Cass. pen. Sez. V, Sent., (ud. 02-12-2010) 08-02-2011, n. 4550 Bancarotta fraudolenta Dichiarazione di impugnazione

Sentenza scelta dal dott. Domenico Cirasole direttore del sito giuridico http://www.gadit.it/

Svolgimento del processo

F.P. ricorre avverso la Sentenza della Corte d’Appello di Napoli che, in data 4.6.2008, ha parzialmente riformato la sentenza del GUP del Tribunale di Nola resa il 22.2.2005, essendo egli ritenuto colpevole – quale amministratore di fatto – di bancarotta fraudolenta patrimoniale e documentale, conseguente al fallimento di FERMEZZA ARREDAMNENTI Srl. e di FORME CONTEMPORANEE Srl, dichiarati rispettivamente il 24.1.1995 e 27.9.2000 e per la violazione della L. Fall., art. 220, (in ragione della mancata consegna della contabilità). Il GUP, all’esito del giudizio abbreviato, aveva assolto il 12.2.2005 l’imputato perchè il fatto non sussiste, avendo ritenuto inutilizzabili gli atti di indagine, perchè effettuati in epoca successiva al decorso semestrale disposto dall’art. 407 c.p.p..

La Corte d’Appello investita del gravame del P.M., al contrario, aveva ritenuto utilizzabili gli atti di indagine depositati prima della scadenza (relazioni dei curatori, scritture contabili sequestrate a seguito di perquisizione per iniziativa della Guardia di Finanza documentazione bancaria sequestrata).

Il ricorso interposto dalla difesa del F. si articola sui seguenti motivi:

– violazione della legge penale ( art. 157 c.p.) perchè il delitto di cui ai capi e) ed f) deve ritenersi estinto per prescrizione;

– inosservanza della legge processuale attesa l’inutilizzabilità degli atti assunti in data successiva al 20.9.2001, in considerazione della sentenza 22.9.2004 della Cassazione che decise nel procedimento cautelare;

– carenza di motivazione sulla effettiva assunzione della qualifica di amministratore di fatto, in capo al F., avendo la Corte trattato unitariamente le risultanze delle distinte procedure, scaturite da autonomi fallimenti, ed avendo omesso di considerare le risultanze attinenti a FORME CONTEMPORANEE S.r.l. (dep. Curatore D. S.) ed all’interrogatorio del prevenuto che allegava forti dissidi con il (defunto) fratello F., nonchè, per quanto attiene FERMEZZA ARREDAMENTI, la presenza di amministratore di diritto ( S.M., il quale rivendicò a sè l’effettiva gestione);

– violazione della legge penale ( L. Fall., art. 220) poichè l’addebito (capi e, f) deve ritenersi assorbito dalla condotta di fraudolenza documentale.

All’odierna udienza il difensore ha proposto nuovo motivo conseguente alla Sentenza della Corte Europea che, interpretando estensivamente l’art. 7 della CEDU, ha ritenuto che la legge più favorevole all’imputato abbia necessariamente efficacia retroattiva sicchè la normativa transitoria alla L. n. 251 del 2005 non risulta legittima, con conseguente necessità di sollevare incidente di legittimità costituzionale (come già ebbe recentemente ad effettuare questa Corte).
Motivi della decisione

Il ricorso dell’avv. Majorano è inammissibile perchè tardivo.

Infatti, la sentenza fu pubblicata in data 4.6.2008, depositata il 15.4.2009. Non venne stabilito alcun termine ai sensi dell’art. 544 c.p.p., comma 3, sicchè la fattispecie processuale deve inquadrarsi nel cotesto dell’art. 585 c.p.p., comma 2, con previsione di gg. 30 per l’esercizio del diritto di impugnazione, a far data dalla notificazione dell’avviso dal deposito dell’estratto contumaciale, effettuato in data 17.6.2009. Donde, la scadenza del termine utile al 16.7.2009. Il ricorso è stato presentato, invece, il 2.9.2009.

Di qui la sua intempestività e la conseguente inammissibilità.

Nè può collegarsi lo stesso a quanto dedotto con il l’originario (e tempestivo ricorso) del primo difensore, poichè quest’ultimo verteva esclusivamente sull’assorbimento della fattispecie di cui alla L. Fall., art. 220, in seno a quella della L. Fall., art. 216, (capi e) e f) e non accennava ai restanti capi dell’epigrafe, considerati esclusivamente con il ricorso del secondo difensore.

Fondato è il mezzo attinente alla L. Fall., art. 220.

Anche a prescindere dalla maturata prescrizione dei reati, in tema di reati fallimentari, la previsione dettata dalla L. Fall., art. 220, attinente agli obblighi di deposito delle scritture contabili (art. 16, n. 3), deve ritenersi assorbita dalla fattispecie di bancarotta fraudolenta documentale, commessa mediante sottrazione del compendio contabile, risultando del tutto omogenea la struttura del reato, l’interesse sotteso ad entrambe le figure del reato, ma più specifica (in ragione dell’elemento soggettivo) la condotta.

