T.A.R. Lazio Latina Sez. I, Sent., 24-01-2011, n. 36

Sentenza scelta dal dott. Domenico Cirasole direttore del sito giuridico http://www.gadit.it/




Svolgimento del processo

1. Con ordinanza n. 411 del 14 dicembre 2000 il Dirigente del settore urbanistica e assetto del territorio del comune di Gaeta ingiungeva al ricorrente la demolizione della seguenti opere edilizie, in quanto realizzate senza titolo e in area soggetta a vincolo paesaggistico: "manufatti in lamiera e legno di diverse dimensioni e tipologie in numero pari a 5, localizzati sulla parte destra della particella di terreno, la cui esatta definizione e misurazione è qui non menzionabile per impossibilità di accedere all’interno del lotto".

Il signor V. proponeva allora il ricorso all’esame con cui denunciava l’illegittimità dell’ingiunzione alla demolizione, denunciando l’omissione di ogni garanzia procedimentale e la non necessità di un titolo edilizio risalendo la realizzazione delle opere sanzionate a epoca nella quale esso non era richiesto.

2. Con motivi aggiunti depositati in data 5 luglio 2001 il ricorrente, dopo aver fatto presente di aver richiesto relativamente al suolo e a immobili ivi insistenti un cd. accertamento di conformità ex articolo 13 della legge 28 febbraio 1985, n. 47 (in particolare in allegato ai motivi aggiunti vi è la sola istanza senza allegati che menziona "lavori di ordinaria e straordinaria manutenzione di un vecchio deposito agricolo e per la realizzazione di un portico antistante"), impugnava il silenzio che sull’istanza si era venuto a formare, essendo inutilmente decorsi i sessanta giorni previsti dalla disposizione citata per la definizione del procedimento di sanatoria.

Con sentenza non definitiva n. 842 del 20 ottobre 2001 la sezione dichiarava l’improcedibiltà dei motivi aggiunti coi quali era denunciata l’illegittimità del silenzio serbato sulla domanda di accertamento di conformità.

3. In data 30 ottobre 2002 il ricorrente proponeva ulteriori motivi aggiunti coi quali impugnava il provvedimento con il quale – in data 11 luglio 2001 – il comune aveva respinto con atto esplicito la sua domanda di accertamento di conformità; precisamente con il provvedimento era stata negata l’autorizzazione paesisticoambientale e disposta, ex articolo 164 del d.lg. 29 ottobre 1999, n. 490, la rimessione allo stato pristino e quindi la demolizione di tutte le opere esistenti sul lotto (sia quelle per le quali era stato richiesto l’accertamento di conformità che gli altri manufatti); di conseguenza, era anche negato l’accertamento di conformità in quanto le "opere risultano in contrasto con le prescrizioni urbanistiche di cui all’articolo 41 del vigente P.R.G. del comune".

Denunciava il ricorrente che relativamente al n.o. paesaggistico era stata illegittimamente omessa l’acquisizione del parere della commissione edilizia integrata da un esperto in materia ambientale secondo quanto disposto dalla legge regionale 19 dicembre 1995 n. 59 e che comunque tale determinazione era viziata da eccesso di potere; di conseguenza il diniego di sanatoria era viziato da illegittimità derivata.

Con ordinanza n. 812 del 8 novembre 2001 la sezione accoglieva l’istanza di tutela cautelare ritenendo che la censura avente a oggetto l’omissione del parere della commissione edilizia integrata presentasse profili di fondatezza.

4. Nel frattempo però – precisamente in data 19 ottobre 2001 – il comune aveva adottato una seconda determinazione avente a oggetto il diniego dell’accertamento di conformità in conseguenza del diniego di autorizzazione paesisticoambientale per cui il ricorrente era costretto a proporre motivi aggiunti, depositati 28 dicembre 2001, coi quali riproponeva – in via di illegittimità derivata – le medesime censure già contenute nei motivi aggiunti depositati il precedente 30 ottobre 2002.

La relativa istanza di tutela cautelare era respinta con ordinanza n. 83 del 25 gennaio 2002.

5. In data 25 giugno 2002 il signor V. proponeva ulteriori motivi aggiunti coi quali impugnava, coi relativi atti presupposti, il provvedimento del dirigente del settore assetto del territorio e ambiente che: a) annullava la precedente determinazione del 11 luglio 2001 (già impugnata a mezzo di motivi aggiunti e sospesa dalla sezione); b) negava – aderendo al parere dell’organismo tecnico preposto alla formulazione dei pareri in materia paesaggisticoambientale (nel frattempo istituito) il n.o. sulla istanza di accertamento di conformità e prescriveva la demolizione delle opere (quelle di cui al progetto nonché gli altri manufatti insistenti sul lotto) ex articolo 164 del d.lg. 29 ottobre 1999, n. 490.

Il ricorrente denunciava l’illegittimità della delibera istitutiva dell’organismo tecnico che aveva espresso il parere sulla sua istanza, l’incompetenza di tale organo e, in via subordinata, l’illegittimità del provvedimento di negazione del n.o. e di ingiunzione al ripristino per difetto di istruttoria e presupposti.

Con ordinanza n. 560 del 12 luglio 2002 la sezione accoglieva l’istanza di tutela cautelare.

