Cass. pen. Sez. II, Sent., (ud. 26-01-2011) 12-05-2011, n. 18642 Misure cautelari

Sentenza scelta dal dott. Domenico Cirasole direttore del sito giuridico http://www.gadit.it/

Svolgimento del processo

Avverso l’ordinanza indicata in epigrafe, che ha confermato l’ordinanza del GIP del Tribunale di Rossano, emessa il 29.06.2010, applicativa della misura custodiale degli arresti domiciliari per il reato di costituzione di un sodalizio criminoso volto alla realizzazione di molteplici reati contro il patrimonio, fiscali, contro l’amministrazione della giustizia e di concorso nella truffa aggravata per il conseguimento di erogazioni pubbliche e di evasione di imposta ai sensi del D.Lgs. n. 74 del 2000, art. 2, ricorre la difesa del D.F. deducendo:

1) violazione degli artt. 12 e 16 sulla competenza per territorio, perchè, pur avendo il giudice di Cosenza, nell’ordinanza genetica della custodia, riconosciuto continuazione e connessione tra le ipotesi delittuose, aveva poi rimesso al giudice di Rossano, per competenza, il solo reato di associazione a delinquere, trattenendo la cognizione dei reati ascritti sub 24 e 36, e ciò in contrasto con la giurisprudenza della Suprema Corte e della sentenza n. 40537/2009. 2) Violazione del combinato disposto degli artt. 294 e 302 c.p.p. perchè l’ordinanza del giudice di Rossano, emessa ai sensi dell’art. 27 c.p.p., è stata notificata oltre il ventesimo giorno previsto dall’art. 27 c.p.p. nè il giudice di Cosenza, sulla nuova e diversa misura custodiale emessa dal giudice di Rossano ha provveduto all’interrogatorio di garanzia, ritenendo bastevole quello originariamente fatto in relazione alla prima misura;

3) Errata valutazione dei gravi indizi; il Tribunale di Catanzaro ha ritenuto il ruolo di coordinatore del D.F. sul presupposto erroneo che lo stesso fosse amministratore fittizio o paravento di V.F. nella conduzione della Formatec srl e ciò in contrasto con la tempistica dei fatti rilevanti, che vedono il D. F. amministrare la società diversi anni prima dell’intervento della società Procal di V..

4) errata valutazione delle esigenze cautelari e carenza di motivazione in ordine all’attualità e urgenza dell’applicazione della misura.
Motivi della decisione

2. Il ricorso è manifestamente infondato.

2.1 In ordine al primo motivo è d’uopo ricordare che la giurisprudenza annosa, costante e reiterata di questa Corte ha già deciso che ai fini della determinazione della competenza per territorio, la connessione tra delitto associativo e reati-fine può ritenersi sussistente solo nell’eccezionale ipotesi in cui risulti che, fin dalla costituzione del sodalizio criminoso o dall’adesione ad esso, un determinato soggetto, nell’ambito del generico programma criminoso, abbia già individuato uno o più specifici fatti di reato, da lui poi effettivamente commessi. (tra le tante: rv. 245503;

rv 212348, rv. 240309) e tale circostanza non emerge dalla motivazione impugnata nè è stata prospettata dal ricorrente.

Inoltre il motivo di doglianza è formulato in modo generico generico perchè non indica puntualmente nè la data dell’ordinanza di trasmissione degli atti al giudice competente nè la data di emissione dell’ordinanza sostitutiva, nè allega tali atti che, all’evidenza, riguardano il diverso procedimento che dalla trasmissione ha preso l’avvio, così violando il principio di autosufficienza del ricorso e rendendo impossibile il controllo di questa Corte;

2.2. Anche il secondo motivo è manifestamente infondato, perchè contrasta con la giurisprudenza consolidata di questa Corte di legittimità In tema di misure cautelari questa Corte, infatti, ha già deciso che non è necessario procedere ad un nuovo interrogatorio di garanzia qualora la misura cautelare disposta da giudice incompetente sia rinnovata ad opera di quello competente. In tal caso, infatti, ex art. 27 cod. proc. pen., l’estinzione della misura si determina solo nel caso in cui il giudice competente non abbia provveduto ad emettere una nuova ordinanza, ex art. 292 cod. proc. pen., nel termine di venti giorni dall’ordinanza di trasmissione degli atti. L’interrogatorio di garanzia di cui all’art. 294 cod. proc. pen., in ordine al quale la legge designa a provvedervi il giudice che ha disposto la misura e non quello competente per il merito, conserva piena efficacia, tant’è che il succitato art. 27 richiama il solo art. 292 e non anche gli artt. 294 e 302 cod. proc. pen.. Rv. 245836 Rv. 219975 Rv. 231335, Rv. 237697, Rv. 241773.

Il motivo di doglianza relativo al termine è formulato in modo generico perchè non indica nè la data dell’ordinanza di trasmissione degli atti al giudice competente nè la data di emissione dell’ordinanza sostitutiva, e neanche allega tali atti che, all’evidenza, riguardano il diverso procedimento che dalla trasmissione ha preso l’avvio, così violando il principio di autosufficienza del ricorso e rendendo impossibile il controllo di questa Corte;

2.3 Anche il terzo motivo è manifestamente infondato. Il ricorrente, infatti, si limita a prospettare una lettura alternativa del materiale probatorio posto a fondamento del provvedimento impugnato, con una motivazione che da ampia ricostruzione dei fatti e, in punto di colpevolezza, individua con precisione gli aspetti più rilevanti della illecita attività del D.F.. Di contro il ricorso non individua specifici vizi della motivazioni ma avanza perplessità interpretative su dati di fatto (relativi al sequestro di un computer, al contenuto dei documenti ivi archiviati; ai prospetti degli accertamenti bancari e delle fatture ed altro) che sfuggono al controllo di pura legittimità di questa Corte.

2.4 La motivazione dell’ordinanza impugnata da atto non solo degli elementi probatori acquisiti ma anche della loro logica concatenazione; emerge così dalle analisi e dalle ricostruzioni tecniche ad opera dei consulenti del P.M., dal contenuto delle conversazioni telefoniche e tra presenti e da quello della documentazione sequestrata, che la finalità della condotta gli indagati era quella di indurre in errore i funzionari pubblici ed ottenere l’erogazione di contributi pubblici. Gli indagati hanno posto in essere una serie di artifici e raggiri volti non solo a documentare oneri di spesa gelativi alla realizzazione di programmi di investimento agevolato, nettamente superiori a quelli sostenuti ma anche ad attestare un apporto di mezzi propri da parte dei soci (come previsto dai decreti di concessione delle agevolazioni) in realtà mai concretamente realizzati. Del tutto adeguata, in punto di sufficienza e gravità degli indizi, è pertanto la motivazione.

2.4 Anche l’ultimo motivo di ricorso è inammissibile perchè il Tribunale, in ordine alla sussistenza delle esigenze cautelari, integrando la motivazione del GIP sul punto, ha compiutamente ed adeguatamente motivato proprio sui punti che il ricorrente denuncia non esaminati. In particolare il Tribunale ha precisato che il tempo trascorso dai fatti in interferisce con l’attualità delle esigenze cautelari le quali, piuttosto, rimangono ancorate all’indole e alla capacità a delinquere dell’interessato che devono essere correlate alle possibilità, attuali e concrete, dell’indagato di reiterare i delitti anche attraverso l’intervento inquinatorio dei soggetti ed enti esteri coinvolti nella vicenda.

Ai sensi dell’art. 616 c.p.p., con il provvedimento che dichiara inammissibile il ricorso, il ricorrente che lo ha proposto deve essere condannato al pagamento delle spese del procedimento, nonchè – ravvisandosi profili di colpa nella determinazione della causa di inammissibilità – al pagamento a favore della cassa delle ammende della somma di mille Euro, così equitativamente fissata in ragione dei motivi dedotti.
P.Q.M.

Dichiara inammissibile il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali e della somma di mille Euro alla cassa delle Ammende.

Testo non ufficiale. La sola stampa del bollettino ufficiale ha carattere legale.

Cass. pen. Sez. II, Sent., (ud. 27-04-2011) 27-05-2011, n. 21399 Competenza funzionale

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Svolgimento del processo

Il Tribunale di Nocera Inferiore giudicava con il rito ordinario M.C., D.A., P.G.:

Imputati:

– capo d) – del reato di cui agli artt. 81 e 110 c.p., art. 644 c.p., comma 1 e comma 5, n. 3 aggravato ex L. n. 203 del 1991, art. 7 per usura in danno di I.G.; fatti dal (OMISSIS) fino al decreto che dispone il giudizio;

– capo e) – del reato di cui agli artt. 81, 110 e 629 c.p., in relazione all’art. 628 c.p., comma 1, e comma 3, n. 1, aggravato ex L. n. 203 del 1991, art. 7, per estorsione in danno di G. G.; fatti commessi dal (OMISSIS) fino al decreto che dispone il giudizio;

– capo f)- del reato di cui agli artt. 110 e 629 c.p., in relazione all’art. 628 c.p., comma 10 e comma 3, n. 1, aggravato ex L. n. 203 del 1991, art. 7, per estorsione in danno di I.G.;

fatti commessi in data antecedente al (OMISSIS);

– capo g) – del reato di cui agli artt. 110 e 629 c.p., in relazione all’art. 628 c.p., comma 1 e comma 3 n. 1, aggravato ex L. n. 203 del 1991, art. 7, per estorsione in danno di A.F.; fatti commessi dal (OMISSIS) fino al decreto che dispone il giudizio;

– capo h) – il solo M., del reato di cui agli artt. 81 e 110 c.p., art. 644 c.p., comma 1 e comma 5, n. 3 aggravato ex L. n. 203 del 1991, art. 7 per usura in danno di R.A.; fatti commessi dal (OMISSIS) fino al decreto che dispone il giudizio;

– capo k) – il solo M., del reato di cui all’art. 81 c.p. e art. 640 c.p., comma 1 e comma 2, n. 1, per truffa in danno dell’ASL (OMISSIS); fatti dal (OMISSIS) fino al decreto che dispone il giudizio;

Al termine del giudizio i predetti imputati venivano condannati con sentenza del 27.10.2008 alla pena ritenuta di giustizia, esclusa per tutti l’aggravante ex L. n. 203 del 1991, art. 7:

il M. per le imputazioni di cui ai capi – d) – e) – f) – g) – h) – k);

il P. per l’imputazione di cui al capo – g);

la D. per l’imputazione al capo – e);

La corte di appello di Salerno, investita del gravame, confermava la decisione impugnata con sentenza del 26.03.2010;

I tre imputati ricorrono per cassazione a mezzo dei difensori, deducendo:

– M. – D. -;

MOTIVI ex art. 606 c.p.p., comma 1, lett. e).

