T.A.R. Lazio Latina Sez. I, Sent., 02-02-2011, n. 74 Vendita di immobili

Sentenza scelta dal dott. Domenico Cirasole direttore del sito giuridico http://www.gadit.it/

Svolgimento del processo

1. Il ricorrente conduce in locazione dal 1964 un immobile sito in Latina, via Rosmini n. 31, di proprietà dell’INAIL.

Tale immobile è stato trasferito dall’INAIL alla S. perché ricompreso nel programma di dismissione degli immobili pubblici previsto dal d.l. 25 settembre 2001, n. 351, convertito in legge con modificazioni dalla legge 23 novembre 2001, n. 410.

In data 30 luglio 2008 sul sito web dell’INAIL era pubblicato un avviso d’asta relativo a tale immobile che, con verbale del notaio Quattrociocchi di Latina del 9 settembre 2008, era aggiudicato alla E. s.r.l.; seguiva il provvedimento con cui il direttore regionale dell’INAIL si determinava alla vendita che era quindi perfezionata con atto rep n. 80866 racc. n. 12898 del medesimo notaio del 17 novembre 2008.

2. Con il ricorso all’esame il signor G.R. denuncia che la procedura di vendita è illegittima per mancanza di presupposti, avendo egli manifestato tempestivamente la propria volontà di esercitare il diritto di opzione (rectius) prelazione attribuito ai conduttori dall’articolo 6 del d.lg. 16 febbraio 1996, n. 104.

3. Resistono al ricorso l’INAIL e la E..
Motivi della decisione

1. Preliminarmente va respinta l’eccezione di difetto di giurisdizione sollevata dall’INAIL e dalla E.; rileva al riguardo il Collegio che la giurisprudenza ha chiarito che la procedura di vendita in questione ha caratteri pubblicistici e costituisce esplicazione di pubblici poteri con conseguente configurabilità da parte dei soggetti coinvolti di posizioni di interesse legittimo (Cassazione, sezioni unite civili, 12 febbraio 2010, n. 3238, T.A.R. Campania, Napoli, sez. I, 8 febbraio 2008, n. 661); nella fattispecie, benché la domanda sia stata proposta da un soggetto non partecipante alla procedura (si tratta infatti del conduttore dell’immobile) il quale lamenta la violazione di un suo diritto (la prelazione concessagli dalla legge), nondimeno sussiste la giurisdizione del giudice amministrativo dato che la controversia ha ad oggetto la verifica della sussistenza dei presupposti per poter procedere alla procedura d’asta (uno dei quali è appunto la circostanza che il conduttore non abbia esercitato il diritto di prelazione); in altri termini l’oggetto della controversia non è l’accertamento del diritto di prelazione del ricorrente ma piuttosto la verifica di un presupposto (o meglio del fondamentale presupposto) per poter indire l’asta, cioè il mancato esercizio del diritto di prelazione.

2. Nel merito il ricorso è infondato dato che l’INAIL ha depositato in giudizio una scrittura con cui il signor R., che effettivamente in un primo tempo aveva manifestato la volontà di rendersi acquirente dell’immobile, ha dichiarato di rinunciarvi in data 13 novembre 2003; a tale dichiarazione (che sembrerebbe essere stata inoltrata via fax in quella data) seguiva una raccomandata dell’ente al ricorrente (che la riceveva il 22 novembre 2003) con cui l’INAIL nuovamente chiedeva al signor R. di manifestare la propria volontà in ordine all’acquisto dell’immobile entro i successivi 30 giorni con esplicita avvertenza che, in mancanza, si sarebbe proceduto alla vendita.

Sostiene la difesa dell’INAIL – e su questo punto non vi è stata contestazione o controdeduzione alcuna da parte del ricorrente – che a questa raccomandata il ricorrente non è mai stato dato alcun riscontro.