6. Nel frattempo però il comune di Gaeta, con provvedimento datato 12 giugno 2002 respingeva, sulla base del parere 9 aprile 2002 e del rilievo che la sanatoria avrebbe riguardato volumi eccedenti rispetto a quelli legittimamente realizzabili sul lotto, l’istanza di accertamento di conformità.

Seguivano ulteriori motivi aggiunti depositati in data 8 ottobre 2002, coi quali il signor V. denunciava l’illegittimità del diniego del 12 giugno 2002, denunciando il vizio di illegittimità derivata nonché il difetto di motivazione e l’omessa acquisizione del parere della c.e.c.

7. Il comune di Gaeta si è costituito in giudizio e resiste al ricorso.

Motivi della decisione

1. Preliminarmente si rileva che non è applicabile alla fattispecie il noto principio giurisprudenziale secondo cui la proposizione di istanza di sanatoria (accertamento di conformità o condono) rende improcedibile il ricorso proposto avverso l’ingiunzione a demolire in quanto, anche nel caso in cui l’amministrazione si determini negativamente sulla domanda di sanatoria, essa è tenuta a rideterminarsi in ordine ai presupposti della demolizione.

L’applicazione del principio in questione infatti presuppone che la domanda di sanatoria si riferisca alle stesse opere di cui sia stata ingiunta la demolizione.

Nella fattispecie è lo stesso ricorrente a negare che tale corrispondenza vi sia e quindi il ricorso principale resta procedibile.

2. E" poi necessario premettere che l’area su cui insistono le opere cui si riferisce la controversia è incontestatamente un’area soggetta a vincolo paesaggistico sin dal 1956 (d.m. 17 maggio 1956); essa – secondo quanto si legge negli atti impugnati – è classificata nel P.R.G. del comune come zona agricola in cui ai sensi dell’articolo 41 delle n.t.a. sarebbe consentita la sola realizzazione di impianti con IF di 0,05 mc/mq; in più si trova a meno di 300 metri dal mare e a meno di 150 dall’argine del torrente Longato; di conseguenza a tale area si applica il piano territoriale paesistico approvato con legge regionale 6 luglio 1998, n. 24 che, per le aree a meno di 300 metri dal mare, ammette un IF di 0,01 mc/mq compreso l’esistente, mentre, per le aree comprese nella zona di rispetto dei corsi d’acqua, prevede un regime di inedificabilità assoluta.

Da quanto precede, stante l’attuale regime di sostanziale inedificabilità dell’area e di limitata possibilità di semplice mantenimento degli immobili preesistenti, risulta evidente l’importanza dell’epoca di realizzazione delle opere (sia del deposito con porticato per il quale è stato richiesto l’accertamento di conformità che degli altri manufatti oggetto dell’ingiunzione a demolire originariamente impugnata).

La tesi del comune è che i manufatti in questione sono stati realizzati dopo il 8 luglio 1967; in particolare nella determinazione del 11 luglio 2001 (poi ritirata) si afferma che le opere non esistevano nel 1984 dato che non risultano da una aerofotogrammetria risalente a tale anno; di conseguenza il comune aveva ritenuto che i manufatti in questione fossero stati realizzati abusivamente dopo il 1984; nel successivo provvedimento con cui, annullata la determinazione del 11 luglio 2001, è stata nuovamente negata l’autorizzazione paesaggistica e ingiunta la demolizione ex articolo 164 del d.lg. n. 29 ottobre 1999, n. 490 si afferma che gli immobili non risultano nemmeno da una ripresa aerea risalente al 8 novembre 1967; di conseguenza, il comune ha ritenuto che la dichiarazione del ricorrente in ordine all’epoca di realizzazione dei manufatti fosse falsa e che le opere fossero incompatibili con l’attuale normativa paesisticoambientale relativa all’area (oltre che con la disposizione dell’articolo 41 delle n.t.a. del P.R.G., dato che questa consentirebbe la realizzazione sul fondo del signor V. di circa 32 mc a fronte degli oltre 160 esistenti).

La tesi del ricorrente è che i manufatti oggetto dell’originaria ingiunzione a demolire sarebbero di antichissima origine, in quanto realizzati in epoca in cui non era richiesto alcun titolo edilizio; a sostegno di questo assunto è stato depositato l’atto di acquisto (risalente al 6 giugno 1996) in cui i venditori dichiarano che sul fondo esistono "costruzioni in lamiera con base di cemento a carattere precario" realizzate prima del 1° settembre 1967. Nell’istanza di accertamento di conformità si afferma che il "vecchio deposito agricolo" oggetto di lavori di manutenzione risale a prima del 1950.

3. Con ordinanza n. 4 del 21 gennaio 2010 la sezione ha disposto un’istruttoria, che è stata in parte eseguita.

Successivamente si è costituito il comune che ha depositato parte di quanto richiesto con l’istruttoria e altri documenti.

Dall’istruttoria è anzitutto risultato che sul suolo in contestazione esistono attualmente tre manufatti con struttura portante in ferro e pareti in pannelli di lamiera rifinita in legno, aventi una consistenza rispettivamente di circa 65, 12 e 6 mq. (non è indicata l’altezza).