1) – Con il primo motivo, i ricorrenti censurano la decisione impugnata per nullità dell’udienza preliminare conseguente alla violazione dell’art. 111 Cost., art. 178 c.p.p., lett. c) in relazione all’art. 418 c.p.p. e segg., lamentando che, sebbene il Tribunale avesse dichiarato la nullità del decreto di citazione e rimesso gli atti al Gup, quest’ultimo aveva emesso nuovo decreto per il giudizio senza rinnovare l’udienza preliminare;

2) – con il secondo motivo si deduce la nullità del decreto che dispone il giudizio per incompetenza del Gup distrettuale, atteso che le imputazioni ex art. 416 bis c.p. ed L. n. 203 del 1991, art. 7 non erano state sollevate sin dall’inizio e non erano fondate su elementi di prova sufficienti;

3) – con il terzo motivo si deduce la nullità o inutilizzabilità delle intercettazioni poste a fondamento della decisione di condanna, nonchè dell’avviso di conclusioni indagini, atteso che al momento di tale ultimo avviso non venivano poste a disposizione della difesa le bobine delle intercettazioni nè era dato avviso ex art. 268 c.p.p., nn. 6 e 8; in realtà la trasposizione delle intercettazioni veniva rilasciata dopo la scadenza dei termini ex art. 415 bis c.p.p.;

4)- con il quarto motivo si deduce la nullità delle intercettazioni per omessa motivazione del decreto che autorizzava l’uso di impianti esterni, in violazione dell’art. 268 c.p.p., comma 3 e art. 271 c.p.p.;

5)- Con il quinto motivo si deduce la nullità delle intercettazioni perchè adottate sulla scorta di una denuncia anonima e, comunque, di elementi indiziari privi del requisito della gravità;

6)- con il sesto motivo si censura la sentenza impugnata per avere ritenuto utilizzabili le dichiarazioni rese dalle parti offese in violazione dell’art. 63 c.p.p., atteso che le medesime non potevano essere sentite in tale qualità, risultando già indagabili al momento in cui erano state esaminate;

– il ricorrente sottolinea che tutte le persone offese erano state poi effettivamente indagate per favoreggiamento ma erano state sentite ugualmente in violazione dell’art. 63 c.p.p.;

7)-con il settimo motivo, relativo al solo M., si censura la sentenza impugnata per avere omesso di disporre la sospensione del processo e la perizia medica a seguito dell’incapacità dell’imputato a stare in giudizio;

8) – con l’ottavo motivo, relativo alla sola D., si censura la sentenza impugnata per avere ritenuto il concorso dell’imputata nel delitto di estorsione contestato al capo F) senza illogicamente tenere conto dell’età avanzata dell’imputata (anni (OMISSIS)) e della sostanziale impossibilità di concorso; il tutto in assenza della prova che l’anziana donna fosse a conoscenza dei rapporti intercorrenti tra il figlio M.C. e la parte offesa G.;

P.:

MOTIVI ex art. 606 c.p.p., comma 1, lett. e).

1) – con il primo motivo il ricorrente censura la sentenza impugnata per omessa ed illogica motivazione laddove ha ritenuto il suo concorso nell’attività estorsiva del M. nonostante l’assenza di minacce da parte sua;

2)- la sentenza era illogica anche per avere ritenuto l’aggravante della partecipazione di più persone, ex art. 628 c.p., comma 3, n. 1, nonostante che dalle dichiarazioni della parte offesa A. F., emergesse che il P. si era recato da lui da solo e non in compagnia del M.;

3)- Inoltre la sentenza era da censurare per avere negato le circostanze attenuanti generiche sulla scorta dei soli precedenti del P.;

Chiedono l’annullamento della sentenza impugnata.
Motivi della decisione

M. – D. -;

1 – 2) – Con il primo ed il secondo motivo, i ricorrenti censurano la decisione impugnata per nullità afferenti il decreto che ha disposto il giudizio;

La Corte territoriale ha motivatamente respinto tali eccezioni, già formulate nei motivi di appello, osservando:

alquanto alla manca rinnovazione dell’udienza preliminare, che la stessa era stata correttamente omessa dal Gup atteso che il Tribunale aveva annullato il decreto che disponeva il giudizio solo per una questione di forma, legata all’esatta indicazione della sede giudiziaria in cui si doveva svolgere il processo (Tribunale di Nocera Inferiore e non di Salerno come erroneamente indicato in un primo momento) sicchè il Gip aveva provocato il contraddittorio solo su quest’ultimo punto con apposita udienza camerale per la correzione dell’errore materiale.

Si tratta di una motivazione corretta perchè rispettosa del criterio dettato dall’art. 185 c.p.p., comma 3, che dispone la regressione del procedimento, in caso di dichiarazione di nullità, allo stato in cui è stato compiuto l’atto nullo, principio costantemente interpretato nel senso che la regressione è limitata al singolo atto affetto da nullità e non può estendersi agli atti e fasi regolarmente compiuti.

In tal senso e per un caso analogo è stato espresso il principio per il quale "nel caso in cui gli atti siano trasmessi al PM per l’ulteriore corso, a seguito dell’annullamento della sentenza di primo grado, non è dovuta la rinnovazione dell’avviso di cui all’art. 415 bis c.p.p. siccome tale esigenza non si pone quando il contraddittorio ha avuto modo di dispiegarsi, nella sua pienezza, nella precedente fase processuale avanti al Giudice di pace e avanti al giudice dell’appello, il quale ultimo ha annullato la sentenza di 1 grado, dichiarando l’incompetenza per materia del primo giudicante" (Cass. Pen. Sez. 6, 21.10.2008 n. 2007).

Da tali principi emerge che, nella specie, non era necessario rinnovare l’udienza preliminare, già ritualmente espletata con pieno dispiegamento del diritto di difesa, ed era sufficiente provocare il contraddittorio solo sull’atto oggetto di annullamento e cioè sull’individuazione della sede competente per il giudizio, argomento sul quale le parti hanno avuto modo di interloquire a mezzo dei difensori nell’apposita udienza convocata. b) – Quanto all’eccezione di nullità dello stesso decreto per incompetenza del Gup distrettuale è parimenti condivisibile la motivazione adottata dalla Corte di appello atteso che, a tal riguardo, non assume rilievo l’imputazione originariamente formulata nelle indagini preliminari, stante la notoria provvisorietà della stessa (Cassazione penale, sez. 1, 04/02/2009, n. 9004), essendo rilevante solo quella con cui il PM formula la richiesta di rinvio a giudizio ed esercita l’azione penale.

E’ noto infatti che il p.m. esercita l’azione penale con la richiesta di rinvio a giudizio, a seguito della quale l’indagato assume la posizione di imputato (art. 60 c.p.p), (Cassazione penale, sez. 3, 26/04/1995, n. 1455).

Nè tale conclusione può essere posta in discussione osservando che, nelle fasi successive del giudizio le contestazioni e le aggravanti comportanti la competenza funzionale del Gup distrettuale siano venute meno, atteso che la competenza funzionale si radica in base alle richieste del PM tanto che, anche nell’ipotesi in cui vengano escluse le aggravanti ex L. n. 203 del 1991, art. 7, il Gup distrettuale resta competente a decidere sul rinvio a giudizio per i restanti reati attratti per connessione nella sua originaria competenza funzionale. (Cass. Pen. Sez. 6, 22.04.2008 n. 22426).

3-4-5)- Ugualmente infondati sono i motivi sulla nullità delle intercettazioni telefoniche, essendo ormai principio consolidato che il motivo del ricorso per cassazione, con il quale si deduce la mancanza di motivazione dei decreti del PM allorchè ha autorizzato l’uso di impianti esterni, deve ritenersi generico e quindi inammissibile ove il ricorrente venga meno all’onere di fornire dettagliata indicazione dei decreti ritenuti nulli, in modo da porre il giudice del procedimento in grado di verificare l’effettiva inesistenza (Cassazione penale, sez. un., 17/11/2004, n. 45189);

onere a cui non hanno ottemperato i ricorrenti che si sono limitati ad enunciare la censura senza allegare e nemmeno indicare alcuno dei decreti ritenuti nulli;

per altro va sottolineato che il motivo è inammissibile anche perchè proposto per la prima volta in questa sede, mancando ogni rilievo – sul punto – nei motivi di appello.

Sulla scorta di tali principi risulta chiara l’infondatezza delle eccezioni di inutilizzabilità delle intercettazioni: – per essere state disposte in assenza di gravi indizi di reato, essendovi solo una denuncia anonima; – per mancato deposito delle bobine; – per intempestiva effettuazione delle trasposizioni; invero anche in questi casi i ricorrenti si limitano all’enunciazione delle censure, senza addurre e nemmeno indicare gli elementi probatori e documentali su cui le stesse si fondano.

Tale conclusione si fonda sul concetto di autosufficienza del ricorso per cassazione il quale comporta che, quando si lamenti la omessa valutazione del contenuto di specifici atti del processo penale, è onere del ricorrente suffragare la validità del suo assunto mediante la completa trascrizione dell’integrale contenuto degli atti medesimi (ovviamente nei limiti di quanto era già stato dedotto in sede di appello), dovendosi ritenere precluso al giudice di legittimità il loro esame diretto, a meno che il fumus del vizio dedotto non emerga all’evidenza dalla stessa articolazione del ricorso. (Cassazione penale, sez. fer., 13/09/2007, n. 37368).

