T.A.R. Lombardia Milano Sez. IV, Sent., 22-11-2011, n. 2851

Sentenza scelta dal dott. Domenico Cirasole direttore del sito giuridico http://www.gadit.it/

Svolgimento del processo – Motivi della decisione

Il ricorrente impugnava il diniego di permesso di soggiorno per richiesta di asilo politico che la Questura di Milano aveva adottato dopo che la Commissione Territoriale per lo status di rifugiato gli aveva negato il riconoscimento dell’asilo politico.

I motivi di ricorso si rifacevano all’illegittimità derivata del provvedimento rispetto alla decisione della Commissione che era stata impugnata innanzi al giudice ordinario e la violazione della Costituzione e della Convenzione Europea per i diritti dell’uomo.

Il Ministero dell’Interno si costituiva in giudizio per chiedere il rigetto del ricorso.

Alla camera di consiglio del 24.6.2008 veniva respinta l’istanza cautelare.

In occasione dell’udienza di merito il difensore del ricorrente depositava provvedimento del Tribunale di Milano che aveva accolto il ricorso dello straniero avverso il provvedimento della Commissione territoriale e faceva presente che in conseguenza di tale atto il ricorrente aveva ottenuto il permesso di soggiorno per cui doveva ritenersi cessata la materia del contendere.

Va quindi emessa la declaratoria della cessazione della materia del contendere con compensazione delle spese di lite considerando che al momento in cui fu emesso il provvedimento appare correttamente motivato.

In relazione alla richiesta di liquidazione del compenso relativo al gratuito patrocinio cui il ricorrente era stato ammesso il Collegio:

Ritenuto – in relazione alla nota spese in questione – di non potere liquidare alcunché a titolo di spese imponibili, non risultando dal fascicolo di causa alcun documento giustificativo delle medesime;

Ritenuto, altresì, quanto agli importi indicati sotto la voce "competenze", che gli stessi debbono essere, in primis, rideterminati nella misura minima prevista dalla tariffa professionale e, di seguito, dimezzati, in applicazione dell’art. 130 del d.P.R. n. 115 cit., che prevede la riduzione alla metà degli "importi spettanti al difensore" e, quindi, anche dei diritti di procuratore, per cui il totale liquidato a titolo di diritti ammonta ad euro 505,50;

ritenuto, quanto agli "onorari" di avvocato, che gli stessi debbono essere rideterminati in misura di poco superiore alla metà dei valori minimi delle tariffe professionali, ai sensi del combinato disposto degli artt. 82 e 130 del d.P.R. n. 115/2002, per un totale di euro 1.300,00;

Ritenuto, quindi, che alle suddette voci debbono essere aggiunti gli importi spettanti a titolo di rimborso spese generali nella misura del 12,50% nonché per l’I.V.A. e la C.P.A.;

P.Q.M.

Il Tribunale Amministrativo Regionale per la Lombardia Sezione IV, definitivamente pronunciando sul ricorso, come in epigrafe proposto, dichiara cessata la materia del contendere.

Spese compensate.

Provvede alla liquidazione dell’onorario, dei diritti e delle spese spettanti al difensore – in relazione al ricorso in epigrafe indicato e tenuto conto della nota spese depositata in atti – nella misura ritenuta congrua così come indicata in motivazione.

Ordina che la presente sentenza sia eseguita dall’autorità amministrativa.
Testo non ufficiale. La sola stampa del bollettino ufficiale ha carattere legale.

Cons. Giust. Amm. Sic., Sent., 15-12-2011, n. 1013 Procedimento e punizioni disciplinari

Sentenza scelta dal dott. Domenico Cirasole direttore del sito giuridico http://www.gadit.it/

Svolgimento del processo

L’appello è rivolto contro la decisione n. 2015/2007 con la quale il TAR di Palermo ha respinto il ricorso proposto dal sig. Pi.Co., maresciallo della Guardia di Finanza, avverso la determina del Comando generale della Guardia di Finanza dell’11.3.2004, con la quale gli è stata inflitta la sospensione disciplinare dall’impiego per la durata di mesi sei (a decorrere dal 12.4.2004 sino al 12.9.2004), nonché di tutti gli atti e provvedimenti connessi.