Dagli altri documenti risulta che: a) il procedimento è andato avanti; è stato depositato un provvedimento del 14 gennaio 2004 (che menziona tra l’altro un parere della c.e.i. del 15 maggio 2003), con cui il comune di Gaeta ha richiesto alla regione Lazio il parere paesaggistico (nel presupposto che alla regione spettasse la relativa competenza trattandosi di opere realizzate in difetto della preventiva autorizzazione paesaggistica); b) il ricorrente ha richiesto, relativamente al fabbricato di cui al citato parere del 15 maggio 2003, il condono edilizio ex articolo 32, comma 27, lett. d), del d.l. 30 settembre 2003, n. 269, convertito, con modificazioni, dalla legge 24 novembre 2003, n. 326 e legge regionale 8 novembre 2004, n. 12; c) è inoltre pendente presso la sede di Roma un altro ricorso proposto dal ricorrente avverso la determinazione del comune del 14 gennaio 2004 sopra citata (ricorso n. 2815 del 2004 R.G.).

Con ordinanza n. 43 del 16 giugno 2010 la sezione ha disposto un’ulteriore istruttoria; il comune di Gaeta ha quindi trasmesso parte della documentazione richiesta in segreteria il 9 novembre 2010. E" poi risultato che il ricorso pendente a Roma sopra citato è stato definito con sentenza dichiarativa della sopravvenuta carenza d’interesse stante la pendenza di una domanda di condono edilizio.

4. In mancanza di elementi che facciano ritenere che sia in qualche modo venuto meno l’interesse del ricorrente alla decisione (a causa del proseguimento dell’iter ovvero della proposizione della domanda di condono, che non è ben chiaro a quale manufatto si riferisca, anche se probabilmente si tratta dell’unico fabbricato che, secondo i rilievi aerofotogrammetrici in possesso del comune, è stato realizzato in epoca anteriore al 1997) il ricorso resta procedibile.

5. Nel merito il ricorso principale è infondato.

L’omissione dell’avviso di procedimento, infatti, non può condurre all’annullamento dell’atto impugnato potendosi fare applicazione alla fattispecie del principio dell’articolo 21octies, II comma, prima parte della legge 7 agosto 1990, n. 241 (applicazione, in ragione del suo carattere di norma processuale, consentita anche a procedimenti giurisdizionali relativi a atti emanati in epoca anteriore alla sua introduzione; cfr. Consiglio di Stato, sez. VI, 17 settembre 2008, n. 4114); l’ingiunzione alla demolizione è infatti atto vincolato e l’avviso e la partecipazione del ricorrente non avrebbero modificato l’esito del procedimento.

La tesi del ricorrente secondo cui i manufatti di cui è stata ingiunta la demolizione risalirebbero a epoca anteriore al 1950 non è fondata.

Anzitutto nessun argomento a favore di essa può trarsi dalla dichiarazione inserita nell’atto di vendita nel 1996; è infatti chiaro che tale dichiarazione era in un certo senso un atto necessitato in quanto, stante l’assoluta assenza di titoli edilizi a supporto della legittimità di tali edificazioni, l’unico modo che avevano i venditori per rendere possibile la vendita era dichiarare che i manufatti risalivassero a epoca anteriore al 1° settembre 1967; in assenza il notaio non avrebbe potuto ricevere l’atto.

Il comune ha d’altro lato depositato in giudizio la ripresa aerea del 1967 da cui risulta chiaramente che a quell’epoca l’area era libera da edificazioni.

6. Si può quindi passare ai motivi aggiunti depositati il 30 ottobre 2001.

Essi sono divenuti improcedibili in quanto la determinazione che ne formava oggetto – già sospesa in sede cautelare dalla sezione – è stata poi ritirata in autotutela dal comune con il provvedimento del 9 aprile 2002 avverso il quale il signor V. ha proposto motivi aggiunti.

7. Si può quindi passare all’esame dei motivi aggiunti depositati il 28 dicembre 2001.

Con questi motivi aggiunti il signor V. impugna il provvedimento del 19 ottobre 2001 con cui il comune ha respinto la sua domanda di accertamento di conformità nel presupposto che il progetto non è conforme "al vigente articolo 41 delle n.t.a. e alla vigente normativa urbanisticoambientale".

Benchè il comune abbia poi adottato in data 12 giugno 2002 un nuovo provvedimento di rigetto dell’istanza di accertamento di conformità del 5 marzo 2001, il precedente diniego del 19 ottobre 2001 non risulta essere stato formalmente ritirato, per cui i motivi aggiunti restano procedibili.

Essi sono infondati.

E infatti è incontestato che i manufatti del ricorrente, indipendentemente da ogni considerazione in punto di consistenza e volume, ricadono in fascia di rispetto di un’acqua pubblica soggetta a vincolo di inedificabilità assoluta a norma della legge regionale n. 24 del 1998; poiché l’accertamento di conformità, che è atto vincolato e non discrezionale, presuppone la conformità delle opere alla normativa urbanisticoedilizia esistente (non solo al tempo della realizzazione ma anche) al tempo della domanda è chiaro che l’istanza del ricorrente, in quanto presentata il 5 marzo 2001 non era in alcun modo accoglibile e non poteva che essere respinta e ciò a prescindere dai vizi di carattere formale denunciati ai quali può applicarsi il principio dell’articolo 21octies della legge 7 agosto 1990, n. 241; a ciò deve poi aggiungersi che, stante la realizzazione dei fabbricati esistenti sul suolo del ricorrente in epoca sicuramente successiva al 1984 e l’assenza di un titolo legittimante la loro esistenza, non potrebbero mai essere legittimate opere di manutenzione e di ampliamento dei medesimi.