6)- I principi sino qui esposti in materia di autosufficienza del ricorso, si rivelano violati anche dal motivo con il quale i ricorrenti deducono l’inutilizzabilità delle dichiarazioni rese dalle parti offese a sommarie informazioni testimoniali per essere le stesse raggiunte da elementi che le rendevano indagabili;

si tratta di motivi generici, poichè non vengono allegati nè indicati gli atti da cui trarre la prova dei chiari indizi di reità esistenti a carico dei denunciane sin dal momento in cui venivano sentiti a sommarie informazioni; il tutto in violazione del principio per il quale il ricorso per cassazione che denuncia il vizio di motivazione deve contenere, a pena di inammissibilità e in forza del principio di autosufficienza, le argomentazioni logiche e giuridiche sottese alle censure rivolte alla valutazione degli elementi probatori, e non può limitarsi a invitare la Corte alla lettura degli atti indicati, il cui esame diretto è alla stessa precluso.

(Cassazione penale, sez. 6, 08/07/2010, n. 29263).

Per altro, il motivo si scontra senza confutarla con la motivazione impugnata che, al contrario, ha precisato come non vi fossero prima dell’escussione indizi non equivoci di reità, come tali conosciuti dall’Autorità procedente, non rilevando in proposito eventuali sospetti, sicchè non vi era motivo di "ritenere che i testi I., G. ed A., dovessero essere escussi quali persone sottoposte ad indagini per reati connessi o collegati e non come persone offese" (vedi, motivaz.).

Invero, l’inutilizzabilità "erga omnes" delle dichiarazioni rese da chi doveva essere sentito sin dall’inizio come indagato o imputato sussiste solo se al momento delle dichiarazioni il soggetto che le ha rese non sia estraneo alle ipotesi accusatorie allora delineate, in quanto l’inutilizzabilità assoluta, ex art. 63 c.p.p., comma 2, richiede che a carico di detto soggetto risulti l’originaria esistenza di precisi, anche se non gravi, indizi di reità, senza che tale condizione possa farsi derivare automaticamente dal solo fatto che il dichiarante possa essere stato in qualche modo coinvolto in vicende potenzialmente suscettibili di dar luogo alla formazione di addebiti penali a suo carico. (Cassazione penale, sez. 5, 15/05/2009, n. 24953).

Con l’ottavo motivo si censura la sentenza impugnata per avere ritenuto la penale responsabilità dell’imputato in ordine al delitto d truffa, ascritto al capo K), limitandosi a richiamare l’esito positivo della visita medica, senza confutare l’assunto recepito dalla Corte di appello, che aveva evidenziato come tale esito era frutto proprio della simulazione contestata all’imputato al capo K).

– Con l’ultimo motivo dedotto per il solo M. si censura la sentenza impugnata per non avere sospeso il procedimento e per non avere disposto la perizia a causa dell’incapacità del medesimo a stare in giudizio ma tale motivo si scontra con la cospicua motivazione espressa dalla sentenza di appello che ha argomentato, in punto di fatto, sulle ragioni per le quali ha ritenuto accertata la capacità dell’imputato a stare in giudizio, sulla scorta delle numerose perizie espletate in altri procedimenti a carico dell’imputato, espressamente richiamate.

Al riguardo la sentenza elenca gli elementi dimostrativi, in maniera convergente, della capacità a stare in giudizio del M., rinvenienti: – dalle argomentazioni del Consulente del PM, Dott. Gu.; – dalla diagnosi di dimissione del M. nel (OMISSIS) dalla Casa di Cura: (OMISSIS), per come analizzata dal dott. C.; – dalle conclusioni della perizia prof. Ri..

Si tratta di un accertamento in punto di fatto in ordine al quale la motivazione risulta completa e non censurabile in sede di legittimità, nemmeno sotto il profilo della omessa perizia, atteso che in tema di accertamenti sulla capacità dell’imputato di partecipazione cosciente al processo, il giudice non è tenuto a disporre perizia, perchè può formare il suo convincimento anche sulla base degli elementi già acquisiti agli atti. (Cassazione penale, sez. 6, 26/02/2008, n. 31662).

Con il motivo relativo all’affermazione di responsabilità della D. per il concorso nell’episodio estorsivo – capo E – si deducono valutazioni della prova fondate essenzialmente sul rilievo dell’età avanzata dell’imputata e sull’equivocità del comportamento della medesima che risultano infondate in quanto omettono ogni considerazione sull’apparato argomentativo della sentenza impugnata ove si precisa:

– che la D. si era recata più volte presso la parte offesa, accompagnata dal figlio M. il quale, in risposta alle proteste del G. sugli assegni rimasti insoluti lo invitava a "rimanere tranquillo" espressione intesa nel suo significato minatorio dal G. che, ben conoscendo lo spessore criminale del M., si era indotto a "lasciare le cose come stavano";

– che tale condotta minatoria del M. era corroborata dal chiaro concorso della madre, D., che ogni volta era presente in evidente funzione di spalleggiamento.

Si tratta di una motivazione del tutto conforme ai principi espressi dalla Giurisprudenza di legittimità in tema di minaccia larvata Cassazione penale sez. 2, 09 luglio 2009. n. 38967 nonchè in tema di concorso mediante condotta di mera presenza. Cassazione penale, sez. 2, 22 aprile 2009. n. 25614.

Tali principi evidenziano la piena infondatezza anche delle censure mosse dal P. riguardo alla contestazione del suo concorso, essendo irrilevante la circostanza che egli non abbia mai pronunciato frasi minacciose ovvero che in alcune occasioni egli sia andato presso la parte offesa senza il M., atteso che la sentenza sottolinea in maniera congrua come il P. formulava le richieste di denaro alla parte offesa A. "per conto del M." dimostrando così il suo pieno coinvolgimento nella vicenda estorsiva nonchè la ricorrenza dell’aggravante delle più persone.

Parimenti infondati appaiono i motivi formulati dal P. relativamente al trattamento sanzionatorio, atteso che la sentenza impugnata ha fatto uso dei criteri di cui all’art. 133 c.p., ritenuti sufficienti dalla Giurisprudenza di legittimità, per la congrua motivazione in termini di determinazione della pena e di concessione delle attenuanti generiche; atteso che riguardo alla pena si è richiamata la gravità del fatto e riguardo alle attenuanti generiche si è fatto riferimento ai numerosi precedenti penali dell’imputato.

Va ricordato che, ai fini della concessione o del diniego delle circostanze attenuanti generiche, è sufficiente che il giudice di merito prenda in esame, tra gli elementi indicati dall’art. 133 c.p., quello (o quelli) che ritiene prevalente e atto a consigliare o meno la concessione del beneficio; e il relativo apprezzamento discrezionale, laddove supportato da una motivazione idonea a far emergere in misura sufficiente il pensiero dello stesso giudice circa l’adeguamento della pena concreta alla gravità effettiva del reato e alla personalità del reo, non è censurabile in sede di legittimità se congruamente motivato. (Cassazione penale, sez. 4, 04 luglio 2006, n. 32290).

Segue il rigetto del ricorso atteso che i motivi proposti, pur se non manifestamente inammissibili, risultano infondati per le ragioni sin qui esposte;

ai sensi dell’art. 592 c.p.p., comma 1, e art. 616 c.p.p i ricorrenti vanno condannati al pagamento delle spese del procedimento.
P.Q.M.

Rigetta i ricorsi e condanna i ricorrenti al pagamento delle spese processuali.

Testo non ufficiale. La sola stampa del bollettino ufficiale ha carattere legale.

Cons. Stato Sez. V, Sent., 14-06-2011, n. 3606 Contratti

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Svolgimento del processo – Motivi della decisione

1. Con sentenza n. 2612/2010 il Tar per la Lombardia, sezione di Brescia, ha respinto il ricorso proposto da E. S. s.r.l. avverso gli atti con cui il comune di Cologne ha esercitato il riscatto degli impianti di pubblica illuminazione, in precedenza gestiti dalla società ricorrente.

E. S. s.r.l. ha proposto ricorso in appello avverso tale sentenza per i motivi che saranno di seguito esaminati.

Il comune di Cologne e la regione Lombardia si sono costituiti in giudizio, chiedendo la reiezione del ricorso.

All’odierna udienza la causa è stata trattenuta in decisione.

2. L’oggetto del giudizio è costituito dalla contestazione da parte di E. S. s.r.l., titolare del servizio di gestione degli impianti di illuminazione pubblica situati nel comune appellato, degli atti con cui lo stesso comune ha deciso di esercitare il riscatto degli impianti ai sensi del R.D. n. 2578/1925 e del d.P.R. n. 902/1986.

Il giudice di primo grado ha ritenuto vigente la normativa in materia di riscatto degli impianti di cui al R.D. 15 ottobre 1925 n. 1568 ed al d.P.R.. n. 902/1986 e ha poi giudicato infondati i restanti motivi attinenti allo stato di consistenza e all’indennità, al subentro dei contratti e alla mancata contestuale indizione di una gara per l’affidamento del servizio.

E. S. s.r.l. contesta tali statuizioni e sostiene in primo luogo che la citata normativa avente ad oggetto l’esercizio del riscatto sarebbe stata implicitamente abrogata.

Il motivo è privo di fondamento.

Come correttamente rilevato dal Tar, la facoltà di riscatto non è stata abrogata dalla normativa sopravvenuta, ma è tuttora riconosciuta dall’ordinamento al fine di garantire al Comune la possibilità di individuare, attraverso una gara pubblica, il soggetto migliore cui affidare la gestione del servizio mediante concessione.

La finalità del riscatto non è, quindi, unicamente quella di consentire ai comuni l’assunzione diretta dei servizi, ma anche, e oggi soprattutto se non esclusivamente, quella di garantire la disponibilità degli impianti in modo da individuare la migliore modalità di gestione attraverso l’indizione di una pubblica gara, specie per affidamenti disposti oltre trenta anni fa senza alcuna procedura di evidenza pubblica.

