Cass. civ. Sez. lavoro, Sent., 29-12-2011, n. 29663 Integrazione salariale

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Svolgimento del processo

Il Tribunale di Napoli rigettava la domanda con la quale A. G. – esponendo di aver percepito nell’anno 1999 , in virtù di un decreto ingiuntivo passato in giudicato, l’assegno per lavori socialmente utili in un ammontare complessivo pari all’importo di lire 850.000 previsto dalla L. n. 144 del 1999, art. 45, maggiorato dell’adeguamento al costo della vita spettante ai sensi del D.Lgs. n. 468 del 1997, art. 8, comma 8, aveva chiesto, nei confronti dell’INPS, l’accertamento del proprio diritto al calcolo dell’assegno per l’anno 2000, sulla base dell’importo già accertato per il 1999, maggiorato dell’adeguamento di cui all’art. 8, comma 8, citato.

Impugnata dalla G. la decisione di primo grado è stata confermata dalla Corte d’appello di Napoli con la sentenza indicata in epigrafe, sul rilievo che l’assegno per LSU non è una prestazione unitaria, ma nasce da un rapporto che si instaura di volta in volta per effetto dell’inserimento del lavoratore nell’esecuzione di uno specifico progetto; sarebbe stato, quindi, necessario, perchè il giudicato potesse spiegare efficacia nel giudizio in corso e condizionare il procedimento di calcolo dell’assegno spettante per l’anno 2000, che la lavoratrice avesse dimostrato – il che non era – l’unicità del progetto di LSU nel quale era stata impiegata per l’anno in questione rispetto a quello relativo all’anno 1999.

Di questa sentenza G.A. chiede la cassazione con ricorso fondato su tre motivi.

L’INPS resiste con controricorso, illustrato con memoria ex art. 378 c.p.c..

MOTIVAZIONE SEMPLIFICATA.

Motivi della decisione

1. Nel primo motivo è dedotta violazione degli artt.647 e 324 c.p.c., nonchè dell’art. 2909 c.c.. Richiamando il principio per cui l’effetto preclusivo del giudicato trova applicazione anche nel caso di giudicato formatosi a seguito della mancata opposizione a decreto ingiuntivo, si censura la sentenza impugnata per aver proceduto ex novo alla determinazione dell’importo del l’assegno LSU dovuto per l’anno 2000, invece che prendere atto del giudicato relativo alla misura dell’assegno spettante per l’anno 1999 e computare, quindi, su tale base, l’aggiornamento dovuto D.Lgs. n. 468 del 1997, ex art. 8, comma 8, indipendentemente dalla verifica della unicità o meno del progetto in cui la lavoratrice era stata impiegata.

2. Il motivo non è fondato.

3. Come già affermato da questa Corte (Cass. n. 18041 del 2009), l’efficacia del giudicato esterno non può giungere fino al punto di far ritenere vincolante in altri giudizi, che pure abbiano ad oggetto le medesime questioni di fatto o di diritto, il provvedimento giurisdizionale di merito che accolga (o rigetti) la domanda senza indicare le ragioni della decisione e i principi di diritto che ne costituiscono il fondamento, mancando (tale provvedimento) di un supporto argomentativo tale da fungere da motivazione validamente invocabile anche oltre i confini del caso esaminato.

4. Questa affermazione vale, in particolare, per il caso di giudicato che sia frutto della mancata opposizione a un decreto ingiuntivo (cfr. Cass. n. 23918 del 2010), tenuto conto che il provvedimento in questione – emesso senza nessun contraddittorio, all’esito di un procedimento sommario finalizzato ad accertare non già la fondatezza o infondatezza della pretesa creditoria ma esclusivamente la sussistenza di elementi sufficienti a giustificare l’ingiunzione e soggetto alla opposizione dell’ingiunto – manca, di norma, del suddetto supporto argomentativo. Ne risulta che, quando il giudicato si sia formato per effetto di mancata opposizione a un decreto ingiuntivo recante condanna al pagamento di un credito con carattere di periodicità, il debitore non può più contestare il proprio obbligo relativamente al periodo indicato nel ricorso monitorio, ma non gli è inibito di contestarlo per le periodicità successive (vedi, fra tante, in controversie analoghe: Cass. nn. 19275, 17963,17160, 14732 del 2011).