Esclusa questa imputazione dei due capi citati, la Corte elimina la pena inflitta in relazione ad essi: per essi, era stata disposta, nel contesto della continuazione, l’aumento di un mese di reclusione per ciascun reato. Scendendo al di sotto della soglia di tre anni di reclusione, si impone a mente dell’art. 29 c.p. l’eliminazione anche della pena accessoria.
P.Q.M.

Annulla senza rinvio la sentenza impugnata limitatamente ai reati di cui ai capi e) ed f) perchè assorbiti in quello di cui alla L. Fall., art. 216, ed elimina la pena di due mesi di reclusione, nonchè quella accessoria di cui all’art. 29 c.p. Dichiara il ricorso inammissibile nel resto.

Testo non ufficiale. La sola stampa del bollettino ufficiale ha carattere legale.

Cons. Stato Sez. V, Sent., 22-02-2011, n. 1105 Concessione per nuove costruzioni

Sentenza scelta dal dott. Domenico Cirasole direttore del sito giuridico http://www.gadit.it/

Svolgimento del processo

A) – Con ricorso al T.a.r. Lazio, Latina, E.I. impugnava le due concessioni edilizie n. 14/1992 (a sanatoria) e n. 55/1985 (con i relativi pareri della competente commissione edilizia), a suo tempo rilasciate ad A.D. F. e Claudia F., deducendo la violazione della disciplina urbanistica del Comune di Ripi, sotto i profili dell’accresciuta cubatura, del ritardo sindacale per aver risposto oltre i 60 giorni, delle violate n.t.a, della mancata autorizzazione antisismica ex artt. 17, 18 e 25, legge n. 64/1974, oltre all’eccesso di potere per sviamento, contraddittorietà e travisamento (quanto all’altezza ed alla destinazione del sottotetto).

Il comune intimato non si costituiva in giudizio e non trasmetteva la relazione illustrativa richiestagli dal T.a.r. adìto con apposita pronuncia interlocutoria n. 229/1995, poi reiterata e parzialmente adempiuta solo previa ulteriore sentenza istruttoria n. 206/1997.

B) – I primi giudici, attribuendo entrambe le concessioni a tutto il fabbricato (malgrado talune loro ambiguità espositive), ritenevano illegittima quella rilasciata a sanatoria, per l’eccesso di volumetria realizzato (mc. 94,75 rispetto ai mc. 780 consentiti), l’altezza dubitativamente incrementata (in ragione di m. 2,20) e la destinazione del sottotetto (facilmente adibibile a scopi abitativi, piuttosto che a depositi o ripostigli), donde il suo parziale annullamento, prontamente impugnato dalle due controinteressate soccombenti in prime cure per: irricevibilità per tardività del ricorso introduttivo, notificato il 30 maggio 1990, quando la situazione di fatto del fabbricato in costruzione era ben nota fin dal 1989, mentre la I. l’avrebbe conosciuta già il 1° marzo 1992 (data di ottenimento della concessione a sanatoria), per cui il termine di 60 giorni per ricorrere sarebbe scaduto il 30 aprile 1992; errore di giudizio per carente istruttoria, foriera di giudizi non esplicitamente formulati e suscettibili di ripensamento alla conclusione dei lavori.

L’appellata I. si costituiva in giudizio e resisteva al gravame, difendendo l’impugnata pronuncia e precisando di aver avuto la concessione in sanatoria soltanto in data 1° aprile 1992, mentre la notificazione del suo ricorso sarebbe avvenuta il 30 maggio successivo, ultimo giorno utile ai fini in esame.

All’esito della pubblica udienza di discussione la vertenza passava in decisione dopo che le due appellanti F. avevano depositato una memoria riassuntiva, mentre l’appellata I., con propria memoria riepilogativa, aveva sintetizzato le sue argomentazioni difensive, insistendo per una c.t.u. (come già accaduto in prima istanza) e depositando pure una tardiva ed irricevibile documentazione fotografica.
Motivi della decisione

L’appello è infondato e va respinto.

I) – Un’attenta ricostruzione dei fatti permette di stabilire che il rilascio della concessione era avvenuto il 1° aprile 1992 e non il 1° marzo 1992: dunque, E.I. aveva avuto conoscenza della copia conforme del provvedimento lesivo il 1° aprile 1992, impugnandolo poi con ricorso notificato il 30 maggio 1992, perfettamente entro il termine decadenziale di giorni 60.

Il Tribunale di prima istanza aveva giustamente annullato la concessione in sanatoria, nella parte assenziente ad un aumento di cubatura non previsto dalla normativa vigente (art. 13, legge n. 47/1985), secondo cui, a regime, il rilascio della concessione in sanatoria era consentito solo per i fabbricati conformi alla strumentazione urbanistica vigente sia al momento della realizzazione dell’opera che a quello di presentazione della domanda: c.d. criterio della doppia conformità, in assenza della quale la sanatoria avrebbe dovuto essere negata (presupposti più rigorosi di quelli necessari per un semplice condono edilizio).