La vicenda trae origine dall’imputazione al mar. Co. del reato di cui all’art. 615 ter c.p., per essersi egli abusivamente introdotto nel sistema informativo del C.E.D. del Ministero dell’Interno – Dipartimento della Pubblica Sicurezza, al fine di ottenere informazioni per fini meramente privati. Imputazione a seguito della quale era derivato infatti anche un procedimento disciplinare (avviato con foglio n. 49610/P/4 del 13.5.2002), concluso con l’irrogazione della sanzione della sospensione dall’impiego per sei mesi. Contro tale provvedimento disciplinare il Co. aveva proposto ricorso, chiedendone l’annullamento in sede giurisdizionale. Lamentava di non essere stato messo nelle condizioni di partecipare al procedimento e di non avere perciò potuto regolarmente esercitare il proprio diritto di difesa. Ciò a causa della mancata considerazione da parte della Amministrazione delle infermità allegate, che avrebbero precluso la sua partecipazione al procedimento.

Il TAR adito, con ordinanza n. 1562 del 10.12.2002, sospendeva l’efficacia del provvedimento impugnato di sospensione dall’impiego, tenuto conto che "…lo svolgimento del giudizio disciplinare, in concreto, non ha consentito il pieno esplicarsi del diritto di difesa del ricorrente".

Nelle more della definizione del merito del ricorso, l’Amministrazione annullava in autotutela gli atti del predetto procedimento disciplinare, a partire dalla determinazione n. 70210 del 23.7.2002, con la quale il maresciallo Co. era stato deferito alla Commissione di disciplina. Per effetto di ciò, il TAR dichiarava poi, con sentenza n. 27/2004, la cessazione della materia del contendere.

Prima di tale decisione giurisdizionale, l’Amministrazione aveva tuttavia riavviato, nel settembre 2003, il procedimento disciplinare deferendo il Co. ad una nuova commissione di disciplina. Avverso i relativi provvedimenti, il Co. proponeva perciò nuovo ricorso, deducendo i vizi di violazione di legge ed eccesso di potere per disparità di trattamento, ingiustizia, illogicità e sviamento e di violazione del diritto di difesa, quali concretati dalla riassunzione del precedente procedimento disciplinare a partire dall’atto conclusivo dell’inchiesta formale. A giudizio del Co., l’Amministrazione avrebbe dovuto annullare l’intera procedura (anche dunque la fase inquirente della stessa), in quanto anch’essa (anzi, innanzitutto essa) svolta in violazione dei diritti di difesa e partecipazione, sostenendo conseguentemente l’illegittimità derivata di tutta la procedura, poi conclusasi con la irrogazione della sanzione disciplinare a lui inflitta ed oggetto del secondo ricorso proposto. Il ricorrente adduceva l’illegittimità del procedimento sanzionatorio anche sotto il profilo del superamento dei termini massimi di 270 giorni (che il ricorrente fa decorrere dal 22.1.2002, data in cui l’amministrazione ha avuto notizia della sentenza della Corte di Cassazione che ha dichiarato inammissibile il ricorso del Co. avverso la sentenza di condanna dello stesso pronunciata della Corte d’Appello).

Con successivo ricorso per motivi aggiunti, il Co. proponeva poi all’attenzione del Giudice la circostanza che dalle indagini in sede penale sarebbero emersi elementi che avrebbero fatto emergere come la condotta a lui imputata sarebbe priva di alcuna rilevanza disciplinare, in quanto egli avrebbe agito a tutela della propria onorabilità e adduceva ancora anche il fatto che dal verbale della commissione di disciplina relativo al giudizio sulla meritevolezza di mantenere il grado sarebbe risultata confermata la legittimità del suo operato (essendo emerso che egli era abilitato in modo permanente ad acquisire informazioni – anche di iniziativa – dai terminali del C.E.D.), con i conseguenti vizi di difetto di presupposti e travisamento dei fatti del provvedimento disciplinare impugnato. Il TAR ha respinto il ricorso del Co.

