T.A.R. Lombardia Milano Sez. I, Sent., 21-02-2011, n. 512 Contratti

Sentenza scelta dal dott. Domenico Cirasole direttore del sito giuridico http://www.gadit.it/

Svolgimento del processo – Motivi della decisione

La stazione appaltante ha indetto una procedura negoziata per l’affidamento del servizio di manutenzione programmata e su chiamata/emergenza dei motori inseriti nell’impianto di cogenerazione per l’utilizzo del biogas, ubicato presso il sito AMSA di Gerenzano.

La ricorrente ha impugnato l’esclusione dalla predetta procedura, deducendo tre motivi in diritto.

La soc. Amsa S.p.A. si è costituita in giudizio, resistendo in rito e nel merito all’introdotta domanda.

Premette, al riguardo, la Sezione che, può prescindersi dalla definizione dell’eccezione di tardività sollevata dalla difesa della stazione appaltante, in quanto il ricorso è manifestamente infondato nel merito.

Con il primo motivo è stato contestato l’operato della stazione appaltante, che avrebbe arbitrariamente consentito l’integrazione dell’offerta da parte della controinteressata, in luogo di disporne tout court l’esclusione.

Il capitolato speciale avrebbe, infatti, imposto la compilazione dell’offerte tramite l’utilizzo della scheda offerta "B", contenente, tra l’altro, la voce "noleggio gruppo generatore", che non è stata compilata dalla controinteressata, lasciandola in bianco. Tale offerta sarebbe dovuta essere esclusa senza alcuna possibilità di " chiedere chiarimenti in merito", in occasione dei quali peraltro, nel "secondo verbale" del 28.5.2010, è stato dichiarato dal legale rappresentante della controinteressata che il noleggio del gruppo generatore non era stato quotato perché gratuito. Secondo la deducente lo spazio lasciato in bianco sulla scheda offerta "B" avrebbe dovuto indicare la dizione "zero" o "gratuito" e non sarebbe stato suscettibile di un’indebita, tardiva integrazione.

Detto ordine argomentativo è, peraltro, privo di pregio.

Plurime ragioni comprovano, infatti, che la Commissione si è nella specie rettamente determinata.

Sotto un primo aspetto l’aver lasciato in bianco una voce dell’offerta poteva e doveva secondo un canone di ragionevolezza essere interpretato dalla stazione appaltante come un’offerta in forma gratuita. Una vera e propria integrazione dell’offerta si sarebbe avuta nel solo caso in cui la contorinteressata l’avesse effettivamente integrata ex post, aggiungendovi un valore numerico.

Per altro verso ogni concorrente, avendo accettato espressamente tutte le prescrizioni del capitolato, avrebbe dovuto garantire in caso di aggiudicazione tutte le prestazioni indicate nel medesimo capitolato, tra le quali, espressamente, anche quelle relative all’offerta "lasciata in bianco" dalla controinteressata.

Inoltre, ai fini dell’indicazione del corrispettivo, rilevava esclusivamente il prezzo indicato nella scheda riassumente l’"offerta riepilogativa", per cui, anche se per assurdo potesse ipotizzarsi che la controinteressata abbia integrato la propria originaria offerta, detta integrazione sarebbe rimasta tamquam non esset.

2) Il comportamento della stazione appaltante non contrasta, poi, come assunto con il secondo mezzo, con il principio della buona fede, in quanto la denunciata inosservanza dell’obbligo di comunicazione non costituisce causa sopravvenuta di invalidità dell’aggiudicazione, incidendo esclusivamente sul distinto profilo della tutela degli interessati e rilevando soltanto sulla tempestività o tardività dell’impugnativa contro l’aggiudicazione (C.S. Sez. V 8.7.2010 n. 4434).

3) Con il terzo ed ultimo motivo è stata dedotta la violazione dell’art. 79, comma 5 del D.Lgs. n. 163/06, poiché non sarebbe mai stata effettuata la comunicazione ivi prevista a favore della ricorrente prima della stipula del contratto.

Anche tale motivo è infondato, poiché detta violazione rileva esclusivamente nel caso di annullamento dell’aggiudicazione (T.A.R. Campania, Sez. I 14.7.2010 n. 16776), che nel caso in esame è stata invece legittimamente disposta.

Il ricorso va respinto.

Sussistono giusti motivi per compensare tra le parti le spese di giudizio, in ragione della particolare formulazione dell’offerta della controinteressata.
P.Q.M.

il Tribunale Amministrativo Regionale per la Lombardia – Sezione I

definitivamente pronunciando sul ricorso, come in epigrafe proposto, lo respinge.

Spese compensate.

Testo non ufficiale. La sola stampa del bollettino ufficiale ha carattere legale.