5. Il principio appena enunciato è pienamente applicabile alla controversia in esame, non risultando, nè essendo stato allegato dall’odierna ricorrente che il decreto ingiuntivo emesso a suo favore con riferimento alì importo dell’assegno per LSU dovuto per l’anno 1999 recasse una motivazione suscettibile di dare giuridico fondamento alla decisione di controversie riferite alle prestazioni dovute per le annualità successive, in quanto risolutiva di questioni di diritto ad esse comuni.

6. Ne consegue, in conclusione, che il giudicato di cui intende avvalersi l’odierna ricorrente non può estendersi all’affermazione dell’esistenza di un suo diritto a percepire – non solo per l’anno 1999 – ma, sistematicamente, anche per gli anni successivi la maggiorazione prevista dal D.Lgs. n. 468 del 1997, art. 8, comma 8, quale aggiunta stabile all’assegno dovuto ai soggetti impiegati in lavori socialmente utili.

7. Nel secondo motivo, con deduzione di violazione e falsa applicazione del D.Lgs. n. 468 del 1997, artt. 1, 5, 6, 8, la sentenza d’appello è criticata per aver escluso l’efficacia del giudicato erroneamente non considerando che, in base alle disposizioni normative citate, il rapporto previdenziale resta un rapporto unitario, pur nella diversità dei progetti per lavori socialmente utili, onde la corresponsione dell’assegno costituisce, anch’essa, una prestazione unitaria, ancorchè erogata con cadenza periodica.

8. Questo motivo resta, all’evidenza, assorbito, essendo anch’ esso indirizzato a censurare, con argomenti diversi, l’affermazione della non vincolatività del giudicato relativo all’entità dell’assegno per LSU dovuto per l’anno 1999 nel giudizio relativo alla determinazione della prestazione spettante per l’anno 2000. 9. Nel terzo motivo, con deduzione di omessa motivazione, si contesta alla sentenza impugnata di non aver esaminato il motivo (subordinato) di appello relativo alla interpretazione della L. n. 144 del 1999, art. 45, norma che (si assume) va intesa nel senso che l’ivi disposto aumento dell’assegno LSU non è comprensivo dell’adeguamento annuale previsto dal D.Lgs. n. 468 del 1997, art. 8. 10. Il motivo è inammissibile sotto più profili.

ILE, infatti, contestandosi alla sentenza impugnata l’omessa pronuncia su una questione di diritto oggetto di uno specifico motivo d’appello, la censura da proporre era quella di violazione dell’art. 112 c.p.c., non già di vizio di motivazione (che riguarda il mancato esame di un fatto controverso nell’ambito di una pronuncia resa) (cfr. Cass. n. 22897 del 2005, n. 12475 del 2004 e numerose altre conformi); come tale il motivo di ricorso andava corredato, ai sensi dell’art. 366 bis c.p.c. (applicabile ratione temporis nel caso di specie vista la data di deposito della sentenza impugnata) da apposito quesito di diritto (secondo la giurisprudenza più recente di questa Corte cui si ritiene di aderire in forza dell’inequivoco tenore letterale della norma processuale citata: vedi Cass. n. 4146 del 2011, n. 1310 del 2010, n. 4329 del 2009; contra Cass. n. 19958 del 2009, n. 16941 del 2008), quesito che, invece, non è stato formulato. Manca, da ultimo, del requisito dell’autosufficienza, noto essendo che ove si denunci un’omessa pronuncia su uno dei motivi di appello, nel corpo del ricorso deve trascriversi il motivo medesimo in modo completo, o, almeno, nelle sue parti salienti (cfr., fra tante, Cass. n. 11477 del 2010.) 12. In conclusione il ricorso va rigettato.