II) – A.D. F. e Claudia F. avevano ottenuto la prima concessione (rectius: autorizzazione) edilizia il 6 luglio 1985, per costruire una civile abitazione di determinati volume e superficie, mediante lavori da iniziarsi entro l’anno e da concludersi entro il luglio 1988, ma nell’ottobre 1990 i vigili urbani avevano effettuato un sopralluogo, in occasione del quale si era potuto accertare che il fabbricato non era ancora stato ultimato e gli abusi in questione si erano già consolidati (aumento di cubatura per il diverso posizionamento del piano rialzato, posto a circa un metro dal piano di campagna), per cui sarebbe stata necessaria una nuova, distinta ed autonoma licenza edilizia.

Conseguentemente, il 29 novembre 1990 (data di presentazione della domanda di sanatoria), detto edificio già contrastava con il p.r.g. e relative n.t.a., il che avrebbe dovuto risultare ostativo all’accoglimento della citata istanza, mancando uno dei requisiti essenziali ex art. 13, legge n. 47/1985, ovvero la conformità urbanistica dell’opera in esame agli strumenti urbanistici allora vigenti, per cui i primi giudici non avrebbero potuto orientarsi altrimenti.

Conclusivamente, l’appello va respinto, con salvezza dell’impugnata sentenza, mentre le spese e gli onorari del presente grado di giudizio possono integralmente compensarsi, per giusti motivi, tra le parti ivi costituite, tenuto anche conto del loro reciproco impegno difensivo e della natura della vertenza.
P.Q.M.

Il Consiglio di Stato in sede giurisdizionale, sezione V, definitivamente pronunciando, respinge l’appello e compensa interamente spese ed onorari del giudizio di secondo grado tra le parti ivi costituite.

Ordina che la presente sentenza sia eseguita dall’autorità amministrativa.

Testo non ufficiale. La sola stampa del bollettino ufficiale ha carattere legale.

T.A.R. Piemonte Torino Sez. I, Sent., 04-03-2011, n. 230 Annullamento d’ufficio o revoca dell’atto amministrativo Atti amministrativi Amministrazione Pubblica Contratto di appalto

Sentenza scelta dal dott. Domenico Cirasole direttore del sito giuridico http://www.gadit.it/

Svolgimento del processo

Parte ricorrente ha adito l’intestato TAR impugnando gli atti in epigrafe e deducendo i seguenti motivi di ricorso:

1)Violazione e falsa applicazione dell’art. 3 della l. n. 241/90 e dell’art. 21 nonies della l. n. 241/90 nonché dei principi informanti l’esercizio dello ius poenitendi sub specie sussistenza di un interesse pubblico attuale e concreto; eccesso di potere per sviamento della causa tipica, contraddittorietà, illogicità, ingiustizia manifesta, difetto dei presupposti in fatto, difetto di istruttoria e di motivazione; illegittimamente l’amministrazione, riscontrata la carenza di requisiti tecnici indispensabili in capo al primo classificato ha ritenuto di revocare l’intera gara senza addurre la necessaria motivazione per giustificare il rivalutato interesse pubblico a porre nel nulla l’intera procedura.

2)Violazione e falsa applicazione degli artt. 8 e 9 del D.M. 406/1998 e dell’art. 212 co. 5 del d.lgs. 152/2006; violazione e falsa applicazione del combinato disposto degli artt. 2 co. 1 e 125 co. 11, 12 e 14 del d.lgs. 163/2006; violazione e falsa applicazione dei principi informanti le procedure ad evidenza pubblica sub specie del principio della libera concorrenza e par condicio; violazione e falsa applicazione dei principi costituzionali di cui all’art. 97 cost. sub specie del principio della correttezza e del buon andamento dell’azione amministrativa; eccesso di potere per sviamento della causa tipica, difetto di istruttoria, illogicità e ingiustizia manifesta; l’annullamento della revoca comporterebbe la riviviscenza dell’aggiudicazione provvisoria, aggiudicazione illegittima in quanto la controinteressata avrebbe dovuto essere esclusa perché non in possesso di indispensabili requisiti di ammissione.

Si costituiva l’amministrazione resistente eccependo l’inammissibilità del ricorso per carenza di interesse poiché, quanto al verbale delle operazioni di gara, i medesimo erano già state annullate e, quanto all’aggiudicazione alla controinteressata, la ricorrente non figurava aggiudicataria; essa non vantava pertanto alcun interesse all’annullamento dell’aggiudicazione provvisoria, essendo al limite interessata al solo annullamento dell’intera procedura. Contestava nel merito le pretese azionate da parte ricorrente.

Alla camera di consiglio del 29.7.2010 veniva accolta l’istanza cautelare; all’udienza del 4.11.2010, stante la mancata costituzione del controinteressato, veniva disposta la rinnovazione della notificazione alla E.T. s.a.s. di S.E. & C..

Parte resistente nell’ultima memoria depositata in giudizio eccepiva l’inammissibilità del ricorso per vizio della notificazione al controinteressato.

All’udienza del 24.2.2011 la causa veniva discussa e decisa.
Motivi della decisione

L’atto introduttivo del giudizio è stato notificato all’amministrazione resistente ed alla controinteressata E.T. s.a.s., aggiudicataria provvisoria della procedura annullata in autotutela.