8. Considerazioni identiche valgono per i motivi aggiunti depositati in data 8 ottobre 2002 coi quali è impugnato l’ulteriore rigetto della istanza di accertamento di conformità del 5 marzo 2001 intervenuto il 12 giugno 2002.

Anche in questo caso non può che rimarcarsi che l’assenza di originaria legittimazione urbanistica dei manufatti esistenti sul suolo del ricorrente (sicuramente risalenti a epoca successiva al 1984 e pertanto richiedenti un titolo edilizio che non è mai stato richiesto) e la loro insistenza in area soggetta a tutela integrale in base al piano paesistico (e quindi in area soggetta a vincolo di inedificabilità assoluta) non poteva che determinare il rigetto della domanda di accertamento di conformità; il carattere vincolato di tale provvedimento implica l’applicazione dell’articolo 21octies citato con la conseguenza che i vizi di carattere formale denunciati non potrebbero comunque condurre all’annullamento dell’atto.

9. Resterebbero da considerare i motivi aggiunti depositati il 25 giugno 2002 e aventi a oggetto la determinazione del Dirigente del VII settore del 9 aprile 2002 che, annullata la precedente determinazione del 11 luglio 2001, ha nuovamente ingiunto la demolizione delle opere esistenti sul lotto del ricorrente ex articolo 164 del d.lg. n. 490 del 1999.

E" chiaro però che, stante la legittimità dell’originaria ingiunzione alla demolizione e del primo e del secondo diniego di accertamento di conformità, nessun vantaggio potrebbe il ricorrente ottenere da un eventuale annullamento di tale determinazione.

10. Conclusivamente il ricorso deve essere respinto e respinti devono pure essere i motivi aggiunti proposti avverso i due dinieghi di accertamento di conformità; sono invece improcedibili i due atti recanti motivi aggiunti avverso le due determinazioni ex articolo 164 del d.lg. n. 490 del 1999.

Sussistono giusti motivi per disporre la compensazione tra le parti delle spese di giudizio.

P.Q.M.

Il Tribunale Amministrativo Regionale per il Lazio sezione staccata di Latina (Sezione Prima)

definitivamente pronunciandosi sul ricorso in epigrafe, respinge il ricorso principale, respinge i motivi aggiunti depositati il 28 dicembre 2001 e il 12 ottobre 2001, dichiara improcedibili i motivi aggiunti depositati il 30 ottobre 2001 e il 25 giugno 2002.

Spese compensate.

Ordina che la presente sentenza sia eseguita dall’autorità amministrativa.

Così deciso in Latina nella camera di consiglio del giorno 16 dicembre 2010 con l’intervento dei magistrati:

Francesco Corsaro, Presidente

Davide Soricelli, Consigliere, Estensore

Antonio Massimo Marra, Primo Referendario

Testo non ufficiale. La sola stampa del bollettino ufficiale ha carattere legale.

Cass. pen., sez. VI 28-11-2008 (13-11-2008), n. 44441 Sospensione dell’esecuzione della consegna fino a

