Cons. Giust. Amm. Sic., Sent., 07-03-2011, n. 180 Legittimità o illegittimità dell’atto

Sentenza scelta dal dott. Domenico Cirasole direttore del sito giuridico http://www.gadit.it/

Svolgimento del processo – Motivi della decisione

1) – Con ricorso promosso innanzi al T.A.R. della Sicilia, sede di Palermo, i signori An.Gi., Do.Gi. e Ma.Fa. chiedevano l’annullamento del provvedimento di diniego di permesso a costruire e autorizzazione all’esecuzione dei lavori di ristrutturazione emesso dal Comune di Misilmeri in data 9 agosto 2007.

L’atto era così motivato: "Considerato che il fabbricato, per il quale viene presentata la domanda di sanatoria, che quello che si intendeva ricostruire, non sono conformi agli strumenti urbanistici in vigore sia all’epoca della realizzazione della costruzione (1981) che alla data in cui venne presentata la domanda di ricostruzione, in quanto non rispettano l’indice di edificabilità fondiaria massima né la distanza dai confini".

2) – Con sentenza n. 494 del 9 marzo 2009, il giudice adito respingeva il ricorso, incentrato sull’assunto che non sarebbe stato preavvisato il rigetto, come previsto dall’art. 10 bis della L. n. 241/1990, e che sussistevano le condizioni per l’accoglimento dell’istanza.

Ad avviso di detto giudice, doveva condividersi l’orientamento giurisprudenziale secondo cui le norme in materia di partecipazione al procedimento amministrativo non debbono essere applicate meccanicamente e a fini meramente strumentali, ma solo quando la comunicazione di avvio sia suscettibile di apportare una qualche utilità all’azione amministrativa, coerentemente con la funzione di arricchimento sul piano del merito e della legittimità, che possa derivare dalla partecipazione del destinatario del provvedimento.

Conseguentemente, proseguiva il giudice stesso, l’omissione della comunicazione di avvio del procedimento (alla quale va assimilata quella di preavviso di rigetto) comporta l’illegittimità del provvedimento finale, solo se il soggetto non avvisato possa provare che, ove avesse avuto la possibilità di partecipare, avrebbe potuto presentare osservazioni ed opposizioni, anche solo eventualmente idonea ad incidere, in termini a lui favorevoli, sul provvedimento finale.

Per contro, nella fattispecie in esame il provvedimento era stato motivato in modo chiaro ed esaustivo e siffatta motivazione non era stata contestata dai ricorrenti, i quali si erano limitati a fare riferimento alla sussistenza delle condizioni per l’accoglimento delle loro istanze.

3) – Due dei ricorrenti originari (Ma.Fa. e Do.Gi.) hanno proposto appello contro la summenzionata sentenza.

A loro avviso, il provvedimento di diniego deve essere preceduto da una tempestiva comunicazione che esterni i motivi che potrebbero condurre al diniego (in fieri) e dal ricevimento della suddetta comunicazione l’interessato deve disporre di 10 giorni di tempo per presentare memorie, osservazioni e/o documenti.

Inoltre, il diniego non può intervenire con motivazioni diverse da quelle già comunicate.

Nella specie, il provvedimento di diniego è stata preceduta da una comunicazione del responsabile dell’Area VIII in data 5 aprile 2002 nella quale si fa presente che "il rilascio della concessione in sanatoria non rientra nelle ipotesi ostative relative ai vincoli ambientali e urbanistici ad eccezione del vincolo sismico per il quale è stata prodotta certificazione di idoneità sismica in data 20.2.2002 e del vincolo idrogeologico. L’oblazione pagata di Euro 2.983,57 è congrua".

Conseguentemente non può revocarsi in dubbio la regolarità del fabbricato rispetto agli strumenti urbanistici vigenti sia all’epoca della sua realizzazione che a quella della domanda. Inoltre, l’inesistenza di difformità rispetto agli strumenti urbanistici emerge dalla relazione tecnica d’ufficio, depositata nel corso del giudizio penale a carico del sig. Ma.Fa., dalla quale risultava che la posizione urbanistica dell’immobile demolito risultava regolare e così le opere oggetto di sequestro.

