T.A.R. Lazio Roma Sez. III quater, Sent., 18-07-2011, n. 6424 Competenza e giurisdizione

Sentenza scelta dal dott. Domenico Cirasole direttore del sito giuridico http://www.gadit.it/

Svolgimento del processo

1. Con ricorso notificato in data 30 giugno 2010 e depositato il successivo 23 luglio 2010 il sig. D.G. ha impugnato il decreto del 30 aprile 2010 del Direttore generale dell’Ater del Comune di Roma, con il quale è stato disposto il rilascio dell’alloggio di edilizia residenziale pubblica sito in via Doria n. 79.

2. Avverso i predetti provvedimenti parte ricorrente è insorta deducendo vizi di violazione di legge e di eccesso di potere.

3. Si è costituita in giudizio l’Azienda Territoriale per l’Edilizia Residenziale Pubblica (A.T.E.R.) del Comune di Roma, che ha preliminarmente eccepito il difetto di giurisdizione del giudice adito, mentre nel merito ha so sostenuto l’infondatezza del ricorso.

4. Si è costituito in giudizio il Comune di Roma (ora, Roma Capitale), che ha preliminarmente eccepito il proprio difetto di legittimazione passiva ed il difetto di giurisdizione del giudice adito, mentre nel merito ha so sostenuto l’infondatezza del ricorso.

5. Con ordinanza n. 3784 del 2 settembre 2010 è stata respinta l’istanza cautelare di sospensiva.

6. All’udienza del 13 luglio 2011 la causa è stata trattenuta per la decisione.

Motivi della decisione

Il ricorso è inammissibile per difetto di giurisdizione del giudice adito.

L’esame di tale questione assume carattere prioritario rispetto all’ulteriore profilo di inammissibilità, eccepito da Roma Capitale, per difetto di legittimazione passiva. Il difetto di giurisdizione di questo giudice, infatti, lo priva del potere di esaminare qualsiasi profilo della controversia, sia in rito che nel merito (Cons.Stato, VI Sez., 30 gennaio 2009 n. 519; V Sez., 22 maggio 2006 n. 3026).

E’ noto che per le controversie in materia di alloggi di edilizia economica e popolare, il riparto della giurisdizione – a parte la speciale ipotesi di opposizione davanti al pretore prevista dall’art. 11, comma 13, DPR 30 settembre 1972 n. 1035 con esclusivo riguardo al provvedimento di decadenza dall’assegnazione per mancata occupazione dell’alloggio nel termine prescritto – è regolato dal consueto criterio della posizione soggettiva riconoscibile in capo al privato, dovendosi attribuirla al giudice amministrativo allorquando tale posizione sia di interesse legittimo, perché attinente alla fase del procedimento amministrativo strumentale all’assegnazione, caratterizzato da poteri pubblicistici, e al giudice ordinario allorquando sia di diritto soggettivo perfetto, in quanto attinente al rapporto locativo costituitosi in seguito a detta assegnazione (Cass. civ., S.U., 23 febbraio 2001, n. 65; Cons. Stato, sez. V, 16 maggio 2011, n. 2949).

Pertanto, nel complessivo procedimento per l’assegnazione degli alloggi in questione, va distinta una prima fase, di natura pubblicistica, caratterizzata dall’esercizio di poteri amministrativi finalizzati al perseguimento di interessi pubblici e, correlativamente, da posizioni di interesse legittimo dell’assegnatario; da quella successiva, di natura privatistica, nella quale, poiché la regolamentazione dei rapporti tra ente assegnante ed assegnatario assume una diretta rilevanza, la posizione soggettiva del privato assume il carattere di diritto soggettivo.

Ne consegue che le controversie attinenti a pretesi vizi di legittimità dei provvedimenti emessi nella prima fase del rapporto appartengono alla giurisdizione del giudice amministrativo, mentre appartengono all’autorità giudiziaria ordinaria quelle sorte dopo l’assegnazione, nelle quali si contesti il potere dell’ente assegnante di pronunciare l’estinzione del già sorto diritto soggettivo dell’assegnatario al godimento dell’alloggio (Cons. Stato, sez. V, 16 maggio 2011, n. 2949; 11 agosto 2010, n. 5617; 2 ottobre 2009, n. 5140; sez. IV, 31 marzo 2009, n. 2001; Cass.civ., S.U., 2 giugno 1997, n. 4908).

Si è aggiunto che in base alla disciplina di cui all’art. 33 d.lgs. 31 marzo 1998 n. 80, nel testo sostituito dall’art. 7 l. 21 luglio 2000 n. 205, come risulta a seguito della sentenza di illegittimità costituzionale parziale n. 204 del 2004 Corte cost., nella materia dell’edilizia residenziale pubblica – senz’altro ricompresa, per la finalità sociale che la connota, in quella dei servizi pubblici – la giurisdizione del giudice amministrativo non è configurabile nella fase successiva al provvedimento di assegnazione, giacché detta fase è segnata dall’operare della p.a. non quale autorità che esercita pubblici poteri, ma nell’ambito di un rapporto privatistico di locazione, tenuto conto che i provvedimenti adottati, variamente definiti di revoca, decadenza, risoluzione, non costituiscono espressione di una ponderazione tra l’interesse pubblico e quello privato, ma si configurano come atti di valutazione del rispetto da parte dell’assegnatario di obblighi assunti al momento della stipula del contratto, ovvero si sostanziano in atti di accertamento del diritto vantato dal terzo al subentro sulla base dei requisiti richiesti dalla legge. (Cass.civ., S.U., 23 dicembre 2004, n. 23830; 12 giugno 2006, n. 13527).