In sede cautelare, questa Sezione ha già rilevato che la normativa in materia di riscatto degli impianti di cui al R.D. 15 ottobre 1925, n. 1568 ed al D.L. n. 902/1986 non risulta implicitamente abrogata per effetto della sopravvenuta disciplina poi recepita dal T.U. n. 267/00 nella misura in cui mira all’assicurazione, in capo agli enti locali, della proprietà degli impianti costituente presupposto indefettibile per l’indizione della procedura per l’affidamento del servizio pubblico ovvero per la relativa assunzione in house", (Consiglio di Stato, V, ord. 12 dicembre 2008 n. 6639, in cui è stato affermato anche che la giurisprudenza in senso contrario riguardante il diverso settore del gas, non è analogicamente estensibile alla fattispecie qui in esame).

Pur se riguardante il diverso settore del gas, anche la giurisprudenza costituzionale conferma che il riscatto è uno strumento finalizzato alla riorganizzazione del servizio in vista di un assetto più confacente alle esigenze della collettività (Corte Cost., 14 maggio 2008 n. 132).

In definitiva, deve ritenersi che permane, in capo agli enti locali, la facoltà di riscattare la proprietà degli impianti di illuminazione pubblica ai sensi della citata normativa.

3. Con ulteriore censura l’appellante deduce che il riscatto sarebbe avvenuto in modo irritale in assenza di un accordo delle parti sullo stato di consistenza, necessario per procedere alla determinazione della prevista indennità.

Anche tale motivo è infondato, in quanto l’esercizio del riscatto non è in alcun modo subordinato al previo raggiungimento di un accordo tra le parti sullo stato di consistenza o sulla quantificazione dell’indennizzo, dovendosi altrimenti giungere alla irragionevole conclusione che la parte privata avrebbe la possibilità di impedire in fatto il riscatto non accordandosi con l’amministrazione.

Come correttamente rilevato dal Tar, nel sistema delineato dalla legge e dalla convenzione stipulata tra il Comune e E., è prevista espressamente la possibilità, in caso di mancato accordo, di rimettere la questione ad un apposito collegio arbitrale, senza che il trasferimento degli impianti possa essere procrastinato ad un momento successivo all’avvenuta definizione e liquidazione dell’indennizzo dovuto.

Infatti, l’art. 24, comma 2, r.d. n. 2578/1925 prevede che "L’ammontare dell’indennità può essere determinato d’accordo fra le parti… In mancanza dell’accordo decide in primo grado, con decisione motivata, un collegio arbitrale composto di tre arbitri, di cui uno è nominato dal consiglio comunale, uno dal concessionario ed uno dal presidente del tribunale nella cui giurisdizione è posto il comune" (ricorso all’arbitrato, previsto anche dagli art. 12 e ss. Del d.P.R. n. 902/1986, che si limita a prevedere – all’art. 11 – che "lo stato di consistenza costituisce la base per la determinazione dell’indennità di riscatto", senza assegnare allo stesso alcun valore di necessario presupposto per l’esercizio del riscatto).

La quantificazione e il pagamento dell’indennizzo, compreso il presupposto stato di consistenza, sono, quindi, questioni che esulano dall’oggetto della presente controversia, che è costituito dalla legittimità dell’esercizio del riscatto, che non è incisa da una eventuale contestazione dell’indennizzo dovuto.

4. Prive di fondamento sono anche le censure, con cui l’appellante deduce il vizio dello sviamento di potere, che risulterebbe integrato dall’aver il comune ingiunto la riconsegna degli impianti senza aver contestualmente bandito una nuova gara per l’affidamento del servizio.

Anche in questo caso si tratta di una questione che esula dalla verifica della legittimità dell’esercizio del riscatto, che si pone su un piano logico e temporale in un momento antecedente rispetto alle decisioni che l’amministrazione deve assumere per la successiva gestione del servizio.

Pur avendo il Tar fatto impropriamente riferimento ad un "periodo transitorio", si osserva come il riscatto e l’effettiva consegna degli impianti non può che precedere il successivo affidamento del servizio e come sia tecnicamente arduo, se non impossibile, immaginare l’indizione di una gara contestualmente al provvedimento di riscatto, senza avere certezze sui tempi di esecuzione del provvedimento, sulla consistenza dei beni e, quindi, su elementi in base ai quali vanno redatti gli atti della gara.

Ogni ulteriore considerazione, svolta dall’appellante nelle ultime memorie e in sede di discussione orale, attiene all’attività posta in essere dal comune dopo l’adozione dei provvedimenti impugnati e non può costituire parametro per valutare la legittimità degli stessi, potendo al più essere oggetto di contestazione in separati giudizi, ove l’appellante ritenga leso il proprio interesse a concorrere per l’affidamento del servizio.

5. Le precedenti considerazioni conducono a ritenere priva di fondamento anche la censura relativa alla presunta illegittimità del subentro nei contratti da parte del comune, disposto ai sensi dell’art. 24, comma 9, del r.d. n. 2578/1925.

Accertato che non è possibile procedere contestualmente all’esercizio del riscatto e alla indizione di una gara, logica conseguenza comporta che le esigenze di continuità del servizio impongano al comune di entrare in possesso degli impianti, subentrando – ai sensi del citato art. 24, comma 9 – nei contratti in essere fino all’indizione e positiva conclusione di una nuova gara per l’affidamento del servizio.

Risulta, pertanto, chiaro che il citato art. 24, comma 9, non può ritenersi tacitamente abrogato con riferimento al servizio di pubblica illuminazione qui in esame.

Correttamente, dunque, il Tar ha ritenuto che legittimamente l’amministrazione ha preteso il rilascio dei suddetti contratti, a nulla rilevando l’eventuale contenuto di dati sensibili (la riservatezza dei quali viene superata dalla previsione di legge del subentro nel contratto).

6. E’, infine, inammissibile – in quanto motivo nuovo proposto in appello – la censura attinente alla contestazione del potere di ordinanza del comune, anche inteso quale forma di esercizio dell’autotutela.

Il motivo è stato infatti sviluppato nel solo ricorso in appello con argomentazioni non presenti negli atti notificati in primo grado.

La censura è, comunque, infondata nel merito, in quanto l’ordinanza di ingiunzione alla consegna degli impianti costituisce atto meramente esecutivo dei precedenti provvedimenti, la cui legittimità è stata in questa sede confermata.

7. In conclusione, il ricorso in appello deve essere respinto.

Alla soccombenza seguono le spese del presente grado di giudizio, liquidate nella misura indicata in dispositivo, mentre ricorrono i presupposti per la compensazione delle spese con la regione.
P.Q.M.

Il Consiglio di Stato in sede giurisdizionale (Sezione Quinta), respinge il ricorso in appello indicato in epigrafe.

Condanna l’appellante alla rifusione, in favore del Comune appellato, delle spese di giudizio, liquidate nella complessiva somma di Euro 5.000,00, oltre Iva e C.P., compensando le spese con la regione Lombardia.

Ordina che la presente sentenza sia eseguita dall’autorità amministrativa.

Testo non ufficiale. La sola stampa del bollettino ufficiale ha carattere legale.

Cons. Stato Sez. IV, Sent., 01-07-2011, n. 3945 Opposizione del terzo

Sentenza scelta dal dott. Domenico Cirasole direttore del sito giuridico http://www.gadit.it/

Svolgimento del processo

1. Con il ricorso in esame, l’Associazione professionale Studio V. Progettazione, in proprio e quale mandataria della costituenda ATI (composta anche da RPA s.r.l. e V. I. s.r.l.), nonché R.P.A. s.r.l., propone opposizione di terzo avverso la sentenza di questo Consiglio di Stato 9 agosto 2010 n. 5447.

Con tale decisione, in accoglimento dell’appello proposto da G. P. – Consorzio stabile di ingegneria soc. cons. r. l. (ed in riforma della sentenza TAR Lazio, sez. III, 6 luglio 2004 n. 6476), si è accolto il ricorso da quest’ultimo proposto avverso la revoca, disposta dal Provveditorato interregionale alle opere pubbliche per il Lazio, Abruzzo e Sardegna, della gara di appalto per l’affidamento della progettazione definitiva e del coordinamento della sicurezza in fase di progettazione della nuova sede ISTAT in Roma, con conseguente travolgimento della già disposta aggiudicazione provvisoria in favore del Consorzio.

Occorre immediatamente precisare che la graduatoria provvisoria redatta all’esito di detta gara vedeva il predetto "G. P. – Consorzio stabile di ingegneria s.r.l., quale primo classificato; l’ATI con capogruppo lo studio A., quale II classificato; infine l’ATI con capogruppo l’Associazione professionale studio V. P., attuale opponente, quale terzo classificato.

L’opponente sottolinea come, con la sentenza n. 5447/2010, questo Consiglio di Stato ha disposto "l’accoglimento dell’appello e, in riforma della sentenza impugnata, l’accoglimento del ricorso in I grado, con conseguente annullamento di tutti gli atti e provvedimenti con esso impugnati", ritenendo illegittimo che "la stazione appaltante si sia rivolta ad un soggetto terzo (il Comune di Roma) per valutare la correttezza dell’aggiudicazione provvisoria disposta dalla Commissione di gara".

Precisa, inoltre, che "l’opponente ATI ha interesse all’annullamento della suddetta decisione nella parte in cui annulla gli atti istruttori acquisiti dall’ISTAT e dal Provveditorato, perché detti atti istruttori accertano che la gara non può essere aggiudicata né al primo né al secondo classificato nella procedura concorsuale in esame". Precisamente, tali atti istruttori annullati sono la nota 26 novembre 2007 n. 5469 del Comune di Roma; il parere 12 marzo 2008 dell’Avvocatura Generale dello Stato; il parere 29 aprile 2008 n. 2195 del Comune di Roma.