La notifica alla E.T. s.a.s. è risultata impossibile all’indirizzo risultante dalla visura camerale per irreperibilità della medesima. E’ pacifico che la E.T. s.a.s. sia una controinteressata necessaria nel presente giudizio: essa era aggiudicataria provvisoria della procedura annullata in autotutela, nell’ambito della quale la ricorrente si era collocata al secondo posto. La ricorrente ha impugnato tanto l’annullamento della procedura quanto, contestualmente, l’aggiudicazione alla controinteressata; d’altro canto la ricorrente non vanterebbe alcun interesse a contestare l’annullamento di una procedura di cui non è risultata vincitrice, se non contestualmente censurando anche l’aggiudicazione alla controinteressata; solo in tal modo infatti potrebbe ottenere la successiva aggiudicazione per scorrimento della graduatoria.

La Ecotrattamenti è quindi parte necessaria del presente giudizio, poiché a sua volta interessata ad un ripristino della procedura che faccia salva la sua, ab origine, migliore posizione in graduatoria.

Ai sensi del combinato disposto degli artt. 143 e 145 co. 2 c.p.c., fallita la notifica presso la sede legale della società controinteressata, la ricorrente avrebbe dovuto tentare la notificazione, eventualmente con il rito degli irreperibili, presso la residenza del legale rappresentante. Ciò tuttavia non è avvenuto se non a seguito di ordinanza che ha disposto la rinnovazione della notificazione, ben oltre i termini decadenziali di impugnazione.

Ai sensi dell’art. 44 del d.lgs. 104/2010, vigente al momento in cui la rinnovazione della notificazione è stata disposta, detta rinnovazione presupporrebbe il riconoscimento di un errore scusabile; in mancanza di costituzione del destinatario non si verifica infatti alcun effetto di sanatoria e la rinnovazione non impedisce l’intervenuta decadenza se non si ravvisa un errore scusabile. Nel caso di specie, simile a quello affrontato da C. Stato, sez. V 2.8.2010, n. 5100 citato da parte resistente, si è verificato che, nel termine decadenziale, nessun rituale procedimento notificatorio è stato intrapreso dalla ricorrente. L’irreperibilità alla sede ex lege comportava l’onere di tentare la notificazione presso la residenza del legale rappresentante, ove effettivamente la successiva notificazione si è poi regolarmente perfezionata.

Pertanto l’originario procedimento notificatorio nei confronti della contro interessata è nullo per non essere stata seguita la prescritta procedura, non è stato sanato da alcuna costituzione in giudizio e quindi la domanda di annullamento è irricevibile.

Diverso ragionamento soccorre per la connessa domanda risarcitoria, assistita da un termine di prescrizione e non di decadenza; anche per questa tipologia di domanda il nuovo codice del processo amministrativo impone oggi la notificazione al controinteressato, regolarmente avvenuta in seguito all’ordinanza 82/2010 di questo TAR.

Si pone quindi la questione dell’an e del quantum risarcibile in relazione all’esercitato potere di autotutela.

La ricorrente rivendica a titolo di danno le spese di partecipazione (di quelle allegate le uniche effettivamente documentate sono il premio di polizza per la cauzione e la raccomandata di spedizione dell’offerta), il danno curriculare e il lucro cessante da mancata realizzazione del servizio.

Preliminarmente non può non osservarsi come allo stato, e non avendo tempestivamente impugnato la revoca della gara, la ricorrente non vanti una posizione di certa aggiudicazione poiché era seconda in graduatoria; né tale posizione avrebbe automaticamente vantato neppure con l’accoglimento del ricorso di annullamento, in esito al quale sarebbero residuate le ulteriori determinazioni dell’amministrazione circa l’eventuale scorrimento della graduatoria. La sua collocazione al primo posto avrebbe infatti richiesto non solo l’accoglimento della domanda di annullamento degli atti impugnati ma anche l’esclusione valida e definitiva della prima classificata (che non ha spiegato difese nel presente giudizio ma ben potrebbe ancora contestare un nuovo provvedimento amministrativo di formale esclusione mirata). Nella sostanza la ricorrente può lamentare una perdita di chance di aggiudicazione.

Nel merito la ricorrente ha censurato l’annullamento in autotutela per carenza di motivazione.

Giova premettere che, benché l’amministrazione abbia formalmente qualificato l’atto annullamento, il nomen iuris non pare vincolante per identificare il potere di autotutela esercitato; tanto è vero che nelle stesse difese dell’amministrazione si invocano promiscuamente le categorie dell’annullamento e della revoca e si adducono ragioni che sostanzialmente si collocano nell’ambito di una rinnovata valutazione di interesse pubblico circa l’opportunità della procedura. In questo senso la determinazione assunta, anche in ragione delle motivazioni addotte, assume le caratteristiche della revoca.