Il difetto di giurisdizione si estende anche all’ipotesi di ordine di rilascio dell’alloggio occupato abusivamente.

Con specifico riferimento all’occupazione abusiva la Corte di Cassazione (12 giugno 2006 n. 13527) ha affermato che in tale ipotesi la giurisdizione appartiene al giudice ordinario e ciò in quanto la controversia "non attiene alla fase pubblicistica dell’assegnazione, nella quale sono stabiliti i requisiti soggettivi ed i criteri di attribuzione dei punteggi tra gli aventi diritto, ma si riferisce ad una vicenda riguardante il potere dell’assegnatario di dare ospitalità a terzi nell’alloggio di edilizia residenziale pubblica".

Per le ragioni che precedono il ricorso deve essere dichiarato inammissibile per difetto di giurisdizione, in quanto riservato alla cognizione del giudice ordinario competente, davanti al quale per questa parte il processo può essere proseguito con le modalità e termini di cui all’art. 11 c.p.a..

Quanto alle spese di giudizio, può disporsene l’integrale compensazione fra le parti costituite in giudizio.

P.Q.M.

Il Tribunale Amministrativo Regionale per il Lazio (Sezione Terza Quater)

definitivamente pronunciando sul ricorso, come in epigrafe proposto, lo dichiara inammissibile per difetto di giurisdizione e dichiara la giurisdizione del giudice ordinario, davanti al quale il processo può essere riproposto con le modalità e i termini di cui all’art. 11 c.p.a..

Compensa integralmente tra le parti in causa le spese e gli onorari del giudizio.

Ordina che la presente sentenza sia eseguita dall’autorità amministrativa.

Testo non ufficiale. La sola stampa del bollettino ufficiale ha carattere legale.

T.A.R. Molise Campobasso Sez. I, Sent., 04-08-2011, n. 529Servizi comunali

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Svolgimento del processo – Motivi della decisione

I – Il ricorrente dottore commercialista, avendo presentato la propria candidatura per la nomina nel collegio dei revisori dei conti del Comune di Campobasso, ed avendo appreso dell’elezione di un altro professionista che egli ritiene ineleggibile, insorge per impugnare i seguenti atti: 1)la deliberazione del Consiglio Comunale di Campobasso n. 19 del 7.7.2010, avente a oggetto la nomina del collegio dei revisori dei conti per il triennio 20102013, nella parte in cui è nominato a componente iscritto all’albo dei dottori commercialisti ed esperti contabili il dott. V.D.C.; 2)tutti gli atti preordinati, connessi e conseguenti. Il ricorrente chiede, altresì, la declaratoria del suo diritto a essere nominato componente del collegio dei revisori dei conti di Campobasso, in luogo del suddetto controinteressato. Il ricorrente deduce i seguenti motivi: 1)violazione e falsa applicazione del D.Lgs. n. 267/2000 (T.u.e.l.) artt. 235 e 236, violazione dell’art. 2399 codice civile, violazione del D.P.R. 6.3.1998 n. 99 art. 39, violazione del D.Lgs. 27.1.2010 n. 39 di attuazione della Direttiva 2006/43/CE relativa alle revisioni legali dei conti annuali e dei conti consolidati, violazione degli artt. 3, 4, 35, 97 e 98 della Costituzione, eccesso e sviamento di potere, ingiustizia manifesta, illogicità manifesta, travisamento dei fatti; 2)ineleggibilità, incompatibilità e inidoneità del candidato eletto; 3)ineleggibilità per espletamento delle stesso incarico di revisore contabile nel Comune di Campobasso in altri due trienni precedenti (20022004, 20042007).

Si costituisce l’Amministrazione intimata, deducendo l’inammissibilità e l’infondatezza del ricorso. Conclude per la reiezione.

Si costituisce la parte controinteressata, per resistere nel giudizio.

Con l’ordinanza collegiale n. 266 del 2010, questa Sezione accoglie la domanda cautelare della parte ricorrente. La misura è confermata in appello con ordinanza n. 5324/09 del Consiglio di Stato, Sezione quinta.

Con l’ordinanza presidenziale n. 187 del 2011, sono disposti incombenti istruttori, ai quali l’Amministrazione dà esecuzione.

All’udienza del 22 giugno 2011, la causa viene introitata per la decisione.

II – Il ricorso è fondato.

III – Il dottore commercialista D.C., odierno controinteressato, eletto con otto voti, nella seduta del Consiglio Comunale del 7 luglio 2010, quale componente del collegio dei revisori dei conti del Comune di Campobasso, in effetti – come dedotto dal ricorrente – aveva già ricoperto il medesimo incarico nei trienni 20022004 e 20042007. Inoltre, nel periodo dal 9.10.2008 al 1°.12.2009, il medesimo controinteressato aveva ricoperto la carica di Presidente di una società interamente partecipata e controllata dal Comune di Campobasso. Il Collegio, alla luce dei fatti, ritiene di poter condividere la prospettazione del ricorrente che denuncia, in tale situazione, una palese compromissione dell’imparzialità, dell’indipendenza e dell’idoneità al corretto svolgimento delle funzioni di controllo dei conti, dalla quale discende l’ineleggibilità ovvero l’insanabile incompatibilità del professionista controinteressato alla carica di revisore presso il Comune di Campobasso.

