Cass. pen. Sez. II, Sent., (ud. 06-04-2011) 12-05-2011, n. 18649 misure cautelari

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Svolgimento del processo

Con ordinanza del 5.11.2010, il Tribunale della Libertà di Milano rigettava l’istanza di riesame proposta da M.G.A. avverso l’ordinanza applicativa della misura della custodia cautelare in carcere emessa nei suo confronti dal gip dello stesso Tribunale il 18.10.2010, per i reati di cui all’art. 110 c.p., D.L. n. 306 del 1992, art. 12 quinquies aggravato D.L. n. 152 del 1991, ex art. 7, art. 648 c.p. e art. 477 c.p., art. 61 c.p., n. 6.

Secondo l’accusa, l’imputato, al fine di eludere le disposizioni di legge in materia di misure di prevenzione patrimoniale, aveva intestato fittiziamente a tale R.A. le quote possedute nella New RE IX srl, che gestiva un ristorante in (OMISSIS). Si era procurato inoltre, durante lo stato di latitanza per la sottrazione alla misura cautelare applicata in precedenza nei suoi confronti per i delitti di associazione mafiosa e di detenzione illegale di armi ed esplosivo, una carta di identità rilasciata dal Comune di Rovello Porro a nome di A.P., apponendovi la propria fotografia.

Il ristorante di (OMISSIS) era stato oggetto di confisca con decreto n. 138/04 del tribunale di Milano, divenuto definitivo, emesso all’esito del procedimento di prevenzione promosso contro il M..

Il Tribunale del riesame riteneva però che l’imputato avesse ugualmente mantenuto la disponibilità effettiva dell’esercizio di ristorazione, tanto desumendo dal contenuto di numerose intercettazioni telefoniche che avrebbero provato la sua persistente ingerenza nella gestione, e dai suoi rapporti con il R., divenuto unico socio e amministratore della New RE IX srl, e peraltro anche in passato mostratosi disponibile ad intestarsi beni di pertinenza del M..

Ricorre la difesa, lamentando con il primo motivo il vizio di violazione di legge e il difetto di motivazione del provvedimento ai sensi dell’art. 606 c.p.p., lett. b) ed e), per avere i giudici territoriali ritenuto la configurabilità del reato di cui alla L. n. 306 del 1992, art. 12 quinquies, nonostante l’ormai intervenuta confisca delle quote della società che gestiva il ristorante e della loro successiva cessione, per iniziativa dell’amministratore giudiziario, ad un soggetto diverso dall’amministratore originario, avendo il M. assunto nel frattempo soltanto la qualità di dipendente della stessa società.

Sarebbe quindi del tutto incongrua la valenza indiziaria attribuita dal Tribunale a poche telefonate intercettate, a fronte del costante controllo dell’autorità giudiziaria sulla gestione della società titolare del ristorante.

Sotto il profilo delle esigenze cautelari poi, i giudici del riesame avrebbero sostanzialmente eluso l’obbligo di motivazione con riferimento agli specifici addebiti oggetto del provvedimento restrittivo impugnato, trasfondendo nelle loro valutazioni il giudizio di pericolosità espresso nei confronti del M. a proposito dei fatti contestatigli con la precedente ordinanza cautelare, senza considerare, peraltro, che il relativo quadro accusatorio aveva subito un consistente ridimensionamento in ordine ai reati in materia di armi.
Motivi della decisione

Il ricorso è manifestamente infondato.

La difesa, a fronte di tutte le numerose indicazioni sulla (riacquistata) disponibilità dell’attività imprenditoriale in oggetto da parte del M., convenientemente sottolineate dai giudici del riesame, si limita più che altro a dedurre una sorta di impossibilità giuridica del fatto di reato contestato, che non avrebbe potuto verificarsi sotto il controllo dell’amministrazione giudiziaria.

La valutazione, a parte il rilievo del Tribunale della Libertà secondo cui la difesa non aveva dimostrato che tutte le cessioni fossero state autorizzate dal giudice della prevenzione, corrisponde però, in definitiva, ad una semplice petizione di principio, non potendosi certo escludere la possibilità che i soggetti che contrattino con l’amministratore giudiziario di beni sottoposti a sequestro nell’ambito di un procedimento di prevenzione, siano occultamente legati al proposto e agiscano nel suo interesse, con l’effetto di eludere la funzione tipica del sequestro e della confisca degli stessi beni.