13. La ricorrente è condannata al pagamento, in favore dell’INPS, delle spese del giudizio di cassazione, liquidate come in dispositivo, non risultando in possesso delle condizioni per esserne esonerata ai sensi dell’art. 152 disp. att. c.p.c., nel testo di cui al D.L. n. 269 del 2003, art. 42, convertito dalla L. n. 326 del 2003, applicabile ratione temporis, in relazione alla data di deposito del ricorso introduttivo del giudizio di primo grado.

P.Q.M.

La Corte rigetta il ricorso; condanna la ricorrente al pagamento, in favore dell’INPS, delle spese del giudizio di cassazione, liquidate in Euro 30,00 per esborsi e in Euro 2.000,00 (duemila) per onorari.

Testo non ufficiale. La sola stampa del bollettino ufficiale ha carattere legale.

T.A.R. Lombardia Brescia Sez. I, Sent., 14-10-2011, n. 1422 Lavoro subordinato

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Svolgimento del processo – Motivi della decisione

Rilevato che:

– il ricorrente è un cittadino extracomunitario che si è visto rigettare l’istanza di emersione ex l. 102/09 in quanto gravato da condanna ostativa alla regolarizzazione per il reato di cui all’art. 14, co. 5ter, d.lgs. 286/98,

– il titolo di reato in questione non è più applicabile a decorrere dal 24. 12. 2010 per incompatibilità con il diritto comunitario, secondo l’interpretazione che ha ritenuto di dare la pronuncia della Corte di Giustizia 28. 4. 2011 – C61/11,

– la non applicabilità per incompatibilità comunitaria è figura diversa dalla abrogazione, ma è stata assimilata in giurisprudenza,

– quando un reato è abrogato ne cessano l’esecuzione e gli effetti penali ex art. 2, co. 2, secondo periodo, c.p.,

– la ostatività alla emersione ex l. 102/09 è un effetto penale della condanna, che quindi è venuto meno a decorrere dal 24. 12. 2010,

– il Consiglio di Stato, adunanza plenaria, 10. 5. 2011, nn. 7 e 8 ha ritenuto inoltre di estendere la pronuncia della Corte di Giustizia anche al caso avente ad oggetto provvedimenti emessi prima del 24. 12. 2010,

– ne consegue che il ricorso deve essere accolto,

– spese compensate, stante l’estrema novità ed imprevedibilità per l’amministrazione dei principi di diritto affermati dalla Corte di Giustizia e dall’Adunanza plenaria;

P.Q.M.

Il Tribunale Amministrativo Regionale per la Lombardia sezione staccata di Brescia (Sezione Prima), definitivamente pronunciando sul ricorso, come in epigrafe proposto:

ACCOGLIE il ricorso, e, per l’effetto, annulla il provvedimento impugnato.

COMPENSA tra le parti le spese di lite.

Ordina che la presente sentenza sia eseguita dall’autorità amministrativa.

Testo non ufficiale. La sola stampa del bollettino ufficiale ha carattere legale.

Cass. civ. Sez. V, Sent., 09-03-2012, n. 3759 Dazi doganali

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Svolgimento del processo
La controversia promossa da Fincantieri – Cantieri Navali Italiani s.p.a. contro l’Agenzia delle Dogane è stata definita con la decisione in epigrafe, recante l’accoglimento dell’appello proposto dalla Agenzia delle Dogane contro la sentenza della CTP di Gorizia n. 71/2/2007 che aveva accolto il ricorso della società avverso l’avviso di rettifica dell’accertamento della dichiarazione doganale 13173 dell’1/9/2005. Con tale provvedimento l’Autorità Doganale aveva negato alla società il rimborso dei dazi corrisposti per l’acquisto dei beni importati ed oggetto dell’allestimento della m/n Carnival Valor. La CTR, premessa l’applicabilità dell’istituto del drawback limitatamente ai costi ed ai dazi effettivamente pagati, rilevava che la società non aveva fornito "cifre attendibili";

rigettava pertanto la richiesta di rimborso non potendo la stessa "essere nè stabilita forfettariamente, nè poi liquidata allo stesso modo".

Il ricorso proposto si articola in due motivi. Resiste con controricorso l’Agenzia delle Dogane che ha proposto ricorso incidentale.