Ritenuto che "la decisione della stazione appaltante di rinviare gli atti alla commissione giudicatrice del concorso ovvero di non aggiudicare presuppone un’adeguata istruttoria", la ricorrente propone i seguenti motivi di opposizione:

a) violazione e/o falsa applicazione art. 97 Cost.; artt. 1, 6, 16 e 17 l. n. 241/1990; violazione e/o falsa applicazione del principio della massima acquisizione degli interessi nella fase istruttoria; violazione e/o falsa applicazione art. 81, comma 3, d. lgs. n. 163/2006; eccesso di potere per travisamento dei fatti, difetto di istruttoria, nonché per difetto (carenza e/o erroneità) di motivazione; ciò in quanto, posto che "la pubblica amministrazione può procedere all’annullamento dell’aggiudicazione allorchè la gara non risponda più alle esigenze dell’ente e sussista un interesse pubblico all’eliminazione degli atti divenuti inopportuni", di modo che "rientra nella potestà discrezionale dell’amministrazione disporre la revoca del bando di gara e degli atti successivi in presenza di concreti motivi di interesse pubblico opportunamente e debitamente esplicitati", tanto premesso, anche la decisione di chiedere un nuovo esame della documentazione da parte della commissione giudicatrice è un provvedimento discrezionale ed il relativo potere discrezionale deve "essere esercitato dalla stazione appaltante previa adeguata istruttoria, da effettuarsi, ove ritenuto utile, coinvolgendo le figure soggettive pubbliche cui è affidata la cura degli interessi coinvolti dal contratto pubblico in corso di stipulazione". Ne consegue l’invalidità della decisione impugnata "nella parte in cui ritiene illegittimo "che la stazione appaltante si sia rivolta ad un soggetto terzo (il Comune di Roma) per valutare la correttezza dell’aggiudicazione provvisoria disposta dalla commissione d gara";

b) violazione di legge; violazione e/o falsa applicazione art. 97 Cost.; violazione e/o falsa applicazione artt. 1, 6, 16 e 17 l. n. 241/1990; violazione e/o falsa applicazione del principio della massima acquisizione degli interessi nella fase istruttoria; eccesso di potere per illogicità e contraddittorietà manifesta, nonché per difetto di istruttoria ed erroneità della motivazione; poiché nel caso di specie non è stato esercitato il potere ex art. 81, co. 3, d lgs. n. 163/2006, ma il potere di autotutela in relazione all’intera procedura concorsuale, di modo che "l’istruttoria doveva essere particolarmente accurata e completa". Ne consegue la violazione dei principi generali del diritto amministrativo e del contraddittorio, da parte della sentenza opposta, laddove afferma che "sarebbe precluso all’amministrazione procedente l’acquisizione di pareri o valutazioni tecniche da parte del Comune di Roma, al quale è affidata la cura degli interessi connessi ai profili urbanistici ed edilizi dell’opera pubblica da realizzare, ovvero dall’Avvocatura Generale dello Stato".

Si sono costituiti in giudizio il Ministero delle infrastrutture e dei trasporti, il Provveditorato interregionale per le opere pubbliche per il Lazio, l’Abruzzo e la Sardegna; l’ISTAT; la Presidenza del Consiglio dei Ministri (Dipartimento del turismo e Struttura di missione celebrazioni 150° anniversario unità nazionale).

Si è altresì costituita in giudizio Roma Capitale, che ha concluso "associandosi alla richiesta presentata con opposizione di terzo".

Si è costituito in giudizio il Consorzio stabile G. P., che ha concluso per la reiezione dell’opposizione di terzo.

Con ordinanza 24 novembre 2010 n. 5344, questo Consiglio di Stato, ha accolto l’istanza cautelare, ed ha quindi disposto la sospensione dell’esecutività della sentenza impugnata n. 5447/2010, precisando che:

– "le odierne opponenti sono portatrici di un interesse alla conservazione degli atti con i quali la stazione appaltante ha proceduto alla verifica della conformità urbanistica delle offerte ammesse, al fine di conseguire l’aggiudicazione per la propria offerta quale terza classificata e che tale interesse è sorto in epoca successiva alla reiezione del precedente ricorso proposto avverso l’aggiudicazione provvisoria, scaturendo dalle attività autonomamente compiute dall’amministrazione dopo la medesima aggiudicazione provvisoria";

– di conseguenza, "nella qualità indicata, le predette opponenti avevano certamente veste di controinteressate nel giudizio conclusosi con la sentenza oggi opposta, e che le doglianze articolate in ricorso appaiono meritevoli di approfondimento nella sede del merito".

All’odierna udienza, la causa è stata riservata in decisione.

Motivi della decisione

2. Il ricorso in opposizione di terzo è inammissibile per difetto di interesse.

L’art. 108 del Codice del processo amministrativo, nel disciplinare l’opposizione di terzo, prevede:

(comma 1): "Un terzo, titolare di una posizione autonoma e incompatibile, può fare opposizione contro una sentenza del Tribunale amministrativo regionale o del Consiglio di Stato pronunciata tra altri soggetti, ancorchè passata in giudicato, quando pregiudica i suoi diritti o interessi legittimi".

(comma 2): "Gli aventi causa e i creditori di una delle parti possono fare opposizione alla sentenza, quando questa sia effetto di dolo o collusione a loro danno."

Il Codice del processo amministrativo recepisce, quindi – pur con i dovuti adattamenti necessitati dal diverso contesto sostanziale (la presenza nel giudizio amministrativo anche della posizione di interesse legittimo) e processuale – le due classiche figure di opposizione di terzo, disciplinate dall’art. 404 cod. proc. civ., e cioè l’ opposizione di terzo ordinaria (primo comma) e l’opposizione d terzo revocatoria (secondo comma).

Mentre l’opposizione di terzo revocatoria, di cui al comma 2 dell’art. 108, ricalca quasi alla lettera la dizione usata dall’art. 404, comma secondo, c.p.c., il comma 1 del medesimo art. 108, nel disciplinare l’opposizione di terzo ordinaria, si discosta dall’art. 404, comma primo, c.p.c., specificando che la parte legittimata all’opposizione deve essere "titolare di una posizione autonoma e incompatibile".

Sul punto, la relazione illustrativa del Codice precisa che, con tale dizione, si è intesa superare "la giurisprudenza del giudice amministrativo che, in carenza di una disciplina dell’opposizione di terzo, ammetteva l’appello anche di chi non fosse stato parte del giudizio di primo grado".

Come è noto, l’estensione al giudizio amministrativo dell’opposizione di terzo discende dalla sentenza 17 maggio 1995 n. 177 della Corte Costituzionale, con la quale venne dichiarata l’illegittimità costituzionale degli artt. 28 e 36 della legge n. 1034/1971, nella parte in cui gli stessi non prevedevano l’opposizione di terzo ordinaria tra i mezzi di impugnazione esperibili avverso le sentenze del Consiglio di Stato e dei Tribunali amministrativi regionali.

Secondo la Corte costituzionale, "l’esigenza del rimedio è… desunta dalla constatazione della possibilità che – nonostante la regola generale, dettata dall’art. 2909 del codice civile, dell’ inefficacia della sentenza nei confronti di soggetti diversi dalle parti del processo a conclusione del quale essa sia stata pronunciata – si presentino casi in cui, per effetto della cosa giudicata, venga a determinarsi una obbiettiva incompatibilità fra la situazione giuridica definita dalla sentenza e quella di cui sia titolare un soggetto terzo rispetto ai destinatari della stessa. Il mezzo di impugnazione di cui si tratta trae perciò ispirazione da tale evenienza e consente a coloro che non sono stati coinvolti nel processo di far valere le loro ragioni, infrangendo lo schermo del giudicato per rimuovere il pregiudizio che da esso possa loro derivare. Ciò sia nel caso che la situazione vantata dall’opponente ed incompatibile con quella affermata dal giudicato venga considerata dal diritto sostanziale prevalente rispetto a quest’ultima, sia nel caso che la sentenza cui ci si oppone risulti… pronunciata senza il rispetto di regole processuali.".

La Corte evidenzia due distinte situazioni:

– il caso "in cui un controinteressato, parte necessaria, sia stato pretermesso e non abbia potuto far valere le sue ragioni";

– il caso di soggetti diversi dai destinatari in senso formale della sentenza, posto che vi sono casi in cui "l’azione amministrativa, direttamente o di riflesso, coinvolge per sua natura una pluralità di soggetti che non sempre sono ritenuti parte necessaria nelle controversie oggetto del giudizio"; e poiché il processo amministrativo, "come attualmente configurato, si svolge normalmente tra i soggetti interessati dall’atto impugnato, è possibile che la sentenza che lo conclude possa poi dar luogo, per la sua attuazione, ad altri procedimenti interferenti su rapporti facenti capo a soggetti che non dovevano o, in alcuni casi, addirittura non potevano partecipare al processo e dunque diversi dai destinatari in senso formale della sentenza medesima.".

La giurisprudenza amministrativa ha successivamente approfondito le indicazioni della Corte costituzionale, precisando (Cons. Stato, Ad. Plen., 11 gennaio 2007 n. 2), che "la legittimazione a proporre la opposizione di terzo, nei confronti della decisione amministrativa resa tra altri soggetti, va riconosciuta: a) ai controinteressati pretermessi; b) ai controinteressati sopravvenuti (beneficiari di un atto consequenziale, quando una sentenza abbia annullato un provvedimento presupposto all’esito di un giudizio cui siano rimasti estranei); c) ai controinteressati non facilmente identificabili; d) in generale ai terzi titolari di una situazione giuridica autonoma ed incompatibile, rispetto a quella riferibile alla parte risultata vittoriosa per effetto della sentenza oggetto di opposizione.", specificandosi altresì che "non sono legittimati i titolari di una situazione giuridica derivata ovvero i soggetti interessati solo di riflesso (ad es. soggetti legati da rapporti contrattuali con i legittimati all’impugnazione) (in senso conf. Cons Stato, sez. VI, 29 gennaio 2008 n. 230).

A fronte di tali orientamenti del giudice amministrativo, giova ricordare che la giurisprudenza ordinaria afferma, con orientamento consolidato, che "la legittimazione ad impugnare la sentenza con l’opposizione di terzo ordinaria ( art. 404 c.p.c., comma 1) presuppone in capo all’opponente la titolarità di un diritto autonomo, la cui tutela sia incompatibile con la situazione giuridica risultante dalla sentenza pronunciata tra altre parti" (in tal senso, Cass. civ., sez. III, 13 marzo 2009 n. 6179; 23 aprile 2007, n. 9647; nonchè Cass. sez. un 11 febbraio 2003, n. 19979).

Ritiene il Collegio che, fatto salvo quanto già detto in ordine alla dizione sopra riportata ("titolare di una posizione autonoma e incompatibile"), l’art. 108 Cpa ha sostanzialmente recepito, in tema di opposizione di terzo ordinaria, le indicazioni rese, in assenza di norma, dalla giurisprudenza amministrativa.