Nel "merito" degli uffici sintomatici della effettiva disponibilità dell’esercizio di ristorazione in oggetto da parte del M., i rilievi difensivi appaiono poi alquanto deboli, e corrispondenti ad apprezzamenti alternativi incapaci di cogliere vizi logico-giuridici nella motivazione del provvedimento impugnato.

In punto di esigenze cautelari, infine, i giudici territoriali sottolineano anzitutto il rilievo della contestazione dell’aggravante D.L. n. 152 del 1991, ex art. 7, oggetto in ricorso di contestazioni generiche e soprattutto incomplete, nella misura in cui investono soltanto la motivazione del provvedimento impugnato e non anche quella dell’ordinanza cautelare, esplicitamente richiamata per relationem dal Tribunale della liberta (in generale, nel senso che il provvedimento restrittivo della libertà personale e l’ordinanza che decide sul riesame sono strettamente collegati e complementari, con la conseguenza che la motivazione dell’ordinanza del Tribunale della libertà integra e completa l’eventuale carenza di quella del G.i.p. ed allo stesso modo la motivazione insufficiente del giudice del riesame ben può ritenersi integrata da quella del provvedimento impugnato (Corte di Cassazione 16587 del 24/03/2010, imputato Di Lorenzo e altro).

In ogni caso, nel provvedimento si sottolinea pur sempre la sistematicità del ricorso a prestanome da parte del M., con riferimento ai precedenti interventi di favore del R. diretti a consentire al ricorrente l’occultamento della titolarità di altri beni.

Il ricorso va pertanto dichiarato inammissibile, con la condanna del ricorrente al pagamento delle spese processuali e al versamento alla Cassa delle Ammende della somma di Euro 1000,00 commisurata all’effettivo grado di colpa dello stesso ricorrente nella determinazione della causa di inammissibilità. Il cancelliere dovrà provvedere agli adempimenti di cui all’art. 94 disp. att. c.p.p..
P.Q.M.

Dichiara inammissibile il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali e al versamento alla Cassa delle Ammende della somma di Euro 1000,00; si provveda a norma dell’art. 94 disp. att. c.p.p..

Testo non ufficiale. La sola stampa del bollettino ufficiale ha carattere legale.

Cass. civ. Sez. II, Sent., 30-09-2011, n. 20081 Velocità

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Svolgimento del processo

Con sentenza del 22.3.2005 il giudice di pace di San Giorgio La Molara annullava il verbale di contestazione elevato il 16.9.2003 dalla Polizia municipale del comune di Buonalbergo a carico di M.E., per l’infrazione all’art. 142 C.d.S., comma 8.

Riteneva il giudice di prossimità, accogliendo apposito motivo di opposizione, che l’accertamento fosse illegittimo per violazione dell’art. 345 reg. esec. C.d.S., comma 4, il quale stabilisce che per l’accertamento delle violazioni ai limiti di velocità, le apparecchiature di cui al comma 1 del cit. articolo devono essere gestite direttamente dagli organi di polizia stradale, e devono essere nella disponibilità degli stessi. Rilevava che, nella fattispecie, il servizio di rilevazione, gestione e rendicontazione delle sanzioni amministrative era stato affidato dal comune alla So.E.S. s.r.l., la quale a termini dell’apposita convenzione, gestiva e rendicontava le sanzioni amministrative, metteva a disposizione della Polizia municipale una vettura completamente attrezzata per il rilevamento delle infrazioni e con misuratore di velocità preventivamente installato, verificava ad ogni servizio la funzionalità dell’apparecchio rilevatore che metteva a disposizione del vigile urbano, accendeva e spegneva l’apparecchio stesso su ordine del pubblico ufficiale, istruendo quest’ultimo sull’impostazione dei limiti di rilevamento della velocità, con l’obbligo di spegnere immediatamente l’apparecchiatura nel caso in cui il pubblico ufficiale si allontanasse per qualsiasi motivo.