Ha ritenuto in particolare il Giudice che con "l’intervenuto annullamento in sede di autotutela degli atti del predetto procedimento sanzionatorio, l’amministrazione resistente ha rinnovato il predetto procedimento (nominando, peraltro, un nuovo organo collegiale e fissando la prima riunione per il giorno 11.02.2004), dandone comunicazione all’interessato (nota prot n. 1485/P del 20.01.2004), il quale ha espressamente manifestato la volontà di non partecipare al procedimento riassunto (cfr. nota del 29.01.2004, allegato n. 51 della produzione documentale di parte ricorrente) a causa di una "impossibilità oggettiva" non documentata e ricondotta esclusivamente ai presunti vizi della precedente procedura". Ed ha perciò ritenute infondate le argomentazioni con le quali il ricorrente ha prospettato la lesione del proprio diritto di difesa e concluso che lo stesso debba ritenersi avere "aprioristicamente rinunziato a partecipare alla nuova fase procedurale che gli avrebbe consentito di svolgere tutte le argomentazioni, giustificazioni e difese che gli erano state precluse nel precedente procedimento, tenuto anche conto che l’unica certificazione medica prodotta dal ricorrente, in questa fase, risale ad epoca posteriore (19.03.2004) alla convocazione della commissione di disciplina". Ha ritenuto inoltre lo stesso Giudice infondate anche le censure prospettate avverso la presunta illegittimità della sospensione del procedimento a seguito dell’annullamento in autotutela della sanzione della sospensione dal servizio e del mancato rispetto dei termini di legge per la riassunzione del procedimento disciplinare, con conseguente tardività della sanzione irrogata. E ha ritenuto infine, da un lato, inconferenti le argomentazioni volte a dimostrare la correttezza dell’operato del ricorrente in relazione alla condotta penalmente accertata posta a base della contestazione degli addebiti, giacché esse avrebbero dovuto, semmai, essere fornite all’Amministrazione in sede di riapertura del procedimento disciplinare; dall’altro prive di rilevanza "scriminante" le valutazioni della commissione di disciplina espresse in relazione alla determinazione di far conservare il grado al ricorrente. Ha ritenuto pertanto conclusivamente, il TAR che "il provvedimento disciplinare resiste alle censure mosse da parte ricorrente, poiché esso risulta adeguatamente motivato e proporzionato in relazione alla gravità dei fatti commessi e degli addebiti contestati".

Contro tale decisione propone appello il Co., che ne invoca l’annullamento per gli asseriti errori di valutazione dei fatti ed interpretazione delle norme ed i conseguenti difetti di motivazione nei quali il Giudice di prime cure sarebbe incorso.

Venuta la causa alla pubblica udienza del 24 giugno 2009, questo Consiglio ha, con ordinanza interlocutoria n. 917/09, ritenuto necessario acquisire agli atti la determinazione del Comando regionale della Sicilia della Guardia di Finanza 23 luglio 2002, n. 70210, ponendo l’onere della produzione a carico del Comando regionale della Guardia di Finanza.

Con comunicazione del 28 ottobre 2009, il Comando sollecitato ha ottemperato alla ordinanza, trasmettendo il provvedimento richiesto.

Motivi della decisione

L’appello va accolto.

Con il primo motivo di ricorso, l’appellante lamenta la mancata considerazione da parte del TAR del comportamento contraddittorio dell’Amministrazione che, da un lato (anche per effetto indiretto dell’impulso costituito dalla motivazione della ordinanza di sospensione del primo provvedimento disciplinare irrogato: ordinanza del TAR di Palermo n. 1562/2002), ha ritenuto necessario annullare in autotutela il provvedimento impugnato, dall’altro ha ritenuto tuttavia di rinnovare il procedimento disciplinare, ma facendo salva (vedi provvedimento ora in atti n. 72010 del 23 luglio 2002) la fase istruttoria dello stesso.

La censura va accolta.

Il procedimento disciplinare in oggetto è regolato dagli artt. 63 ss. della legge 31 luglio 1954 n. 599, in virtù del disposto dell’art. 1 della legge n. 260/1957, nonché dalle più puntuali prescrizioni contenute nella circolare n. 1 del 31 luglio 1993 del Comando generale della Guardia di Finanza.