Invero, a tenore dell’art. 236, primo comma, del testo unico degli enti locali di cui al D.Lgs. 18 agosto 2000 n. 267, per i revisori dei conti degli enti locali, valgono le ipotesi di incompatibilità di cui al primo comma dell’art. 2399 del codice civile. Per l’art. 2399, primo comma, del codice civile, "non possono essere eletti alla carica di sindaco e, se eletti, decadono dall’ufficio…lett. c) coloro che sono legati alla società o alle società da questa controllate o alle società che la controllano, o a quelle sottoposte a un comune controllo, da un rapporto di lavoro o da un rapporto continuativo di consulenza o di prestazione d’opera retribuita, ovvero da altri rapporti di natura patrimoniale che ne compromettano l’indipendenza". Anche a voler rilevare che vi sia una discrasia tra il citato art. 236 del T.u.e.l. (che parla di incompatibilità) e l’art. 2399 c.c. (che configura una serie di ipotesi di ineleggibilità alla carica, a cu consegue la decadenza di diritto) ed anche a voler ritenere che la normativa civilistica non si applichi pedissequamente ai revisori dei conti degli enti locali, si consideri, tuttavia, che l’art. 39 comma secondo lett. c) del D.P.R. 6 marzo 1998 n. 99 – recante il regolamento di esercizio delle funzioni di revisore contabile – prevede come fattispecie generale di rilievo disciplinare, avente una gravità tale da giustificare la sospensione dall’albo del revisore contabile, il fatto che il revisore abbia intrattenuto – nei due anni antecedenti – con il soggetto che conferisce l’incarico o con soggetti da esso controllati, rapporti continuativi o rilevanti aventi a oggetto prestazioni di consulenza o collaborazione. Anche il D.Lgs. 27 gennaio 2010 n. 39 – recante l’attuazione di una direttiva europea sulle revisioni legali dei conti – agli artt. 10 e 17, impone il dovere di indipendenza del revisore legale, prescrivendo che esso non debba mai essere coinvolto, in alcun modo, nel processo decisionale dell’ente controllato.

Questa Sezione conosce la giurisprudenza che considera legittima la rielezione di un revisore dei conti, quando non vi siano esplicite ragioni di ineleggibilità (cfr.: Cons. Stato V, 16.11.2005 n. 6407; T.A.R. Abruzzo, Pescara, 20.11.2003 n. 1031), tuttavia – stante la costante, tumultuosa evoluzione del quadro normativo, in particolare di quello riguardante la gestione "in house providing" dei servizi pubblici locali – si deve ormai ritenere che rientrino nelle funzioni del collegio dei revisori dei conti del Comune anche i compiti di collaborazione nell’esercizio del cosiddetto "controllo analogo" verso le società comunali che gestiscono servizi pubblici locali (cfr.: Cons. Stato, Ad Plen., 3.3.2008 n. 1; T.A.R. Lombardia Milano III, 10.12.2008 n. 5758). E’ del tutto plausibile, allora, che un revisore dei conti del Comune sia chiamato, nella sua funzione, a occuparsi di fornire una consulenza in ordine al "controllo analogo" nei riguardi di una società comunale di servizi. Poiché, nel caso di specie, il professionista controinteressato ha ricoperto l’incarico di amministratore della società comunale che gestisce i servizi ambientali, fino al dicembre 2009, ciò sicuramente costituisce causa di incompatibilità assoluta alla carica di revisore comunale, non rimovibile con la semplice opzione, poiché rende sovrapponibili e non separabili, in un unico soggetto, le posizioni di controllore e di controllato, con palese violazione del principio di imparzialità amministrativa (cfr.: Cons. Stato V, 16.11.2005 n. 6407). Tale situazione, peraltro, rientra pienamente nella citata previsione regolamentare dell’art. 39 comma secondo lett. c) del D.P.R. n. 99/1998 che, come già detto, attribuisce valenza di violazione disciplinare – rilevante ai fini di accertare, in via sintomatica, la presenza di un eccesso di potere che inficia la legittimità dell’atto amministrativo – al fatto che il revisore abbia intrattenuto, nei due anni antecedenti, con il soggetto che conferisce l’incarico o con soggetti da esso controllati, rapporti continuativi aventi a oggetto prestazioni di consulenza o di collaborazione.

Pertanto, i motivi del ricorso sono da ritenersi attendibili.

Vi è stata, nel caso di specie, un’errata applicazione del D.Lgs. n. 267/2000, in particolare dell’art. 236, nella parte in cui rinvia alla disciplina di ineleggibilità e incompatibilità del sindacorevisore, contenuta nell’art. 2399 del codice civile. Più ancora è ravvisabile, nel provvedimento impugnato, una violazione della normativa posta a tutela dell’indipendenza e imparzialità del revisore contabile (in particolare, del citato D.P.R. n. 99/1998, art. 39, e del citato D.Lgs. n. 39/2010, di attuazione della Direttiva 2006/43/CE relativa alle revisioni legali dei conti annuali e dei conti consolidati).

