Sentenza scelta dal dott. Domenico Cirasole direttore del sito giuridico http://www.gadit.it/
Svolgimento del processo – Motivi della decisione
Propone ricorso per cassazione C.A.P. avverso la sentenza della Corte di appello di Catania in data 16 febbraio 2010 con la quale, su appello del Procuratore Generale, è stata integralmente riformata quella assolutoria di primo grado e per l’effetto è stata affermata la sua responsabilità in ordine ai reati di cui all’art. 483 in rel. al D.P.R. n. 455, art. 76 e art. 640 c.p., comma 2.
L’accusa era stata quella di avere, la C., falsamente attestato, nella prescrizione per la erogazione di prestazione medica sanitaria presentata nell’ottobre 2003, e quindi mediante autocertificazione, l’appartenenza a categoria con diritto di esenzione dal ticket.
Il giudice di prime cure l’aveva assolta sul presupposto che appariva inverosimile che la dichiarazione sottoscritta fosse destinata a sottrarre la ricorrente al pagamento della somma di appena 31,15 Euro.
La Corte di merito riteneva invece che restassero integrate tanto la fattispecie di falso ex art. 483 c.p. in relazione alla falsa attestazione contenuta in autocertificazione redatta e presentata ai sensi del D.P.R. del 2000 sopra citato, quanto la fattispecie di truffa ai danni del Servizio sanitario nazionale avendo la C. posto in essere un artifizio che le ha consentito di ottenere la esenzione da pagamento altrimenti preteso dal servizio sanitario nazionale.
Deduce:
1) la inosservanza dell’art. 548 c.p., comma 3, non avendo la imputata ricevuto notifica dell’estratto contumaciale della sentenza di primo grado.
2) la nullità della notifica della citazione per il giudizio di secondo grado. Tale notifica era stata eseguita in luogo diverso da quello ove era stato el etto domicilio ed inoltre a mezzo posta ma in maniera ancora una volta irregolare: infatti la raccomandata era stata ricevuta dal coniuge e tale modalità avrebbe comportato, L. n. 890 del 1982, ex art. 7, comma 6, l’invio di altra raccomandata di conferma. La imputata, rimasta contumace, nulla aveva saputo della detta notifica.
La nullità da ritenersi assoluta, era stata comunque eccepita tempestivamente dal difensore nelle fasi preliminari del giudizio di appello;
3) la mancata assunzione di prova decisiva e correlato vizio di motivazione.
Si trattava di un documento decisivo, ossia del certificato dell’anagrafe tributaria che la difesa aveva prodotto in appello per dimostrare che all’atto della attestazione che si assume falsa, la dichiarazione dei redditi della imputata, assunta a parametro della falsità contestata, non era stata ancora presentata. Il relativo termine scadeva infatti il 31 ottobre dell’anno successivo a quello di imposta. I giudici avrebbero dovuto tenere conto semmai della dichiarazione dei redditi già presentata all’atto delle false attestazioni del marzo e dell’ottobre 2003.
Ebbene la Corte di merito non aveva minimamente valutato il detto documento prodotto dalla difesa.
Non era stato valutato neppure l’elemento psicologico dovendosi considerare che l’imputata no n conosceva il volume degli affari dichiarati, che erano propri del coniuge, ed inoltre la assoluta modestia degli importi risparmiati (36 Euro ogni volta);
4) la erronea applicazione della legge penale ( artt. 483 e 640 c.p.) Il fatto era semmai da inquadrare nella fattispecie dell’art. 316 ter c.p. come affermato anche dalle Sezioni unite della Cassazione nel la sentenza n. 16568 del 2007, e il reato era comunque da escludersi per il mancato raggiungimento della soglia di punibilità.
Il ricorso è fondato.
Come bene evidenziato nell’ultimo dei motivi di ricorso – il quale afferendo alla sostanza della contestazione deve ritenersi a questo punto assorbente rispetto a tutte le altre questioni processuali sollevate – una parte della giurisprudenza di legittimità inquadra la fattispecie concreta in esame nella cornice del solo reato ex art. 316 ter c.p..
Si tratta, oggi, di un indirizzo da ritenere quello cui uniformarsi, avendo trovato avallo nella recentissima pronuncia delle Sezioni unite del 16 dicembre 2010, Pizzuto, nota allo stato soltanto quanto al dispositivo.
Ebbene l’indirizzo in questione sostiene che integra il reato di indebita percezione di erogazioni in danno dello Stato (art. 316 ter c.p.) la condotta del privato che dichiari un reddito familiare inferiore a quello effettivamente percepito, al fine di ottenere l’esenzione del ticket per prestazioni sanitarie, le quali rientrano nel novero delle erogazioni pubbliche di natura assistenziale; in tal caso il reato di falsità ideologica del privato in atto pubblico ( art. 483 c.p.) è assorbito nella fattispecie di cui all’art. 316 ter cod. pen. (v. analogamente Sez. 5, Sentenza n. 39340 del 09/07/2009 Ud. (dep. 09/10/2009) Rv. 245153) anche nell’ipotesi dei comma secondo in cui il fatto integri una mera violazione amministrativa (Sez. 5, Sentenza n. 41383 del 17/09/2008 Ud. (dep. 06/11/2008) Rv. 242594), Conforme Sez. 6, Sentenza n. 28665 del 31/05/2007 Ud. (dep. 18/07/2007) Rv. 237115.
In proposito vale la pena sottolineare che l’assorbimento del reato di falso ad opera del reato ex art. 316 ter c.p. era già stato sottolineato anche in un precedente intervento delle Sezioni unite, nel 2007.