Cass. civ. Sez. III, Sent., 10-05-2011, n. 10221 Ricorso

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Svolgimento del processo – Motivi della decisione

1. G.P., figlio ed erede di M.A., propone ricorso per cassazione, sulla base di due motivi, avverso la sentenza della Corte di Appello di Genova del 15 febbraio 2008, che ha confermato quella di primo grado, la quale aveva respinto la domanda di risarcimento dei danni patrimoniali e non patrimoniali proposta dalla M. nei confronti del medico B.S., assumendo di aver contratto l’epatite virale di tipo C per effetto della terapia infusionale con Neoton, praticatale presso l’ambulatorio privato di detto medico tra il (OMISSIS), nonchè di aver contratto enfisema polmonare a seguito della predetta terapia a base di Neoton associata all’assunzione del farmaco Cordone. Secondo la Corte territoriale:

a. non soltanto le prove acquisite, ma neanche le allegazioni di parte appellante sulle modalità in cui sarebbe avvenuto il contagio erano sufficienti a ritenere dimostrata la condotta astrattamente idonea a determinare l’insorgenza dell’epatite C nella M.;

b. erano privi di qualunque rilievo la tipologia e ancor meno le dimensioni del locale ove le fleboclisi sono state praticate, considerato che l’igiene deve riguardare la profilasi unicamente volta a prevenire La diffusione dell’epatite C;

c. appariva neutra la circostanza che le endovene fossero praticate in ambiente promiscuo;

d. il creditore non ha dedotto la specifica tipologia del dedotto inadempimento, idoneo astrattamente a produrre "l’evento dannoso (anche perchè la diligenza che il debitore dovrebbe dimostrare di aver tenuto in occasione della prestazione potrebbe avere contenuto diverso, a seconda della regola di condotta che si assume violata).

L’intimata compagnia assicuratrice della R.C. del B. resiste con controricorso, illustrato da memoria, e chiede dichiararsi inammissibile e, comunque, rigettarsi il ricorso. Gli altri intimati non hanno svolto attività difensiva.

2.1. Il ricorrente deduce violazione e falsa applicazione degli artt. 1218, 1176 e 2236 c.c., per avere la Corte territoriale erroneamente preteso che la danneggiata provasse la specifica tipologia del dedotto inadempimento; chiede alla Corte: "in relazione agli artt. 113, 115 e 116 c.p.c., la Corte di appello ha applicato falsamente le norme imperative di cui agli artt. 1218, 1176, 2236 c.c., secondo le quali la responsabilità del medico ha natura contrattuale ed è quella tipica del professionista con la conseguenza che quanto all’onere della prova il creditore che agisce per la risoluzione contrattuale, per il risarcimento del danno deve dare la prova della fonte negoziale limitandosi alla mera allegazione della circostanza dell’inadempimento della controparte, oppure deve necessariamente allegare anche la specifica tipologia del dedotto inadempimento, idoneo astrattamente a produrre l’evento dannoso"? Col secondo motivo, il ricorrente deduce omessa, insufficiente e contraddittoria motivazione della sentenza, senza corredare il motivo del prescritto "momento di sintesi". 3. I motivi si rivelano entrambi inammissibili per inidoneità del quesito formulato alla fine del primo e per difetto del "momento di sintesi" che avrebbe dovuto corredare il secondo, come emerge chiaramente da quanto sopra riportato. Essi sono privi dei requisiti a pena di inammissibilità richiesti dall’art. 366 bis c.p.c., applicabile nella specie nel testo di cui al D.Lgs. 2 febbraio 2006, n. 40, essendo stata l’impugnata sentenza pubblicata successivamente alla data (2 marzo 2006) di entrata in vigore del medesimo.

3.1. Il quesito, come noto, non può consistere in una domanda che si risolva in una mera richiesta di accoglimento del motivo o nell’interpello della Corte in ordine alla fondatezza della censura così come illustrata, ma deve costituire la chiave di lettura delle ragioni illustrate nel motivo e porre la Corte di cassazione in condizione di rispondere al quesito con l’enunciazione di una regula iuris (principio di diritto) che sia suscettibile di ricevere applicazione in casi ulteriori rispetto a quello sottoposto all’esame del giudice che ha pronunciato la sentenza impugnata. A titolo indicativo, si può delineare uno schema secondo il quale sinteticamente si domanda alla corte se, in una fattispecie quale quella contestualmente e sommariamente descritta nel quesito (fatto), si applichi la regola di diritto auspicata dal ricorrente in luogo di quella diversa adottata nella sentenza impugnata (Cass. S.U., ord. n 2658/08). E ciò quand’anche le ragioni dell’errore e della soluzione che si assume corretta siano invece – come prescritto dall’art. 366 c.p.c., n. 4 adeguatamente indicate nell’illustrazione del motivo, non potendo la norma di cui all’art. 366 bis c.p.c. interpretarsi nel senso che il quesito di diritto possa desumersi implicitamente dalla formulazione del motivo, poichè una siffatta interpretazione si risolverebbe nell’abrogazione tacita della norma in questione (Cass. 20 giugno 2008 n. 16941). Una formulazione del quesito di diritto idonea alla sua funzione richiede, pertanto, che, con riferimento ad ogni punto della sentenza investito da motivo di ricorso la parte, dopo avere del medesimo riassunto gli aspetti di fatto rilevanti ed averne indicato il modo in cui il giudice lo ha deciso, esprima la diversa regola di diritto sulla cui base il punto controverso andrebbe viceversa risolto, formulato in modo tale da circoscrivere la pronunzia nei limiti del relativo accoglimento o rigetto (v.