L’amministrazione ha individuato l’interesse pubblico all’annullamento della gara sostanzialmente in due ragioni: la legge di gara non risultava chiara, quanto alla necessità imprescindibile di possedere l’indispensabile requisito di iscrizione all’Albo Nazionale dei Gestori Ambientali (tant’è che la prima classificata, pur non possedendo detto requisito, era stata invitata e aveva dichiarato di subappaltare tale parte del servizio), né era chiara quale fosse la percentuale di lavori per la quale tale iscrizione era necessaria; la stessa stazione appaltante, avendo seguito una procedura di cottimo fiduciario, aveva invitato anche alcune ditte che non presentavano detto requisito, pur poi sostanzialmente riconoscendone l’indispensabilità al momento della valutazione delle offerte.

A tale argomento si è sovrapposta una ragione economica: in un generale contesto di riduzione della spesa storica della ASL la Regione ha dettato linee guida (intervenute successivamente alla spedizione delle lettere di invito) per le predisposizione di un piano di rientro e il conseguimento di risparmi economici in sede di acquisto di beni e servizi che hanno reso non più rispondente al pubblico interesse il criterio (della spesa storica) utilizzato per determinare la base d’asta. L’amministrazione ha quindi dato atto di voler riprovvedere in tal senso, riducendo la base d’asta, tanto più che la gara si esponeva a contestazioni da parte della prima classificata in ragione della non chiara previsione concernente l’iscrizione all’Albo Nazionale dei Gestori Ambientali.

Per quanto attiene alla questione economica pare al collegio che la cronologia sia tale per cui effettivamente le indicazioni di riduzione di spesa si siano sovrapposte alla procedura e possano dirsi sopravvenute; per altro la revoca è pacificamente ammessa anche a fronte di una rivalutazione dell’originaria situazione.

Sussisteva quindi un interesse pubblico a meglio determinare la base d’asta, avvalorato dalla pacifica non chiarezza degli atti di gara foriera di possibile contenzioso da parte dell’aggiudicatario provvisorio. In termini di revoca l’atto pare quindi legittimo.

E’ tuttavia pacifico in giurisprudenza che l’amministrazione che si determina ad una revoca, anche doverosa, non è contemporaneamente esente dal dovere di comportarsi quale corretta parte contrattuale nelle trattative ai sensi dell’art. 1337 c.c, e tale titolo di responsabilità è devoluto alla giurisdizione del GA (ad. plen. n. 6/2005). L’interesse pubblico alla revoca non esclude infatti ex se una responsabilità a titolo precontrattuale dell’amministrazionecontraente (che la maggioritaria dottrina e giurisprudenza, Cass. sez. III, 7.2.2006 n. 2525 e Cass. sez. I 18.6.2005, n. 13164, riconducono ad un genus della responsabilità extracontrattuale, qui azionata in via subordinata), là dove la ricorrente sia stata impegnata in trattative inutili. Nel caso la non chiara predisposizione degli atti di gara, riconosciuta dalla stessa amministrazione, ha leso la ricorrente quantomeno in relazione al fatto che la medesima ha sostenuto spese vive per la partecipazione inutile alla procedura, oltre ad essere stata messa in concorrenza con soggetti in capo ai quali la stessa amministrazione riconosce l’insussistenza dei requisiti di partecipazione.

E’ anche ravvisabile l’elemento soggettivo della responsabilità là dove la legge di gara è stata predisposta in termini carenti e soggetti non qualificati sono stati invitati alla procedura.

La responsabilità precontrattuale comporta un risarcimento nei limitati del cosiddetto interesse negativo, comprensivo delle spese indotte dalla negoziazione e delle occasioni perdute. Per incidens le spese sostenute per la partecipazione alla gara sono anche la voce indennizzabile ai sensi dell’art. 21 quinquies della l. n. 241/1990 in caso di revoca di atti incidente su rapporti negoziali.

Nel concreto, quanto alle spese di partecipazione, è documentato il costo di Euro 52.00 della polizza fideiussoria e quello di Euro 12,00 della spedizione della raccomandata contenente i documenti di gara. I restanti costi dedotti attengono ad ore lavorative dei dipendenti presuntivamente dedicate per la partecipazione alla gara. Si allega un tempo di 5 ore di partecipazione alla seduta di apertura delle buste senza tuttavia produrre alcun verbale dal quale si possa evincere il tempo della seduta; si allega un costo corrispondente a 5 ore lavorative per intervenuto sopralluogo e non si allega un verbale di sopralluogo (si consideri che la ricorrente è la società che ha attualmente in gestione il servizio); si allega un esorbitante numero di ore, complessivamente 10. per la predisposizione dell’offerta, per altro essendo ragionevole che l’attività degli uffici amministrativi rientri nei costi generali dell’attività sociale.

In relazione a tali ultime voci, pertanto, si ritiene non potersi riconoscere più di un importo complessivo ed equitativamente determinato di Euro 200,00.

Quanto all’ulteriore voce delle occasioni perdute ritiene il collegio che nulla possa essere riconosciuto alla ricorrente. Innanzitutto la revoca è intervenuta in tempi rapidissimi, sicchè non si è consolidato alcun ragionevole affidamento, che per altro, allo stato degli atti, vedeva vincitrice altra concorrente; in secondo luogo la stessa ricorrente non perso la "chance" di partecipare alla prossima gara, che pacificamente dovrà essere indetta; in terzo luogo la ricorrente, avendo la peculiare posizione di attuale gestore del servizio, dal fallimento della prima gara ha nella sostanza guadagnato una proroga del servizio in essere, salva sempre la possibilità di partecipare alla prossima gara. Infine la ricorrente non allega in alcun modo che l’impegno (per altro brevissimo) di partecipazione alla procedura revocata le abbia precluso ulteriori occasioni.

