T.A.R. Lombardia Brescia Sez. II, Sent., 14-01-2011, n. 53

Sentenza scelta dal dott. Domenico Cirasole direttore del sito giuridico http://www.gadit.it/

Svolgimento del processo – Motivi della decisione

– che, in esito all’ordinanza cautelare n. 738 del 15/10/2010, la ricorrente è stata riammessa alla gara e, in esito al confronto comparativo, è stata dichiarata vincitrice;

– che, con sentenza breve n. 4866 del 17/12/2010, la Sezione ha respinto il ricorso dell’odierna controinteressata contro il provvedimento di aggiudicazione dell’appalto a S.C.;

– che, pertanto, deve essere dichiarata l’improcedibilità del presente giudizio per sopravvenuta carenza di interesse;

– che le spese di giudizio possono essere parzialmente compensate, nella misura del 50%, dato che l’anomala collocazione della clausola controversa aveva creato un’oggettiva situazione di incertezza (cfr. ordinanza n. 738/2010);
P.Q.M.

Il Tribunale Amministrativo Regionale per la Lombardia sezione staccata di Brescia (Sezione Seconda) dichiara il ricorso in epigrafe improcedibile per sopravvenuta carenza di interesse.

Condanna l’amministrazione comunale e la controinteressata a corrispondere alla ricorrente, in solido tra loro, la somma complessiva di Euro 2.500 a titolo di spese, competenze ed onorari di difesa, oltre ad IVA e CPA.

Condanna altresì l’amministrazione soccombente a rifondere alla ricorrente le spese del contributo unificato, ai sensi dell’art. 13 comma 6bis del D.P.R. 30/5/2002 n. 115.

Ordina che la presente sentenza sia eseguita dall’autorità amministrativa.

Così deciso in Brescia nella camera di consiglio del giorno 13 gennaio 2011 con l’intervento dei magistrati:

Giorgio Calderoni, Presidente

Mauro Pedron, Primo Referendario

Stefano Tenca, Primo Referendario, Estensore

Testo non ufficiale. La sola stampa del bollettino ufficiale ha carattere legale.

Cass. pen. Sez. V, Sent., (ud. 31-01-2013) 23-05-2013, n. 22175

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Svolgimento del processo

Con sentenza in data 1.6.2011 il Giudice Monocratico del Tribunale di Torino confermava la sentenza emessa dal Giudice di Pace di Torino,in data 5.10.2010,con la quale P.V. era stato condannato quale responsabile dei reati di cui agli artt. 582 e 594 c.p. (commessi per avere cagionato contusione allo zigomo ed escoriazioni a L.I., colpendolo con un pugno al viso, e per avere offeso l’onore e il decoro del predetto come indicato in rubrica)fatti per i quali era stata inflitta condanna alla pena di Euro 500,00 di multa,oltre al risarcimento del danno a favore della parte civile, liquidato in Euro 600,00.

Avverso detta sentenza proponeva ricorso per cassazione il difensore, deducendo:

1 – mancanza, illogicità della motivazione, censurando in particolare la mancata applicazione della esimente della legittima difesa, ex art. 52 c.p., rilevando che la motivazione risultava meramente apparente,essendo redatta per relationem e priva di valutazioni sulla attendibilità della persona offesa, le cui dichiarazioni si ritenevano contraddittorie e lacunose.

2 – il mancato riconoscimento della esimente prevista dall’art. 599 c.p. e dell’attenuante della provocazione, rilevando la carenza ed illogicità della motivazione al riguardo.

3 – carenza ed illogicità della motivazione in ordine alla definizione della pena, con aumento per la continuazione.

In base a tali rilievi chiedeva dunque l’annullamento della sentenza impugnata.

Motivi della decisione

Il ricorso risulta privo di fondamento.

Invero deve evidenziarsi che la sentenza impugnata rende adeguata e logica motivazione in merito alle deduzioni della difesa appellante, evidenziando l’esistenza di risultanze probatorie emerse da deposizione della persona offesa, di contenuto coerente e dalla documentazione medica attestante le patite lesioni.

La motivazione peraltro deve ritenersi esente dai vizi di legittimità con riferimento alle condizioni di applicazione dell’art. 52 c.p., sottolineando che la difesa non aveva addotto elementi a sostegno della tesi di configurabilità della esimente, così come per l’applicazione dell’art. 599 c.p., comma 2.

Nella specie deve evidenziarsi che deve ritenersi correttamente esclusa la configurabilità della esimente della legittima difesa,che era stata dedotta in assenza di valide allegazioni da parte dell’appellante, che aveva rilevato come la causa delle lesioni potesse essere accidentale, ovvero che la condotta ascritta all’imputato fosse frutto della reazione del predetto alla condotta della parte lesa, che lo aveva preso per il bavero,secondo la versione riferita dallo stesso imputato, senza ulteriori specificazioni.

