore presso il cedente quale l’anzianità di servizio se a questa risultano collegati nella contrattazione collettiva vigente presso il cessionario, diritti di carattere economico (terza questione). Il dispositivo della decisione è: "quando un trasferimento ai sensi della direttiva 77/187 porta all’applicazione immediata, ai lavoratori trasferiti, del contratto collettivo vigente presso il cessionario e inoltre le condizioni retributive previste da questo contratto sono collegate segnatamente all’anzianità lavorativa, l’art. 3 di detta direttiva osta a che i lavoratori trasferiti subiscano, rispetto alla loro posizione immediatamente precedente al trasferimento, un peggioramento retributivo sostanziale per il mancato riconoscimento dell’anzianità da loro maturata presso il cedente, equivalente a quella maturata da altri lavoratori alle dipendenze del cessionario, all’atto della determinazione della loro posizione retributiva di partenza presso quest’ultimo. E’ compito del giudice del rinvio esaminare se, all’atto del trasferimento in questione nella causa principale, si sia verificato un siffatto peggioramento retributivo".

Il giudice nazionale è quindi chiamato dalla Corte di giustizia ad accertare se, a causa del mancato riconoscimento integrale della anzianità maturata presso l’ente cedente, il lavoratore trasferito abbia subito un peggioramento retributivo.

In motivazione la Corte rileva che, una volta inquadrato nel concetto di trasferimento d’azienda e quindi assoggettato alla direttiva 77/187, al trasferimento degli ATA si applica non solo il n. 1 dell’art. 3 della direttiva, ma anche il n. 2, disposizione che riguarda segnatamente l’ipotesi in cui l’applicazione del contratto in vigore presso il cedente venga abbandonata a favore di quello in vigore presso il cessionario (come nel caso in esame). Il cessionario ha diritto di applicare sin dalla data del trasferimento le condizioni di lavoro previste dal contratto collettivo per lui vigente, ivi comprese quelle concernenti la retribuzione (punto n. 74 della sentenza). Ciò premesso, la Corte sottolinea che gli stati dell’Unione, pur con un margine di elasticità, devono attenersi allo scopo della direttiva, consistente "nell’impedire che i lavoratori coinvolti in un trasferimento siano collocati in una posizione meno favorevole per il solo fatto del trasferimento" (n. 75, il concetto è ribadito al n. 77 in cui si precisa che la direttiva "ha il solo scopo di evitare che determinati lavoratori siano collocati, per il solo fatto del trasferimento verso un altro datore di lavoro, in una posizione sfavorevole rispetto a quella di cui godevano precedentemente").

Quindi, nella definizione delle singole controversie, è necessario stabilire se si è in presenza di condizioni meno favorevoli. A tal fine, il giudice del rinvio deve osservare i seguenti criteri.

1. Quanto ai soggetti la cui posizione va comparata, il confronto è con le condizioni immediatamente antecedenti al trasferimento dello stesso lavoratore trasferito (così il n. 75 e, al n. 77, si precisa "posizione sfavorevole rispetto a quella di cui godevano prima del trasferimento". Idem nn. 82 e 83). Al contrario, non ostano eventuali disparità con i lavoratori che all’atto del trasferimento erano già in servizio presso il cessionario (n. 77).

2. Quanto alle modalità, si deve trattare di peggioramento retributivo sostanziale (così il dispositivo) ed il confronto tra le condizioni deve essere globale (n. 76: "condizioni globalmente meno favorevoli"; n. 82: "posizione globalmente sfavorevole"), quindi non limitato allo specifico istituto.

3. Quanto al momento da prendere in considerazione, il confronto deve essere fatto all’atto del trasferimento (nn. 82 e 84, oltre che nel dispositivo: "all’atto della determinazione della loro posizione retributiva di partenza").

La quarta ed ultima questione posta dal Tribunale di Venezia atteneva alla conformità della disciplina italiana e specificamente della Legge Finanziaria del 2006, art. 1, comma 218, all’art. 6, n. 2 TUE in combinato disposto con gli artt. 6 della CEDU e artt. 46, 47 e 52 n. 3 della Carta dei diritti fondamentali dell’Unione europea, proclamata a Nizza il 7 dicembre 2000, come recepiti nel Trattato di Lisbona. La Corte, dando atto della pronunzia emessa il 7 giugno 2011 dalla Corte europea dei diritti dell’uomo, ha statuito che "vista la risposta data alla seconda ed alla terza questione, non c’è più bisogno di esaminare se la normativa nazionale in oggetto, quale applicata alla ricorrente nella causa principale, violi i principi" di cui alle norme su indicate. La sentenza della Corte di giustizia incide sul presente giudizio. In base all’art. 11 Cost. e all’art. 117 Cost., comma 1, il giudice nazionale e, prima ancora, l’amministrazione, hanno il potere-dovere di dare immediata applicazione alle norme della Unione europea provviste di effetto diretto, con i soli limiti derivanti dai principi fondamentali dell’assetto costituzionale dello Stato ovvero dei diritti inalienabili della persona, nel cui ambito resta ferma la possibilità del controllo di costituzionalità (cfr, per tutte, Corte cost. sentenze n. 183 del 1973 e n. 170 del 1984; ordinanza n. 536 del 1995 nonchè, da ultimo, sentenze n. 284 del 2007, n. 227 del 2010, n. 288 del 2010, n. 80 del 2011). L’obbligo di applicazione è stato riconosciuto anche nei confronti delle sentenze interpretative della Corte di giustizia (emanate in via pregiudiziale o a seguito di procedura di infrazione) ove riguardino norme europee direttamente applicabili (cfr. Corte cost. sentenze n. 113 del 1985, n. 389 del 1989 e n. 168 del 1991, nonchè, sull’onere di interpretazione conforme al diritto dell’Unione, sentenze n. 28 del 2010 e n. 190 del 2000).

Il caso in esame deve quindi essere deciso in consonanza con la sentenza della Corte di giustizia dell’Unione europea. Ciò comporta che il ricorso deve essere accolto perchè la violazione del complesso normativo, costituito dalla L. n. 124 del 1999, art. 8 e L. n. 266 del 2005, art. 1, comma 218 denunziata, deve essere verificata in concreto sulla base dei principi enunciati dalla Corte di giustizia europea. La decisione impugnata deve, pertanto, essere cassata con rinvio alla medesima Corte d’appello in diversa composizione, la quale, applicando i criteri di comparazione su indicati, dovrà decidere la controversia nel merito, verificando la sussistenza, o meno, di un peggioramento retributivo sostanziale all’atto del trasferimento e dovrà accogliere o respingere la domanda del lavoratore in relazione al risultato di tale accertamento. Il giudice del rinvio provvederà anche sulle spese del giudizio. Il collegio ha deliberato che la presente sentenza venisse redatta con motivazione semplificata.

P.Q.M.

La Corte accoglie il ricorso, cassa e rinvia alla medesima Corte d’appello in diversa composizione, anche per le spese.

Testo non ufficiale. La sola stampa del bollettino ufficiale ha carattere legale.