Cass., 17/7/2008 n. 19769; 26/3/2007, n. 7258). Occorre, insomma che la Corte, leggendo il solo quesito, possa comprendere l’errore di diritto che si assume compiuto dal giudice nel caso concreto e quale, secondo il ricorrente, sarebbe stata la regola da applicare.

3.2. Non si rivela, pertanto, idoneo il quesito formulato alla fine del primo motivo proposto nel presente ricorso, dato che non contiene alcun riferimenti in fatto (indica l’oggetto della controversia, ma non sintetizza gli sviluppi della stessa), nè espone chiaramente le regole di diritto che si assumono erroneamente applicate e, quanto a quelle di cui s’invoca l’applicazione, si esaurisce in enunciazioni di carattere generale ed astratto che, in quanto prive di qualunque indicazione sul tipo della controversia e sulla sua riconducibilità alla fattispecie in esame, non consentono di dare risposte utili a definire la causa (Cass. S.U. 11.3.2008 n. 6420). Del resto, il quesito di diritto non può risolversi – come nell’ipotesi – in una tautologia o in un interrogativo circolare, che già presuppone la risposta, ovvero in cui la risposta non consente di risolvere il caso sub iudice (Cass. S.U. 2/12/2008 n. 28536). Senza contare che la censura rivela un ulteriore profilo d’inammissibilità, dal momento che – non cogliendo correttamente il decisum – impugna un’ asserita illegittima ripartizione dell’onere probatorio; mentre la Corte territoriale si è pronunciata sulla specificità della dedotta domanda d’inadempimento della prestazione professionale, in armonia con il consolidato indirizzo di questa S.C., secondo cui, in tema di responsabilità contrattuale della struttura sanitaria e di responsabilità professionale da contatto sociale del medico, ai fini del riparto dell’onere probatorio l’attore, paziente danneggiato, deve limitarsi a provare l’esistenza del contratto (o il contatto sociale) e l’insorgenza o l’aggravamento della patologia ed allegare l’inadempimento del debitore, astrattamente idoneo a provocare il danno lamentato, rimanendo a carico del debitore dimostrare o che tale inadempimento non vi è stato ovvero che, pur esistendo, esso non è stato eziologicamente rilevante (Cass. S.U. n. 577/08; Cass. n. 20101/09; 1538/10). Si tratta di onere di deduzione ed allegazione "coessenziale" proprio all’inversione dell’onere probatorio prevista per l’inadempimento degli obblighi contrattuali dall’art. 1218, dato che ha lo scopo di definire l’ambito della diligenza richiesta al debitore in occasione dell’esecuzione della prestazione, come correttamente rilevato dalla Corte territoriale.

3.3. Quanto ai motivi con cui si deducono vizi di motivazione, a completamento della relativa esposizione, essi devono indefettibilmente contenere la sintetica e riassuntiva indicazione:

a) del fatto controverso;

b) degli elementi di prova la cui valutazione avrebbe dovuto condurre a diversa decisione;

c) degli argomenti logici per i quali tale diversa valutazione sarebbe stata necessaria (Cass. 17/7/2008 n. 19769, in motivazione).

Orbene, nel caso con riferimento al secondo motivo con il quale vengono denunziati vizi di motivazione, il ricorrente formula alcune considerazioni (p. 10 e 14 del ricorso), che non contengono un momento di sintesi, così esprimendosi secondo un modello difforme da quello normativamente delineato nei termini sopra esposti, sostanziandosi invero in meramente generiche ed apodittiche asserzioni non rispettose del disposto di cui all’art. 366 c.p.c., comma 1, n. 4. Il motivo non reca, invero, la "chiara indicazione" del "fatto controverso" e delle "ragioni" che rendono inidonea la motivazione a sorreggere la decisione, l’art. 366 bis c.p.c., che come da questa Corte precisato richiede un quid pluris rispetto alla mera illustrazione del motivo, imponendo un contenuto specifico autonomamente ed immediatamente individuabile (v. Cass., 18/7/2007, n. 16002). L’individuazione del denunziato vizio di motivazione risulta perciò impropriamente rimessa all’attività esegetica del motivo da parte di questa Corte, oltre che consistere in un’inammissibile "diversa lettura" delle risultanze probatorie, apprezzate con congrua motivazione nella sentenza impugnata.