Orbene, in questa sede deve ritenersi incensurabile la valutazione resa al riguardo dal giudice di appello, atteso che, ai fini della applicazione dell’art. 52 c.p..

Ciò in considerazione della genericità delle richieste dell’appellante,e per la compiuta valutazione che il giudice di merito ha svolto in base ai canoni normativi, dovendo rilevarsi che compete all’imputato addurre elementi concreti idonei a configurare i presupposti della causa di giustificazione. (va altresì menzionata per i presupposti di applicazione dell’art. 52 c.p.. Sez. 1, 17.02.2000, e in senso conforme, Sez. 5 – 4.11.2009/27.1.2010, n. 3507 – CED245843.

Quanto alla esimente di cui all’art. 599 c.p., comma 2 analogamente deve ritenersi correttamente formulato il giudizio di esclusione della causa di non punibilità, non essendo dimostrato dalla difesa dell’imputato che sì sia verificato un fatto ingiusto altrui,dotato degli estremi dell’illecito penale o civile, ovvero di carattere lesivo delle regole di civile convivenza (Cass., Sez. 5, 22/5/2009, n. 21455 – Cantatore – RV 243506).

Peraltro il giudizio di esclusione della esimente – invocata dalla difesa sottolineando il clima di tensione dovuto a contrasti condominiali, tra le parti, e l’insulto che aveva subito lo stesso imputato ad opera della persona offesa, dal quale sarebbe scaturita la reazione del ricorrente – risulta esaustivo avendo il giudice di merito escluso anche la reciprocità delle accuse (che l’appellante aveva prospettato al pari della provocazione), in assenza di specifiche allegazioni della difesa al riguardo. In conclusione deve ritenersi priva di fondamento la censura riguardante i vizi della motivazione,essendo le due sentenze di merito conformi e avendo il giudice di appello reso chiaro l’iter logico seguito nel disattendere le richieste dell’imputato.

Parimenti prive di fondamento devono ritenersi le deduzioni della difesa che censurano la motivazione inerente alla determinazione di pena per illogicità, avendo il giudice di appello ritenuto congrua la pena inflitta in primo grado, emergendo dal testo della sentenza del Giudice di Pace che detto giudice aveva valutato la unicità del disegno criminoso, determinando la pena secondo i criteri enunciati dall’art. 133 c.p., e specificando il computo secondo legge, con la concessione delle attenuanti generiche. Al cospetto di tali rilievi deve ritenersi priva di fondamento la censura difensiva peraltro genericamente articolata.

Va pertanto pronunziato il rigetto del ricorso, a cui consegue,per legge,la condanna del ricorrente al pagamento delle spese processuali.

P.Q.M.

Rigetta il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali.

Così deciso in Roma, il 31 gennaio 2013.

Depositato in Cancelleria il 23 maggio 2013

Testo non ufficiale. La sola stampa del bollettino ufficiale ha carattere legale.

CORTE DI CASSAZIONE, SEZ. VI PENALE – SENTENZA 16 giugno 2010, n.23274 IMPEDIRE ALL’EX DI VEDERE LA FIGLIA PER IMPEGNI DI LAVORO NON INTEGRA LA FATTISPECIE DI CUI ALL’ART. 388 C.P.

Sentenza scelta dal dott. Domenico Cirasole

Svolgimento del processo – motivi della decisione

Con la sentenza in epigrafe la Corte d’appello di Lecce, Sezione distaccata di Taranto, in parziale riforma di quella del Tribunale di Taranto in data 22 gennaio 2007, appellata da G.R., ha revocato la provvisionale concessa alla parte civile M. G., e ha confermato la sentenza impugnata in punto di responsabilità della medesima, condannata alla pena di 100 Euro di multa per il reato di cui all’art. 388 c.p., comma 2, nonchè al risarcimento del danno in favore della parte civile, per avere eluso il decreto del Tribunale per i minorenni di Taranto del 29 marzo 2001 relativo all’affidamento della minore M.D., impedendo al padre di incontrare la bambina due volte alla settimana presso il consultorio familiare.

Avverso la sentenza ha proposto ricorso per cassazione l’imputata la quale deduce di avere ridotto le visite a una sola volta alla settimana per i suoi impegni di lavoro. Sottolinea che aveva proposto al M. di incontrare la bambina un pomeriggio alla settimana presso la propria abitazione, dal martedì al giovedì, anche al fine di consentire incontri maggiormente sereni. Sostiene comunque che la norma penale dell’art. 388 c.p., comma 2, non era applicabile nella specie perchè essa richiede l’elusione dell’obbligo di garantire il diritto di visita del genitore non affidatario, elusione implicante un comportamento fraudolento o simulato, nella specie assolutamente insussistente (cita cass., sez. un. 27 settembre 2007, n. 36692).