Sentenza scelta dal dott. Domenico Cirasole

CONSIDERATO IN FATTO E IN DIRITTO
Il ricorrente, estradando, è stato tratto in arresto il 19 gennaio 2007, nel territorio dello Stato, in quanto destinatario di un mandato di cattura del Tribunale lituano di Panevezys in quanto accusato di furto ed estorsione in concorso con altri, per fatti commessi nella città di (OMISSIS).
Agli atti inoltre risulta :
1. che la sentenza, favorevole all’estradizione risulta pronunciata il 13 novembre 2007 dalla Corte di appello di Napoli e questa Corte – investita del giudizio di impugnazione – con sentenza 764 del 19 marzo 2008 ha dichiarato l’inammissibilità del ricorso avverso la decisione di estradizione;
2. che il Ministro della Giustizia con decreto 28 maggio 2008 ha concesso al Governo della Repubblica lituana l’estradizione dell’ A.O.;
3. che successivamente lo stesso Ministero della giustizia, con fax, datato 14 giugno 2008, ha comunicato che il Ministro ha disposto il rinvio della consegna alle Autorità lituane, in quanto l’O. risultava rinviato a giudizio per il delitto di rapina, con udienza dibattimentale fissata avanti al Tribunale di Napoli per il giorno 14 luglio 2008.
La Corte di appello nell’ordinanza impugnata, nel ribadire l’insussistenza delle condizioni per la revoca della misura, sia per la gravità dei fatti che per la personalità del loro autore, ritiene rispettati i termini di cui all’art. 714 c.p.p. per la considerazione che la mancata consegna dell’estradando alla Lituania si è determinata per volontà dello stesso O., il quale, essendo imputato a piede libero avanti al Tribunale di Napoli, per fatto commesso in tale circondario, ha proposto il giorno 11 giugno 2008 formale istanza di sospensione dell’estradizione, accolta – come detto – dal Ministro il quale ha disposto il rinvio della consegna alla Lituania, in attesa del giudizio penale incardinato nel territorio dello Stato italiano.
Con un primo motivo di impugnazione la difesa dell’imputato deduce violazione di legge con riferimento al citato art. 714 c.p.p., comma 4 non essendosi a tutt’oggi (e cioè al 13 agosto 2008) esaurito il procedimento avanti la Corte di Cassazione ed essendo decorsi più di 18 mesi dall’inizio dell’esecuzione della misura coercitiva.
Con un secondo motivo di impugnazione il ricorrente lamenta la violazione dell’art. 606, comma 1, lettera b) per il profilo attinente l’affermazione che l’istanza di sospensione dell’esecuzione dell’estradizione, finalizzata a consentire all’estradando la partecipazione ad un processo penale che lo riguarda, sia idonea a produrre la sospensione dei termini massimi di custodia cautelare indicati dall’art. 714 c.p.. Sul punto si osserva ancora che risulta in atti un provvedimento del Giudice monocratico del Tribunale di Napoli che ha disposto la traduzione dell’ O. avanti a se per l’udienza del 14 luglio 2008; che, comunque, quand’anche tale sospensione fosse applicabile ai termini del citato art. 714 c.p.p., comma 4, la sua operatività decorrerebbe dal 12 al 14 luglio 2008, senza alcuna influenza sui termini in questione.
Con un terzo motivo il ricorso prospetta vizio di motivazione in ordine alla sussistenza delle ragioni ostative alla scarcerazione, trattandosi di reati (furto e tentata estorsione) non gravi, ancora in corso di accertamento e tenuto altresì conto che in Italia per reati qui commessi il ricorrente ha a suo carico un procedimento per il delitto ex art. 497 bis c.p. (possesso di documenti di identificazione falsi).
Il primo motivo è fondato, non tanto e non solo per essere stato l’A. tratto in arresto il 19 gennaio 2007, ma in quanto, come stabilito dalle SS.UU. di questa Corte (41540/2006, Rv. 234917, in Procuratore generale contro Stosic) ed ulteriormente ribadito da ulteriori decisioni di questa sezione (cfr.: 17624/2007, Rv. 236488, Sogorovic), ove il Ministro della Giustizia sospenda – come avvenuto nella specie – l’esecuzione della estradizione per esigenze di giustizia interna, a sensi dell’art. 709 c.p.p., la misura coercitiva cui l’estradando è eventualmente sottoposto, va revocata.
Invero, come ampiamente argomentato dalle SS.UU. (Stosic), non essendo previsto uno specifico termine di durata delle misure coercitive, nel caso appunto di estradizione sospesa per esigenze di giustizia interna, e non potendosi applicare la disciplina "ordinaria" prevista dagli artt. 303 e 308 c.p.p., le misure coercitive stesse, eventualmente in corso all’atto della sospensione, devono essere revocate (SS.UU. 28 maggio 2003, n. 26156, ric. Di Filippo) per il venir meno della relativa funzione cautelare, strumentale alla decisione sulla estradizione ed alla conseguente sollecita consegna, da eseguire entro i termini di legge.
Tale lacuna dell’ordinamento, che le SS.UU. hanno definito tanto più grave se si considera l’automatismo che sembra caratterizzare il provvedimento di sospensione (in tal senso depone, infatti, la costruzione in termini di "doverosità" secondo la quale è formulato l’art. 709 c.p.p., comma 1, a norma del quale l’esecuzione dell’estradizione "è sospesa" se l’estradando deve essere giudicato nello Stato o vi deve scontare una pena), nonchè la circostanza che la celebrazione del processo nazionale non presuppone affatto l’adozione di misure, atte a scongiurare il pericolo di sottrazione alla futura consegna, non modificano in alcun modo la conclusione che deve essere assunta e cioè la revoca delle misure in questione, anche se ciò lascia senza presidio cautelare la futura consegna dell’estradando.
L’ordinanza impugnata va quindi annullata senza rinvio e va disposta l’immediata liberazione di O.A. se non detenuto per altra causa. Manda alla Cancelleria per gli adempimenti ex art. 626 c.p.p. e per la comunicazione del presente provvedimento al Ministro della giustizia.
P.Q.M.
Annulla l’ordinanza impugnata senza rinvio e dispone l’immediata liberazione di O.A. se non detenuto per altra causa.
Manda alla Cancelleria per gli adempimenti ex art. 626 c.p.p. e per la comunicazione del presente provvedimento al Ministro della giustizia.

Testo non ufficiale. La sola stampa del dispositivo ufficiale ha carattere legale.

Cassazione, sez. III, 3 maggio 2011, n. 9699 Spese legali, solo la parte può contestare la liquidazione.

Sentenza scelta dal dott. Domenico Cirasole

Svolgimento del processo e motivi della decisione

1. L’avv. V.S., difensore di T.A. nella procedura esecutiva intentata nei confronti suoi, di T.P. e R.G. dalla Banca di Roma, nella quale sono intervenuti anche la Banca Nazionale del Lavoro e la Banca MPS quale concessionario del servizio riscossione tributi della Provincia di Roma, ricorre per la cassazione della sentenza di accoglimento dell’opposizione dispiegata avverso la medesima procedura, lamentando, con due motivi, l’omessa attribuzione a lui delle spese ed il mancato riconoscimento della maggiorazione per spese generali.

Nessuno degli intimati resiste con controricorso ed alla pubblica udienza del 30.3.11 compare il ricorrente per la discussione orale.