Motivi della decisione
Con il primo motivo (con cui deduce: "Omessa motivazione circa un elemento fattuale decisivo (in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5) la Società ricorrente lamenta l’assenza di qualsiasi motivazione in ordine alla soluzione data alla questione fattuale- evidentemente decisiva ai fini della controversia- consistente nell’avere o meno la Fincantieri pagato direttamente o indirettamente dazi in relazione a beni impiegati nella costruzione della nave. La CTR "avrebbe dovuto argomentare – quantomeno succintamente – la qualifica di inattendibilità attribuito agli elementi di prova forniti dalla Fincantieri".

La censura è fondata. Il giudizio di inattendibilità espresso dalla CTR con la sola espressione "è emerso…che non è possibile fornire delle cifre attendibili" non consente di individuare il criterio logico che ha condotto la CTR alla formazione del proprio convincimento in relazione a quanto argomentato dalla Società, anche con la relazione tecnica depositata in ottemperanza dell’ordinanza del 28/5/2009, con riferimento all’ammontare dei dazi gravanti sui beni incorporati.

Quanto sopra ha effetto assorbente sul secondo motivo (con cui la Fincantieri deduce la violazione e falsa applicazione del D.Lgs. n. 546 del 1992, art. 7 – in relazione all’art. 360 c.p.c., n. 3).

L’assenza di una specifica affermazione della CTR circa il diritto della società costruttrice alla restituzione dei dazi eventualmente corrisposti da terzi rende inammissibile il ricorso incidentale proposto dall’Agenzia a riguardo. Consegue da quanto sopra la cassazione della sentenza impugnata in relazione al motivo accolto ed il rinvio, anche per le spese di questo grado, ad altra sezione della CTR del Friuli V. Giulia.

P.Q.M.
La Corte accoglie il primo motivo di ricorso principale, assorbito il secondo, rigetta il ricorso incidentale, cassa la sentenza impugnata in relazione al motivo accolto e rinvia, anche per le spese di questo grado, ad altra sezione della CTR del Friuli V. Giulia.

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Cass. civ. Sez. VI – 1, Sent., 13-04-2012, n. 5914 Diritti politici e civili

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Svolgimento del processo

che A.S., con ricorso del 22 ottobre 2010, ha impugnato per cassazione – deducendo un unico articolato motivo di censura, illustrato con memoria -, nei confronti del Ministro dell’economia e delle finanze, il decreto della Corte d’Appello di Bologna depositato in data 24 marzo 2010, con il quale la Corte d’appello, pronunciando sul ricorso dell’ A. – volto ad ottenere l’equa riparazione dei danni non patrimoniali ai sensi della L. 24 marzo 2001, n. 89, art. 2, comma 1 in contraddittorio con il Ministro dell’economia e delle finanze – il quale, costituitosi nel giudizio, ha concluso per l’inammissibilità o l’infondatezza del ricorso -, ha dichiarato improponibile la domanda;

che resiste, con controricorso, il Ministro dell’economia e delle finanze;

che, in particolare, la domanda di equa riparazione del danno non patrimoniale – richiesto nella misura di Euro 15.000,00 per l’irragionevole durata del processo presupposto – proposta con ricorso del 20 luglio 2009, era fondata sui seguenti fatti: a) l’ A., militare dipendente dal Ministero della difesa ed asseritamente titolare del diritto al trattamento economico di cui alla L. n. 100 del 1987, art. 1 per il periodo in cui era stato trasferito d’ufficio presso la sede estera di (OMISSIS), aveva proposto – con ricorso del 26 febbraio 1996 – la relativa domanda dinanzi al Tribunale amministrativo regionale per il Lazio; b) il Tribunale adito non aveva ancora deciso la causa alla data del deposito del ricorso per equa riparazione;

che la Corte d’Appello di Bologna, con il suddetto decreto impugnato, ha dichiarato improponibile il ricorso, osservando che il ricorrente non aveva presentato l’istanza di fissazione dell’udienza di discussione e che il D.L. n. 112 del 2008, art. 54, comma 2, convertito, con modificazioni, dalla L. n. 133 del 2008, può trovare applicazione nell’ipotesi, quale quella in esame, in cui il processo nell’ambito del quale si è verificata la violazione che hai fatto sorgere il diritto all’equa riparazione sia ancora pendente.