Orbene, per effetto di tali disposizioni il procedimento si articola in due fasi. La prima di esse è costituita dalla "formale inchiesta", nel corso della quale sono contestati al sottufficiale gli addebiti con facoltà per lo stesso "di presentare le sue discolpe". La seconda – che la presuppone: art. 66 legge n. 599/1954 – consiste nel deferimento (la circostanza è alternativa alla proposta al Ministro di diretta irrogazione delle sanzioni, ove queste siano quelle specificamente previste dalle lettere a), b), c) dell’art. 63) del sottufficiale a Commissione di Disciplina da parte dell’"autorità militare che ha disposto l’inchiesta formale, qualora, in base alle risultanze dell’inchiesta, ritenga che al sottufficiale sia da infliggere una delle sanzioni…".

Non vi è dubbio dunque che la fase nella quale si raccolgono gli elementi per la incolpazione e si valutano le circostanze ai fini dell’eventuale deferimento a Commissione di Disciplina (che ne valuterà non la "esistenza", ma la "rilevanza") è quella istruttoria (a conclusione della quale la inchiesta è infatti, secondo l’esplicito linguaggio normativo, "chiusa"). E non vi è dubbio altresì che anche in tale fase il militare abbia "facoltà" (secondo il dettato della norma del 1954, che oggi andrebbe letto in conformità con la più intensa tutela voluta dalle attuali normative sulla trasparenza del procedimento amministrativo introdotte dalla legge n. 241/1990) di presentare le proprie discolpe.

E’ perciò con riferimento a questa prima fase che assumono massimamente rilievo le circostanze impeditive previste dalla ricordata circolare n. 1 del 1993 del Comando generale della Guardia di Finanza quali possibili cause di sospensione del procedimento, la cui valutazione, ai fini di una eventuale sospensione del medesimo, è infatti esplicitamente demandata (vedi pag. 162) all’"ufficiale inquirente" (all’organo al quale spetta appunto la conduzione di tale prima fase del procedimento). Appare perciò singolare constatare come l’Amministrazione, da un lato, abbia ritenuto che la mancata considerazione (in ipotesi anche solo sotto il profilo di una adeguata motivazione della loro irrilevanza) delle circostanze impeditive invocate rendesse necessario annullare in autotutela il procedimento; dall’altro abbia limitato tuttavia tale valutazione alla seconda fase soltanto dello stesso (quella cioè dinanzi alla Commissione di Disciplina), quando invece è proprio con riferimento alla prima fase che la denegata partecipazione assume un rilievo speciale (potendo influire in modo decisivo sulla formazione degli addebiti e dunque su quella che ne potrà essere successivamente la valutazione sotto il profilo della loro sanzionabilità). E’ in questa fase infatti che il militare sottoposto al procedimento può "presentare documenti, memorie, fare istanze per ulteriori indagini o per esame di persona, indicando i punti sui quali desidera effettuare ulteriori investigazioni o testimonianze" (pag. 167 ss. circolare n. 1/1993). Il comportamento dell’Amministrazione appare per altro tanto più ingiustificato, ove si considerino anche ulteriori elementi.

L’avvio della inchiesta era avvenuto il 30 maggio 2002, con invito a prendere visione degli atti per l’11 giugno successivo. Nella stessa nota (n. 12299/P) si "dà atto" che risulta sospeso – per le stesse patologie ora invocate per la sospensione del nuovo procedimento – un diverso procedimento disciplinare a carico del medesimo mar. Co., disposto il precedente 1 febbraio. Nessuna specifica motivazione accompagna la implicita (dal momento che non si accoglie la richiesta, pure menzionata: punto 3) opposta valutazione che l’ufficiale incaricato compie. E ciò benché il procedimento "sospeso" a febbraio sarebbe stato poi riaperto solo quasi due mesi dopo (il 18 luglio: determina n. 31394/P). Nel tempo prossimo alla chiusura dell’inchiesta formale (16 luglio 2002, nota n. 17693/P), il Co. risulta (5 luglio) ricoverato presso l’Ospedale Militare di Palermo (inviatovi per visita cardiologica dal Medico convenzionato addetto) e poi giudicato il 9 luglio dalla Commissione Medica di seconda istanza "non idoneo per giorni 60" e perciò bisognoso di 60 gg. di ulteriore convalescenza (rispetto a quella – di 40 gg. – già concessa il 5 giugno precedente). Dunque egli era – per valutazioni degli organi stessi della Amministrazione – in una condizione che avrebbe dovuto assumere rilievo ai fini della inchiesta, come sottolinea il dettato della circolare n. 1/1993 più volte richiamata, che esplicitamente considera, quale esempio di causa di incapacità transitoria che giustifica la sospensione del procedimento, la "convalescenza" (p. 162 circolare 1/1993).