Il ricorso è fondato. Con la sentenza indicata dal ricorrente le Sezioni unite di questa Corte hanno deciso, confermando un orientamento prevalente della giurisprudenza delle sezioni semplici, che in materia di mancata esecuzione dolosa di un provvedimento del giudice, ai fini della configurazione del reato di cui all’art. 388 c.p., comma 2, concernente l’elusione di un provvedimento del giudice relativo all’affidamento di minori, il concetto di elusione non può equipararsi puramente e semplicemente a quello di inadempimento, occorrendo, affinchè possa concretarsi il reato, che il genitore affidatario si sottragga con atti fraudolenti o simulati, all’adempimento del suo obbligo di consentire le visite del genitore non affidatario, ostacolandole, appunto, attraverso comportamenti implicanti un inadempimento in mala fede e non riconducibile a una mera inosservanza dell’obbligo. Su tale elemento caratterizzante il reato la Corte d’appello non ha fornito alcuna motivazione. Con specifico riferimento alla giustificazione addotta dall’imputata che, secondo quanto si legge in sentenza, aveva addotto l’impossibilità di condurre il minore presso il consultorio familiare due volte alla settimana, si sarebbe dovuta accertare ogni circostanza del caso concreto al fine di verificare, almeno, il fondamento, di tale spiegazione, e non limitarsi a equiparare l’inadempimento alla elusione. La sentenza va quindi annullata con rinvio ad altra sezione della Corte d’appello di Lecce per nuovo giudizio.

P.Q.M.

Annulla la sentenza impugnata e rinvia per nuovo giudizio ad altra sezione della Corte d’appello di Lecce.

Testo non ufficiale. La sola stampa del dispositivo ufficiale ha carattere legale.

Cassazione, sez. III, 26 maggio 2011, n. 11602 Il vecchio usufruttuario muore, il locatario restituisce prima l’immobile?

Sentenza scelta dal dott. Domenico Cirasole

Svolgimento del processo

Il Tribunale di Teramo – sezione distaccata di Giulianova – con sentenza del 23 febbraio 2005 non convalidava lo sfratto intimato dalla soc. I. di D.B.A. & c s.a.s., quale proprietaria piena a seguito di consolidamento dell’usufrutto per morte dell’usufruttuario nei confronti di L.D.M., locatario, ritenendo applicabile al rapporto locatizio non già la norma di cui all’art.999 comma 1 c.c., bensì la disciplina speciale di cui all’art.27 della legge n.392/78.

Su gravame della intimante la Corte di appello de L’Aquila il 3 novembre 2006 riformava integralmente la sentenza di prime cure.

Avverso siffatta decisione propone ricorso per cassazione il D.M., affidandosi a tre motivi.

Nessuna attività difensiva risulta espletata dalla società.

Motivi della decisione

1. – In punto di fatto, il contratto di locazione fu stipulato dall’usufruttuario – F.T. – e registrato in data 21 gennaio 1998 per la durata di 12 anni.

Il locatore decedette il 29 settembre 1998, con la conseguenza che il nudo proprietario – la I. sas – ebbe a consolidare a suo favore la proprietà piena.

Il punto centrale del ricorso, peraltro già dibattuto in appello, è se l’art.999 comma 1 c.c. deroghi o meno alla disciplina di cui all’art.27 della legge n.392/78. Il problema è stato risolto dal giudice dell’appello nel senso dell’applicabilità della disciplina codicistica, atteso il bilanciamento dei contrapposti interessi tra il conduttore e il proprietario a seguito dell’avvenuta consolidazione.

Al riguardo, il Collegio osserva quanto segue.

2. – È principio consolidato quello secondo il quale il nudo proprietario si trova in posizione di terzietà rispetto ai contratti conclusi dall’usufruttuario avente ad oggetto il bene concesso in usufrutto.

Ai sensi dell’art.999 comma 1 c.c. il contratto di locazione stipulato dall’usufruttuario è opponibile allo stesso proprietario solo se risulti da scrittura avente data certa anteriore, come nel caso in esame (Cass. n. 1643/99), anche nella ipotesi di estinzione dell’usufrutto per consolidazione (Cass. n.1165/75).