Alla luce di quanto precede e, in particolare, della mancata contestazione da parte del ricorrente di quanto dedotto dall’INAIL in ordine alla sua rinuncia alla prelazione del 13 novembre 2003 e al mancato riscontro alla ulteriore richiesta del 22 novembre 2003, il ricorso dev’essere respinto, potendosi ritenere che legittimamente sia stato dato corso alla procedura di vendita essendosi ritenuto che il signor R. avesse rinunciato alla prelazione spettantegli.

3. Sussistono giusti motivi per disporre la compensazione tra le parti delle spese di giudizio.
P.Q.M.

Il Tribunale Amministrativo Regionale per il Lazio sezione staccata di Latina (Sezione Prima)

definitivamente pronunciandosi sul ricorso in epigrafe, lo respinge.

Spese compensate.

Ordina che la presente sentenza sia eseguita dall’autorità amministrativa.

Testo non ufficiale. La sola stampa del bollettino ufficiale ha carattere legale.

Cass. pen. Sez. V, Sent., (ud. 20-12-2010) 23-02-2011, n. 7045

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Svolgimento del processo – Motivi della decisione

Propone ricorso per cassazione C.A.P. avverso la sentenza della Corte di appello di Catania in data 16 febbraio 2010 con la quale, su appello del Procuratore Generale, è stata integralmente riformata quella assolutoria di primo grado e per l’effetto è stata affermata la sua responsabilità in ordine ai reati di cui all’art. 483 in rel. al D.P.R. n. 455, art. 76 e art. 640 c.p., comma 2.

L’accusa era stata quella di avere, la C., falsamente attestato, nella prescrizione per la erogazione di prestazione medica sanitaria presentata nell’ottobre 2003, e quindi mediante autocertificazione, l’appartenenza a categoria con diritto di esenzione dal ticket.

Il giudice di prime cure l’aveva assolta sul presupposto che appariva inverosimile che la dichiarazione sottoscritta fosse destinata a sottrarre la ricorrente al pagamento della somma di appena 31,15 Euro.

La Corte di merito riteneva invece che restassero integrate tanto la fattispecie di falso ex art. 483 c.p. in relazione alla falsa attestazione contenuta in autocertificazione redatta e presentata ai sensi del D.P.R. del 2000 sopra citato, quanto la fattispecie di truffa ai danni del Servizio sanitario nazionale avendo la C. posto in essere un artifizio che le ha consentito di ottenere la esenzione da pagamento altrimenti preteso dal servizio sanitario nazionale.

Deduce:

1) la inosservanza dell’art. 548 c.p., comma 3, non avendo la imputata ricevuto notifica dell’estratto contumaciale della sentenza di primo grado.

2) la nullità della notifica della citazione per il giudizio di secondo grado. Tale notifica era stata eseguita in luogo diverso da quello ove era stato el etto domicilio ed inoltre a mezzo posta ma in maniera ancora una volta irregolare: infatti la raccomandata era stata ricevuta dal coniuge e tale modalità avrebbe comportato, L. n. 890 del 1982, ex art. 7, comma 6, l’invio di altra raccomandata di conferma. La imputata, rimasta contumace, nulla aveva saputo della detta notifica.

La nullità da ritenersi assoluta, era stata comunque eccepita tempestivamente dal difensore nelle fasi preliminari del giudizio di appello;

3) la mancata assunzione di prova decisiva e correlato vizio di motivazione.

Si trattava di un documento decisivo, ossia del certificato dell’anagrafe tributaria che la difesa aveva prodotto in appello per dimostrare che all’atto della attestazione che si assume falsa, la dichiarazione dei redditi della imputata, assunta a parametro della falsità contestata, non era stata ancora presentata. Il relativo termine scadeva infatti il 31 ottobre dell’anno successivo a quello di imposta. I giudici avrebbero dovuto tenere conto semmai della dichiarazione dei redditi già presentata all’atto delle false attestazioni del marzo e dell’ottobre 2003.

Ebbene la Corte di merito non aveva minimamente valutato il detto documento prodotto dalla difesa.