IV – Considerato che il ricorrente, nella seduta consiliare del 7 luglio 2010, ha ottenuto sette voti, risultando il primo tra i non eletti nel collegio dei revisori dei conti del Comune di Campobasso, egli può subentrare automaticamente al componente di cui è annullata l’elezione, dovendo considerarsi ormai verificata l’elezione del ricorrente alla carica di membro del collegio dei revisori dei conti del Comune di Campobasso, per effetto dello scrutinio e della conta dei voti ottenuti dal ricorrente medesimo, quale verbalizzata e certificata nella delibera di C.C. n. 19/2010. Nondimeno, per ragioni di trasparenza amministrativa, sarà necessario che il Consiglio Comunale prenda formalmente atto, in una delle sue sedute, di detta elezione, conseguente all’annullamento giurisdizionale dell’elezione del professionista controinteressato.

V – In conclusione, il ricorso deve essere accolto. Le spese del giudizio – liquidate forfetariamente in euro 2000,00 (duemila), al lordo – seguono la soccombenza e sono poste a carico dell’Amministrazione resistente e della parte controinteressata, in solido tra loro.

P.Q.M.

Il Tribunale Amministrativo Regionale per il Molise, definitivamente pronunciando sul ricorso in epigrafe, lo accoglie e, per l’effetto, annulla la deliberazione consiliare impugnata, nella parte in cui elegge il professionista controinteressato, anziché il ricorrente, nella carica di componente del collegio dei revisori del Comune di Campobasso.

Condanna l’Amministrazione e la parte controinteressatata, in solido tra loro, alle spese del giudizio che liquida, in favore del ricorrente, in euro 2000,00 (duemila) al lordo.

Ordina all’Autorità amministrativa di dare esecuzione alla presente sentenza.

Testo non ufficiale. La sola stampa del bollettino ufficiale ha carattere legale.

Cass. civ. Sez. II, Sent., 29-12-2011, n. 29695 Patto commissorio

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Svolgimento del processo – Motivi della decisione

D.C.B. nel gennaio 1997 agiva nei confronti di D. M.P., rappresentante dei genitori D.M.D. e B.T., chiedendo che fosse accertata l’autenticità della sottoscrizione del contratto con il quale il mandatario le aveva alienato nel 1996 un lotto di terreno in (OMISSIS), contro pagamento del prezzo di L. 75 milioni.

Nel 2003 il tribunale di Modena accoglieva le eccezioni del convenuto e dichiarava la nullità del contratto per violazione della norma imperativa di cui all’art. 2744 c.c..

La Corte di appello di Bologna il 14 ottobre 2003 confermava tale sentenza.

D.C.B. ha proposto ricorso per cassazione, notificato il 15 ottobre 2009, proponendo due complessi motivi, ciascuno articolato su più profili.

Il D.M. ha resistito con controricorso, eccependo tra l’altro l’inammissibilità del ricorso per vizi della individuazione della parte intimata e per violazione dell’art. 366 bis c.p.c.. Sono state depositate memorie.

Il ricorso, soggetto ratione temporis alla disciplina novellatrice di cui al D.Lgs. n. 40 del 2006, è inammissibile. I motivi denunciano rispettivamente:

1a) violazione e falsa applicazione dell’art. 61 c.p.c.; attt. 1392, 1396, 1710, 1711, 1713, 2699, 2700, 2744 c.c., art. 646 c.p., L. n. 89 del 1913, art. 59 e segg.; R.D.L. n. 1666 del 1937;

1b) violazione e falsa applicazione della normativa sugli assegni vigente all’epoca dei fatti: R.D. 21 dicembre 1933, n. 1736, artt. 32, 35, 46,60 e 62; R.D. n. 1669 del 1933, art. 68; D.P.R. n. 290 del 1975, art. 8; L. 15 dicembre 1990, n. 386, artt. 2, 3, 8, 8 bis, 9, 9 bis, e segg..

1c) violazione e falsa applicazione della normativa relativa al valore probatorio di atti pubblici ed alla opponibilità a terzi delle eventuali modifiche agli stessi ( artt. 1392, 1396 c.c.; L. n. 15 del 1968; L. n. 89 del 1993 e successive modifiche artt. 2699 e 2700 c.c.).

2) omessa, insufficiente e contraddittoria motivazione circa un punto decisivo della controversia, in particolare;

a) "circa la fondatezza e veridicità delle testimonianze rese dai due testi sentiti in primo grado, alla base della motivazione (della) sentenza emessa dalla Corte d’appello". b) "circa la fondatezza e veridicità della asserita difficoltà economico finanziaria del D.M.P.". c) "circa la domanda subordinata dell’appellante di correzione errore materiale rigettata dalla Corte d’appello di Bologna";

d) "circa le spese legali liquidate in sentenza dalla Corte d’appello di Bologna alla controparte".

Nessuno dei motivi si conclude con la formulazione del quesito di diritto che è indispensabilmente previsto, a norma dell’art. 366 bis c.p.c., a pena di inammissibilità, per l’illustrazione di ciascun motivo nei casi previsti dall’art. 360, comma 1, nn. 1), 2), 3), e 4).