4. Pertanto, il ricorso è inammissibile. Le spese seguono la soccombenza e si liquidano in dispositivo.
P.Q.M.

Dichiara inammissibile il ricorso. Condanna il ricorrente al pagamento delle spese del presente giudizio, che liquida in Euro 3.400,00, di cui Euro 3.200,00 per onorario, oltre spese generali ed accessori di legge.

Testo non ufficiale. La sola stampa del bollettino ufficiale ha carattere legale.

Cass. civ. Sez. Unite, Sent., 09-06-2011, n. 12539 Provvedimenti impugnabili per Cassazione

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Svolgimento del processo

La Procura della Corte dei Conti per la regione Sicilia, su informativa del P.M. presso il tribunale di Palermo che procedeva per i reati di falso, abuso di ufficio e corruzione, conveniva davanti a quella Sezione giurisdizionale regionale D.F.G., dirigente della Regione Sicilia, B.L., funzionario dell’UTE di Roma, ed altri amministratori regionali per il danno erariale subito dalla regione Sicilia nella misura di Euro 2.490.000//00, quale danno patrimoniale, e di eguale somma quale danno non patrimoniale, per una serie di illeciti commessi nelle procedure di acquisto di un immobile in Roma, da adibire a rappresentanza. Il procedimento penale si concluse nei confronti del B. con sentenza emessa a norma dell’art. 444 c.p.c. (c.d. patteggiamento) e nei confronti di D.F. con sentenza di condanna.

La sezione giurisdizionale regionale della Corte dei Conti affermava la responsabilità amministrativa del D.F. e del B. e li condannava a pagare in solido alla regione la somma di Euro 220.000,00, con rivalutazione ed interessi per danno patrimoniale dall’anno 1991 ed Euro 105.000//00 per danno all’immagine.

La sezione giurisdizionale di appello della Corte dei conti per la regione Sicilia, adita dai convenuti condannati, con sentenza depositata il 3.5.2010, rigettava l’appello.

In particolare il giudice di appello riteneva che nella fattispecie sussistesse la giurisdizione della Corte dei Conti anche nei confronti del B., funzionario dell’UTE e non della regione, nonostante che il fatto si fosse verificato anteriormente all’entrata in vigore della L. 14 gennaio 1994, n. 20, art. 1, in quanto nell’attività del B., che quale tecnico UTE aveva redatto la stima di congruità e poi il verbale di consegna, era ravvisabile il rapporto di servizio in senso lato. Riteneva poi la sezione giurisdizionale che sulla base delle prove raccolte in sede penale, autonomamente ed esattamente valutate dal primo giudice, andava affermata la responsabilità amministrativa del B..

Quanto al D.F., riteneva il giudice di appello che la sentenza penale di condanna emessa in sede dibattimentale vincolava il giudice contabile quanto alla sussistenza del fatto di reato ed alla sua imputabilità al convenuto, dovendosi solo verificare la sussistenza del danno erariale e la sua riconducibilità al convenuto; che l’eccezione di illegittimità costituzionale dell’art. 651 c.p.p. per violazione dell’art. 103 Cost., era manifestamente infondata, in quanto nel caso in esame "il fatto si è rilevato sovrapponibile con quello accertato dal giudice penale", in particolare risultante dalla sentenza della Cassazione penale 27.7.2007, n. 30757.

Avverso questa sentenza hanno proposto ricorso per cassazione D. F.G. e ricorso incidentale B.L.. Resiste con due controricorsi il procuratore generale presso la Sezione giurisdizionale di appello della Corte dei Conti per la regione Sicilia. Il D.F. ha presentato memoria.
Motivi della decisione

1.1. Preliminarmente vanno riuniti i ricorsi. Quanto al ricorso proposto da D.F.G., va, anzitutto, rigettata l’eccezione del resistente di inammissibilità del ricorso per non essere stata riproposta in appello l’eccezione di difetto di giurisdizione. Infatti con l’appello il D.F. aveva censurato la sentenza di primo grado per omesso esercizio della giurisdizione da parte del giudice contabile, che si era adeguato al giudicato penale, a norma dell’art. 651 c.p.p..