Non era stato valutato neppure l’elemento psicologico dovendosi considerare che l’imputata no n conosceva il volume degli affari dichiarati, che erano propri del coniuge, ed inoltre la assoluta modestia degli importi risparmiati (36 Euro ogni volta);

4) la erronea applicazione della legge penale ( artt. 483 e 640 c.p.) Il fatto era semmai da inquadrare nella fattispecie dell’art. 316 ter c.p. come affermato anche dalle Sezioni unite della Cassazione nel la sentenza n. 16568 del 2007, e il reato era comunque da escludersi per il mancato raggiungimento della soglia di punibilità.

Il ricorso è fondato.

Come bene evidenziato nell’ultimo dei motivi di ricorso – il quale afferendo alla sostanza della contestazione deve ritenersi a questo punto assorbente rispetto a tutte le altre questioni processuali sollevate – una parte della giurisprudenza di legittimità inquadra la fattispecie concreta in esame nella cornice del solo reato ex art. 316 ter c.p..

Si tratta, oggi, di un indirizzo da ritenere quello cui uniformarsi, avendo trovato avallo nella recentissima pronuncia delle Sezioni unite del 16 dicembre 2010, Pizzuto, nota allo stato soltanto quanto al dispositivo.

Ebbene l’indirizzo in questione sostiene che integra il reato di indebita percezione di erogazioni in danno dello Stato (art. 316 ter c.p.) la condotta del privato che dichiari un reddito familiare inferiore a quello effettivamente percepito, al fine di ottenere l’esenzione del ticket per prestazioni sanitarie, le quali rientrano nel novero delle erogazioni pubbliche di natura assistenziale; in tal caso il reato di falsità ideologica del privato in atto pubblico ( art. 483 c.p.) è assorbito nella fattispecie di cui all’art. 316 ter cod. pen. (v. analogamente Sez. 5, Sentenza n. 39340 del 09/07/2009 Ud. (dep. 09/10/2009) Rv. 245153) anche nell’ipotesi dei comma secondo in cui il fatto integri una mera violazione amministrativa (Sez. 5, Sentenza n. 41383 del 17/09/2008 Ud. (dep. 06/11/2008) Rv. 242594), Conforme Sez. 6, Sentenza n. 28665 del 31/05/2007 Ud. (dep. 18/07/2007) Rv. 237115.

In proposito vale la pena sottolineare che l’assorbimento del reato di falso ad opera del reato ex art. 316 ter c.p. era già stato sottolineato anche in un precedente intervento delle Sezioni unite, nel 2007.

Aveva osservato il supremo consesso in quella occasione che "..secondo una plausibile e prevalente giurisprudenza "il reato di cui all’art. 316 ter c.p. assorbe quello di falso previsto dall’art. 483 c.p., in quanto l’utilizzo o la presentazione di dichiarazioni o documenti falsi costituiscano elemento essenziale per la sua configurazione" (Cass., sez. 6^, 19 settembre 2006, Cristodaro, m.

234765, Cass., sez. 6^, 31 maggio 2006, Raccioppo, m. 235091, Cass., sez. 6^, 31 maggio 2006, Magnolia, m. 234840). Si rinviene certo un precedente secondo il quale "il delitto di tentata frode comunitaria e quello di falso ideologico commesso da soggetto privato in atto pubblico concorrono per la diversità del bene giuridico offeso" (Cass., sez. 3^, 2 ottobre 1998, Carone, m. 212164). Tuttavia, una volta riconosciuto un rapporto di parziale identità tra le fattispecie, il riferimento anche all’interesse tutelato dalle norme incriminatrici non ha immediata rilevanza ai fini dell’applicazione del principio di specialità, perchè si può avere identità di interesse tutelato tra fattispecie del tutto diverse, come il furto e la truffa, offensive entrambe del patrimonio, e diversità di interesse tutelato tra fattispecie in evidente rapporto di specialità, come l’ingiuria, offensiva dell’onore, e l’oltraggio a magistrato in udienza, offensivo del prestigio dell’amministrazione della giustizia".