Il quesito di diritto di cui all’art. 366 bis cod. proc. civ. deve compendiare: a) la riassuntiva esposizione degli elementi di fatto sottoposti al giudice di merito; b) la sintetica indicazione della regola di diritto applicata da quel giudice; c) la diversa regola di diritto che, ad avviso del ricorrente, si sarebbe dovuta applicare al caso di specie (Cass. 19769/08).

Pertanto deve essere formulato, ai sensi dell’art. 366 bis cod. proc. civ., in termini tali da costituire una sintesi logico-giuridica della questione, così da consentire al giudice di legittimità di enunciare una "regula iuris" da applicare nel caso concreto (Cass. 9477/09; SU 7433/09).

Quanto alla parte delle censure che espone omessa, insufficiente e contraddittoria motivazione in relazione all’art. 360, n. 5, si rileva la mancata indicazione del fatto controverso su cui cadrebbe il vizio di motivazione.

In proposito la giurisprudenza (SU n. 20603/07; Cass. 4309/08;

16528/08) ha chiarito che la censura ex art. 360, n. 5 deve contenere un momento di sintesi (omologo del quesito di diritto) che ne circoscriva puntualmente i limiti, per consentire una pronta identificazione delle questioni da risolvere. Il requisito concernente il motivo di cui al n. 5 del precedente art. 360 – cioè la "chiara indicazione del fatto controverso in relazione al quale la motivazione si assume omessa o contraddittoria, ovvero delle ragioni per le quali la dedotta insufficienza della motivazione della sentenza impugnata la rende inidonea a giustificare la decisione" – deve consistere in una parte del motivo che si presenti a ciò specificamente e riassuntivamente destinata, di modo che non e1 possibile ritenerlo rispettato allorquando solo la completa lettura della complessiva illustrazione del motivo riveli, all’esito di un’attività di interpretazione svolta dal lettore e non di una indicazione da parte del ricorrente, deputata all’osservanza del requisito del citato art. 366 bis, che il motivo stesso concerne un determinato fatto controverso, riguardo al quale si assuma omessa, contraddittoria od insufficiente la motivazione e si indichino quali sono le ragioni per cui la motivazione è conseguentemente inidonea sorreggere la decisione.

Anche questa omissione è sanzionata con l’inammissibilità dall’art. 366 bis c.p.c..

Giova rilevare che neanche il punto b) del secondo motivo soddisfa i requisiti di legge, poichè non vi è alcuna specificazione sintetica delle ragioni per cui il fatto ivi appena accennato (difficoltà economica finanziaria del D.M.) sarebbe controverso e rilevante in causa.

In relazione alla memoria di parte ricorrente va ribadito, in tema di quesito di diritto, che la L. n. 69 del 2009, art. 47, con il quale è stato abrogato l’art. 366 bis cod. proc. civ., si applica, per effetto della disposizione transitoria contenuta nell’art. 58, comma 5, della medesima legge, solo con riferimento alle controversie nelle quali il provvedimento impugnato con il ricorso per cassazione sia stato pubblicato successivamente alla data di entrata in vigore della legge (Cass. 26364/09), con la conseguenza che per quelli proposti antecedentemente (dopo l’entrata in vigore del d. lgs. n. 40 del 2006, come nella specie) tale norma e1 da ritenersi ancora applicabile (Cass. 7119/10). Discende da quanto esposto la declaratoria di inammissibilità del ricorso e la condanna alla refusione delle spese di lite, liquidate in dispositivo.

Mette conto aggiungere che con riferimento alla contestata legittimazione di D.M.D., asseritamente deceduto nelle more del giudizio di appello, e di B.T., asseritamente deceduta nelle more del giudizio di cassazione, non v’è luogo per procedere ad integrazione del contraddittorio con il litisconsorte D.M.P. (il quale era già parte costituita nel giudizio di appello). Vale infatti quanto stabilito da SU 6826/2010: "Nel giudizio di cassazione, il rispetto del principio della ragionevole durata del processo impone, in presenza di un’evidente ragione d’inammissibilità del ricorso (nella specie, per la palese inidoneità del quesito di diritto), di definire con immediatezza il procedimento, senza la preventiva integrazione del contraddittorio nei confronti di litisconsorti necessari cui il ricorso non risulti notificato, trattandosi di un’attività a processuale del tutto ininfluente sull’esito del giudizio.

P.Q.M.

La Corte dichiara inammissibile il ricorso.

Condanna parte ricorrente alla refusione delle spese di lite liquidate in Euro 3.000 per onorari, 200 per esborsi, oltre accessori di legge.

Testo non ufficiale. La sola stampa del bollettino ufficiale ha carattere legale.

T.A.R. Veneto Venezia Sez. III, Sent., 13-10-2011, n. 1548 Provvedimenti contingibili ed urgenti

Sentenza scelta dal dott. Domenico Cirasole direttore del sito giuridico http://www.gadit.it/

Svolgimento del processo

Per il giorno 4 marzo 2005, è stato regolarmente proclamato, conformemente a quanto prescritto dalla legge 12 giugno 1990, n. 146, uno sciopero nazionale dei medici veterinari.