4) – L’appello è infondato. Quanto alla lamentata carenza del preavviso di rigetto ex art. 10-bis della legge n. 241 del 1990, se ne deve escludere rilevanza ai fini di causa, in quanto, avendo il diniego a oggetto il vaglio di aspetti privi di margini di discrezionalità amministrativa, soccorre in tali casi la disposizione generale di cui all’art. 21-octies, comma 2, della stessa legge n. 241 del 1990, a norma della quale non è annullabile il provvedimento adottato in violazione di norme sul procedimento o sulla forma degli atti qualora, per la natura vincolata delle relative determinazioni, sia palese che il contenuto dispositivo non avrebbe potuto essere diverso da quello in concreto adottato (cfr. questo Consiglio, 28 aprile 2008, n. 363 e Cd.S., sez. IV, 13 marzo 2008, n. 1098 e sez. V, 7 settembre 2009, n. 5235).

In relazione, poi, ai motivi del diniego, si osserva che gli stessi sono enunciati con precisione dal provvedimento impugnato e che gli appellanti non sono stati in grado neppure in questa sede di contestare la legittimità dell’operato dell’Amministrazione.

In particolare, non emergono dalla documentazione versata in atti elementi che comprovino la conformità urbanistica delle opere realizzate, relativamente al rispetto dell’indice di edificabilità fondiaria e alla distanza dai confini.

5) – In conclusione, per le suesposte considerazioni, l’appello deve essere respinto.

Non v’è luogo a una pronuncia delle spese di giudizio, poiché il Comune di Misilmeri non si è costituito in giudizio.
P.Q.M.

Il Consiglio di Giustizia amministrativa per la Regione siciliana, in sede giurisdizionale, respinge l’appello in epigrafe.

Nulla per le spese.

Ordina che la presente decisione sia eseguita dall’Autorità amministrativa.

Così deciso in Palermo il 9 giugno 2010, dal Consiglio di Giustizia amministrativa per la Regione siciliana, in sede giurisdizionale, riunito in Camera di consiglio con l’intervento dei signori: Riccardo Virgilio, Presidente, Paolo D’Angelo, Guido Salemi, estensore, Filippo Salvia, Pietro Ciani, componenti.

Depositata in Segreteria il 7 marzo 2011.

Testo non ufficiale. La sola stampa del bollettino ufficiale ha carattere legale.

Cass. civ. Sez. V, Sent., 10-06-2011, n. 12800 Imposta valore aggiunto

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Svolgimento del processo

L’Agenzia delle Entrate in persona del Direttore pro tempore ha proposto ricorso per cassazione avverso la sentenza n. 90/2/05 della Commissione Regionale delle Marche dep. il 26/09/2005 che aveva confermato, respingendo l’appello dell’Ufficio, la sentenza della Commissione Tributaria Provinciale di Ancona che aveva accolto il ricorso di A.M. quale legale rappresentante della s.a.s.

Ristorante Tabano di Falcetelli Angelica avverso l’avviso di accertamento Iva per l’anno 1996. Si duole la ricorrente,con tre motivi, di violazione di legge e di vizio motivazionale. La società contribuente non ha resistito.

La causa veniva rimessa alla decisione in pubblica udienza.
Motivi della decisione

I motivi fondati sulla omessa e insufficiente motivazione devono essere trattati congiuntamente con quello con cui si denuncia la violazione del D.P.R. n. 600 del 1973, art. 54, comma 2, ultima parte in quanto il corretto iter motivazionale è connesso alla questione relativa ai poteri dell’Ufficio conferiti dalla superiore normativa.

Assume in particolare che l’Ufficio aveva proceduto ad accertamento analitico induttivo e che pertanto il punto decisivo era la sussistenza di presunzioni con i requisiti della gravità, precisione e concordanza, su cui v’era vizio motivazionale.

E’ giurisprudenza pacifica di questa Corte che l’Amministrazione può procedere ad accertamento induttivo (Cass. n. 6311/2008, n. 11459/2001, n. 7045/1999) o a rettifica (Cass. n. 13486/2008) purchè fornisca la prova anche mediante presunzioni, della inattendibilità della documentazione elaborata dal contribuente.