La giurisprudenza di legittimità a sezioni semplici aveva poi anche sottolineato, quanto alla contestazione, nella materia de qua, del reato di truffa, che la linea di discrimine tra il reato di indebita percezione di pubbliche erogazioni e quello di truffa aggravata finalizzata al conseguimento delle stesse va ravvisata nella mancata inclusione tra gli elementi costitutivi del primo reato della induzione in errore del soggetto passivo. Pertanto qualora l’erogazione consegua alla mera presentazione di una dichiarazione mendace senza costituire l’effetto dell’induzione in errore dell’ente erogante circa i presupposti che la legittimano, ricorre fa fattispecie prevista dall’art. 316 ter cod. pen. e non quella di cui all’art. 640 bis cod. pen. (Sez. 6, Sentenza n. 30155 del 26/06/2007 Ud. (dep. 24/07/2007) Rv. 236803); massime precedenti Conformi: N. 39761 del 2003 Rv. 228191, N. 30729 del 2006 Rv. 234848; Sezioni Unite: N. 16568 del 2007 Rv. 235962.

Il contrario orientamento è quello seguito dalla sentenza impugnata e sosteneva, quanto alla configurabilità della truffa nella materia de qua, prima dell’intervento delle Sezioni unite nel dicembre 2010, che integra il reato di truffa aggravata previsto dall’art. 640 c.p., comma 1, n. 1, e non quello di cui all’art. 316 ter cod. pen., la condotta artificiosa consistente nella falsa attestazione di essere nelle condizioni previste dalla legge per poter beneficiare dell’esenzione dal pagamento del "ticket" sanitario. (Sez. 2, Sentenza n. 32578 del 27/04/2010 Ud. (dep. 01/09/2010) Rv. 247974;

Massime precedenti Conformi: N. 32849 del 2007 Rv. 236966, N. 24817 del 2009 Rv. 244736).

Ebbene da recepire è, come detto, il recente intervento delle Sezioni unite nella sentenza Pizzuto del 2010, essendosi affermato da parte del supremo Collegio che la corretta qualificazione giuridica del fatto criminoso consistente nella falsa attestazione del privato di trovarsi nelle condizioni di reddito per fruire, a termini di legge, delle prestazioni del servizio sanitario pubblico senza il versamento della quota di partecipazione alla spesa sanitaria è quella ex art. 316 ter c.p., restando in esso assorbito il delitto di cui all’art. 483 c.p..

E la ragione sta nel fatto, già illustrato dalle sentenze sopra citate, che occorre guardare alle regole formali del procedimento di concessione del contributo o di altra erogazione comunque denominata:

se il contributo consegue alla mera presentazione di dichiarazioni o documenti falsi o attestanti cose non vere o all’omissione di informazioni dovute, senza che rilevi che l’ente pubblico possa essere tratto in errore da tale condotta, è integrato il reato di cui all’art. 316 ter c.p.; se invece la erogazione del contributo da parte dell’ente pubblico è l’effetto di una induzione in errore circa i presupposti che lo legittimano, dato che le regole del relativo procedimento amministrativo non fanno derivare dalla presentazione della dichiarazione un’automatica conseguenza circa l’erogabilità di esso, è integrato il reato di cui all’art. 640 bis c.p. (v. motivazione sentenza Corda del 2007).

Nella specie non risulta dagli atti, che la indebita percezione del servizio sanitario in esenzione da ticket, sia dipesa da una specifica attività di induzione in errore degli organi della regione, essendo invece da ritenere che essa conseguisse automaticamente per il solo fatto di una auto-dichiarazione da parte del richiedente di un reddito rientrante nei limiti previsti.