Il sindacato italiano veterinari medicina pubblica S.I.V.E.M.P., che ha indetto lo sciopero, e i dott.ri G.C. e C.G., medici veterinari dell’Azienda Ulss n. 12 che avrebbero voluto aderire allo sciopero e che congiuntamente al sindacato propongono il ricorso in epigrafe, riferiscono che l’astensione dal lavoro avrebbe comportato, per il giorno 4 marzo 2005, la mancata commercializzazione del prodotto ittico presso il mercato Ittico del Tronchetto di Venezia, nel quale i predetti veterinari hanno il compito di garantire i parametri di qualità e salubrità di quanto è posto in vendita.

In occasione di un precedente sciopero indetto per il 24 aprile 2004, il Prefetto della provincia di Venezia (cfr. docc. 3 e 7 allegati alle difese del Comune) aveva suggerito al Comune un’interpretazione della normativa vigente in materia di sciopero nei servizi pubblici essenziali secondo la quale compete al Sindaco adottare ordinanze contingibili ed urgenti con le quali integrare di volta in volta l’individuazione delle prestazioni dei medici veterinari da considerare essenziali (in forza di tale parere il Sindaco il 22 aprile 2004 ha adottato un’apposita ordinanza: cfr. doc. 5 allegato alle difese del Comune).

La Società Vesta, che gestisce il mercato, e l’Associazione operatori commissionari grossisti (cfr. docc. 8 e 9 allegati alle difese del Comune) in vista dello sciopero del 4 marzo 2005, si sono rivolti all’Amministrazione comunale chiedendo un intervento volto a garantire il funzionamento del mercato nonostante lo sciopero dei medici veterinari, eventualmente ricorrendo alla precettazione.

Il Sindaco del Comune di Venezia, con ordinanza contingibile ed urgente n. 67 del 24 febbraio 2005, prot. n. 84622, richiamata l’interpretazione dell’accordo sui servizi pubblici essenziali e sulle procedure di raffreddamento e conciliazione in caso di sciopero della dirigenza medica e veterinaria del Servizio Sanitario Nazionale del 26 settembre 2001 suggerita dalla Prefettura, ha ordinato al Direttore del mercato ittico il mantenimento delle operazioni di commercializzazione del mercato, e al Direttore dell’Ulss n. 12 di garantire la continuità dei servizi di veterinaria per il giorno 4 marzo 2005.

Il Direttore dell’Ulss n. 12 il 2 marzo 2005 ha comunicato l’ordinanza ai dott.ri G.C. e C.G., e i medesimi, anziché aderire allo sciopero, hanno svolto regolare attività lavorativa.

Con il ricorso in epigrafe il S.I.VE.M.P. (Sindacato Italiano Veterinari di Medicina Pubblica) che ha indetto lo sciopero, e i dottori G.C. e C.G., impugnano l’ordinanza, con domanda di risarcimento del danno esistenziale subito dai due medici e il danno per lesione del prestigio e della credibilità dell’organizzazione sindacale, con le seguenti censure:

I) incompetenza assoluta del Sindaco ad adottare l’atto di precettazione previsto dall’art. 8 della legge 12 giugno 1990, n. 146;

II) violazione dell’art. 54 del Dlgs. 18 agosto 2000, n. 267, per la mancanza dei presupposti di contingibilità ed urgenza.

Si sono costituiti in giudizio la Prefettura e il Comune di Venezia, chiedendo entrambi la reiezione del ricorso.

Il Comune ha altresì eccepito l’inammissibilità del ricorso proposto dall’associazione sindacale per carenza di legittimazione e di interesse.

Alla pubblica udienza del 7 luglio 2011, la causa è stata trattenuta in decisione.

Motivi della decisione

1. Preliminarmente devono essere esaminate le eccezioni di inammissibilità sollevate dal Comune.

Con una prima eccezione il Comune afferma che l’associazione sindacale sarebbe priva di legittimazione richiamando la giurisprudenza che esclude che un’associazione possa agire per un interesse proprio di taluni associati in assenza di un esplicito mandato dei titolari dell’interesse medesimo.

L’eccezione deve essere respinta.

Nel caso all’esame la legittimazione va riconosciuta sia ai singoli lavoratori che in capo al sindacato perché è per entrambi configurabile l’esistenza di una posizione differenziata e qualificata rispetto all’impugnazione dell’ordinanza del Sindaco del Comune di Venezia n. 67 del 24 febbraio 2005, dalla quale è derivato loro un pregiudizio consistente nel mancato esercizio del diritto di sciopero indetto dal sindacato ricorrente e al quale avrebbero voluto aderire i ricorrenti.

Infatti il diritto di sciopero, garantito dall’art. 40 della Costituzione, riceve un’autonoma tutela dall’ordinamento sia nella sua dimensione collettiva, come diritto sindacale (cfr. l’art. 28 della legge 20 maggio 1970, n. 300), che come diritto del singolo lavoratore, e la posizione delle parti ricorrenti è pertanto assimilabile a quella tutelata dalla disciplina sulla repressione delle condotte antisindacali, atteso che le condotte antisindacali sono configurabili anche nei comportamenti diretti ad impedire o limitare l’esercizio del diritto di sciopero, e tali condotte per loro natura hanno carattere plurioffensivo potendo ledere al contempo l’interesse collettivo del sindacato e quello individuale di singoli lavoratori.