Anzi, occorre aggiungere che la definizione, ora positivamente prevista, della parte legittimata all’opposizione di terzo, richiamando la necessità della titolarità in capo a quest’ultima di una "posizione autonoma ed incompatibile", introduce una precisazione che non esaurisce i suoi effetti sul piano meramente processuale (risolvendo essa, cioè, problemi di compatibilità tra appello ed opposizione di terzo, per i quali, peraltro, dispone anche il successivo art. 109, comma 2), ma che, innanzi tutto, definisce, con riferimento al giudizio impugnatorio, le caratteristiche della posizione sostanziale che si assume lesa e che, in quanto tale, fonda legittimazione attiva e interesse ad agire in opposizione (in senso sostanzialmente conforme a quanto statuito dalla citata sentenza dell’Adunanza Plenaria n. 2/2007).

In tal senso, quanto alla "autonomia" della posizione giuridica, l’opposizione di terzo non può essere esperita da colui che sia portatore di un interesse non direttamente leso dal provvedimento amministrativo per cui vi è stato giudizio, di un interesse., cioè, che avrebbe al più legittimato un intervento. Possono, al contrario, certamente proporre opposizione di terzo:

– coloro che risultavano controinteressati ma che, per difetto di notifica, non hanno potuto prendere parte al giudizio;

– ovvero (ipotesi corollario della precedente), coloro che, pur essendo controinteressati, non sono stati tuttavia identificati come tali;

– o ancora coloro che, per essere stati contemplati da un provvedimento successivamente adottato (ma che trova in quello oggetto del giudizio il proprio presupposto), maturano la titolarità di una posizione autonoma, contrastante con quella di chi è anteriormente insorto contro il provvedimento presupposto.

Inoltre, quanto alla "incompatibilità" della posizione, quest’ultima postula che la posizione predetta, tutelata dall’ordinamento giuridico (in quanto fondata su norma di legge e/o regolamento, ovvero su diverso provvedimento amministrativo assistito da presunzione di legittimità), si caratterizzi per un contenuto (il bene che forma oggetto della posizione giuridica, argomentando dall’art. 810 cod. civ.) assolutamente in contrasto con la sentenza pronunciata e che risulta da questa pregiudicato, senza che il titolare abbia avuto la possibilità di agire in giudizio avverso le parti costituite.

Anche in quest’ultimo caso, solo attraverso lì’opposizione di terzo può sanarsi la contraddizione tra "cosa giudicata" in senso sostanziale (ex art. 2909 cod. civ.), che tuttavia, come è noto, definisce e limita l’efficacia dell’accertamento contenuto in sentenza alle "parti" del giudizio, e posizione di colui che tale qualifica di parte non ha potuto incolpevolmente acquisire, risolvendosi così quella "incompatibilità fra la situazione giuridica definita dalla sentenza e quella di cui sia titolare un soggetto terzo rispetto ai destinatari della stessa", già rilevata dalla Corte costituzionale.

Quest’ultima situazione, unitamente a quella del soggetto titolare di posizione giuridica fondata su provvedimento amministrativo consequenziale a quello impugnato (situazione, quest’ultima, che può essere ricostruita anche come una specie della precedente), è proprio ciò che più caratterizza il processo amministrativo (nella sua specifica veste di giudizio impugnatorio), rispetto al processo civile, potendosi cioè avere – proprio per la tipicità del giudizio, ma soprattutto per la presunzione di legittimità che assiste i provvedimenti amministrativi, ancorchè oggetto di impugnazione e che consente l’ulteriore attività amministrativa – l’insorgenza di posizioni giuridiche successivamente al giudizio instaurato, e quindi possibili legittimazioni ad opposizione di terzo derivanti, non già dal mancato rispetto del principio del contraddittorio, bensì dalla sopravvenienza di nuovi atti fondativi di posizioni giuridiche.

Nel caso di specie, i ricorrenti hanno proposto, a tutta evidenza, opposizione di terzo ordinaria alla sentenza del Consiglio di Stato n. 9042/2010, ed in relazione a tale genere di opposizione, con riferimento al preciso oggetto del giudizio conclusosi con tale decisione, che occorre verificare la sussistenza, in capo ai ricorrenti medesimi, dell’interesse ad agire.

3. Tanto premesso sul piano generale, ai fini della migliore comprensione della posizione giuridica degli attuali ricorrenti in opposizione di terzo, appare opportuno ripercorrere le fasi che hanno caratterizzato il procedimento conclusosi con la "revoca della procedura concorsuale ad evidenza pubblica bandita in data 19 gennaio 2007".

Con Protocollo di intesa sottoscritto il 14 aprile 2000 il Comune di Roma, l’ISTAT ed altre Amministrazioni pubbliche interessate convenivano di individuare nella zona di RomaPietralata le aree necessarie alla localizzazione delle nuove sedi istituzionali delle Amministrazioni firmatarie di detta intesa.

In data 8 novembre 2006, l’ISTAT stipulava, al fine di porre in essere tutte le attività necessarie alla realizzazione della propria sede istituzionale in detto comprensorio di Pietralata, apposita convenzione con l’ing. Angelo Balducci, nella sua qualità di Direttore Generale della Presidenza del Consiglio dei Ministri, e con il Provveditorato Interregionale alle Opere Pubbliche del Lazio, Abruzzo e Sardegna, con la quale affidava a detto Ing. Balducci -che avrebbe dovuto avvalersi del supporto tecnico ed amministrativo del citato Provveditorato- "…lo svolgimento di tutte le attività necessarie alla redazione del progetto preliminare, definitivo ed esecutivo…", "…le funzioni di stazione appaltante…", "…la revisione di tutti i documenti di gara…", "…la validazione del progetto…" e "..l’espletamento delle procedure di affidamento…" relative alla realizzazione di detta sede sulla base del progetto planovolumetrico messo a disposizione dal Comune di Roma.

Con bando pubblicato sulla G.U.C.E. il 19 gennaio 2007 il Provveditorato anzidetto indiceva la gara di appalto per "…l’affidamento della progettazione definitiva e del coordinamento della sicurezza in fase di progettazione della nuova sede istituzionale dell’ISTAT, via di Pietralata, Roma…", da esperirsi con il metodo dell’offerta economicamente più vantaggiosa, nel rispetto delle disposizioni fissate dalla lettera di invito.

All’esito della gara, risultava aggiudicatario provvisorio il Consorzio G. P., seguito dall’ATI con capogruppo lo studio A., quale II classificato; infine l’ATI con capogruppo l’Associazione professionale studio V. P., attuale opponente, quale terzo classificato.

Avverso l’atto di aggiudicazione provvisoria proponeva ricorso al TAR Lazio l’ATI stuidio V. (terzo classificato).

Con nota del 26 novembre 2007 il Comune di Roma, cui il Provveditorato si era rivolto su richiesta dell’ISTAT per una valutazione dell’offerta risultata aggiudicataria provvisoria, comunicava a detti enti che la proposta migliorativa offerta dal Consorzio "…non rispetta le norme prescrittive del progetto unitario e pertanto non è conforme allo stesso…".

Con nota del 12 marzo 2008 l’Avvocatura Generale dello Stato, interpellata dall’ISTAT con nota 29 gennaio 2008 n. 513, rendeva il proprio parere affermando, per quel che interessa nella presente sede, che:

– poiché "sembra manifesta l’incompatibilità urbanistica del progetto risultato provvisoriamente vincitore, alla stazione appaltante non resta che procedere alla sua esclusione ed alla verifica di compatibilità nei confronti del progetto/offerta secondo classificato, in favore del quale – ove la verifica, da condursi anche secondo le indicazioni desumibili dal ricorso proposto dal terzo classificato, avesse esito positivo – dovrà intervenire l’aggiudicazione";

– quanto all’opportunità di procedere alla revoca della gara, a parte la necessaria individuazione di "…gravi ragioni di interesse pubblico…" per sostenerne la validità, "l’esercizio del potere di revoca comporterebbe, in ogni caso, il pagamento di importi che non si può escludere siano rilevanti"; inoltre, "la successiva indizione di una nuova gara… in pratica, finirebbe con il complicare ulteriormente l’assetto degli interessi coinvolti nella fattispecie in esame e con il produrre ulteriori procedimenti giurisdizionali…";

– occorre, dunque, "agire nell’ambito delle regole proprie della procedura di gara già espletata", procedendo quindi all’esclusione dell’aggiudicatario provvisorio Consorzio G. P. "avendo il Comune di Roma già dichiarato la non rispondenza agli strumenti urbanistici della proposta progettuale", e valutando di conseguenza la conformità urbanistica della proposta della seconda classificata.

L’ISTAT, sulla scorta del predetto parere legale, chiedeva al Provveditorato di acquisire un nuovo parere del Comune di Roma sulla conformità urbanistica delle proposte migliorative presentate da tutti gli offerenti collocati in graduatoria, parere che veniva reso con nota n. 2195 del 29 aprile 2008 nella quale si indicavano urbanisticamente "conformi" soltanto quattro delle nove proposte progettuali verificate.

Successivamente, la stessa ISTAT, preso atto dell’intervenuto inserimento dell’intervento in questione nel programma delle iniziative per le celebrazioni del 150° Anniversario dell’Unità d’Italia, e valutata positivamente (v. nota n. 2829 del 30 aprile 2008) la possibilità di realizzare la propria sede istituzionale secondo le procedure ed i tempi previsti dal DPCM regolante le predette celebrazioni, manifestava al Provveditorato, anche alla luce delle valutazioni espresse dal Comune di Roma, l’intenzione (v. nota n. 2924 del 8 maggio 2008) di lasciare decadere la convenzione in atto (del 8 novembre 2006) con l’ing. Balducci ed il Provveditorato stesso, onde poter sottoscrivere una nuova convenzione con la Struttura di Missione della PCM per le celebrazioni del 150° Anniversario dell’Unità d’Italia ed invitava detto organo a predisporre gli atti necessari alla revoca per ragioni di pubblico interesse della gara aggiudicata provvisoriamente al Consorzio.