1.2. Occorre preliminarmente esaminare l’eccezione del ricorrente di illegittimità costituzionale dell’art. 651 c.p.p., per contrasto con l’art. 103 Cost., comma 2, nella parte in cui attribuisce efficacia vincolante al giudicato penale di condanna nel giudizio amministrativo per risarcimento del danno. Ritiene il ricorrente che l’art. 651 c.p.p., prevedendo un vincolo nel "giudizio amministrativo" per il risarcimento del danno e, quindi, nel processo di responsabilità amministrativa, derivante dal giudicato penale, sia pure relativamente all’accertamento del fatto ed all’imputabilità di questo all’agente, comporta la violazione dell’art. 103 Cost., in quanto tali fatti – in luogo di essere sottoposti alla giurisdizione della Corte dei conti – finiscono per essere sostanzialmente sottoposti alla giurisdizione del giudice ordinario penale.

2.1. L’eccezione è manifestamente infondata.

Secondo la costante giurisprudenza della Corte Costituzionale l’art. 103 Cost., comma 2, stabilisce il carattere della tendenziale e non assoluta generalità della giurisdizione della Corte dei conti sulla materia della contabilità pubblica (della quale, peraltro, è dubbia la coincidenza con il c.d. danno alle risorse pubbliche o alla finanza pubblica).

La sua concreta attribuzione, però, richiede l’interpositio legislatoris, all’esito di valutazioni che non toccano soltanto gli aspetti procedimentali dei giudizio, ma investono scelte in ordine a diversi regimi sostanziali della responsabilità e del giudizio tali da comportare effetti diversi nei riguardi tanto dei responsabili che dei soggetti danneggiati, sicchè soltanto al legislatore può spettare di valutare se e quali siano le soluzioni più idonee alla salvaguardia dei pubblici interessi insiti nella materia (vd., ad es., Corte cost. n. 307 de 1998; vd. anche n. 46 del 2008, n. 371 del 1998, n. 307 del 1998, n. 385 del 1996, n. 24 del 1993, n. 641 del 1987, n. 189 del 1984, n. 129 del 1981, n. 102 del 1977, n. 33 del 1968).

2.2.A tal fine occorre rilevare che la dottrina evidenzia correttamente che l’interpositio legislatoris, può presentarsi in due forme:

a)come interpositio in "positivo", propria della responsabilità amministrativa, nella quale l’intervento del legislatore ordinano rileva per la determinazione dell’ambito e degli elementi della responsabilità stessa (v. Corte cost. (Ord.), 22/07/1998, n.307);

b)come interpositio in "negativo", propria della responsabilità contabile in senso stretto, per la quale occorre, per escludere la giurisdizione della Corte dei conti per tale forma di responsabilità, un’espressa deroga alla generale attribuzione ed estensione, fondata esclusivamente sull’art. 103 Cost., nella quale è ricompresa totalmente ratione materiae (vedasi: Cass. civ. (Ord.), Sez. Unite, 27/03/2007, n. 7390).

2.3. Il giudice delle leggi ha statuito, in relazione alle norme ancora più vincolanti del c.p.p. 1930, ispirato al principio dell’unità della giurisdizione e della prevalenza del giudizio penale su tutti gli altri, che il limite funzionale della "interpositio" del legislatore attiene a scelte discrezionali del legislatore in ordine a diversi regimi della responsabilità e del giudizio. Pertanto la Corte Costituzionale ha ritenuto "non fondata la questione di legittimità costituzionale dell’art. 26 c.p.p. (1930), in relazione all’art. 489 c.p.p., comma 2, laddove precludeva l’azione di responsabilità amministrativa nei confronti del pubblico dipendente, in presenza del giudicato penale che abbia provveduto alla liquidazione del danno in favore della Pubblica Amministrazione costituitasi parte civile, non essendo precluso al giudice penale, sulla base di quella norma di disporre sul quantum del risarcimento, per preteso contrasto con l’art. 103 Cost., comma 2, che riserverebbe alla Corte dei Conti la giurisdizione in materia di responsabilità per danno erariale, anche se derivante da reato del pubblico dipendente, in quanto la disposizione secondo cui il giudice penale decide sulla liquidazione dei danno salvo che non sia stabilita la competenza di un altro giudice, va interpretato alla luce della normativa vigente al riguardo e delle statuizioni specificamente regolanti le singole materie, che, nel caso di specie, non attribuiscono alla Corte dei Conti una riserva di competenza" (Corte Cost., 07/07/1988, n. 773).

2.4. In applicazione del suddetto principio e della scelta discrezionale del legislatore, a maggior ragione è manifestamente infondato il prospettato difetto di legittimità costituzionale dell’art. 651 c.p.p. vigente, atteso che tale norma (come quella di cui agli artt. 652, 653 e 654 c.p.p.) si pone come un’eccezione al principio dell’autonomia e della separazione tra i giudizi penali, civili ed amministrativi, e come tale soggetta ad un’interpretazione restrittiva e non applicabile in via analogica oltre i casi espressamente previsti (Cass. S.U. 26.1.2011, n. 1768).