Ritiene pertanto il collegio che la domanda risarcitoria possa trovare accoglimento nel limite della somma di Euro 264,00 oltre interessi dai versamenti al saldo. L’importo così determinato rispetta il principio della domanda essendo sempre facoltà del giudice individuarne la corretta qualificazione giuridica con l’unico limite di attenersi ai fatti dedotti (nel caso di specie sono allegate le riconosciute voci di danno, e la condotta colposa dell’amministrazione invocando in subordine la responsabilità extracontrattuale di cui, come detto, la responsabilità precontrattuale costituisce genus).

Stante la reciproca soccombenza sussistono giusti motivi per compensare le spese di lite.
P.Q.M.

Il Tribunale Amministrativo Regionale per il Piemonte (Sezione Prima)

definitivamente pronunciando sul ricorso, come in epigrafe proposto,

dichiara irricevibile la domanda di annullamento.

Condanna parte resistente a risarcire a parte ricorrente la somma di Euro 264,00 oltre interessi dai singoli versamenti al saldo

Compensa le spese di lite.

Ordina che la presente sentenza sia eseguita dall’autorità amministrativa.

Testo non ufficiale. La sola stampa del bollettino ufficiale ha carattere legale.

Cass. civ. Sez. II, Sent., 10-06-2011, n. 12860 Servitù coattive di passaggio

Sentenza scelta dal dott. Domenico Cirasole direttore del sito giuridico http://www.gadit.it/

Svolgimento del processo

Con atto di citazione notificato il 3 luglio 1998 U., F. ed G.O. evocavano in giudizio, dinanzi al Tribunale di Nocera Inferiore, P.A. per sentire accertare che i fondi di proprietà del convenuto, siti in (OMISSIS), riportati in Catasto al foglio 2, p.lle 135, 142, 143 e 141 non godevano di alcuna servitù di passaggio su di un viottolo, assunto di proprietà comune ad essi G. ed alla FIDAPLASTIC SUD S.p.A., che, dipartendosi dalla via (OMISSIS), giungeva fino ai fondi di proprietà del P..

Instauratosi il contraddittorio, nella resistenza del convenuto, che preliminarmente eccepiva il difetto di legittimazione degli attori (che non avevano fornito la prova dell’asserita loro comproprietà del viottolo), nel chiedere il rigetto della domanda attorea, spiegava riconvenzionale affinchè venisse dichiarata l’esistenza della servitù di passaggio a piedi e carrabile sul medesimo viottolo a vantaggio dei fondi di sua proprietà, acquisita per intervenuta usucapione, il Tribunale adito accoglieva la domanda principale e dichiarava inesistente la servitù di passaggio sul viottolo in contestazione.

In virtù di rituale appello interposto dal P., con il quale lamentava l’erroneità della sentenza del giudice di prime cure nella parte in cui non aveva accertato il diritto di proprietà degli appellati sul viottolo in questione, nonostante la sua contestazione, nonchè per avere escluso l’intervenuta usucapione della servitù di passaggio in suo favore, la Corte di appello di Salerno, nella resistenza degli appellati, che con appello incidentale chiedevano la riforma della sentenza impugnata sul punto relativo alla compensazione delle spese di lite, respingeva l’appello principale e in accoglimento di quello incidentale, condannava l’appellante al pagamento delle spese processuali di primo grado.

A sostegno dell’adottata sentenza, la Corte territoriale affermava che la proprietà del preteso fondo servente era stata sufficientemente raggiunta attraverso le numerose missive intercorse fra le parti al fine di regolare i rapporti di vicinato, nonchè dall’atto pubblico per notaio Rescigno del 12.12.1956. Da quest’ultimo atto emergeva, inoltre, che il viottolo era in comproprietà di B.M. (dante causa della Fidaplastic Sud S.p.A.) e degli eredi G.T., per cui era da ritenere superata la doglianza dell’appellante.

Aggiungeva, quanto alla riconvenzionale, che sul P. gravava l’onere di integrare il contraddittorio nei confronti di tutti i comproprietari del bene preteso servente, stante la natura dell’azione esercitata, diversamente da quella esperita dagli appellati qualificabile quale negatoria servitutis, e comunque, nel merito, difettavano i requisiti di cui all’art. 1158 c.c., per cui non poteva trovare accoglimento l’appello.