Riteneva, quindi, che il ruolo del verbalizzante fosse ridotto ad una mera presenza, tra l’altro non qualificata, restando la gestione dell’apparecchiatura completamente affidata, per le poche operazioni non automatiche, al soggetto privato. Osservava, quindi, che in materia la prova regina era costituita dalla perfetta funzionalità del mezzo di rilevazione, che nello specifico era utilizzato dalla società So.E.S. anche in altri comuni, per cui il computer elaborava anche i diversi dati che gli erano immessi di volta in volta. Per contro, riteneva il giudice di primo grado, spettava al pubblico ufficiale, una volta raggiunto il luogo del rilevamento, verificare che l’apparecchio effettuasse misurazioni esatte attraverso un concreto esperimento, non bastando la semplice attestazione del funzionamento, del quale dovevano essere descritte e attestate le caratteristiche essenziali, affinchè in qualunque momento sia i cittadini, sia il magistrato adito potessero effettuarne il controllo. Nello specifico, nel verbale della Polizia municipale non v’era traccia di tale verifica, non essendo sufficiente l’attestazione circa funzionalità e omologazione dell’apparecchiatura, in quanto quest’ultima non era custodita dagli agenti di polizia, ma da una società privata mirante ad ottimizzare il rendimento della strumentazione impiegata, la quale, essendo installata su veicoli spostati continuamente da comune a comune, sopportava tutte le sollecitazione, gli scuotimenti e i contraccolpi cui erano esposti i veicoli ospitanti. Osservava, infine, che anche lo sviluppo e la stampa delle foto era rimessa alla società concessionaria, che essendo tenuta a trasmettere solo i rilievi fotografici validi per provare la sanzione, esercitava ampia discrezionalità nella scelta dei fotogrammi da inviare al comune, con grave compromissione della certezza e dell’imparzialità dell’intero procedimento.

Per la cassazione di tale sentenza ricorre il comune di Buonalbergo, formulando tre mezzi d’annullamento.

La parte intimata non ha svolto attività difensiva.
Motivi della decisione

1. – Il primo motivo denuncia la violazione dei limiti interni della giurisdizione, nonchè la violazione o falsa applicazione della L. 20 marzo 1865, n. 2248, artt. 4 e 5, all. E, della L. n. 689 del 1981, artt. 22 e 23, art. 142 C.d.S. e art. 345 reg. C.d.S., la falsa applicazione del principio di imparzialità, la violazione dell’art. 2700 c.c., nonchè l’omessa o insufficiente motivazione e l’omesso esame di un documento decisivo.

Dalla motivazione della sentenza, sostiene parte ricorrente, si comprende che il G.d.P. non ha esaminato la legittimità del verbale di contravvenzione opposto, nè si è occupato della sussistenza della violazione, ma ha arbitrariamente spostato la propria indagine sul contenuto della convenzione tra il comune e la società privata incaricata di organizzare le attività materiali propedeutiche allo svolgimento del servizio.

Nello svolgimento di tali attività il privato non si sostituisce alla Polizia municipale, ma opera in funzione di supporto, senza interferire nell’accertamento, rimesso ai pubblici ufficiali, laddove il soggetto privato si limita a fornire ausilio tecnico per il corretto funzionamento dell’apparecchio rilevatore e a svolgere prestazioni materiali per la stampa delle fotografie, senza che l’interesse economico sotteso alla convezione possa costituire motivo di dubbio sulla correttezza dell’operato del soggetto privato o produrre situazioni d’incompatibilità.

Inoltre, il G.d.P. non ha esaminato il contenuto della convenzione, da cui risulta che sviluppo e stampa dei fotogrammi scattati doveva avvenire in un laboratorio in possesso di regolare licenza comunale e con la possibilità che fosse presente anche personale della Polizia municipale.

Il giudice di pace, inoltre, non poteva ravvisare alcuna violazione dell’art. 345 reg. C.d.S., non essendo stata proposta querela di falso avverso il verbale di infrazione.