Se dunque l’annullamento in autotutela aveva giustificazione – a giudizio dell’Amministrazione – con riferimento alla seconda fase del procedimento, a maggior ragione esso avrebbe dovuto essere ritenuto necessario con riferimento alla prima fase dello stesso (quello cioè dell’inchiesta formale). O, almeno, ove diversamente ritenuto (come in fatto accaduto), la determinazione avrebbe dovuto essere sorretta da una analitica e circostanziata motivazione che ne desse ragione. Il che è certamente mancato.

In conclusione, è vero che non tutti gli impedimenti genericamente adotti dall’incolpato impongono la sospensione del procedimento disciplinare, essendo interesse pubblico che lo stesso si concluda tempestivamente. Ma quando – come nel caso in esame – l’interessato certifichi specifici motivi di salute che gli precludono la partecipazione al procedimento l’Amministrazione ha il dovere di prenderli in considerazione e, ove non li ritenga effettivamente impedienti, di motivare espressamente al riguardo.

Non può pertanto condividersi la diversa valutazione del Giudice di prime cure, che ha ritenuto sufficiente ad assicurare le garanzie di difesa (poi non esercitate con la mancata partecipazione di fatto alla rinnovata fase del procedimento, avendo l’interessato "aprioristicamente rinunziato a partecipare alla nuova fase procedurale che gli avrebbe consentito di svolgere tutte le argomentazioni, giustificazioni e difese che gli erano state precluse nel precedente procedimento") l’intervenuto annullamento della seconda fase. Ciò che il primo Giudice ha omesso di considerare è che quella che egli considera una "aprioristica rinunzia" era, a parte ogni valutazione relativa alla giustificabilità del comportamento in cui si è sostanziata, un fatto irrilevante rispetto al vizio, per lo meno di motivazione, relativo al mancato annullamento anche della fase istruttoria del procedimento.

Per tali premesse, il motivo di ricorso qui esaminato va accolto, con conseguente travolgimento della decisione di primo grado, che va perciò annullata per tale assorbente ragione.

Ritiene altresì il Collegio che ogni altro motivo od eccezione di rito e di merito possa essere assorbito in quanto ininfluente ed irrilevante ai fini della presente decisione. Sussistono giustificate ragioni per compensare le spese del giudizio.

P.Q.M.

Il Consiglio di Giustizia Amministrativa per la Regione Siciliana in sede giurisdizionale, definitivamente pronunciando, accoglie l’appello, riforma la sentenza di primo grado e annulla gli atti impugnati. Spese del giudizio compensate. Ordina che la presente sentenza sia eseguita dall’Autorità Amministrativa.

Testo non ufficiale. La sola stampa del bollettino ufficiale ha carattere legale.

Cass. civ. Sez. II, Sent., 14-06-2012, n. 9787

Sentenza scelta dal dott. Domenico Cirasole direttore del sito giuridico http://www.gadit.it/

Svolgimento del processo

F.V. e F.F., quali concessionari di un suolo del cimitero consortile dei comuni di Mugnano e Calvizzano, citarono davanti al Tribunale di Napoli C.A. e C.R., chiedendo che fossero condannati all’abbattimento di un’opera edilizia che avevano realizzato in quell’area e al risarcimento dei danni, da liquidare in separata sede. I convenuti sostennero che autori dell’occupazione erano stati T.G. e S.B., da loro incaricati della progettazione e costruzione di una cappella, e su autorizzazione del giudice istruttore li chiamarono in causa in garanzia. T.G. contestò la fondatezza degli assunti di C.A. e C.R. e in via riconvenzionale chiese la loro condanna al pagamento degli onorari relativi all’incarico espletato. S. B. sostenne la propria estraneità ai fatti di causa, per essersi limitato a regolare, per conto dei C., i rapporti economici di costoro con gli esecutori dell’opera. Il consorzio cimiteriale, chiamato in causa per disposizione del giudice istruttore, rimase contumace.