Questa Corte ha sul punto rilevato che le incongruenze rilevate "abilitano l’Ufficio a procedere ad una valutazione di tutti gli elementi certi e concordanti, su cui poi si fonda la presunzione, che fa risalire dal fatto noto … al fatto ignoto (volume di affari e reddito imponibile). Va puntualizzato che i coefficienti presuntivi di reddito rappresentano un valore minimale nella determinazione del volume di affari, che si pone alla base dell’accertamento del reddito in una ottica statistica, non astratta, bensì riferita al singolo settore economico. Si verte, ovviamente, nell’ambito di una presunzione legale relativa, come tale superabile con la prova contraria, diretta a dimostrare fatti e circostanze specifiche che concretamente rivelano il conseguimento di un inferiore ammontare di ricavi". (Cass. n. 3223/07).

Questa Corte (Cass. n. 17408/2010) in ipotesi simile a quella in esame ha osservato che "nella prova per presunzioni, la relazione tra il fatto noto e quello ignoto non deve avere carattere di necessità, essendo sufficiente che l’esistenza del fatto da dimostrare derivi come conseguenza del fatto noto alla stregua di canoni di ragionevole probabilità. Pertanto, in tema di accertamento presuntivo del reddito d’impresa, ai sensi del D.P.R. 29 settembre 1973, n. 600, art. 39, comma 1, lett. d), è legittimo l’accertamento che ricostruisca i ricavi di un’impresa di ristorazione sulla base del consumo unitario dei tovaglioli utilizzati, costituendo dato assolutamente normale quello secondo cui, per ciascun pasto, ogni cliente adoperi un solo tovagliolo e rappresentando, (quindi, il numero di questi un fatto noto capace, anche di per sè solo, di lasciare ragionevolmente e verosimilmente presumere il numero dei pasti effettivamente consumati (pur dovendosi, del pari, ragionevolmente,sottrarre dal totale i tovaglioli normalmente utilizzati per altri scopi, quali i pasti dei soci e dei dipendenti, l’uso da parte dei camerieri e simili)".

Cfr., tra le altre, Cass. sentt. nn. 51 del 1999 in tema di materia prima per produrre prodotti di ristorazione, 6465 e 9884 del 2002, 15808/06 in tema di consumo di tovaglioli, e, in altro settore, consumo guanti monouso in odontoiatria.

Si è pertanto rilevato che "l’elemento de quo (acqua minerale) può anch’esso costituire valido elemento per la ricostruzione presuntiva del volume di affari della società intimata, esercente la medesima attività, in quanto il consumo dell’acqua minerale deve ritenersi un ingrediente fondamentale, se non addirittura indispensabile, nelle consumazioni effettuate sia nel settore del ristorante che della pizzeria, più degli altri elementi indicati dalla parte ricorrente (gas, elettricità, tovaglie e tovaglioli o dal numero di coperti disponibili, dal personale dipendente e dai prezzi praticati)." Non può non osservarsi poi che la facoltà per l’Amministrazione Finanziaria di procedere ad accertamento induttivo, non solo quando la dichiarazione del contribuente non sia congrua con gli studi di settore, ma quando "gli accertamenti … possono essere fondati anche sull’esistenza di gravi incongruenze tra ricavi, compensi ed i corrispettivi dichiarati e quelli fondatamente desumibili dalle caratteristiche e dalle condizioni di esercizio della specifica attività".

La Corte osserva inoltre che " occorre, inoltre, rilevare che la flessibilità degli strumenti presuntivi trova origine e fondamento proprio nell’art. 53 Cost., non potendosi ammettere che il reddito venga determinato in maniera automatica, a prescindere da quella che è la capacità contributiva del soggetto sottoposto a verifica. Ogni sforzo, quindi, va compiuto per individuare la reale capacità contributiva del soggetto, pur tenendo presente l’importantissimo ausilio che può derivare dagli strumenti presuntivi, che non possono però avere effetti automatici, che sarebbero contrastanti con il dettato costituzionale, ma che richiedono un confronto con la situazione concreta (confronto che può essere anche vincente per gli strumenti presuntivi allorchè i dati forniti dal contribuente risultino inattendibili)".

La CTR limita la motivazione all’osservazione che "Il fatto che siano subentrate tre diverse gestioni del ristorante sta ad indicare che le possibilità di guadagno erano limitate che l’attuale gestione si trovava con L. 400.000.000 di passivo per il mutuo e debiti a breve e lungo termine.