Motivi della decisione

che, con il motivo di censura, viene denunciata dal ricorrente come illegittima, anche sotto il profilo dei vizi di motivazione, l’affermata applicabilità del predetto D.L. n. 112 del 2008, art. 54, comma 2, anche ai giudizi amministrativi pendenti e, quindi, la sostanziale efficacia retroattiva di tale disposizione;

che il ricorso merita accoglimento, nei limiti di seguito indicati;

che la presente fattispecie è caratterizzata da ciò: che il giudizio di equa riparazione è stato promosso con ricorso del 20 luglio 2009, quando era vigente il D.L. n. 112 del 2008, art. 54, comma 2, che il processo amministrativo presupposto, iniziato con ricorso del 26 febbraio 1996, era ancora pendente a detta data, e che in tale processo non era stata presentata la cosiddetta istanza di prelievo;

che, per decidere se in tale fattispecie spetti ed in quale misura, oppure no, il diritto all’equa riparazione per l’irragionevole durata del processo, devono premettersi, da un lato, il quadro normativo di riferimento e, dall’altro, i consolidati orientamenti giurisprudenziali di questa Corte, finora seguiti;

che – quanto al quadro normativo di riferimento – deve precisarsi quanto segue: a) il D.L. n. 112 del 2008, art. 54, comma 2, (Disposizioni urgenti per lo sviluppo economico, la semplificazione, la competitività, la stabilizzazione della finanza pubblica e la perequazione tributaria) – in vigore dal 25 giugno 2008 (art. 85) -, convertito in legge, con modificazioni, dalla L. 6 agosto 2008, n. 133, art. 1, comma 1 – in vigore dal 22 agosto 2008 -, nella sua versione originaria, disponeva: La domanda di equa riparazione non è proponibile se nel giudizio dinanzi al giudice amministrativo in cui si assume essersi verificata la violazione dell’art. 2, comma 1, non è stata presentata un’istanza ai sensi del R.D. 17 agosto 1907, n. 642, art. 51, comma 2 nei sei mesi antecedenti alla scadenza dei termini di durata di cui all’art. 4, comma 1-ter, lett. b); b) in sede di conversione in legge, sono state apportate all’art. 54 le seguenti modifiche: al comma 2, dopo le parole "articolo 2, comma 1" sono inserite le seguenti: "della L. 24 marzo 2001, n. 89" e le parole "nei sei mesi antecedenti alla scadenza dei termini di durata di cui all’art. 4, comma 1-ter, lett. b)" sono soppresse; c) conseguentemente, il testo definitivo del D.L. n. 112 del 2008, art. 54, comma 2, quale convertito in legge dalla L. n. 133 del 2008, risulta il seguente: La domanda di equa riparazione non è proponibile se nel giudizio dinanzi al giudice amministrativo in cui si assume essersi verificata la violazione della L. 24 marzo 2001, n. 89, art. 2, comma 1 non è stata presentata un’ istanza ai sensi del R.D. 27 agosto 1907, n. 642, art. 51, comma 2; d) successivamente, l’art. 3, comma 23, dell’Allegato 4 al D.Lgs. 2 luglio 2010, n. 104 (Attuazione della L. 18 giugno 2009, n. 69, art. 44 recante delega al Governo per il riordino del processo amministrativo) – in vigore dal 16 settembre 2010 -, ha stabilito che, al D.L. n. 112 del 2008, art. 54, comma 2, le parole "un’istanza ai sensi del R.D. 17 agosto 1907, n. 642, art. 51, comma 2" sono sostituite dalle seguenti: "l’istanza di prelievo di cui all’art. 81, comma 1, del codice del processo amministrativo, nè con riguardo al periodo anteriore alla sua presentazione"; e) ancora successivamente, il D.Lgs. 15 novembre 2011, n. 195, art. 1, comma 3, lett. a), n. 6), (Disposizioni correttive ed integrative al D.Lgs. 2 luglio 2010, n. 104, recante codice del processo amministrativo, a norma della L. 18 giugno 2009, n. 69, art. 44, comma 4) – in vigore dall’8 dicembre 2011 -, ha disposto che: al comma 23, le parole "81, comma 1" sono sostituite dalle seguenti "71, comma 2"; f) conclusivamente, la disposizione dell’artdel D.L. n. 112 del 2008, art. 54, comma 2, – in vigore dal 16 settembre 2010 – risulta del seguente testuale tenore: La domanda di equa riparazione non è proponibile se nel giudizio dinanzi al giudice amministrativo in cui si assume essersi verificata la violazione della L. 24 marzo 2001, n. 89, dell’art. 2, comma 1, non è stata presentata l’istanza di prelievo di cui all’art. 11, comma 2, del codice del processo amministrativo, nè con riguardo al periodo anteriore alla sua presentazione";