Con sentenza del 30 ottobre 2003 il Tribunale respinse tutte le domande proposte dalle parti e compensò tra loro le spese di giudizio.

Impugnata in via principale da F.V. e F. F., in via incidentale da C.A. e da T. G., la decisione è stata confermata con sentenza del 12 gennaio 2009 dalla Corte d’appello di Napoli, salvo che per il regolamento delle spese del giudizio di primo grado, al cui rimborso T.G. e S.B. sono stati condannati in favore di C.A.. A tale conclusione il giudice di secondo grado è pervenuto essenzialmente ritenendo: – che la cappella in contestazione era stata realizzata su un suolo concesso a F.V. e F.F., i quali però erano decaduti dal diritto di utilizzarlo, per decorso del tempo utile; – che esattamente quindi erano state respinte le domande da loro proposte nei confronti dei committenti dell’opera C.A. e C.R.; – che ugualmente corretto era il rigetto delle riconvenzionali rivolte a questi ultimi da T.G., relative al compenso per le sue prestazioni professionali e al risarcimento dei danni provocati alla sua immagine, poichè a lui redatto era dovuta l’erronea localizzazione della cappella su un’area non appartenente ai committenti; – che la domanda di risarcimento proposta da F.V. e F.F. doveva essere disattesa a causa della sua novità, poichè inizialmente era stata chiesta la condanna in forma generica e solo in appello anche la liquidazione del danno; che T.G. e S. B., in quanto soccombenti, erano tenuti al rimborso delle spese di giudizio sostenute da C.A..

Contro tale sentenza ha proposto ricorso per cassazione T. G., in base a tre motivi. Si sono costituiti con controricorsi:

C.A. e C.R.; S.B., il quale ha formulato un motivo di impugnazione in via incidentale; F. V. e F.F., i quali hanno formulato un motivo di impugnazione in via incidentale, cui S.B. ha opposto un proprio controricorso. Sono state presentate memorie da T.G., S.B., C.A. e C.R..

Motivi della decisione

Con il primo motivo del ricorso principale T.G. si duole del rigetto delle proprie domande riconvenzionali, dirette ad ottenere la condanna di C.A. e C.R. al pagamento del compenso relativo alle prestazioni professionali svolte su loro incarico per la progettazione della cappella funeraria in questione e al risarcimento dei danni derivati alla sua immagine professionale ai geometra: sostiene che erroneamente e ingiustificatamente la Corte d’appello ha ritenuto che egli avesse svolto anche il compito di direttore dei lavori e che quindi fosse responsabile dell’avvenuta realizzazione dell’opera su un suolo di cui i committenti non avevano la disponibilità.

La doglianza va disattesa.

Si verte in tema di accertamenti di fatto e di apprezzamenti di merito, incensurabili in questa sede se non sotto i profili dell’omissione, insufficienza o contraddittorietà della motivazione.

Da tali vizi la sentenza impugnata risulta immune, poichè il giudice a quo ha dato conto in maniera esauriente e logicamente coerente delle ragioni della decisione sul punto, spiegando che l’addebitabilità dell’errore di cui si tratta a T.G. derivava dalla sua qualità non solo di progettista, ma anche di direttore dei lavori di costruzione della cappella: qualità che era risultata dalle precise convergenti deposizioni dei testimoni Ch.An. e P.F., quest’ultimo pienamente credibile perchè assolutamente indifferente, diversamente da S.C., il quale aveva reso dichiarazioni discordanti da quelle degli altri due e comunque di per sè inattendibili. Le pur diffuse contrarie valutazioni, propugnate dal ricorrente, non possono costituire idonea ragione di una pronuncia di cassazione, stanti i limiti propri del giudizio di legittimità, che sulle questioni di fatto non consentono a questa Corte di estendere il proprio sindacato oltre la verifica dell’adeguatezza della motivazione e di compiere quel vaglio diretto delle risultanze istruttorie, che in sostanza il ricorrente pretende di demandarle.

Con il secondo motivo di impugnazione T.G. lamenta che le proprie domande sono state respinte in accoglimento di un’eccezione di inadempimento che in realtà C.A. e C.R. non avevano formulato e che era comunque infondata.