2. Alla fattispecie – trattandosi di ricorso avverso sentenza pubblicata in data 12 dicembre 2005 – non si applica il regime dell’art. 366 bis c.p.c., norma introdotta dall’art. 6 del d.lgs. 2 febbraio 2006 n. 40 ed applicabile – in virtù del co. 2 dell’art. 27 del medesimo decreto – ai ricorsi per cassazione proposti avverso le sentenze e. gli altri provvedimenti pubblicati a decorrere dalla data di entrata in vigore del decreto, cioè dal 2 marzo 2006; pertanto, i quesiti, quand’anche pure formulati, restano irrilevanti.

3. Ciò posto, il ricorrente affida a due motivi la sua impugnazione della sentenza resa tra il suo cliente e le di lui controparti: un primo, con cui si duole dell’erroneità dell’omessa distrazione delle spese in suo favore; un secondo, con cui lamenta l’illegittimità del mancato riconoscimento delle spese generali. Al riguardo:

3.1. quanto al primo profilo:

3.1.1. le sezioni unite di questa Corte, con la sentenza 7 luglio 2010 n. 16037 (con indirizzo già confermato da Cass. 10 gennaio 2011 n. 293), hanno stabilito che, in caso di omessa pronuncia sull’istanza di distrazione delle spese proposta dal difensore, il rimedio esperibile, in assenza di un’espressa indicazione legislativa, è costituito dal procedimento di correzione degli errori materiali di cui agli artt. 287 e 288 c.p.c., e non dagli ordinari mezzi di impugnazione, non potendo la richiesta di distrazione qualificarsi come domanda autonoma; del resto, la procedura di correzione, oltre ad essere in linea con il disposto dell’art. 93, secondo comma, c.p.c. – che ad essa si richiama per il caso in cui la parte dimostri di aver soddisfatto il credito del difensore per onorari e spese – consente il migliore rispetto del principio costituzionale della ragionevole durata del processo, garantisce con maggiore rapidità lo scopo del difensore distrattario di ottenere un titolo esecutivo ed è un rimedio applicabile, ai sensi dell’art. 391-bis c.p.c., anche nei confronti delle pronunce della Corte di cassazione;

3.1.2. pertanto, il motivo di ricorso dell’avv. S. per avere la sentenza impugnata omesso di pronunciare sull’istanza di distrazione delle spese da lui formulata va dichiarato inammissibile, in applicazione della mutata giurisprudenza di legittimità appena ricordata;

3.2. quanto al secondo profilo:

3.2.1. non sussiste la legittimazione diretta del distrattario in ordine alla contestazione della congruità o legittimità della liquidazione delle spese e segnatamente – del riconoscimento espresso della maggiorazione forfetaria per spese generali: in tali ipotesi l’unica legittimata a sollevare doglianze di merito è la parte rappresentata, quale soggetto comunque obbligato, nel rapporto con il professionista, a soddisfarlo delle sue pretese (per tutte, v. Cass. 6 marzo 2006 e Cass. 20 ottobre 2005 n. 20321); al contrario, resta preclusa al difensore distrattario l’impugnazione in proprio quanto alla pronunzia sulle spese, mentre solo nel caso – che qui con tutta evidenza non ricorre – in cui sorgesse contestazione non sull’entità (o sulla compensazione) delle spese, ma sulla legittimità della disposta distrazione si instaurerebbe uno specifico rapporto processuale, in cui il difensore potrebbe assumere la qualità di parte e l’impugnazione sarebbe proponibile anche da quest’ultimo ovvero contro lo stesso (Cass. 19 agosto 2003 n. 12104);

3.2.2. il secondo motivo di ricorso è quindi proposto da chi non è a tanto legittimato e va pertanto dichiarato anch’esso inammissibile.

4. Infine, così dichiarato inammissibile nel suo complesso il ricorso, nulla vi è da provvedere in ordine alle spese del giudizio di legittimità, non avendo gli intimati svolto attività difensiva.

P.Q.M.

La Corte dichiara inammissibile il ricorso; nulla per le spese.

Testo non ufficiale. La sola stampa del bollettino ufficiale ha carattere legale.

Cons. Stato Sez. V, Sent., 18-01-2011, n. 328 Pensioni, stipendi e salari

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Svolgimento del processo e motivi della decisione

La sentenza impugnata ha accolto, in parte, il ricorso proposto dall’attuale appellante, dipendente della Regione Campania proveniente dall’INAM, diretto ad ottenere il corretto inquadramento giuridico ed economico.

In particolare, il tribunale ha annullato, per quanto di ragione, l’impugnato decreto presidenziale regionale di inquadramento (n. 6233 del 23 giugno 1995) e ha condannato l’amministrazione a corrispondere al ricorrente la differenza tra il salario di anzianità di cui all’articolo 30 della legge regionale n. 27/1984, fino a quel momento corrispostogli, e la superiore misura di tale emolumento, a far data dal 19 agosto 1992 (giorno di entrata in vigore della legge regionale n. 23 luglio 1992 n. 7).

L’appellante contesta la sentenza nella sola parte in cui ha stabilito la decorrenza dell’inquadramento, ai fini economici, stabilita dalla sentenza, sostenendo di avere titolo agli arretrati sin dalla data dell’inquadramento economico.

L’amministrazione regionale resiste al gravame.

L’appello è infondato.