Tuttavia, stante il carattere dispositivo della norma, in quanto rivolta a dirimere interessi privati (Cass. n. 1263/72) e non essendovi stata alcuna adesione da parte del nudo proprietario alla durata del contratto, così come convenuta con l’usufruttuario, – come accertato dalla sentenza impugnata – il contratto è stato correttamente dichiarato risolto alla scadenza del 29 settembre 2003. Ne consegue che il primo motivo del ricorso (in estrema sintesi violazione e falsa applicazione dell’art.999 c.c. in relazione agli artt. 27, 79, 84 della legge n.392/78 ex art.360 n.3 c.p.c.) non appare meritevole di accoglimento. Infatti, la norma codicistica, che si applica anche alle locazioni concluse dall’enfiteuta (v. art. 976 c.c.) in ipotesi di consolidazione dell’usufrutto, prescrive che comunque il contratto debba avere una durata non oltre il quinquennio dall’estinzione e ciò significa che si privilegia il nudo proprietario al fine di fargli godere pienamente il bene, ma si tengono presenti anche le ragioni del conduttore, che all’epoca della stipula e, a meno che il locatore non gli abbia nascosto la sua qualità, contravvenendo al principio immanente in materia contrattuale della correttezza, sa bene che la locazione è stata stipulata non già con il proprietario, ma con l’usufruttuario.

Il raffronto con la disciplina di cui alla legge n.392/78 comporta la prevalenza della norma codicistica in quanto, come in questo caso, l’estinzione è avvenuta per fatto naturale e non convenzionale e accettando di concludere il contratto con l’usufruttuario di età avanzata, di cui era a conoscenza, perché il contratto fu stipulato per iscritto e fu registrato, il locatario accettò il rischio di una anticipata estinzione dell’usufrutto e, quindi, di una anticipata restituzione dell’immobile rispetto a quanto pattuito.

Di vero, in linea di principio, va affermato che a fronte del diritto reale limitato, che limita il diritto assoluto del proprietario, qualora non vi siano motivi di sociale solidarietà, come per le locazioni abitative ristrette al nucleo familiare, l’ordinamento non può non privilegiare il carattere assoluto di quel diritto, cui viene a riconoscere, tramite il tetto dei cinque anni dalla estinzione, la sua funzione sociale, ovvero quella di consentire al conduttore la possibilità di reperire altro immobile per l’esercizio della sua attività.

3. – Con il secondo motivo (formulato sotto il profilo di omessa e contraddittoria motivazione circa un fatto controverso decisivo per il giudizio, segnatamente art.28 legge n.392/8 ex art.360 n.5 c.p.c.), in sintesi il ricorrente lamenta che il giudice dell’appello non avrebbe tento conto che il locatore non aveva inoltrato la disdetta entro il termine di 12 mesi prima della scadenza del contratto come prevista dall’art.28 e, quindi, non avrebbe dichiarato tacitamente rinnovato il contratto di altri sei anni, con scadenza al 1 febbraio 2010.

Di vero, questa censura sarebbe da esaminare se si ritenesse applicabile la disciplina di cui alla legge n.392/78, ma, una volta esclusane la applicabilità, esso non può essere preso in considerazione.

Peraltro, il giudice del merito ha indicato nella lettera del 1 dicembre 1999 la lettera con la quale il locatore-proprietario indicava la scadenza del contratto al 21 gennaio 2004 per mero errore materiale, mentre ex art.999 c.c. esso scadeva il 29 settembre 2003, ulteriormente precisandosi che circa il fatto che il giudice del merito abbia qualificato mero errore materiale la data del 21 gennaio 2004 nessun rilievo si rinviene nella censura da parte del ricorrente.

4. – Il terzo motivo, oltre a difettare del necessario momento di sintesi, è assolutamente infondato.

Con esso il ricorrente, in estrema intesi, lamenta che il T. – usufruttuario e locatore – non avrebbe speso la sua qualità di usufruttuario, per cui l’intervenuto consolidamento dell’usufrutto non poteva essere opposto a lui conduttore.

Si sarebbe verificato un vizio del consenso nella conclusione del contratto, consistente in un errore essenziale sulla qualità di uno dei contraenti.

A questa doglianza ha già risposto il giudice dell’appello, allorché ha posto in rilievo che essa desta "perplessità" – così si legge in sentenza, in considerazione dell’età avanzata del T. al momento della stipula del contratto.

Di questo errore essenziale il ricorrente nemmeno in questa sede allega di aver fornito la prova positiva, che gli incombeva, limitandosi soltanto a meramente enunciare di essersi sobbarcato ad oneri economici per dotare l’immobile di tutte le attrezzature necessarie alla destinazione di esso a sala cinematografica.

In altri termini, egli avrebbe dovuto provare che il T. gli aveva nascosta la qualità di usufruttuario, risultante dall’atto pubblico del 17 gennaio 1996, con il quale la I. acquistava la nuda proprietà dal T. (v. parte narrativa del ricorso a p.2) e di questa prova non vi è traccia né nella sentenza né nel ricorso.

Conclusivamente il ricorso va respinto, ma nulla va disposto per le spese.

P.Q.M.

La Corte rigetta il ricorso. Nulla dispone per le spese.

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