Neppure questa doglianza può essere accolta.

L’eccezione di cui si tratta – che non richiedeva l’impiego di formule sacramentali per essere efficacemente sollevata: cfr. Cass. 29 settembre 2009 n. 20870, 73 luglio 2010 n. 17424 – era insita nelle difese opposte alla domanda in questione dai suoi destinatari, che ad essa avevano resistito appunto nei presupposto che l’opera professionale svolta da T.G. fosse inficiata da errori.

Accertato che questi effettivamente erano stati commessi, cadeva comunque il fondamento stesso delle domande di pagamento del compenso e di risarcimento di danni, proposte in via riconvenzionale da T.G..

Ne consegue il rigetto anche del terzo motivo del ricorso principale, con il quale, nel presupposto della fondatezza degli altri due, viene contestata la legittimità della condanna di T.G. al rimborso delle spese di giudizio sostenute da C.A.. Nè può essere sindacato in sede di legittimità il mancato esercizio della facoltà discrezionale di compensazione, alla quale nel ricorso si fa cenno con riferimento a una dedotta ipotesi di soccombenza reciproca: ipotesi che comunque nei rapporti tra T.G. e C.A. non è ravvisabile, in quanto la domanda riconvenzionale del primo è stata rigettata, menare quella di garanzia del secondo è rimasta assorbita dal mancato accoglimento di quella proposta dagli originari attori.

Con il motivo addotto a sostegno del loro ricorso incidentale F.V. e F.F. sostengono che la loro domanda di risarcimento, contrariamente a quanto ha ritenuto la Corte d’appello, non doveva essere considerata inammissibile per novità, anche se in sede di gravame la condanna di C.A. e C.R. era stata chiesta in forma specifica, mentre lo era stata in forma generica in primo grado.

L’assunto non è fondato, poichè modificazioni come quella di cui si tratta comportano una non consentita mutatio libelli: oltre a Cass. 1 ottobre 1998 n. 9760, richiamata nella sentenza impugnata, v. in tal senso, tra le più recenti, Cass. 25 gennaio 2001 n. 1057, 4 aprile 2001 n. 4962, 24 giugno 2009 n. 14782, secondo cui "quando, nel giudizio di primo grado, sia stata proposta una domanda di condanna generica al risarcimento dei danni – da liquidarsi in separata sede – la domanda, formulata in appello, di liquidazione del danno è da considerare nuova e, come tale, inammissibile". D’altra parte, la domanda in questione, pur in mancanza del motivo di cui si è detto, reputato assorbente dal giudice di secondo grado, non avrebbe potuto comunque essere accolta, poichè l’avvenuta decadenza di F. V. e F.F. dalla concessione del suolo loro assegnato escludeva ogni eventuale loro ragione di danno derivante dalla successiva occupazione di quell’area mediante la cappella costruita su incarico di C.A. e C.R..

Con il primo motivo dell’altro ricorso incidentale S.B. lamenta di essere stato erroneamente condannato al rimborso delle spese di giudizio in favore di C.A..

La censura va accolta, poichè in effetti S.B. – diversamente da T.G., in relazione alla sua riconvenzionale – non è rimasto in alcun modo soccombente, essendo stata rigettata la domanda di garanzia che C.A. e C.R. avevano proposto nei suoi confronti.

Resta assorbito il secondo motivo del ricorso incidentale dello stesso S.B., in quanto formulato subordinatamente alla condizione dell’accoglimento del ricorso di F.V. e F.F..

Rigettati pertanto il ricorso principale e l’incidentale di F. V. e F.F., accolto il primo motivo dell’incidentale di S.B., dichiarato assorbito il secondo, la sentenza impugnata va cassata in relazione alla censura accolta, con rinvio della causa ad altro giudice, che si designa in una diversa sezione della Corre d’appello di Napoli, cui viene anche rimessa la pronuncia sulle spese del giudizio di legittimità nei rapporti tra S.B. e C.A.. Tra le altre parti la causa resta definita; sicchè occorre provvedere al regolamento delle spese del giudizio cassazione, che in applicazione della regola della soccombenza vengono peste a carico – nelle misure indicate nel dispositivo – di T.G., nonchè di F. V. e F.F. in solido, dato il comune loro interesse nella causa, in favore di C.A. e C. R..