Questa Sezione non ha motivo di discostarsi dal proprio indirizzo interpretativo, pienamente conforme alla impugnata decisione del TAR. In particolare, secondo le pronunce n. 6176, 6177, 6188 in data 11 novembre 2002), la legge regionale della Campania 22 luglio 1992 n. 7 ha natura di legge particolare e speciale (jus singulare) e le relative disposizioni sono di stretta interpretazione e applicazione. Pertanto in mancanza di un’apposita norma che autorizzi la ricostruzione della carriera in favore del personale beneficiario della nuova determinazione del trattamento giuridico ed economico ed in presenza di una esplicita disposizione che nega al predetto nuovo trattamento ogni effetto retroattivo ai fini economici, deve escludersi che l’applicazione della stessa legge comporti l’adeguamento della voce stipendiale denominata riequilibrio delle anzianità pregresse, in ragione della sua natura, della sua specifica funzione e dei suoi specifici criteri di computo fissati dalle lettere a) e b) del secondo comma dell’articolo 37 della legge 23 maggio 1984 n. 27.

In particolare, le citate decisioni del Consiglio di Stato hanno svolto la seguente motivazione.

"II. Per la corretta risoluzione della controversia è necessario premettere alcune considerazioni sulla legge regionale 22 luglio 1992 n. 7.

Con essa il legislatore regionale ha inteso perseguire il principio della parità di trattamento giuridico ed economico di tutto il personale in servizio presso la Regione Campania inquadrato nello stesso livello funzionale e avente pari anzianità, prevedendo in favore del personale transitato alla Regione per provenienza dallo Stato, dagli enti mutualistici e dagli enti disciolti (personale che evidentemente aveva ricevuto un trattamento giuridico ed economico deteriore) lo stesso trattamento giuridico ed economico riconosciuto al personale regionale inquadrato nel ruolo della giunta regionale.

In particolare:

– all’articolo 1 è stato previsto che il personale trasferito alla Regione Campania ai sensi del D.P.R. n. 616/77 e delle leggi n. 386/74, 349/77, 641/78, 833/78 e 642/79, appartenente ai ruoli tecnici o atipici o che comunque fruiva di parametri differenziati, a parità di condizioni quali qualifiche di provenienza e anzianità, era immesso negli stessi livelli funzionali del personale tecnico o atipico inquadrato ai sensi e per gli effetti della legge regionale 23 maggio 1984 n. 27, con decorrenza giuridica dalla data di inquadramento nei ruoli regionali ed economica dall’entrata in vigore della legge stessa;

– all’articolo 2 è stato stabilito un più favorevole inquadramento per il personale amministrativo trasferito alla Regione Campania ai sensi del D.P.R. n. 616/77 e delle leggi n. 386/74, 349/77, 641/78, 833/78 e 642/79, che alla data di entrata in vigore della legge regionale 23 maggio 1084 n. 27 era in possesso di un titolo di studio superiore a quello previsto per il livello funzionale di appartenenza ai sensi della legge regionale 23 novembre 1983 n. 33 e aveva almeno tre anni di servizio complessivo prestato in detto livello ovvero fosse in possesso di un titolo di studio previsto per il livello in godimento possesso ai sensi della legge regionale 23 novembre 1983 n. 33 e di atti di conferimento posti in essere dai responsabili degli uffici relativi a mansioni proprie del livello superiore a quello di appartenenza svolte per almeno tre anni: tale personale era inquadrato, a domanda, nel livello funzionale immediatamente superiore a quello di inquadramento, previo accertamento qualitativo, con decorrenza giuridica dalla data di entrata in vigore della legge regionale 23 maggio 1984 n. 27 ed economica da quella di entrata in vigore della legge regionale n. 7 del 1992.

Dall’esame di tali norme si evince agevolmente che la legge regionale 22 luglio 1992 n.7 è connotata dai caratteri di particolarità e di specialità, essendo espressamente delimitata la categoria dei destinatari, cui sono attribuiti benefici giuridici ed economici speciali al fine di perequare il loro trattamento giuridico ed economico rispetto a quello degli altri dipendenti regionali, di pari livello e di pari anzianità: essa quindi integra gli estremi di jus singulare, le cui disposizioni sono di rigida interpretazione e applicazione.

A conferma delle delineate caratteristiche può aggiungersi che il legislatore non aveva alcun obbligo di emanare una simile disciplina avente finalità perequativa, in quanto le eventuali differenze di trattamento giuridico ed economico esistenti tra le due categorie di dipendenti in argomento trovava giustificazione, anche dal punto di vista costituzionale, nella originaria diversità del loro status giuridico.

La scelta operata con la legge 22 luglio 1992 n. 7 rientra quindi nell’ampia discrezionalità del legislatore e sfugge ai vizi di legittimità costituzionale, sollevati già in primo grado e correttamente respinti dai primi giudici, non potendo definirsi, anche a voler prescindere dalla sua natura di legge speciale, arbitraria o irragionevole; la predetta discrezionalità investe poi anche la previsione della diversa decorrenza degli effetti giuridici rispetto a quelli economici che, in virtù dei delineati caratteri della legge stessa, appare anch’essa ragionevole, ben potendosi ricollegarsi, oltre a quanto già rilevati, al principio costituzionale della necessaria copertura finanziaria che deve avere ogni legge che comporti una spesa: è significativo che l’articolo 3 prevede la copertura finanziaria della maggiore spese solo per l’anno 1992 e per gli anni successivi, senza fare alcun riferimento agli anni precedenti.