Con decreto n. 470 del 14 luglio 2008, il Provveditorato disponeva la revoca della procedura concorsuale ad evidenza pubblica bandita in data 19 gennaio 2007, tenuto conto di tutta la documentazione sin qui richiamata e delle valutazioni di opportunità espresse dall’ISTAT circa l’inserimento dell’intervento tra le opere per le celebrazioni del 150° Anniversario dell’Unità d’Italia, onde poter realizzare la nuova sede entro la fine del 2010 e così elidere i gravosi oneri per le finanze pubbliche connessi al fitto della sede attuale.

In particolare, e per quel che interessa nella presente sede, il decreto di revoca da atto della nota del Comune di Roma 29 aprile 2008 n. 2195, con la quale "è stato comunicato che in esito alla valutazione delle proposte progettuali migliorative ai fini della conformità urbanistica sono risultate conformi solamente quattro delle nove proposte progettuali, la prima delle quali corrisponde all’offerta presentata dal terzo classificato nella procedura di gara di che trattasi".

Il 9 settembre 2008 la Struttura di Missione della Presidenza del Consiglio dei Ministri per le Celebrazioni del 150° Anniversario dell’Unità d’Italia pubblicava in GUCE il (nuovo) bando per l’affidamento in appalto "…della progettazione esecutiva e realizzazione della nuova sede dell’ISTAT nel comprensorio di Pietralata, settore orientale di Roma…".

Con ricorso al TAR, prodotto il 23 ottobre 2008, il Consorzio G. P. impugnava, oltre al decreto di revoca della (prima) gara nella quale era risultato aggiudicatario provvisorio, anche la nota del Comune di Roma n. 5469 del 26 novembre 2007 e gli ulteriori atti citati nel preambolo del citato decreto di revoca.

Con avviso pubblicato in data 7 gennaio 2009 la Struttura di Missione rendeva noto che "…con provvedimento n. 4/09/segr. 2001, in data odierna, si è determinato l’annullamento della procedura per l’affidamento della progettazione esecutiva e realizzazione della nuova sede dell’ISTAT nel comprensorio di Pietralata, settore orientale di Roma. Sarà avviata in termini quanto mai brevi altra procedura riferita all’argomento…".

Con nota n. 142 del 20 gennaio 2009, il Comune di Roma, a seguito di richiesta avanzata dall’Avvocatura Generale dello Stato con propria nota n. 92746 del 29 dicembre 2009, formulava ulteriori valutazioni di carattere tecnico in ordine all’asserita incompatibilità urbanistica della proposta progettuale del Consorzio.

Infine, in data 30 marzo 2009 il Consorzio impugnava con motivi aggiunti la documentazione acquisita per effetto dell’ordinanza n. 120 del 2009 del Giudice di primo grado.

Con sentenza 6 luglio 2009 n. 6476, il TAR Lazio:

– ha dichiarato improcedibile il ricorso, in quanto proposto avverso il bando di (nuova) indizione della gara di progettazione esecutiva e realizzazione della nuova sede dell’ISTAT, atteso il sopravvenuto annullamento di ufficio dello stesso;

– ha respinto il ricorso ed i successivi motivi aggiunti, ritenendo che gli atti contestati con detti mezzi erano immuni dai vizi prospettati con i motivi proposti.

4. A seguito di appello proposto dal Consorzio G. P. e dalla M. C. A. s.r.l., questo Consiglio di Stato, con la sentenza 9 agosto 2010 n. 5447 (oggetto dell’opposizione di terzo), precisato che "non è oggetto di impugnazione la parte della sentenza in epigrafe, con la quale il giudice di I istanza ha dichiarato improcedibile, per sopravvenuta carenza di interesse, l’impugnativa del bando" della nuova gara, ha accolto l’appello e per l’effetto, "in riforma della sentenza impugnata, accoglie il ricorso di I grado con conseguente annullamento degli atti e dei provvedimenti impugnati".

Le ragioni sulle quali si fonda la sentenza sono, in sintesi, le seguenti:

a) oggetto del ricorso in I grado era "la legittimità del provvedimento di revoca della gara d’appalto all’esito della quale il Consorzio era risultato aggiudicatario provvisorio, nonché gli atti in esso citati e quelli acquisiti al giudizio per effetto dell’ordinanza istruttoria del TAR n. 120/2009, ma non anche l’esclusione dalla stessa di detto concorrente, perché mai pronunziata"; in altre parole, "oggetto principale del contendere non è la nota del Comune di Roma n. 5469 del 26 novembre 2007, che ha qualificato l’offerta progettuale presentata in gara dal Consorzio come non rispettosa "delle norme prescrittive del progetto unitario e pertanto non conforme allo stesso", bensì il provvedimento di revoca dell’intera anzidetta gara";

b) tanto premesso, sono prive di legittimità le (tre) ragioni fondanti la revoca, posto che la prima (possibile inserimento dell’intervento nel quadro dei progetti per le celebrazioni del 150° anniversario dell’Unità d’Italia), è "null’altro che una mera ipotesi procedimentale ancora da attivare"; la seconda (esistenza di una specifica condizione per l’inserimento suddetto, consistente nell’attivazione immediata di apposita gara per l’affidamento), "non è tale, poiché inerisce ad una condizione di operatività della nuova procedura di evidenza pubblica… che si è avverata non solo con ritardo… ma anche malamente"; la terza (conformità urbanistica, all’esito della procedura di verifica, riscontrata per solo quattro delle nove offerte presentate nella prima gara), "costituisce soltanto la prova evidente dell’intento della stazione appaltante di non volere comunque dare esecuzione agli esiti della gara già espletata… perché non soltanto non ha tenuto in alcun conto la valutazione operata dalla Commissione di aggiudicazione dalla stessa appositamente nominata, quale unico organo di valutazione competente sia per legge (cfr. art. 84 del Codice dei Contratti) sia per espressa regola di gara (cfr. pag. 10, "Criteri di valutazione ed aggiudicazione"), ma non ha neppure seguito l’avviso espresso dal Comune di Roma, all’esito della verifica commissionatagli circa la compatibilità urbanistica del progetto risultato aggiudicatario, pur avendo suggerito l’interpellata Avvocatura di Stato di procedere, se del caso, all’esclusione del concorrente aggiudicatario, ma non anche alla revoca dell’intera gara";

c) il TAR ha "erroneamente ritenuto legittimo che la stazione appaltante si sia rivolta ad un soggetto terzo (il Comune di Roma) per valutare la correttezza dell’aggiudicazione provvisoria disposta dalla Commissione di gara";

d) sono infine fondati anche i motivi con i quali si è prospettata la violazione dell’art. 7 l. n. 241/1990 (poiché "trattandosi di revoca dell’intero procedimento di gara, si verte in tema di procedimento di secondo grado per il cui legittimo avvio necessita ex lege che le parti direttamente interessate siano preventivamente informate", ed infine, l’incompetenza dell’organo emanante il provvedimento di revoca della (prima) gara, poiché "la delega delle funzioni di stazione appaltante è stata conferita dall’ISTAT a persona fisica determinata… e non anche al Provveditorato, come peraltro si ammette nello stesso provvedimento di revoca impugnato".

5. Alla luce della complessa ma indispensabile ricostruzione delle fasi procedimentali e processuali, entro le quali viene a collocarsi il presente ricorso in opposizione di terzo (ordinaria), occorre stabilire quale sia la posizione degli attuali opponenti, in relazione, in particolare, alla sussistenza (o meno) del loro interesse ad agire in opposizione.

Il ricorso precisa (pag. 6) che "l’opponente ATI ha interesse all’annullamento della suddetta decisione nella parte in cui annulla gli atti istruttori acquisiti dall’ISTAT e dal Provveditorato, perché detti atti istruttori accertano che la gara non può essere aggiudicata né al primo né al secondo classificato nella procedura concorsuale in esame". Tali atti istruttori vengono concretamente individuati (pagg. 67 ricorso) nelle note del Comune di Roma 26 novembre 2007 e 30 (recte: 29) aprile 2008 n. 2195, nonché nel parere dell’Avvocatura generale dello Stato 12 marzo 2008.

Giova ripetere, innanzi tutto ed ancora una volta, che l’effetto della sentenza n. 5447/2010 di questo Consiglio di Stato, consiste nell’annullamento del decreto di revoca 14 luglio 2008 n. 470, provvedimento finale del procedimento in autotutela avviato, con riferimento alla gara per l’affidamento della progettazione definitiva e del coordinamento della sicurezza in fase di progettazione della nuova sede istituzionale dell’ISTAT in Roma.

E’ del tutto evidente che il ricorso in opposizione (come peraltro espressamente dichiarato) non interessa l’intera sentenza n. 5447/2010, ma solo la parte della stessa con la quale si è disposto (anche) l’annullamento degli atti endoprocedimentali espressamente indicati.

Orbene, ritiene il Collegio che la posizione dei ricorrenti in opposizione, ed in particolare il loro interesse ad agire, debba essere valutato alla luce dell’atto concretamente adottato dall’amministrazione, che, in quanto oggetto del giudizio, in primo grado ed in appello, conseguente ai ricorsi del Consorzio G. P., ne ha costituito il thema decidendum

In sostanza, all’esito dell’aggiudicazione provvisoria e dell’ulteriore attività istruttoria svolta (prescindendosi dalla legittimità o meno di quest’ultima), l’amministrazione:

a) avrebbe potuto procedere (così come peraltro consigliato dall’Avvocatura generale dello Stato) a disporre l’esclusione dell’aggiudicatario provvisorio (il Consorzio), conseguentemente procedendo a valutare la conformità urbanistica del progetto del secondo classificato, e, in difetto della conformità di tale progetto, eventualmente a valutare la conformità del terzo (ipotesi non trattata nel detto parere). In tal modo, l’amministrazione avrebbe "conservato" gli atti di gara, risolvendosi il proprio intervento nella sola esclusione dell’aggiudicatario;

b) ha invece ritenuto di procedere alla revoca dell’intera procedura di gara, e ciò per una pluralità di ragioni, delle quali una (giudicata anch’essa illegittima, e peraltro non determinante nell’economia del provvedimento) è rappresentata da quanto emerso a seguito delle valutazioni del Comune di Roma.