2. – Con il secondo motivo si deduce la violazione e/o falsa applicazione dell’art. 112 c.p.c. e della L. n. 689 del 1981, artt. 22 e 23, artt. 45 e 142 C.d.S., art. 345 reg. C.d.S., D.L. n. 121 del 2002, art. 4, convertito in L. n. 168 del 2002, nonchè il vizio di motivazione e l’omesso esame di un documento decisivo.

L’art. 345 reg. C.d.S., comma 4, ove interpretato nel senso della necessità di una presenza continuativa degli agenti di polizia deve ritenersi inapplicabile in caso di contravvenzioni elevate, come nella specie, su di un tratto di strada ove le violazioni possono essere accertate in modo automatico, anche senza il diretto intervento degli agenti preposti, e senza obbligo di contestazione immediata. Il G.d.P., invece, ha ritenuto che le nuove disposizioni siano applicabili solo in caso di apparecchiature fisse che eseguono misurazioni in modo completamente automatico, in tal modo ponendo a base della decisione una ragione non dedotta dal ricorrente.

Inoltre, il D.L. n. 121 del 2002, art. 4, convertito con modificazioni nella L. n. 168 del 2002, e ulteriormente modificato dal D.L. n. 151 del 2003, art. 7, si limita a disporre che i dispositivi che consentono di accertare in modo automatico la violazione, se utilizzati senza la presenza o il diretto intervento degli agenti preposti, devono essere approvati o omologati ai sensi del D.Lgs. n. 285 del 1992, art. 45, comma 6, per cui il nuovo decreto non ha introdotto una diversa modalità di omologazione, ma fa riferimento alla medesima omologazione di cui all’art. 45 C.d.S., comma 6, nella specie debitamente attestata nel verbale di accertamento, con indicazione del relativo decreto.

Infine, il G.d.P. ha affermato che l’apparecchio rilevatore possiede determinate caratteristiche, senza esaminarne il libretto tecnico, e pur affermando che una volta impostato il relativo funzionamento è del tutto automatico, ha poi escluso l’applicabilità della nuova normativa, affermando che detta tipologia di apparecchio non rileva le contravvenzioni in modo automatico.

3. – Con il terzo motivo è dedotta la violazione o falsa applicazione dell’art. 142 C.d.S., degli artt. 2697 e 2700 c.c. e dell’art. 115 c.p.c., nonchè l’omesso esame di un documento su di un punto decisivo.

L’art. 142 C.d.S., comma 6, si limita a prevedere l’omologazione dell’apparecchio, e non la preventiva verifica del suo funzionamento volta per volta. Ed infatti, la giurisprudenza della S.C. ha ripetutamente affermato che le rilevazioni mediante strumenti elettronici posso essere disattese solo se se ne dimostrano guasti o difetti costruttivi, in difetto di che la loro efficacia probatoria permane inalterata, fino a querela di falso.

4. – Il ricorso è fondato.

Con sentenza n. 22816/08 questa Corte ha avuto modo di esaminare analoga impugnazione del comune di Buonalbergo in una fattispecie del tutto sovrapponibile, riguardante una sentenza del medesimo giudice di pace di San Giorgio La Molara. Identica l’infrazione amministrativa, le rationes decidendi a base del provvedimento impugnato e i motivi di ricorso per cassazione, conviene riportare la parti salienti della motivazione del citato precedente:

"…l’assistenza tecnica del privato operatore, limitata all’installazione ed all’impostazione dell’apparecchiatura secondo le indicazioni del pubblico ufficiale, non interferisce sull’attività d’accertamento poi direttamente svolta da quest’ultimo ed, anzi, offre agli utenti della strada nei confronti dei quali è effettuato il controllo una più sicura garanzia di precisione nel funzionamento degli strumenti di rilevazione ove tenuti sotto sorveglianza da parte di personale tecnico specializzato; ond’è che la decisione in esame, con la quale si è ritenuto invalido l’accertamento in quanto, nella specie, attuato alla presenza dell’operatore privato ma in funzione d’assistenza tecnica nei limiti indicati, opera un’interpretazione restrittiva dell’art. 345 reg. esec. C.d.S., comma 4, nonchè del combinato disposto degli artt. 11 e 12 C.d.S., che riserva ai pubblici ufficiali i servizi di polizia stradale, non consentiti nè dal tenore letterale nè dalla rado delle citate disposizioni. In secondo luogo – premesso che la deduzione con la quale si contesti al giudice del merito non di non aver correttamente individuato la norma regolatrice della questione controversa o di averla applicata in difformità dal suo contenuto precettivo, bensì di avere o non avere erroneamente ravvisato, nella situazione di fatto in concreto accertata, la ricorrenza degli elementi costitutivi d’una determinata fattispecie normativamente regolata, non comporta un giudizio di diritto, bensì un giudizio di fatto (e pluribus Cass. 22 febbraio 2007 n. 4178; 5 maggio 2006 n. 10313; S.V., 30 marzo 2005 n. 6654) – va, altresì, rilevato il denunziato vizio di motivazione, attesa la palese illogicità della stessa, dacchè, nell’operato sillogismo, l’illazione non risulta consequenziale al confronto tra premessa maggiore e premessa minore. Se, infatti, l’art. 345 reg. esec. att. C.d.S., comma 4, prevede che le apparecchiature d’accertamento delle infrazioni "devono essere gestite direttamente dagli organi di polizia stradale – e devono essere nella disponibilità degli stessi", non si vede come tali condizioni di legittima operatività dell’apparecchiatura, normativamente prescritte, possono essere escluse nel caso in esame, laddove, per espressa previsione contrattuale, tutte le attività d’installazione ed utilizzazione dell’apparecchiatura stessa si svolgono alla presenza del pubblico ufficiale preposto al servizio – ed, anzi, con la diretta utilizzazione da parte del medesimo, ad essa "istruito" dal tecnico di supporto – al quale soltanto è demandato disporre la messa in funzione ed al cui allontanamento, anche occasionale, ne è connessa l’immediata disattivazione (…). Come già evidenziato da questa Corte (e pluribus, Cass. 18 aprile 2007 n. 9308; 1 febbraio 2007 n. 2206; 15 novembre 2006 n. 24355; 4 maggio 2005 n. 9222; 8 agosto 2003 n. 11971), in sede d’opposizione L. n. 689 del 1981, ex art. 22 o art. 204 bis C.d.S., non può annullarsi il provvedimento sanzionatorio in base ad un’illegittimità desunta non dall’atto ma dalle modalità, esterne ad esso, con le quali era stato organizzato il servizio di rilevazione ed accertamento delle violazioni, mediante un sindacato sulle scelte tecniche ed organizzative del servizio, trattandosi di valutazione che, se effettuata, configura un’inammissibile ingerenza nel modus operandi della pubblica amministrazione, in linea di principio non sindacabile dal giudice ordinario (…). E’ del tutto evidente come, nel caso in esame, il giudice a quo abbia esorbitato dai propri poteri, in violazione della L. 20 marzo 1865, n. 2248, art. 5, all. E, non solo omettendo d’identificare e valutare incidentalmente l’atto presupposto, ma, ove ciò avesse fatto per implicito, invadendo la sfera delle attribuzioni riservate all’amministrazione, nella formazione dell’atto stesso convergendo, all’evidenza, una pluralità di valutazioni, da parte dei competenti uffici ed organi comunali, di natura non solo strettamente tecnica, ma anche ampiamente discrezionale, in quanto da formularsi sulla base d’apprezzamenti ponderati sia delle situazioni di fatto, sia delle molteplici esigenze, relative alle risorse umane ed economiche a disposizione dell’ente, da prendersi in considerazione al fine di regolare il traffico nell’ambito della gestione complessiva della circolazione stradale sul territorio (…). Nello stesso errore il giudice a quo è incorso laddove ha ritenuto di poter disquisire dell’idoneità o meno, in astratto, dell’apparecchiatura utilizzata per il rilevamento, valutazione rimessa, per contro, all’amministrazione in sede d’omologazione (Cass. 2 agosto 205 n. 16143); così come erroneamente ha ritenuto che il verbale dovesse contenere l’attestazione della sperimentata funzionalità dell’apparecchiatura e che tale funzionalità dovesse essere dimostrata in giudizio dall’amministrazione, mentre, viceversa, l’efficacia probatoria di qualsiasi strumento di rilevazione elettronica della velocità dei veicoli perdura sino a quando non risultino accertati, nel caso concreto, sulla base di circostanze allegate dall’opponente e dallo stesso debitamente provate, il difetto di costruzione, installazione o funzionalità dello strumento o situazioni comunque ostative al suo regolare funzionamento, senza che possa farsi leva, in senso contrario, su considerazioni di tipo meramente congetturale, connesse alla sufficienza dell’intervento progresso tecnologico rispetto al modello considerato, od alla mancanza di revisione o manutenzione periodica di esso, a pregiudicarne l’efficacia ex art. 142 C.d.S. (Cass. 26 aprile 2007 n. 9950; 5 luglio 2006 n. 15324; 16 maggio 2005 n. 10212; 20 aprile 2006 n. 8233; 10 gennaio 2005 n. 287; 24 marzo 2004 n. 5873; 22 giugno 2001 n. 8515; 5 giugno 1999 n. 5542) (…).