2.5. Ricollegandosi a tali enunciazioni, questa Corte, con orientamento del pari consolidato, ha puntualizzato che giurisdizione penale e giurisdizione civile per risarcimento dei danni derivanti da reato, da un lato, e giurisdizione contabile, dall’altro, sono reciprocamente indipendenti nei loro profili istituzionali, anche quando investono un medesimo fatto materiale e l’eventuale interferenza che può determinarsi tra tali giudizi pone esclusivamente un problema di proponibilità dell’azione di responsabilità e di preclusione da giudicato e non una questione di giurisdizione (Cass. 3 febbraio 1989, n. 664; ord. 21 maggio 1991, n. 369; 23 novembre 1999, n. 82; 26/11/2004, n. 22277; 24/03/2006, n. 6581).

Inquadrata la questione nello schema della preclusione da giudicato penale e non della giurisdizione emergono anche profili di irrilevanza della sollevata eccezione di legittimità costituzionale dell’art. 651 c.p.p. in questa sede di ricorso per cassazione, ammissibile solo per difetto di giurisdizione, avverso le sentenze emesse dalla Corte dei Conti.

3.Ritenuta manifestamente infondata l’eccezione di illegittimità costituzionale dell’art. 651 c.p.p., va rigettato anche il primo motivo di ricorso, con cui il ricorrente D.F. lamenta il difetto di giurisdizione della Corte dei conti per non avere accertato autonomamente il fatto, che è cagione del danno erariale, reputando incontestabile l’accertamento compiuto dal giudice penale del fatto-reato.

4. L’art. 651 c.p.p., comma 1, statuisce che "La sentenza penale irrevocabile di condanna pronunciata in seguito a dibattimento ha efficacia di giudicato, quanto all’accertamento della sussistenza del fatto, della sua illiceità penale e all’affermazione che l’imputato lo ha commesso, nel giudizio civile o amministrativo per le restituzioni e il risarcimento del danno promosso nei confronti del condannato e del responsabile civile che sia stato citato ovvero sia intervenuto nel processo penale".

La sentenza impugnata, quindi, nel riportarsi al giudicato penale quanto all’accertamento della sussistenza dei fatti di reato ed la loro imputabilità (anche) al D.F., ha correttamente applicato la disciplina di cui all’art. 651 c.p.p..

Va pertanto rigettata la censura di difetto di giurisdizione di cui al primo motivo di ricorso.

5. Passando ad esaminare il ricorso incidentale di B. L., va rilevato che lo stesso con il primo motivo lamenta la carenza di giurisdizione della Corte dei Conti e la violazione della L. 14 gennaio 1994, n. 20, art. 1, in relazione all’art. 362 c.p.c. e art. 360 c.p.c., n. 1.

Assume il ricorrente che erroneamente è stata riconosciuta la sua responsabilità amministrativa, pur non essendo egli dipendente della regione Sicilia, danneggiata, ma dello Stato, in quanto dipendente dell’UTE di Roma, e pur essendosi il fatto verificato nell’anno 1991 e quindi, prima dell’entrata in vigore della L. n. 20 del 1994.

Assume il ricorrente incidentale che il preteso rapporto di servizio con la regione Sicilia, contrariamente a quanto ritenuto dalla sentenza impugnata, non poteva ritenersi instaurato nella fattispecie nè sulla base della sua relazione di stima, nè del verbale di consistenza e presa in consegna, a quale ultimo egli si limitò a partecipare in presenza di un rappresentate della regione.

Secondo il ricorrente la sua posizione sia nella stima che nella consegna del bene, era parificabile a quella di un libero professionista ed egli non aveva esercitato nè funzioni e compiti autoritativi o a rilevanza esterna o in rappresentanza nè aveva emesso alcun parere obbligatorio, a cui la regione era tenuta ad adeguarsi, nè si era immesso nel possesso del bene in rappresentanza dell’Ente. Assume poi il ricorrente che la perizia estimativa da lui redatta non era obbligatoria, ma facoltativa per le regioni che "potevano" avvalersi degli Uffici dell’UTE. La mancanza del rapporto di servizio comportava, secondo il ricorrente, il difetto di giurisdizione della Corte dei Conti.

6. Il motivo è infondato.

I fatti addebitati al ricorrente rimontano al 1991.