1.1 Con una seconda eccezione il Comune afferma che non è configurabile un interesse concreto ed attuale in capo all’associazione sindacale ad ottenere l’annullamento del provvedimento impugnato.

L’eccezione deve essere respinta in quanto la circostanza che il provvedimento impugnato abbia esaurito i propri effetti in occasione della giornata del 4 marzo 2005, quando era stato programmato lo sciopero, non fa venire meno l’interesse alla decisione, potendosi riconoscere l’interesse a non vedere adottati successivi provvedimenti similari (cfr., tra le tante, Consiglio di Stato, Sez. IV, 5 aprile 2003, n. 1786; Consiglio di Stato, Sez. VI, 18 luglio 1998, n. 846; Consiglio di Stato Sez. IV, 19 dicembre 1994, n. 1037) oltre all’interesse di carattere propedeutico alla domanda di risarcimento dei danni subiti.

2. Con il primo motivo la parte ricorrente lamenta la violazione dell’art. 8 della legge 12 giugno 1990, n. 146 e l’incompetenza assoluta del Sindaco ad adottare un atto di precettazione.

La censura è infondata.

Persuadono sul punto le argomentazioni con le quali il Comune chiarisce che nel caso all’esame il Sindaco ha esercitato nei confronti del Direttore dell’Ulss n. 12 i poteri di cui all’art. 54 del Dlgs. 18 agosto 2000, n. 267 (ritenendo sussistere i presupposti di contingibilità ed urgenza per l’esistenza di un pericolo di un grave e imminente pregiudizio per la sicurezza e l’igiene pubblica) e non ha esercitato, né ha voluto esercitare, il potere di precettazione di cui all’art. 8 della legge 12 giugno 1990, n. 146, che compete ad altre autorità.

Secondo tale condivisibile prospettazione il Direttore dell’Ulss n. 12 sarebbe stato libero nella scelta dei mezzi idonei a garantire la continuità del servizio veterinario oggetto dell’ordinanza, e avrebbe potuto adempiervi anche ricorrendo a personale estraneo all’Amministrazione, senza imporre necessariamente di recarsi a lavoro a dipendenti che volevano scioperare.

L’esatta qualificazione dell’atto impugnato non quale atto di precettazione, ma quale ordinanza contingibile ed urgente di cui all’art. 54 del Dlgs. 18 agosto 2000, n. 267, comporta che la censura di cui al primo motivo debba essere respinta.

3. Prima di esaminare il secondo motivo è necessario sgomberare il campo da un equivoco interpretativo suggerito dalla Prefettura di Venezia in occasione di un precedente sciopero indetto per il 24 aprile 2004 (cfr. docc. 3 e 7 allegati alle difese del Comune), dalla stessa ripreso nelle argomentazioni predisposte dalla difesa erariale e fatto proprio dall’ordinanza impugnata, anche se il Comune nelle proprie difese ha completamente abbandonato questa prospettazione.

Come è noto la legge 12 giugno 1990, n. 146, nel contemperare l’esercizio del diritto di sciopero con la tutela dei diritti della persona costituzionalmente tutelati, ha individuato i servizi da considerare indispensabili, contemplando anche la sanità e l’igiene pubblica, e demandando alla fonte pattizia collettiva il compito di individuare le prestazioni indispensabili per ciascun servizio (cfr. l’art. 2, comma 2).

L’Accordo nazionale del 26 settembre 2001 per la regolamentazione del diritto di sciopero nell’area della Dirigenza Medica e Veterinaria del Servizio Sanitario Nazionale, valutato idoneo dalla Commissione di Garanzia con deliberazione n. 01/155 del 13.12.2001, che ha dato attuazione alle norme menzionate nello specifico settore, dispone che "i servizi pubblici da considerare essenziali nel comparto del personale del Servizio Sanitario Nazionale sono i seguenti: a) assistenza sanitaria; b) igiene e sanità pubblica; c) veterinaria.

Nell’ambito dei servizi essenziali l’accordo individua le prestazioni indispensabili di cui deve essere garantita la continuità tra le quali menziona (…) "referti, denunce, certificazioni ed attività connesse alla emanazione di provvedimenti contingibili e urgenti".

La Prefettura e l’ordinanza impugnata ritengono che questa previsione debba essere interpretata nel senso che spetta ai Sindaci, sulla base di proprie unilaterali valutazioni e senza alcuna consultazione o confronto con altri soggetti, integrare con ordinanze contingibili ed urgenti l’elenco delle prestazioni indispensabili,.

La tesi non può essere condivisa, perché la legge 12 giugno 1990, n. 146, tipizza le modalità e le procedure da seguire per l’individuazione di tali prestazioni demandando alla Commissione di garanzia sullo sciopero nei servizi pubblici essenziali il compito di valutare l’idoneità delle prestazioni individuate.

La menzionata previsione ha pertanto il significato di individuare come indispensabili tutte quelle attività di refertazione, denuncia e certificazione strumentali all’adozione dei provvedimenti quali quelli di cui agli artt. 50 e 54 del Dlgs. 18 agosto 2000, n. 267, che essendo contingibili ed urgenti e finalizzati alla tutela di beni quali l’incolumità pubblica, l’igiene e la sanità, sono volti a garantire il godimento di diritti costituzionalmente tutelati.