che, questo essendo il quadro normativo di riferimento, è del tutto evidente che in base al principio tempus regit actum: 1) ai procedimenti per equa riparazione, promossi a far data dal 25 giugno 2008, si applica il D.L. n. 112 del 2008, art. 54, comma 2, nel seguente testo: La domanda di equa riparazione non è proponibile se nel giudizio dinanzi al giudice amministrativo in cui si assume essersi verificata la violazione della L. 24 marzo 2001, n. 89, art. 2, comma 1 non è stata presentata un’istanza ai sensi del R.D. 11 agosto 1907, n. 642, art. 51, comma 2; 2) ai procedimenti per equa riparazione, promossi a far data dal 16 settembre 2010, si applica – invece – il D.L. n. 112 del 2008, art. 54, comma 2, nel seguente testo: La domanda di equa riparazione non è proponibile se nel giudizio dinanzi al giudice amministrativo in cui si assume essersi verificata la violazione della L. 24 marzo 2001, n. 89, art. 2, comma 1 non è stata presentata l’istanza di prelievo di cui all’art. 11, comma 2, del codice del processo amministrativo, nè con riguardo al periodo anteriore alla sua presentazione;

che, dunque, alla fattispecie in esame è applicabile ratione temporis (ricorso per equa riparazione depositato in data 20 luglio 2009) – il D.L. n. 112 del 2008, art. 54, comma 2, nel testo dianzi riprodotto sub 1), vale a dire nel testo anteriore alle modifiche introdotte dal cosiddetto codice del processo amministrativo (cfr., supra, sub 2), sicchè restano estranee al presente giudizio tutte le questioni che, relativamente alla disposizione attualmente in vigore, possono eventualmente porsi;

che – quanto ai consolidati orientamenti giurisprudenziali di questa Corte finora seguiti – i principi rilevanti finora enunciati sono i seguenti: a) in tema di equa riparazione ai sensi della L. 24 marzo 2001, n. 89, la lesione del diritto alla definizione del processo in un termine ragionevole, di cui all’art. 6, par. 1, della Convenzione per la salvaguardia dei diritti dell’uomo e delle libertà fondamentali, va riscontrata, anche per le cause davanti al giudice amministrativo, con riferimento al periodo intercorso dall’instaurazione del relativo procedimento, senza che una tale decorrenza del termine ragionevole di durata della causa possa subire ostacoli o slittamenti in relazione alla mancanza dell’istanza di prelievo od alla ritardata presentazione di essa; b) l’innovazione, introdotta dal D.L. n. 112 del 2008, art. 54, comma 2, non può incidere sugli atti anteriormente compiuti, i cui effetti, in mancanza di una disciplina transitoria o di esplicite previsioni contrarie, restano regolati, secondo il fondamentale principio tempus regit actum, dalla norma sotto il cui imperio siano stati posti in essere; c) tuttavia, la mancata o ritardata presentazione dell’istanza di prelievo può incidere, entro i limiti dell’equità, sulla determinazione dell’entità dell’indennizzo, con riferimento all’art. 2056 cod. civ., richiamato dalla L. n. 89 del 2001, art. 2 (cfr., ex plurimis, le sentenze nn. 28507 del 2005, pronunciata a sezioni unite, 24901 e 28428 del 2008 14753 del 2010, nonchè l’ordinanza n. 5317 del 2011); d) l’innovazione introdotta dal citato del D.L. n. 112 del 2008m art. 54, comma 2, è inapplicabile – in difetto di una disciplina transitoria o di esplicite previsioni contrarie ed in ossequio al principio tempus regit actum – a quei procedimenti di equa riparazione aventi ad oggetto un giudizio amministrativo introdotto prima dell’entrata in vigore della predetta normativa (cfr., ex plurimis, l’ordinanza n. 115 del 2011);