Aveva osservato il supremo consesso in quella occasione che "..secondo una plausibile e prevalente giurisprudenza "il reato di cui all’art. 316 ter c.p. assorbe quello di falso previsto dall’art. 483 c.p., in quanto l’utilizzo o la presentazione di dichiarazioni o documenti falsi costituiscano elemento essenziale per la sua configurazione" (Cass., sez. 6^, 19 settembre 2006, Cristodaro, m.
234765, Cass., sez. 6^, 31 maggio 2006, Raccioppo, m. 235091, Cass., sez. 6^, 31 maggio 2006, Magnolia, m. 234840). Si rinviene certo un precedente secondo il quale "il delitto di tentata frode comunitaria e quello di falso ideologico commesso da soggetto privato in atto pubblico concorrono per la diversità del bene giuridico offeso" (Cass., sez. 3^, 2 ottobre 1998, Carone, m. 212164). Tuttavia, una volta riconosciuto un rapporto di parziale identità tra le fattispecie, il riferimento anche all’interesse tutelato dalle norme incriminatrici non ha immediata rilevanza ai fini dell’applicazione del principio di specialità, perchè si può avere identità di interesse tutelato tra fattispecie del tutto diverse, come il furto e la truffa, offensive entrambe del patrimonio, e diversità di interesse tutelato tra fattispecie in evidente rapporto di specialità, come l’ingiuria, offensiva dell’onore, e l’oltraggio a magistrato in udienza, offensivo del prestigio dell’amministrazione della giustizia".
La giurisprudenza di legittimità a sezioni semplici aveva poi anche sottolineato, quanto alla contestazione, nella materia de qua, del reato di truffa, che la linea di discrimine tra il reato di indebita percezione di pubbliche erogazioni e quello di truffa aggravata finalizzata al conseguimento delle stesse va ravvisata nella mancata inclusione tra gli elementi costitutivi del primo reato della induzione in errore del soggetto passivo. Pertanto qualora l’erogazione consegua alla mera presentazione di una dichiarazione mendace senza costituire l’effetto dell’induzione in errore dell’ente erogante circa i presupposti che la legittimano, ricorre fa fattispecie prevista dall’art. 316 ter cod. pen. e non quella di cui all’art. 640 bis cod. pen. (Sez. 6, Sentenza n. 30155 del 26/06/2007 Ud. (dep. 24/07/2007) Rv. 236803); massime precedenti Conformi: N. 39761 del 2003 Rv. 228191, N. 30729 del 2006 Rv. 234848; Sezioni Unite: N. 16568 del 2007 Rv. 235962.
Il contrario orientamento è quello seguito dalla sentenza impugnata e sosteneva, quanto alla configurabilità della truffa nella materia de qua, prima dell’intervento delle Sezioni unite nel dicembre 2010, che integra il reato di truffa aggravata previsto dall’art. 640 c.p., comma 1, n. 1, e non quello di cui all’art. 316 ter cod. pen., la condotta artificiosa consistente nella falsa attestazione di essere nelle condizioni previste dalla legge per poter beneficiare dell’esenzione dal pagamento del "ticket" sanitario. (Sez. 2, Sentenza n. 32578 del 27/04/2010 Ud. (dep. 01/09/2010) Rv. 247974;
Massime precedenti Conformi: N. 32849 del 2007 Rv. 236966, N. 24817 del 2009 Rv. 244736).
Ebbene da recepire è, come detto, il recente intervento delle Sezioni unite nella sentenza Pizzuto del 2010, essendosi affermato da parte del supremo Collegio che la corretta qualificazione giuridica del fatto criminoso consistente nella falsa attestazione del privato di trovarsi nelle condizioni di reddito per fruire, a termini di legge, delle prestazioni del servizio sanitario pubblico senza il versamento della quota di partecipazione alla spesa sanitaria è quella ex art. 316 ter c.p., restando in esso assorbito il delitto di cui all’art. 483 c.p..
E la ragione sta nel fatto, già illustrato dalle sentenze sopra citate, che occorre guardare alle regole formali del procedimento di concessione del contributo o di altra erogazione comunque denominata:
se il contributo consegue alla mera presentazione di dichiarazioni o documenti falsi o attestanti cose non vere o all’omissione di informazioni dovute, senza che rilevi che l’ente pubblico possa essere tratto in errore da tale condotta, è integrato il reato di cui all’art. 316 ter c.p.; se invece la erogazione del contributo da parte dell’ente pubblico è l’effetto di una induzione in errore circa i presupposti che lo legittimano, dato che le regole del relativo procedimento amministrativo non fanno derivare dalla presentazione della dichiarazione un’automatica conseguenza circa l’erogabilità di esso, è integrato il reato di cui all’art. 640 bis c.p. (v. motivazione sentenza Corda del 2007).
Nella specie non risulta dagli atti, che la indebita percezione del servizio sanitario in esenzione da ticket, sia dipesa da una specifica attività di induzione in errore degli organi della regione, essendo invece da ritenere che essa conseguisse automaticamente per il solo fatto di una auto-dichiarazione da parte del richiedente di un reddito rientrante nei limiti previsti.
Deve conseguentemente riqualificarsi la condotta contestata ai sensi dell’art. 316 ter c.p., e, trattandosi di una erogazione di valore inferiore alla soglia di punibilità ragguagliata al valore di Euro 3.999,96, la sanzione amministrativa, prevista nel minimo in Euro 5.164 non può ritenersi neppure operativa perchè supera il triplo del beneficio conseguito (art. 316 ter, comma 2, ultima parte).
P.Q.M.
Annulla la sentenza impugnata senza rinvio, perchè il fatto non è preveduto dalla legge come reato.
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