Le rationes decidendi da ultimo esaminate sono, inoltre e comunque, da considerare illegittime anche in quanto, come giustamente evidenziato dal ricorrente Comune, hanno ad oggetto questioni relative a (pretesi) vizi del provvedimento impugnato non dedotti dall’opponente ma rilevati d’ufficio dal giudice in violazione dei limiti della propria patestas iudicandi (…). Quanto alla seconda delle principali considerazioni svolte dal giudice a quo sui motivi d’impugnazione effettivamente prospettati dall’opponente, è anch’essa errata. Al riguardo, questa Corte ha ripetutamente evidenziato come, nel caso di violazione delle norme sui limiti di velocità nella circolazione stradale accertata a mezzo di strumento omologato, il momento essenziale dell’accertamento stesso sia quello del rilevamento fotografico, cui deve necessariamente presiedere uno dei soggetti ai quali, come già visto in precedenza, l’art. 12 C.d.S., demanda l’espletamento dei servizi di polizia stradale, e che non può essere effettuato in via esclusiva da soggetti privati;

come, pertanto, la fonte principale di prova delle risultanze dello strumento elettronico essendo costituita dal negativo della fotografia, quale documento che individua il veicolo e ne consente la rapportabilità alle circostanze di fatto, di tempo e di luogo rappresentativi, la successiva fase dello sviluppo e della stampa del negativo rappresenti il semplice espletamento d’una attività meramente materiale, cui non deve necessariamente attendere, nè presenziare, il pubblico ufficiale rilevatore dell’infrazione od altro dei soggetti indicati nel citato art. 12".

A tale persuasivo orientamento – confermato da Cass. n. 1955/10 (che nel richiamarsi ad esso ha coerentemente ritenuto illegittimo l’accertamento delegato per intero a soggetti privati, che vi provvedevano curando non solo l’installazione dell’apparecchiatura elettronica di rilevazione della velocità, ma anche la lettura dei risultati, la verbalizzazione e la notifica del verbale al soggetto interessato), e che si colloca, altresì, in linea con altri e costanti precedenti in tema di efficacia probatoria dello strumento rilevatore automatico della velocità (v. Cass. nn. 287/05, 6507/04 e 9441/01, nonchè Cass. nn. 7667/97, 9076/97, 6242/99, 1380/00, 16697/03, 12689/99, sulla necessità che l’opponente fornisca prova del difetto di funzionamento di tali dispositivi, da fornirsi in base a concrete circostanze di fatto) – ritiene la Corte di dover dare continuità, assente qualsivoglia argomentazione di segno contrario, data la mancata partecipazione attiva del resistente al presente giudizio di cassazione.

5. – Per quanto sopra considerato, il ricorso va accolto e la sentenza impugnata deve essere cassata con rinvio al giudice di pace di Benevento, che nel decidere la controversia si atterrà ai principi di diritto sopra espressi, e che provvederà, altresì, in ordine alle spese del presente giudizio di cassazione.
P.Q.M.

La Corte accoglie il ricorso e cassa la sentenza impugnata con rinvio al giudice di pace di Benevento, che provvederà anche sulle spese del giudizio di cassazione.