A tale data non era ancora entrata in vigore la L. 14 gennaio 1994, n. 20, che ha esteso la giurisdizione della Corte dei conti alla responsabilità amministrativa degli amministratori e dipendenti pubblici anche per il caso in cui il danno fosse stato cagionato ad enti o amministrazioni diverse da quelli di appartenenza. Deve pertanto in proposito ribadirsi il principio – che consente di risolvere in modo assorbente il quesito sulla giurisdizione posto dal ricorrente – costantemente affermato da questa Corte, secondo il quale perchè sussista la giurisdizione della magistratura contabile in relazione a fatti commessi dagli amministratori e dipendenti pubblici anteriormente alla L. n. 20 de 1994, così come autenticamente interpretata dalla L. n. 639 del 1996, art. 3 deve essere configurabile una loro responsabilità patrimoniale amministrativa, basata sull’esistenza di un rapporto di servizio tra l’autore del danno e l’ente danneggiato e sui doveri ad esso inerenti, ricadendo invece nella giurisdizione ordinaria la responsabilità extracontrattuale verso enti con cui manca tale rapporto di servizio(Cass. sez. un. 30 gennaio 2003, n. 1472; 25 ottobre 1999, n. 744; 14 maggio 1998, n. 4874; 9 settembre 2008, n. 22652).

In questo secondo caso, il soggetto esterno resta tale, ma è inserito per la quota di attività che dedica alla pubblica amministrazione, nell’organizzazione funzionale dell’amministrazione o dell’ente (e ad ogni altra attività restando estranee le regole pubblicistiche della responsabilità).

Solo in questi termini di inserimento della prestazione resa dal soggetto (pure formalmente estraneo all’amministrazione) nell’attività propria della p.a., che se la riceve, il tutto sulla base di consensi formali o di fatto, si intende come a volte si sia parlato di "responsabilità patrimoniale amministrativa di natura contrattuale", rientrante nella giurisdizione della Corte dei conti, contrapposta a responsabilità extracontrattuale verso enti terzi, con cui non vi è alcun legame giuridico o di fatto, sottoposta invece alla giurisdizione ordinaria (Cass. S.U. 25.2.2010, n. 4549).

7.1. Nella fattispecie la sentenza impugnata ha accertato che il B., per quanto non dipendente della Regione Sicilia, ma funzionario dell’Ufficio Tecnico erariale di Roma, a seguito della richiesta della regione Sicilia prot. n. 4205 del 1990, era intervenuto nel procedimento dell’acquisizione dell’immobile, sia effettuando una perizia estimativa dello stesso, rendendo il parere di congruità ai sensi della circolare ministeriale n. 5 del 5.2.1990, sia partecipando al verbale di consistenza dell’immobile medesimo al momento della presa in consegna da parte di un rappresentante della regione, e dunque, stabilendo quella relazione funzionale,che caratterizza un rapporto di servizio, inserendosi funzionalmente nella attività propria dell’Ente regionale.

7.2. Di nessun rilievo è l’osservazione del ricorrente, secondo cui la attività svolta non era obbligatoria, ma facoltativa, poichè le regioni "possono avvalersi degli Uffici UTE".

Infatti ciò attiene alla scelta iniziale della regione sul punto se avvalersi dell’attività del funzionario dell’UTE o di un funzionario del proprio ufficio tecnico o di un libero professionista.

Tuttavia, allorchè la regione ha effettuato la scelta del soggetto con cui instaurare il rapporto funzionale per quella specifica attività, anche ove questo soggetto sia estraneo alla p.a., si instaura un rapporto di servizio relativamente all’attività effettivamente prestata dal soggetto e ricevuta dall’Ente.

8. Con il secondo motivo di ricorso il ricorrente lamenta l’omesso esercizio della giurisdizione da parte della Corte dei conti.

Violazione dell’art. 103 Cost., comma 2, e della L. 14 gennaio 1994, n. 20, art. 1, in relazione all’art. 362 c.p.c. e art. 360 c.p.c., n. 1.

Assume il ricorrente che sussiste il difetto di giurisdizione della Corte dei conti che non ha accertato direttamente i fatti di causa, ma si è rimessa agli accertamenti effettuati da giudice penale, in un procedimento conclusosi con sentenza di patteggiamento a norma dell’art. 444 c.p.p. e, quindi, senza efficacia di giudicato.

Lamenta poi il ricorrente che nella fattispecie la corte ha posto a base della sua decisione prove raccolte nella fase delle indagini preliminari e quindi senza alcun contraddittorio nei suoi confronti.

Infine, in via gradata, il ricorrente solleva la questione di illegittimità costituzionale dell’art. 651 c.p.p., nella parte in cui prevede il vincolo de giudicato penale nel giudizio amministrativo di risarcimento del danno, nei termini in cui è stata sollevata, ai fini della giurisdizione dal ricorrente principale D. F..