Deve conseguentemente riqualificarsi la condotta contestata ai sensi dell’art. 316 ter c.p., e, trattandosi di una erogazione di valore inferiore alla soglia di punibilità ragguagliata al valore di Euro 3.999,96, la sanzione amministrativa, prevista nel minimo in Euro 5.164 non può ritenersi neppure operativa perchè supera il triplo del beneficio conseguito (art. 316 ter, comma 2, ultima parte).
P.Q.M.

Annulla la sentenza impugnata senza rinvio, perchè il fatto non è preveduto dalla legge come reato.

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T.A.R. Lazio Roma Sez. I ter, Sent., 04-03-2011, n. 2006 Graduatoria

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Svolgimento del processo – Motivi della decisione

parte ricorrente – partecipante al concorso per l’accesso di nr. 108 (successivamente elevate a nr. 291) unità al corso di formazione professionale per il conseguimento della qualifica di Vice sovrintendente e non utilmente collocatosi nella graduatoria dei relativi vincitori – ha, col ricorso in epigrafe (notificato alla resistente amministrazione l’11.3.2010), impugnato:

– il d.m. datato 10.11.2009 col quale è stata approvata la graduatoria di merito del predetto concorso;

– il d.m. 1.12.2009 col quale – di seguito ad alcune motivate istanze presentate da alcuni candidati – è stata disposta la (ivi denominata) "rettifica" della citata graduatoria;

– il d.m. 08.2.2010 col quale l’amministrazione, nell’esercizio del potere di autotutela, ha sospeso l’efficacia della graduatoria in questione per giorni 90 al fine di assumere le iniziative necessarie volte a risolvere le problematiche emerse;

Rilevato che col ricorso introduttivo del giudizio (non corredato da istanza cautelare ed in seno al quale non è specificato il punteggio riportato), parte attrice ha, nello specifico, avversato la predetta graduatoria, contestando l’omessa valutazione di dati titoli di servizio detenuti (per pp. complessivi 2,50) nonché la indebita sottrazione di altri pp.2,50 a causa:

a) di un involontario segno di risposta, nel questionario somministrato, su casella diversa e aggiunta a quella correttamente annerita;

b) dell’errore relativo alla risposta nr.27 del questionario somministrato: errore che è da addebitare all’amministrazione avendo egli contrassegnato la risposta da ritenersi corretta;

Considerato che con decreto del Capo della Polizia del 29.3.2010, pubblicato sul B.u. del personale del Ministero dell’Interno del 31.3.2010 è stata disposta, nei confronti dei candidati cui, in sede di esame, sono stati somministrati i questionari contraddistinti con le lettere "A", "C", "D" e "I", la ripetizione della prova scritta a causa del fatto che alcune delle domande ivi contenute indicavano 4 ipotesi di risposte nessuna delle quali esatta; mentre analoga ripetizione non è stata decretata per i candidati cui è stato somministrato il questionario "G" atteso che l’anomalia ivi presente – e riguardante la domanda nr. 73 la cui risposta esatta era quella indicata dalla lett.a) anziché quella erroneamente indicata alla lett.c) – è stata superata rideterminando il punteggio di tutti i candidati che avevano correttamente indicato la risposta di cui alla lett.a);

Considerato che il ricorrente (che, come riferisce l’amministrazione nella propria memoria difensiva, depositata il 20.1.2011) ricopriva il 552° posto nella graduatoria di cui al d.m. 10.11.2009 ed il 558° posto in quella rettificata di cui al d.m. 1.12.2009, non è stato interessato dalla reiterazione della prova scritta (disposta per effetto del d.m. 29.3.2010) in quanto il questionario somministratogli in sede concorsuale non era contraddistinto da alcuna delle lettere richiamate nel precedente periodo (id est: non presentava vizi di redazione);

Considerato che, una volta ultimati gli adempimenti disposti col d.m. 29.3.2010, è stata approvata la graduatoria di merito del concorso di cui in premessa con d.m. 07.5.2010 il quale, per esplicita menzione contenuta nel relativo art.1, "sostituisce integralmente la precedente di cui al decreto" 01.12.2009;