L’accusa non ha potuto dimostrare l’esistenza di maggiori ricavi e redditi perchè non ha svolto un accertamento analitico ma si è limitata a fare un calcolo approssimativo della carne e della farina." Questa Corte (Cass. n. 24985 del 24/11/2006) ha chiarito che il vizio di omessa motivazione si può manifestare nella mancanza assoluta della motivazione stessa (con conseguente nullità della pronuncia per difetto di un requisito di forma indispensabile) ovvero nel suo estrinsecarsi in argomentazioni non idonee a rivelare la "ratio decidendi" – cd. motivazione apparente.

Orbene nel caso in ispecie, dalla trascrizione testuale della motivazione della sentenza impugnata, emerge che la stessa è del tutto apparente, limitandosi la CTR a evidenziare un elemento che avrebbe potuto solo influire sul quantum, laddove in ordine al corretto iter che imponeva la individuazione e la valutazione degli elementi dedotti dall’Ufficio(rapporto tra acquisto di materie prime e prodotti finiti) al fine di individuare lo scarto significativo tra il dichiarato e i dati desumibili da massime di esperienza o dati parametrici o di studi di settore, la motivazione è del tutto carente, facendo riferimento ad un apodittico "calcolo approssimativo".

Priva di ogni delibazione e la questione accennata nella parte descrittiva della sentenza tra il contrasto (o l’omessa valutazione) tra i fattori di produzione valutati (carne e farina) e altri fattori di produzione (consumo energia elettrica, spese di lavanderia, ecc.) che avrebbe potuto incidere sia sulla valutazione del quadro presuntivo iniziale sia la valutazione del quantum dell’ accertamento.

L’accoglimento del ricorso impone la cassazione con rinvio ad altra Sezione della CTR delle Marche perchè riesamini il gravame e motivi adeguatamente e provveda sulle spese del presente giudizio.
P.Q.M.

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE Accoglie il ricorso, cassa la sentenza impugnata e rinvia ad altra Sezione della CTR delle Marche che provvederà anche sulle spese del presente giudizio.

Testo non ufficiale. La sola stampa del bollettino ufficiale ha carattere legale.

Cass. pen. Sez. V, Sent., (ud. 26-01-2011) 11-04-2011, n. 14450 Sentenza

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na del Sostituto Dott. IZZO Gioacchino, che ha chiesto il rigetto del ricorso.
Svolgimento del processo

D.S.G. era chiamato a rispondere, innanzi al Tribunale di Caltagirone, dei reati di cui ai capi a), ai sensi dell’art. 660 c.p., b) art. 612 c.p., comma 2, e c) art. 610 c.p..

Con sentenza dell’8 febbraio 2005 il Tribunale dichiarava l’imputato colpevole dei reati sub a) e c), mentre lo assolveva da quello sub b), per insussistenza del fatto.

Pronunciando sul gravame proposto dall’imputato, la Corte di Appello di Catania, con la sentenza indicata in epigrafe, in riforma della sentenza impugnata assolveva lo steso dal reato sub) a) con formula perchè il fatto non sussiste e determinava la pena per il reato sub c) nella misura ritenuta di giustizia.

Avverso la sentenza anzidetta l’imputato ha proposto ricorso per cassazione, affidato alle ragioni di censura indicate in parte motiva.
Motivi della decisione

1. – Con il primo motivo d’impugnazione, il ricorrente si duole che la Corte di merito non abbia rilevato la prescrizione maturata per il reato in contestazione, commesso il (OMISSIS), per il quale il termine relativo era di anni cinque secondo la vecchia normativa, più favorevole del nuovo regime, sicchè era scaduto l’8.2.2010, ossia cinque anni dopo la sentenza di primo grado e, quindi, prima della sentenza della Corte di Appello, che, peraltro, non aveva motivato sulla relativa richiesta.

Il secondo motivo deduce violazione e falsa applicazione dell’art. 49 c.p., trattandosi di reato impossibile secondo la ricostruzione del giudice di appello, in quanto, arrestata l’autovettura al centro della carreggiata e non già di traverso come ritenuto dai giudici di merito, la persona offesa sarebbe potuta transitare nella parte di strada non occupata, sicchè non rispondeva al vero che la stessa era stata lasciata libera di proseguire solo dopo aver detto all’imputato ciò che lui aveva voluto sapere.