Avverso l’indicata sentenza della Corte di appello di Salerno ha proposto ricorso per cassazione il P., che risulta articolato su due motivi, al quale hanno resistito i germani G. con controricorso. Parte ricorrente ha depositato memoria ex art. 378 c.p.c..
Motivi della decisione

Con il primo motivo il ricorrente deduce la violazione o falsa applicazione degli artt. 949, 2727, 2729 c.c. in relazione all’art. 360 c.p.c., n. 3, nonchè l’omessa, insufficiente e illogica motivazione su un punto decisivo della controversia, con riferimento all’art. 360 c.p.c., n. 5; in particolare la censura è nel senso che il giudice del gravame non ha esaminato correttamente gli atti posti a base de diritto di proprietà del viottolo da parte dei resistenti, essendo l’atto pubblico relativo all’acquisto da parte di M. B. (dante causa della Fidapastic Sud) e non già dei G.; nè una tale rilevanza poteva essere attribuita alla corrispondenza intercorsa fra le parti.

Premesso che, in realtà, la questione dibattuta attiene alla legittimazione attiva – costituente una condizione per ottenere dal giudice la trattazione dal merito della causa, indipendentemente dalla titolarità effettiva del rapporto controverso – ai fini dell’accertamento di merito della sussistenza in capo agli attori della titolarità del bene su cui è dedotto il comportamento lesivo della controparte, il motivo in esame non risulta giuridicamente fondato. Nella specie, l’impugnata sentenza non è inficiata dai denunciati vizi di violazione di legge e di difetto di motivazione, in relazione all’interpretazione data al rogito notarile del 12 dicembre 1956.

La lettura del motivo rende manifesto che, in concreto, il ricorrente non addebita alla corte del merito una inaspettata ricostruzione dell’atto pubblico e quindi della titolarità del bene su cui incide la sua condotta, nè enuclea violazioni dei canoni ermeneutici dettati dall’art. 1363 c.c., ma si duole fondamentalmente che detto atto, unitamente ad altri documenti, non sia stato inteso così come egli pretendeva dovesse intendersi, inframmezzando le proprie censure di merito con spunti attinenti alla legittimità che non si attagliano affatto alla fattispecie. La corte territoriale ha messo bene in evidenza che non avendo l’azione esperita funzione recuperatoria, nè investendo la titolarità del diritto dominicale, ma essendo chiesta la cessazione dell’attività lesiva, la dimostrazione dell’esistenza di un titolo valido di proprietà de bene può essere dato con ogni mezzo ed anche in via presuntiva (in tal senso, v, Cass. 23 gennaio 2007 n. 1409; Cass. 27 dicembre 2004 n. 24028).

In un tale contesto, dunque, non assume rilevanza alcuna la circostanza dedotta dal ricorrente, secondo cui si tratterebbe di documento che si riferisce all’acquisto da parte di M. B. (dante causa della Fidapastic Sud) e non già a quello dei G., giacchè si tratta di uno degli elementi indiziari da cui è stata dedotta la legittimazione attiva in capo agli originari attori del giudizio.

In forza di tali argomentazioni, la corte d’appello ha escluso sussistere un difetto di interesse degli appellati ad una pronuncia di merito.

Detto accertamento di fatto – istituzionalmente riservato al giudice del merito – nel quale si è concretato il risultato dell’interpretazione dell’atto notarile, unitamente agli altri documenti, è dunque sorretto da motivazione sufficiente ed immune da vizi logici palesi e/o da errori di diritto.

La critica che il ricorrente muove alla riferita interpretazione mostra di non cogliere nel segno la ratio decidendi della sentenza impugnata.

Si assume che da oltre 30 anni il violetto in contesa sarebbe stato inglobato nella proprietà Fidaplastic e i G. ne avrebbero tracciato un altro su terreno di loro assoluta proprietà, ma l’assunzione di tale percorso alternativo è affermazione che, priva di qualunque riscontro, pretende di ribaltare, sul piano meramente asseverativo, la conclusione raggiunta dal giudice di merito.

Ne consegue che la decisione del giudice di secondo grado è logica ed è supportata da adeguata motivazione e l’assunto che sia arbitraria non centra l’obiettivo, non attaccandone la ratio.

La corte territoriale, diversamente da quanto opinato dal ricorrente, ha valutato nel complesso la documentazione allegata agli atti ed ha concluso per l’inammissibilità dell’appello proprio perchè essendo gli attori comproprietari del viottolo, è fatta riserva a ciascuno di essi di proporre azione a tutela della loro posizione, mentre grava su colui che eccepisce l’intervenuta usucapione l’onere di integrare i contraddittorio nei confronti di tutti i comproprietari del bene preteso servente.

Poichè dunque, come si è detto, la Corte di Salerno ha esaminato compiutamente gli atti di causa, traendone conclusioni giuridicamente corrette, ne consegue (v. Cass. 26 maggio 2004 n. 10156) che per poter configurare il vizio di motivazione su un asserito punto decisivo della controversia, è necessario un rapporto di causalità fra la circostanza che si assume trascurata e la soluzione giuridica data alla controversia, tale da far ritenere che quella circostanza, se fosse stata considerata, avrebbe portato ad una diversa soluzione della vertenza. Il mancato esame di elementi probatori, contrastanti con quelli posti a fondamento della pronunzia, costituisce vizio di omesso esame di un punto decisivo solo se le risultanze processuali non esaminate siano tali da invalidare, con un giudizio di certezza e non di mera probabilità, l’efficacia probatoria delle altre risultanze sulle quali il convincimento è fondato, onde la ratio decidenti venga a trovarsi priva di base.