Rilevato che il d.m. 7.5.2010 è stato ulteriormente rettificato con riguardo alla posizione del solo candidato M.R. con decreto del 21.7.2010;

Vista l’istanza cautelare depositata in data 19.11.2010 nella quale si dà atto sia del decreto 29.3.2010 che dei successivi provvedimenti del 7 maggio e 22 luglio 2010 con i quali ultimi è stata, rispettivamente, sostituita e rettificata la graduatoria di merito del concorso in questione; provvedimenti che, nonostante menzionati, sono rimasti tutti non impugnati da parte ricorrente che ha promosso – sulla base dell’erroneo convincimento che la ripetizione della prova d’esame sarebbe stata consentita nei soli confronti di "quei candidati in cui vi è già stato un accertamento da parte di Cod. Tar" – istanza di sospensione interinale dei provvedimenti indicati nel ricorso introduttivo (e nella premessa della presente decisione specificati) e non anche del successivo d.m. 7.5.2010 che ha sostituito il provvedimento approvativo della graduatoria impugnato dal ricorrente;

Rilevato, quale logico corollario, che tale omissione cagiona l’improcedibilità del gravame in trattazione il cui eventuale accoglimento, interessando atto successivamente sostituito dall’amministrazione con nuova ed autoritaria determinazione rimasta inoppugnata, nessun utile apporterebbe al ricorrente, imponendosi una declaratoria in conformità;

Considerato che la peculiarità della fattispecie consente la compensazione, tra le parti, delle spese di lite;
P.Q.M.

dichiara, per le ragioni esplicitate in parte motiva, improcedibile il ricorso in epigrafe.

Spese compensate.

Ordina che la presente decisione sia eseguita dall’Autorità amministrativa.

Testo non ufficiale. La sola stampa del bollettino ufficiale ha carattere legale.

T.A.R. Lazio Roma Sez. II bis, Sent., 21-03-2011, n. 2457 Comunicazione o notificazione dell’atto

Sentenza scelta dal dott. Domenico Cirasole direttore del sito giuridico http://www.gadit.it/

el verbale;
Svolgimento del processo – Motivi della decisione

1. Il sig. E.G. – proprietario di un terreno sito nel Comune di Nettuno alla via Malta snc, distinto in Catasto Terreni al Foglio 31, part.lla 2869, della superficie complessiva di mq 652, con destinazione di PRG in parte a viabilità e in parte a verde pubblico – riferisce che sulla medesima area è intervenuto il Comune con il P.P.A. F1, approvato con Delibera del C.C. del 2.12.1978, ma che le previsioni dello strumento urbanistico riguardo il terreno con effetti espropriativi hanno perso efficacia per l’inutile decorso del termine quinquennale, ai sensi dell’art. 9 del DPR n. 327 del 2001.

Con istanza presentata al Comune in data 9.12.2005, prot. n. 27370, il ricorrente ha richiesto il rilascio del permesso di costruire un edificio per civile abitazione da realizzare sul terreno in questione.

Espone che il Comune di Nettuno con il provvedimento prot. n. 3105 in data 1° febbraio 2006 ha respinto la richiesta di permesso di costruire sul lotto in questione avanzata dal ricorrente perchè contrastante con le norme di PRG, per le quali il terreno sarebbe interessato in parte da passaggio di strada e in parte destinato a verde pubblico.

1.1. Pertanto, il sig. E. ha proposto ricorso avverso il suddetto provvedimento deducendo motivi di Violazione di legge e in particolare dell’art.9 del DPR n. 327 del 2001, dell’art.7 della Legge n. 1150 del 1942 e dell’art. 1 della L.R. n. 32 del 1975 e travisamento dei fatti, posto che il provvedimento sarebbe stato adottato sul presupposto dell’esistenza dei vincoli di destinazione inesistenti e ormai inefficaci, sussistendo invece l’obbligo per l’Amministrazione di provvedere all’integrazione del Piano Regolatore divenuto parzialmente inoperante con la riqualificazione dell’area in questione.