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Cass. pen. Sez. II, Sent., (ud. 01-04-2011) 10-06-2011, n. 23413

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Svolgimento del processo

Con provvedimento del 24.7.2010, il Giudice per le indagini preliminari presso il Tribunale di Palermo ha rigettato l’istanza di sostituzione della misura di custodia cautelare in carcere con quella degli arresti domiciliari in una comunità terapeutica del B., indagato per una rapina pluriaggravata in un Ufficio postale. Il B. proponeva istanza di riesame, ma il Tribunale con sentenza del 6.10.2010 la rigettava rilevando che alla concessione di una misura come quella richiesta, essenzialmente fondata sullo spontaneo adempimento delle prescrizioni, ostavano i plurimi, gravi delitti contro il patrimonio (tre furti, sei rapine, un danneggiamento) e ben sei casi di porto d’armi in concorso, nonchè precedenti per evasione e per violazione di prescrizioni connesse a misure di prevenzione personale, si che la prognosi doveva essere decisamente negativa viste le esigenze cautelari di eccezionale rilevanza.

Ricorre il B. che rileva che il Tribunale era andato oltre il devoluto visto che le esigenze di eccezionale rilevanza non erano state mai menzionate nell’ordinanza del GIP; inoltre le modalità del fatto commesso non erano di certo allarmanti visto il carattere rudimentale della rapina commessa.
Motivi della decisione

Il ricorso, stante la sua manifesta infondatezza, va dichiarato inammissibile.

Indipendentemente dalla circostanza per cui il Tribunale ha caratterizzato le esigenze cautelari come di eccezionale rilevanza, mentre il GIP così non le aveva espressamente qualificate, va ricordato che nell’ordinanza impugnata si è argomentato che alla concessione di una misura come quella richiesta essenzialmente fondata sullo spontaneo adempimento delle prescrizioni ostavano i plurimi, gravi delitti contro il patrimonio (tre furti, sei rapine, un danneggiamento) e ben sei casi di porto d’armi in concorso, nonchè precedenti per evasione e per violazione di prescrizioni connesse a misure di prevenzione personale, si che la prognosi doveva essere decisamente negativa.

La motivazione appare congruamente e logicamente motivata nè la circostanza (l’unica in realtà addotta a favore della sostituzione della misura) per cui la rapina commessa da ultimo non è stata realizzata attraverso un’arma in senso tecnico (ma con un tagliabalsa) può mutare in mood apprezzabile il quadro estremamente allarmante descritto dal Tribunale che rivela, fra l’altro, anche un’attitudine del ricorrente a sottrarsi alle misure coercitive o cautelari disposte nei suoi confronti, si che la prognosi negativa sull’adempimento agli obblighi degli arresti domiciliari si fonda su precedenti specifici in tal senso.

Ai sensi dell’art. 616 cod. proc. pen., con il provvedimento che dichiara inammissibile il ricorso, la parte privata che lo ha proposto deve essere condannata al pagamento delle spese del procedimento, nonchè – ravvisandosi profili di colpa nella determinazione della causa di inammissibilità – al pagamento a favore della cassa delle ammende della somma di mille Euro, cosi equitativamente fissata in ragione dei motivi dedotti. Si provveda a norma dell’art. 94 disp. att. c.p.p..
P.Q.M.

Dichiara inammissibile il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali e della somma di mille Euro alla cassa delle ammende. Si provveda a norma dell’art. 94 disp. att. c.p.p..

Testo non ufficiale. La sola stampa del bollettino ufficiale ha carattere legale.

Cass. pen. Sez. II, Sent., (ud. 22-03-2011) 24-06-2011, n. 25329

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Svolgimento del processo – Motivi della decisione

Con sentenza in data 1.3.2010 la Corte d’Appello di Roma confermava la sentenza del GUP presso il Tribunale di Roma che, in data 28.11.2006, aveva condannato L.R., alle pene ritenute di giustizia, per violazione in concorso del D.L. n. 143 del 1991, art. 12.