Invece, si ribadisce, anche in questa sede il ricorrente si limita a riproporre le proprie tesi sulla valutazione delle prove acquisite in sede di merito, senza addurre argomentazioni idonee ad inficiare la motivazione della sentenza impugnata, peraltro esente da lacune o vizi logici determinanti, per cui non si configura vizio di sorta e la differente ipotesi prospettata non scalfisce la logicità dell’argomentazione dedotta a sostegno della sentenza impugnata.

Con il secondo motivo il ricorrente lamenta la violazione e falsa applicazione degli artt. 354 e 353 c.p.c. con riferimento all’art. 360 c.p.c., n. 3 e all’art. 380 c.p.c., u.c., giacchè in relazione alla riconvenzionale spiegata il giudice del gravame non avrebbe potuto dichiarare irrituale o inammissibile la domanda, ma avrebbe dovuto rimettere le parti avanti al primo giudice per l’integrazione del contraddittorio ex art. 102 c.p.c., trattandosi di questione pregiudiziale. Va immediatamente chiarito che deve affermarsi la qualità di litisconsorzi necessari (ex art. 102 c.p.c., comma 1) dei comproprietari di un bene allorchè venga eccepita l’usucapione, giacchè gli effetti dell’eventuale accoglimento della domanda e/o eccezione di colui che domanda detta dichiarazione, non è suscettibile di prodursi se non con una sentenza che abbia effetto anche nei confronti degli altri comproprietari. Il giudice avrebbe, dunque, dovuto ordinare l’integrazione del contraddittorio nei loro confronti, ai sensi del secondo comma della citata disposizione. E, tuttavia, quando l’esito del giudizio di merito sia stato tale da non poter arrecare pregiudizio alcuno alla posizione dei litisconsorzi pretermessi, occorre indagare quale sia l’interesse della parte soccombente alla rinnovazione dei giudizio con la loro partecipazione, che va evidentemente correlato alla tutela della posizione del soggetto ricorrente. Nella specie l’esigenza di tutela del convenuto (attuale ricorrente) va apprezzato, ex post, come palesemente insussistente, giacchè il rigetto dell’eccezione di usucapione e la ravvisata infondatezza del presente ricorso per cassazione da luogo ad una situazione nella quale non può affermarsi che egli potesse conseguire alcun vantaggio dall’identico esito de processo che avesse visto la partecipazione anche dei litisconsorzi pretermessi, comproprietari del bene in contesa, il cui interesse all’esito del giudizio era opposto a quello del convenuto. La cassazione della sentenza e la rinnovazione del giudizio di merito potrebbe, infatti, sortire un effetto favorevole per il P. solo ipotizzandone un diverso esito. Ipotesi, peraltro, definitivamente ed incontestabilmente contrastata dalla infondatezza del ricorso per cassazione in ordine a tutte le censure mosse, nessuna delle quali era neppure astrattamente suscettibile di dar luogo ad un esito diverso se al processo avessero partecipato anche gli altri comproprietari, la cui pretermissione non ha dunque comportato pregiudizio alcuno all’attuale ricorrente. Deve conseguentemente affermarsi l’inammissibilità per difetto di interesse del motivo di ricorso per cassazione con il quale la parte soccombente si dolga della mancata integrazione del contraddittorio nei confronti dei litisconsorzi necessari, quante volte essa non avrebbe potuto trarre alcun vantaggio dalla partecipazione al giudizio dei litisconsorzi pretermessi, per essere risultate infondate tutte le altre censure mosse alla sentenza impugnata e per non potersi neppure astrattamente ipotizzare, in relazione all’atteggiarsi delle singole situazioni, che la partecipazione al giudizio dei litisconsorzi sarebbe stata suscettibile di risolversi in una decisione di contenuto diverso e favorevole alla stessa parte soccombente (v. Cass. 30 gennaio 2009 n. 2461).

L’inutile reiterazione del giudizio sarebbe tra l’altro contraria alle esigenze di economia processuale strumentali all’attuazione del principio della ragionevole durata del processo sancito dal novellato art. 111 Cost., comma 2, ultima parte, che impone un’interpretazione costituzionalmente orientata delle disposizioni del codice di rito, in chiave ancora più accentuatamente funzionale (v. sul punto, i diffusi rilievi di Cass. sez. un, 9 ottobre 2008 n. 24883), anche nel senso della tendenziale preclusione della rinnovazione di atti certamente insuscettibili di offrire risultati diversi da quelli già dati.

Il ricorso va conclusivamente respinto.

Al rigetto consegue, come per legge, la condanna della ricorrente al pagamento in favore della resistente delle spese del giudizio di Cassazione, liquidate come in dispositivo.
P.Q.M.

LA CORTE rigetta il ricorso e condanna parte ricorrente alla rifusione delle spese del giudizio di Cassazione, che liquida in complessivi Euro 1.200,00, di cui Euro 200,00 per esborsi.

Testo non ufficiale. La sola stampa del bollettino ufficiale ha carattere legale.