1.2. Si è costituito in giudizio il Comune di Nettuno per resistere al ricorso chiedendone il rigetto, in quanto infondato.

In prossimità dell’udienza pubblica il Comune resistente ha depositato memoria difensiva, con la quale ha fornito articolate argomentazioni sulla legittimità dell’atto di reiezione impugnato, eccependo altresì preliminari profili di inammissibilità del ricorso atteso che in data 17 febbraio 2006, con D.D. n. 4807 l’Amministrazione ha adottato il provvedimento definitivo di diniego dopo il termine dei 10 giorni consentiti dalla legge all’interessato per le eventuali osservazioni alla comunicazione dei motivi ostativi, nel caso non proposte.

Alla pubblica udienza del 17 febbraio 2011, il ricorso è stato introitato per la decisione.

2. Il Collegio esamina la preliminare eccezione avanzata dalla difesa dell’Amministrazione comunale resistente di inammissibilità della domanda giudiziale annullatoria proposta dal sig. E., in quanto rivolta avverso atto di natura endoprocedimentale e come tale inidoneo a definire il relativo procedimento.

Tale eccezione merita adesione alla luce dell’orientamento condiviso dalla prevalente giurisprudenza, infatti, va affermato che il ricorso proposto contro la nota – comunicazione dei motivi ostativi alla conclusione favorevole del procedimento di cui all’art.10 bis della Legge n. 241 del 1990 e succ. mod., è inammissibile trattandosi di atto endoprocedimentale privo, in quanto tale, di autonoma capacità lesiva. Si tratta, pertanto, di un atto che ha come unica funzione quella di portare a conoscenza del soggetto destinatario del futuro provvedimento amministrativo l’inizio nei suoi confronti del prodromico iter procedimentale e i motivi ostativi all’esito favorevole dell’atto conclusivo di tale sequenza, atto dal quale si potrebbero produrre effetti giuridici pregiudizievoli per la sua situazione giuridica soggettiva. È, dunque, solo quest’ultimo provvedimento che, ove assunto, dovrà essere impugnato perché è l’unico dal quale derivano effetti lesivi per il suo destinatario (cfr. Cons. Stato, sez. sez. VI, 08 settembre 2009, n. 5261; idem, sez.V, 17 febbraio 2010, n. 919; T.A.R. Campania, Napoli, sez. VII, 29 luglio 2010, n. 17179; T.A.R. Lazio Roma, sez. II, 02 luglio 2009, n. 6418; idem, sez. III, 7 giugno 2010, n. 15699).

Al riguardo, va evidenziato che risulta in atti che con D.D. n. 4807 in data 17 febbraio 2006, il Comune di Nettuno ha adottato il provvedimento definitivo di diniego del permesso di costruire dopo il decorso del termine di 10 giorni consentito dalla legge all’interessato per le eventuali osservazioni alla comunicazione dei motivi ostativi, termine decorso, tra l’altro, senza la proposizione di controdeduzioni al riguardo. Peraltro, va posto in rilievo che tale provvedimento, che esprime la volizione definitiva del Comune e dal quale derivano effetti lesivi per il destinatario, non è stato impugnato, come confermato dagli stessi difensori delle parti anche in udienza.

In definitiva, alla luce delle suesposte considerazioni il ricorso proposto dal sig. E. avverso il provvedimento prot. n. 3105 in data 1° febbraio 2006, adottato dal Comune, stante la natura endoprocedimentale, è inammissibile.

La declaratoria di inammissibilità del ricorso giustifica, comunque, sussistendone giusti motivi, la compensazione delle spese di giudizio tra le parti.
P.Q.M.

definitivamente pronunciando sul ricorso, come in epigrafe proposto, lo dichiara inammissibile.

Dispone la compensazione delle spese di giudizio tra le parti.

Ordina che la presente sentenza sia eseguita dall’autorità amministrativa.

Testo non ufficiale. La sola stampa del bollettino ufficiale ha carattere legale.