Ricorre per Cassazione il difensore dell’imputato deducendo che la sentenza impugnata è nulla per violazione di legge in relazione all’art. 192 c.p.p. e per illogicità, contraddittorietà e apoditticità della motivazione. Contesta il ricorrente la valutazione operata dai giudici di secondo grado con riguardo alle dichiarazioni dei correi A.R. e C.C. e sostiene la buona fede dell’imputato, esclusa in maniera irragionevole dalla Corte Capitolina. Il ricorso è inammissibile perchè generico e versato in fatto. Lamenta il ricorrente un vizio di motivazione. Sul punto va ricordato che anche alla luce del nuovo testo dell’art. 606 c.p.p., comma 1, lett. e), come modificato dalla L. 20 febbraio 2006, n. 46, non è consentito alla Corte di Cassazione di procedere ad una rinnovata valutazione dei fatti ovvero ad una rivalutazione del contenuto delle prove acquisite, trattandosi di apprezzamenti riservati in via esclusiva al giudice del merito. La previsione secondo cui il vizio della motivazione può risultare, oltre che dal "testo" del provvedimento impugnato, anche da "altri atti del processo", purchè specificamente indicati nei motivi di gravame, non ha infatti trasformato il ruolo e i compiti del giudice di legittimità, il quale è tuttora giudice della motivazione, senza essersi trasformato in un ennesimo giudice del fatto. In questa prospettiva il richiamo alla possibilità di apprezzarne i vizi anche attraverso gli "atti del processo" rappresenta solo il riconoscimento normativo della possibilità di dedurre in sede di legittimità il cosiddetto "travisamento della prova", in virtù del quale la Corte, lungi dal procedere ad una (inammissibile) rivalutazione del fatto (e del contenuto delle prove), prende in esame gli elementi di prova risultanti dagli atti per verificare se il relativo contenuto è stato preso in esame, senza travisamenti, all’interno della decisione.

In altri termini si può parlare di travisamento della prova nei casi in cui il giudice di merito abbia fondato il proprio convincimento su una prova che non esiste o su un risultato di prova incontestabilmente diverso da quello reale. Non spetta invece alla Corte di cassazione "rivalutare" il modo con cui quello specifico mezzo di prova è stato apprezzato dal giudice di merito, giacchè attraverso la verifica del travisamento della prova il giudice di legittimità può e deve limitarsi a controllare se gli elementi di prova posti a fondamento della decisione esistano o, per converso, se ne esistano altri inopinatamente e ingiustamente trascurati o fraintesi, (cfr, tra le tante: Cass. Sez. 2 n. 38915/07; Cass. Sez. 4 n. 35683/07; Cass. Sez. 4 n. 15556/08; Cass. Sez. 6 n. 18491/10).

Ciò detto le censure del ricorrente si appalesano manifestamente infondata perchè il L., sotto il profilo del vizio di motivazione, sollecita alla Corte una diversa lettura dei dati di fatto non consentita in questa sede. Il giudizio di cassazione, rimane infatti sempre un giudizio di legittimità, nel quale rimane esclusa la possibilità che la verifica sulla correttezza e completezza della motivazione (cui deve limitarsi la corte di cassazione) possa essere confusa con una nuova valutazione delle risultanze acquisite, da contrapporre a quella effettuata dal giudice di merito Nel caso in esame la Corte territoriale ha dato contezza con argomentazione coerente e logica delle ragione che l’hanno portata ad affermare la responsabilità dell’imputato rispondendo a tutte le doglianze.

L’inammissibilità del ricorso preclude l’accesso al rapporto di impugnazione ed impedisce la declaratoria di prescrizione maturata, nel caso in esame, il 9.7.2010 e quindi dopo la sentenza impugnata (Sez. un., 27 giugno 2001, Cavalera, Cass. Sez. un. 23428/05 Bracale).

Il ricorso deve pertanto essere dichiarato inammissibile.

Ai sensi dell’art. 616 c.p.p. consegue la condanna del ricorrente al pagamento delle spese processuali e della somma, che si ritiene equo liquidare in Euro 1.000,00 in favore della Cassa delle ammende.

P.Q.M.

Dichiara inammissibile il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali ed al versamento di Euro mille alla Cassa delle ammende.

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