Orbene, poiché l’amministrazione ha disposto la revoca della procedura di gara (e non la semplice esclusione dell’aggiudicatario provvisorio), può ritenersi che gli attuali opponenti – seguendo la loro stessa prospettazione – avessero interesse ad agire avverso tale provvedimento di revoca, proprio perché, adottando quest’ultimo, l’amministrazione escludeva ogni possibilità di "scorrimento" della graduatoria dei progetti, fino ad addivenire all’aggiudicazione in loro favore (e non a caso essi avevano, a suo tempo, già impugnato l’aggiudicazione provvisoria).

Ciò non significa – occorre precisare – che in questa sede si dia per scontato che l’amministrazione, una volta constatata la non conformità urbanistica del progetto secondo classificato avrebbe dovuto, necessariamente ed automaticamente, procedere all’aggiudicazione in favore del progetto terzo classificato.

Come è evidente, tale ultima considerazione esula dal tema del presente giudizio ed il Collegio non ritiene che essa possa costituire nemmeno un "obiter dictum" della presente decisione, ma è invece possibile rilevare come, dalla prospettazione che gli attuali opponenti fanno del loro interesse ad agire in opposizione, si evidenzia la sussistenza, innanzi tutto, del loro interesse ad agire direttamente avverso il provvedimento di revoca adottato dall’amministrazione.

Il Collegio ignora se vi sia stata (o meno) tale impugnazione da parte degli attuali opponenti, né tale cognizione appare rilevante, posto che essi si giovano comunque dell’annullamento del provvedimento di revoca intervenuto a seguito dell’accoglimento del ricorso proposto dal Consorzio G. P. (per effetto della sentenza d’appello) avverso il provvedimento di revoca.

Proprio per questo, la posizione degli attuali opponenti, relativamente al giudizio conclusosi con la sentenza di appello n. 5447/2010 non è quella di controinteressati pretermessi, come, invece, sarebbe stato laddove, in ipotesi, l’amministrazione avesse disposto l’esclusione dell’aggiudicatario e quest’ultimo (ipotetico) provvedimento fosse stato oggetto di impugnazione, bensi quella, ben diversa, di "cointeressati" all’annullamento del provvedimento di revoca, al punto da poter ipotizzare – come sopra si è fatto – la loro autonoma posizione di appellanti principali.

In altre parole, senza l’annullamento del provvedimento di revoca, una possibilità di "vantaggio", consistente nel conseguire l’aggiudicazione, non si porrebbe affatto, né per l’appellante Consorzio G. P., né per l’ATI attuale opponente.

Per le ragioni sin qui esposte, il Collegio non può che ripensare quanto affermato nella propria ordinanza n. 5344/2010, dove si è affermato che le opponenti "avevano certamente veste di controinteressate nel giudizio conclusosi con la sentenza oggi opposta, e che le doglianze articolate in ricorso appaiono meritevoli di approfondimento nella sede del merito".

Oggetto di tale giudizio (lo si ribadisce ancora una volta per maggior chiarezza) era la revoca della procedura di gara, rispetto alla quale la riscontrata mancanza di conformità urbanistica di taluni progetti costituiva solo una delle ragioni addotte.

Al contrario, l’"interesse alla conservazione degli atti con i quali la stazione appaltante ha proceduto alla verifica della conformità urbanistica delle offerte ammesse, al fine di conseguire l’aggiudicazione per la propria offerta quale terza classificata", riscontrato dal Collegio e che certamente scaturisce "dalle attività autonomamente compiute dall’amministrazione dopo la medesima aggiudicazione provvisoria":

– per un verso, sorreggerebbe, sul piano dell’interesse ad agire, il ricorso (in ipotesi) proposto avverso il provvedimento di aggiudicazione della gara in favore del precedente aggiudicatario provvisorio (nel caso di specie, il Consorzio G. P.), adottato proprio pretermettendo le verifiche di conformità urbanistica, ciò ovviamente laddove la procedura avesse avuto un esito diverso da quello, tranciante, ottenutosi con l’adottato provvedimento di revoca;

– per altro verso, non fonda un autonomo interesse ad agire in opposizione, proprio perché gli attuali opponenti non sono controinteressati processualmente pretermessi nel giudizio di impugnazione del’atto di revoca.

Ciò che sembra non apparire chiaro, e che è invece opportuno ribadire, è che gli atti istruttori intervenuti dopo l’aggiudicazione provvisoria non sono stati utilizzati dall’amministrazione al fine di disporre l’esclusione dell’aggiudicatario (ed eventualmente del secondo classificato), bensì sono stati da essa utilizzati per fondare una delle ragioni di revoca dell’intera procedura concorsuale.

Ora, per effetto della sentenza n. 5344/2010, una volta annullato il provvedimento di revoca, rivive il procedimento amministrativo di gara a suo tempo posto in essere dall’amministrazione fino all’adozione dell’atto di aggiudicazione provvisoria.

Non possono, evidentemente, ritenersi tuttora esistenti e validi il parere dell’Avvocatura e le due note di valutazione di conformità urbanistica adottate dal Comune di Roma, atti tutti successivi alla predetta aggiudicazione provvisoria.

Orbene, gli attuali opponenti:

– mentre non hanno alcun interesse, per le ragioni ampiamente esposte, alla conservazione degli atti istruttori, nell’ambito di un giudizio (quello di appello conclusosi con la sentenza n. 5344/2010), avente ad oggetto la revoca della procedura di gara;

– hanno certamente interesse alla verifica della compatibilità urbanistica dei progetti presentati dai concorrenti che li precedono in graduatoria, nell’ambito della procedura di gara.

Ma tale interesse ad agire sorge concretamente allorchè l’amministrazione, a seguito della più volte citata sentenza di appello, provveda alla conclusione della procedura di gara, poiché ogni posizione giuridica, la sua eventuale lesione, ed il conseguente interesse ad agire, non potranno che essere definiti se non in riferimento al provvedimento amministrativo conclusivo del predetto procedimento.

Né, a tali fini, spiega influenza l’intervenuto annullamento degli atti endoprocedimentali citati, posto che una cosa sono i fatti e i giudizi sugli stessi (nel caso di specie, il contenuto del progetto e la sua conformità urbanistica), altra cosa è la legittimità (esclusa dal giudice) di richiedere tale giudizio a terzi.

Poichè il procedimento concorsuale ad evidenza pubblica bandito in data 19 gennaio 2007 non risulta, allo stato, concluso (salvo atti successivamente adottati e che ovviamente esulano dal presente giudizio), non può sussistere alcun interesse ad agire in opposizione di terzo, avverso una sentenza che – proprio per avere annullato il provvedimento di revoca di detta procedura di gara – consente di far emergere una aspettativa degli opponenti (appunto perché non conclusosi il procedimento di gara).

Né sussiste tale interesse in relazione ad un solo capo della sentenza medesima (quello con il quale si annullano anche gli atti endoprocedimentali), sia in quanto ciò che può ledere (o meno) la posizione dei ricorrenti è l’atto di conclusione del procedimento di gara, sia in quanto l’annullamento degli atti predetti non esclude le valutazioni, effettuate dall’organo competente, in sede di aggiudicazione definitiva. Ed è contro tale atto (e le valutazioni sulle quali esso si fonda) che potranno essere proposti l’eventuale ricorso giurisdizionale.

D’altra parte, è appena il caso di osservare – al fine di ancor meglio escludere l’interesse ad agire nella presente sede – che, mentre i pareri del Comune di Roma hanno ad oggetto il riscontro di conformità urbanistica del progetto (ed in commissione di gara, come evidenziato anche nella sentenza opposta, è presente anche "un dirigente generale di detto Comune, competente nella materia": pag. 18), di modo che ogni doglianza non può che essere oggetto di impugnazione del provvedimento di aggiudicazione definitiva, ove lesivo, al contrario il parere dell’Avvocatura generale dello Stato (peraltro non oggetto di specifiche censure nella sentenza appellata), costituisce una mera valutazione in diritto (autorevole e allo stesso tempo controvertibile) dello stato della procedura di gara, eventualmente spendibile, sul piano argomentativo, dalla parte privata che vi ha interesse, ma che, ex se, non assume alcun valore tale da fondare un interesse giuridicamente qualificato alla sua conservazione.

In definitiva, gli opponenti avverso la sentenza di questo Consiglio di Stato difettano della necessaria condizione dell’azione rappresentata dall’interesse ad agire, secondo i canoni esplicati dalla Corte Costituzionale e dalla giurisprudenza amministrativa (in primis, dall’Adunanza Plenaria n. 2/2007), posto che, per un verso, essi non sono controinteressati pretermessi dal relativo giudizio; per altro verso, la sentenza conclusiva di detto giudizio non è lesiva di terzi "titolari di una situazione giuridica autonoma ed incompatibile, rispetto a quella riferibile alla parte risultata vittoriosa per effetto della sentenza oggetto di opposizione"; per altro verso ancora, nessun contrasto esiste tra detta sentenza e le ragioni che possono essere fatte valere dagli opponenti a tutela della loro posizione giuridica, posto che essa non determina una situazione pregiudizievole per tale posizione, ma, anzi, rimette all’amministrazione ogni definitiva valutazione conclusiva della procedura di gara, già illegittimamente revocata.

Per tutte le ragioni sin qui esposte, il ricorso in opposizione deve essere dichiarato inammissibile per difetto di interesse.

Stante la complessità delle questioni trattate, sussistono giusti motivi per compensare tra le parti spese, diritti ed onorari di giudizio.

P.Q.M.

Il Consiglio di Stato in sede giurisdizionale (Sezione Quarta)

definitivamente pronunciando sul ricorso in opposizione di terzo, proposto da Associazione Professionale Studio V. P. ed altri, come in epigrafe precisati (n. 9042/2010 r.g.), lo dichiara inammissibile.

Compensa tra le parti spese, diritti ed onorari del presente giudizio.

Ordina che la presente sentenza sia eseguita dall’autorità amministrativa.

Testo non ufficiale. La sola stampa del bollettino ufficiale ha carattere legale.