2. – La prima ragione di censura, relativa al mancato rilievo della prescrizione maturata prima della sentenza di appello, è certamente fondata e merita, pertanto, accoglimento. Ed invero, nel caso di specie avrebbe dovuto trovare pacifica applicazione la vecchia normativa in tema di prescrizione, avuto riguardo alla data della sentenza di primo grado (8.2.2005) anteriore all’entrata in vigore della L. 5 dicembre 2005, n. 251, che ha modificato il regime della prescrizione. Il relativo termine di anni cinque per il reato in questione, con decorrenza dalla data dell’illecito ((OMISSIS)), è stato interrotto dalla stessa sentenza di primo grado. Dalla relativa data il termine ha ripreso a decorrere, venendo quindi a maturazione l’8.2.2010, dunque prima della pronuncia del giudice di appello, che avrebbe dovuto rilevarla.

All’anzidetta omissione può ovviarsi in questa sede, prendendo atto della conseguente estinzione del reato in oggetto. Non è dato, infatti, ravvisare, tanto più in presenza di doppia conforme sul punto, alcuna causa di – più favorevole – proscioglimento nel merito, ai sensi dell’art. 129 c.p.p., comma 2.

Al riguardo, la doglianza contenuta nel comma secondo, in merito alla pretesa impossibilità del fatto-reato, è certamente infondata, posto che il giudice di appello, ha compiutamente motivato sulla piena idoneità della condotta materiale dell’agente ad integrare gli estremi del reato in contestazione.

3. – Per quanto precede, deve farsi luogo a pronuncia di annullamento della sentenza impugnata, con formula corrispondente.
P.Q.M.

Annulla senza rinvio la sentenza impugnata per essere il reato estinto per prescrizione.

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T.A.R. Lazio Latina Sez. I, Sent., 27-04-2011, n. 366 Demolizione di costruzioni abusive

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el verbale;
Svolgimento del processo – Motivi della decisione

1. Con il provvedimento impugnato il comune di Minturno ha ingiunto al ricorrente la demolizione di opere allegatamente abusive; in concreto il ricorrente, per le opere eseguite, avrebbe dovuto richiedere la concessione edilizia.

Contro il provvedimento era quindi proposto il ricorso all’esame, con cui il ricorrente – che ha premesso di aver chiesto l’accertamento di conformità ex articolo 13 della legge 28 febbraio 1985, n. 47 – denuncia il difetto di motivazione e l’eccesso di potere sotto vari profili.

2. Il comune di Minturno non si è costituito in giudizio.

3. Con ordinanza n. 150 del 21 febbraio 2003 era accolta l’istanza di tutela cautelare.

4. Il ricorso deve essere dichiarato improcedibile per sopravvenuta carenza d’interesse; costituisce infatti giurisprudenza amministrativa ormai consolidata che la presentazione, in epoca successiva all’ingiunzione alla demolizione, di istanza di accertamento di conformità "produce l’effetto di rendere inefficace tale provvedimento e, quindi, improcedibile il ricorso proposto avverso la stessa per sopravvenuta carenza di interesse, in quanto il riesame dell’abusività dell’opera, sia pure al fine di verificarne l’eventuale sanabilità, provocato da detta istanza, comporta la necessaria formazione di un nuovo provvedimento (di accoglimento o di rigetto), che vale comunque a superare il provvedimento sanzionatorio oggetto dell’impugnativa. Pertanto, il ricorso giurisdizionale avvero un provvedimento sanzionatorio, proposto anteriormente all’istanza di condono edilizio, deve ritenersi improcedibile per sopravvenuta carenza di interesse, spostandosi l’interesse del responsabile dell’abuso edilizio dall’annullamento del provvedimento già adottato, all’eventuale annullamento del provvedimento di rigetto" (Consiglio di Stato, sez. VI, 12 novembre 2008, n. 5846, T.A.R. Lazio, Roma, sez. II, 10 maggio 2010, n. 10574).

5. Deve solo aggiungersi che nessun interesse alla verifica della legittimità dell’ingiunzione alla demolizione può residuare alla presentazione, senza riserve o condizioni, di una istanza di accertamento di conformità, dato che essa implica evidentemente il riconoscimento dell’abusività delle opere per le quali viene richiesta la sanatoria ex post all’amministrazione.

Nulla spese.
P.Q.M.

Il Tribunale Amministrativo Regionale per il Lazio sezione staccata di Latina (Sezione Prima)

definitivamente pronunciando sul ricorso, come in epigrafe proposto, lo dichiara improcedibile

Nulla spese

Ordina che la presente sentenza sia eseguita dall’autorità amministrativa.

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