P.Q.M.

La Corte rigetta il ricorso principale e il ricorso incidentale proposto da F.V. e F.F.; accoglie il primo motivo del ricorso incidentale proposto da S.B.;

dichiara assorbito il secondo: cassa la sentenza impugnata in relazione alla accolta; rinvia la causa ad altra sezione della Corte d’appello di Napoli, cui rimette anche la pronuncia sulle spese del giudizio di legittimità nei rapporti tra S.B. e C.A.; condanna T.G. a rimborsare a C.A. e C.R. le spese del giudizio di legittimità, Liquidate in 100,00 Euro, oltre a 1.000,00 Euro per onorari, con gli accessori di legge; condanna F.V. e F.F. in solido a rimborsare a C.A. e C.R. le spese del giudizio di legittimità, liquidate in 100,00 Euro, oltre a 2.000,00 Euro per onorari, con gli accessori di legge.

Così deciso in Roma, il 4 aprile 2012.

Depositato in Cancelleria il 14 giugno 2012

Testo non ufficiale. La sola stampa del bollettino ufficiale ha carattere legale.

Cass. pen. Sez. VI, Sent., (ud. 10-12-2012) 29-01-2013, n. 4287 Detenzione, spaccio, cessione, acquisto

Sentenza scelta dal dott. Domenico Cirasole direttore del sito giuridico http://www.gadit.it/

Svolgimento del processo – Motivi della decisione

Il gip presso il Tribunale di Bari il 24 aprile 2012 emetteva misura cautelare nei confronti, fra gli altri, del ricorrente cui contestava una serie di attività relative a detenzione e cessione di partite di hashish da destinare allo spaccio al minuto, attività svolta unitamente ad altri soggetti, tra i quali tale G.. Il quadro indiziario era fondato sugli esiti di intercettazioni di conversazioni e sulla diretta osservazione da parte della p.g. del casolare che si riteneva utilizzato per le cessioni di droga, circostanza poi confermata dai controlli effettuati nei confronti di persone provenienti da tale luogo, trovate in possesso di dosi di droga appena acquistate.

Per R. venivano ritenute rilevanti alcune conversazioni dell'(OMISSIS) nel corso delle quali parlava con altri indagati utilizzando un linguaggio convenzionale chiaramente riferibile, atteso il complesso delle attività direttamente cadute sotto la percezione della polizia giudiziaria, allo stupefacente non essendovi possibili interpretazioni alternative degli oggetti ("mezze teglie di pizza", "cosi", "mattonelle da appiccicare", "giacca dal matrimonio") cui gli interlocutori facevano riferimento.

Il provvedimento del gip veniva confermato con ordinanza del 25 giugno 2012 del Tribunale del riesame di Bari che valutava il materiale indiziario utilizzato dal primo giudice, valorizzando anche ulteriori conversazioni intercettate, e rispondendo analiticamente ai motivi sviluppati dalla difesa.

Il difensore di R. propone ricorso avverso tale ordinanza, senza specificazione del tipo di vizio, contestando essenzialmente la carenza di motivazione per non esservi stata valutazione critica degli elementi indiziari che ritiene contraddittori.

Il ricorso è manifestamente infondato per genericità del motivo proposto. Rispetto ad un provvedimento impugnato analitico nella valutazione del materiale probatorio così come era analitico il provvedimento del gip, richiamato dalla ordinanza del riesame, la difesa non contesta le argomentazioni specifiche ma afferma solo genericamente, e contro la evidenza del provvedimento impugnato, che la motivazione sarebbe carente ed in contrasto con gli atti del procedimento, contestazione quest’ultima che, comunque, riguarda profili di merito, non valutabili in questa sede.

Tenuto conto delle ragioni della inammissibilità, risulta adeguata la misura della sanzione pecuniaria determinata in dispositivo.
P.Q.M.

Dichiara inammissibile il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali e della somma di Euro 1000 in favore della Cassa delle Ammende. Manda alla cancelleria per gli adempimenti di cui all’art. 94 disp. att. c.p.p., comma 1 ter.

Testo non ufficiale. La sola stampa del bollettino ufficiale ha carattere legale.