III. Sulla base della delineata natura della citata legge 22 luglio 1992 n.7 deve essere stabilito se la sua applicazione implica, quale effetto della determinazione del nuovo trattamento giuridico ed economico spettante al personale beneficiario, anche l’adeguamento della voce stipendiale relativa al riequilibrio delle anzianità pregresse, oggetto di controversia.

III.1. La Sezione osserva al riguardo che detta voce stipendiale, prevista dall’articolo 37 della legge regionale 23 maggio 1984 n. 27 (contente norme sul "Nuovo stato giuridico e trattamento economico del personale regionale), consiste in realtà in una somma di danaro, fissa e invariabile, corrispondente alla quota di salario spettante ad ogni dipendente regionale in funzione della progressione economica orizzontale per anzianità alla data del 31 dicembre 1982.

I criteri per il suo calcolo sono puntualmente indicati nelle lettere a) e b) del comma 2 del predetto articolo e sono imperniati sulla "valutazione per intero in termini di classi e/scatti degli anni di effettivo servizio maturati nel livello nel quale il dipendente trovasi inquadrato al momento della operazione di equilibrio computando il servizio svolto presso la Regione, nonché presso lo Stato, gli enti pubblici e gli enti locali in livelli comparabili" (lett. a) e sulla "valutazione per intero in mesi degli anni di effettivo servizio maturato nei livelli inferiori presso la Regione, nonché presso lo Stato, gli enti pubblici e gli enti locali, tenendo conto di detto servizio in termini di scatti e/o classi attribuiti ai livelli inferiori di riferimento" (lett. b): l’importo così determinato, decurtato del 7%, rappresenta la quota di salario spettante in funzione della progressione economica orizzontale per anzianità al 31 dicembre 1982, quota che resta in godimento individuale (lett. c).

Come esattamente rilevato dai primi giudici essa costituisce, quindi, un particolare meccanismo di avvicinamento di termini non omogenei (anzianità giuridica ed anzianità economica), introdotto precipuamente per la personalizzazione del trattamento economico di ogni singolo dipendente regionale, attraverso la determinazione della propria quota di maturato economico corrispondente all’anzianità maturata, con funzione di integrazione della la voce stipendiale relativa al salario di anzianità, stabilita per effetto della citata legge n. 27 del 1984 in misura fissa per ogni singola qualifica funzionale.

Deve aggiungersi che, come risulta dalla documentazione fornita dalla Regione Campania, nessuna ulteriore disposizione legislativa ha modificato le previsioni relative alla determinazione del riequilibrio delle anzianità pregresse.

III.2. La particolare funzione dell’emolumento in esame, destinata unicamente alla determinazione del maturato economico di ogni dipendente regionale alla data del 31 dicembre 1982; le puntuali modalità di calcolo stabilite dall’articolo 27 della legge 23 maggio 1984 n. 27 e l’insensibilità di tale quota di salario alle eventuali successive modificazioni di carriera del singolo dipendente escludono, ad avviso della Sezione, che l’applicazione della legge 22 luglio 1992 n. 7 ne comportasse automaticamente l’adeguamento.

E’ fondamentale al riguardo la disposizione contenuta nella predetta legge n. 7 del 1992 che esclude qualsiasi retroattività degli effetti economici conseguenti alla disposta perequazione del personale beneficiario e che, soprattutto non prevede (e quindi non autorizza) alcuna forma di ricostruzione di carriera per effetto del nuovo trattamento giuridico in favore del personale beneficiario e quindi non consente l’applicazione concreta della disposizione posta nell’articolo 37 della legge n. 27 del 1984 che lega il riequilibrio delle anzianità pregresse alla progressione economica orizzontale realizzata con la legge regionale n. 41 del 1981 e alla data del 31 dicembre 1982.

Ciò senza contare che, a tutto voler concedere, la previsione della decorrenza giuridica del nuovo trattamento giuridico dalla data di inquadramento nei ruoli regionali è una fictio juris e come tale incompatibile con i criteri di cui alle lettere a) e b) del secondo comma del ricordato articolo 37 della legge n. 27 del 1984 che pongono alla del predetto riequilibrio delle anzianità pregresse la valutazione di solo di servizi effettivamente prestati nei livelli di riferimento.

L’esclusione dell’adeguamento di tale voce stipendiale non è contraddittoria con la ratio di perequazione perseguita dalla norma, ma ben si giustifica alla luce proprio delle specifiche caratteristiche della legge 22 luglio 1992 n. 7, sopra delineate e che, come pure rilevato, escludono ogni dubbio di costituzionalità della legge stessa."

L’appello, e i successivi atti difensivi della parte ricorrente non contengono nuovi argomenti idonei a contrastare adeguatamente le conclusioni cui è pervenuta questa Sezione. In particolare, non emergono i presupposti per sollevare la questione di legittimità costituzionale prospettati dalla parte appellante.

In definitiva, quindi, l’appello deve essere respinto.

Le spese possono essere compensate.

P.Q.M.

Il Consiglio di Stato in sede giurisdizionale (Sezione Quinta)

Respinge l "appello.

Spese compensate.

Ordina che la presente sentenza sia eseguita dall’autorità amministrativa.

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