L’assunto interpretativo da cui muovono la motivazione del provvedimento impugnato e le difese della Prefettura è pertanto infondato.

4. Non è parimenti condivisibile l’affermazione dei ricorrenti secondo la quale l’unico rimedio tipico che può intervenire per limitare il diritto di sciopero è l’atto di precettazione di cui all’art. 8 della legge 12 giugno 1990, n. 146, ed è pertanto sempre da escludere il ricorso alle ordinanze contingibili ed urgenti.

E’ vero che il potere di adottare ordinanze contingibili ed urgenti ha carattere sussidiario, nel senso che ad esso è possibile ricorrere quando non sia possibile utilizzare gli ordinari strumenti approntati dall’ordinamento giuridico.

Tuttavia la valutazione circa la possibilità o meno di utilizzare gli strumenti ordinari va svolta in concreto, con riguardo alla possibilità di intervenire con immediatezza ed efficacia al fine di garantire i beni della salute pubblica e della pubblica e privata incolumità, e il potere di ordinanza diviene pertanto esercitabile ogniqualvolta si tratti di affrontare un’effettiva situazione di pericolo costituente concreta minaccia per la pubblica incolumità, la sanità e l’igiene connotata dal carattere dell’urgenza, indipendentemente dalle cause che abbiano determinato tale situazione.

In linea di principio il ricorso alle ordinanze contingibili non può pertanto ritenersi precluso qualora si tratti di fronteggiare situazioni di pericolo conseguenti ad astensioni collettive dal lavoro.

5. E’ invece fondata e meritevole di accoglimento la censura di violazione dell’art. 54 del Dlgs. 18 agosto 2000, n. 267, perché nel caso all’esame mancano chiaramente i presupposti di contingibilità ed urgenza finalizzati a prevenire gravi pericoli che minaccino l’incolumità pubblica.

Infatti dalla documentazione versata in atti (in particolare dalle richieste di intervento formulate dalla Società Vesta, che gestisce il mercato, e dall’Associazione operatori commissionari grossisti, cfr. docc. 8 e 9 allegati alle difese del Comune, dal mancato esercizio del potere di precettazione da parte del Prefetto, e dalla motivazione dell’ordinanza che si riferisce solo all’impossibilità di consentire, per un giorno, l’approvvigionamento dei prodotti ittici a causa del blocco della loro commercializzazione), risulta chiaramente che l’ordinanza è stata adottata solamente per tutelare gli interessi prettamente economici degli operatori del settore, e ciò non integra i presupposti di contingibilità ed urgenza richiesti per l’esercizio dei poteri straordinari di cui all’art. 54 del Dlgs. 18 agosto 2000, n. 267.

6. Deve invece essere respinta la domanda di risarcimento, perché, come sopra precisato al punto 2 in diritto, nel caso all’esame il Sindaco non ha illegittimamente esercitato il potere di precettazione, ma ha adottato illegittimamente un’ordinanza contingibile ed urgente rivolta all’Ulss n. 12, ed è quest’ultima che ha in modo anomalo preteso che i ricorrenti non sospendessero l’adempimento della prestazione lavorativa in adesione allo sciopero.

Eventuali danni non sono pertanto risarcibili perché non costituiscono conseguenza immediata e diretta del provvedimento impugnato.

Peraltro l’associazione sindacale avrebbe potuto evitare ogni danno attivando nei confronti del proprio datore di lavoro il rimedio previsto dall’art. 28 della legge 20 maggio 1970, n. 300, che ha carattere cautelare di immediata ed agevole accessibilità, e avrebbe potuto essere azionato in tempi compatibili con quello che è stato lo svolgersi degli eventi.

Anche quest’ultima circostanza esclude la risarcibilità, perché al fine di ottenere il risarcimento vi è l’obbligo di dimostrare di aver diligentemente utilizzato gli strumenti di tutela potenzialmente idonei ad evitare il danno previsti dall’ordinamento, secondo una regola oggi sancita dall’art. 30, comma 3, del codice del processo amministrativo da ritenersi ricognitiva dei principi evincibili dall’art. 1227, comma 2, c.c. (cfr. Consiglio di Stato, Ad. Plen. 23 marzo 2011, n. 3).

In definitiva il ricorso va accolto e il provvedimento impugnato deve essere annullato nei limiti sopra precisati, mentre la domanda di risarcimento deve essere respinta.

Le spese di giudizio seguono la soccombenza e sono liquidate in dispositivo.

P.Q.M.

Il Tribunale amministrativo regionale per il Veneto, terza Sezione, definitivamente pronunciando sul ricorso in epigrafe, lo accoglie e, per l’effetto, annulla il provvedimento impugnato nel senso precisato in motivazione, e respinge la domanda di risarcimento.

Condanna le Amministrazioni resistenti a corrispondere in parti uguali alle parti ricorrenti l’importo complessivo di Euro 4.000,00, a titolo di spese, diritti ed onorari, oltre i.v.a. e c.p.a..

Ordina che la presente sentenza sia eseguita dall’autorità amministrativa.

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