9.1. Infondate sono le censure attinenti ad un preteso difetto di giurisdizione per mancato accertamento dei fatti direttamente da parte de giudice contabile, che, invece, si sarebbe riportato agli accertamenti effettuati dal giudice penale nonchè alla sentenza di patteggiamento.

Infatti la libera scelta effettuata dal giudice contabile di avvalersi delle prove raccolte in sede penale, sottoponendole a propria autonoma valutazione, non comporta un diniego della sua giurisdizione in favore di quella del giudice penale, che ha raccolto tali elementi probatori o indiziari, in quanto è proprio l’autonomia nella scelta del materiale probatorio e nella valutazione dello stesso , che garantisce la giurisdizione del giudice contabile.

9.2. Anche in relazione alla censura secondo cui tali prove nella fattispecie non sarebbero utilizzabili nei confronti del ricorrente perchè non raccolte in suo contraddittorio, va osservato che ciò non investe una questione attinente ai limiti esterni della giurisdizione della Corte dei conti e, come tale, è inammissibile.

Anche a seguito dell’inserimento della garanzia del giusto processo nella formulazione dell’art. 111 Cost., il sindacato delle Sezioni Unite della Corte di Cassazione sulle decisioni rese dalla Corte dei Conti è limitato all’accertamento dell’eventuale sconfinamento dai limiti esterni della propria giurisdizione da parte dei giudice contabile, ovvero all’esistenza di vizi che riguardano l’essenza di tale funzione giurisdizionale e non il modo del suo esercizio, restando, per converso, escluso ogni sindacato sui limiti interni di tale giurisdizione, cui attengono gli "errores in iudicando" o "in procedendo". A tal riguardo, la censura relativa alla legittimità ed utilizzabilità delle prove penali esaminate, riguardando la correttezza dell’esercizio del potere giurisdizionale del giudice adito, rimane estranea al controllo e al superamento dei limiti esterni della giurisdizione (cfr., con riguardo al sindacato delle S.U. su decisioni dei Cons. Stato, Cass. civ. (Ord.), Sez. Unite, 16/02/2009, n. 3688).

10. La questione di legittimità costituzionale dell’art. 651 c.p.p., prima ancora che manifestamente infondata (v. punto 2.2.), è palesemente irrilevante ed inconferente.

Infatti la sentenza impugnata non ha invocato nei confronti del B., alcun giudicato penale, dando atto che nessuna sentenza di condanna era stata emessa nei confronti dello stesso, essendosi il giudizio penale concluso con sentenza di applicazione della pena su richiesta delle parti, a norma dell’art. 444 c.p.p..

11. Pertanto i ricorsi vanno rigettati e va affermata la giurisdizione della Corte dei conti.

Nessun provvedimento deve adottarsi in ordine alle spese di lite di questo giudizio di legittimità, nel contraddittorio del solo Procuratore Generate rappresentante il Pubblico Ministero presso la Corte dei conti.
P.Q.M.

Riunisce i ricorsi e li rigetta; dichiara la giurisdizione della Corte dei conti. Nulla per le spese del giudizio di cassazione.

Testo non ufficiale. La sola stampa del bollettino ufficiale ha carattere legale.

Cass. pen. Sez. V, Sent., (ud. 18-02-2011) 11-04-2011, n. 14480

Sentenza scelta dal dott. Domenico Cirasole direttore del sito giuridico http://www.gadit.it/

Svolgimento del processo

Il Tribunale di Camerino ha, con sentenza del 10.11.2009, confermato la condanna di T.E. quale colpevole di lesioni personali in pregiudizio di B.L., inflitta dal Giudice di Pace di Camerino il 19.12.2008.

Il ricorso interposto dalla difesa del T. si duole della carenza della motivazione nella parte in cui non tiene conto delle incongruenze derivanti dalla certificazione medica (che taceva sulla presenza di sangue raggrumato) rispetto alla narrativa della persona offesa e dei testimoni di accusa.

Come premesso nella parte espositiva, all’odierna udienza la difesa ha esibito un verbale di accettazione della remissione di querela avanzata dalla persona offesa, remissione di cui non era traccia in atti.
Motivi della decisione

La Corte – previo accertamento presso la Stazione di Visso – ha acquisito la dichiarazione di remissione di querela, assente in atti.

Valutata la regolarità sia dell’atto remissione sia dell’accettazione da parte del querelato dichiara l’estinzione del reato ascritto al ricorrente.

Nulla essendo in detti atti disposto per ciò che attiene alle spese, ai sensi dell’art. 340 c.p.p., comma 4, si addebitano le medesime al querelato T..
P.Q.M.

Annulla senza rinvio la sentenza impugnata, perchè il reato è estinto per remissione di querela. Condanna il querelato T. alle spese processuali.

Testo non ufficiale. La sola stampa del bollettino ufficiale ha carattere legale.