che va tuttavia puntualizzato che – relativamente ai giudizi per equa riparazione promossi nel periodo dal 25 giugno 2008 al 15 settembre 2010 – il ricorrente in equa riparazione per irragionevole durata di un processo amministrativo, iniziato prima del 25 giugno 2008 e ancora pendente a tale data, nel caso, quale quello di specie, in cui non abbia presentato in tale processo l’istanza di prelievo, di cui al R.D. 17 agosto 1907, n. 642, art. 51, comma 2 (Regolamento per la procedura dinanzi alle sezioni giurisdizionali del Consiglio di Stato), non ha diritto all’indennizzo per l’irragionevole durata di detto processo a far data dal 25 giugno 2008, ma può far valere e realizzare tale diritto per il periodo precedente a tale data;

che, in particolare, questa soluzione si fonda sui seguenti argomenti: a) la ratio del D.L. n. 112 del 2008, art. 54, comma 2, sta in ciò, che la presentazione dell’istanza di prelievo ha la funzione di sollecitare il giudice del processo amministrativo alla sua definizione in tempi più brevi rispetto al tempo già trascorso, al fine o di impedire tout court la violazione del termine di ragionevole durata dello stesso o, comunque, di ridurre l’entità della durata irragionevole e, quindi, la misura dell’indennizzo eventualmente dovuto; b) la formulazione della disposizione (La domanda di equa riparazione non è proponibile se … non è stata presentata un’istanza …) mostra inequivocabilmente che la (previa) presentazione dell’istanza di prelievo nel processo amministrativo è prefigurata dal legislatore siccome "presupposto processuale" della domanda di equa riparazione, presupposto che deve quindi sussistere al momento del deposito del ricorso per equa riparazione; c) tale qualificazione, tuttavia, non comporta necessariamente che l’omessa presentazione dell’istanza di prelievo – cioè la mancanza di detto presupposto processuale – determini la vanificazione del, diritto all’equa riparazione per l’irragionevole durata del processo amministrativo con riferimento al periodo precedente al 25 giugno 2008: ciò, per la decisiva ragione che, altrimenti opinando – posto che con riferimento al periodo già trascorso sarebbe del tutto inattuabile la funzione sopra indicata alla lettera a), costituente a un tempo ratio ma anche giustificazione del presupposto processuale in esame – questo si risolverebbe in un mero espediente legislativo per cancellare la responsabilità dello Stato per l’irragionevole durata del processo ed il corrispondente diritto all’equa riparazione del cittadino, riconosciuto e garantito dall’art. 6, par. 1, della Convenzione europea dei diritti dell’uomo e delle libertà fondamentali e dalla L. n. 89 del 2001, art. 2, comma 1; d) nessun principio processuale d’ordine generale osta a che la domanda di equa riparazione possa essere esaminata e decisa per "parti" di essa e, quindi, essere accolta per una parte e dichiarata improponibile per l’altra (cfr., ad esempio, l’art. 277 cod. proc. civ.); che, nella specie, i Giudici a quibus, in violazione del su enunciato principio di diritto, hanno dichiarato tout court improponibile tutta la domanda, omettendo in particolare di operare la distinzione tra la durata del processo amministrativo presupposto fino al 25 giugno 2008, e quella successiva a tale data;

che, pertanto, il decreto impugnato deve essere annullato in relazione alla censura accolta;

che, non essendo necessari ulteriori accertamenti di fatto, la causa può essere decisa nel merito, ai sensi dell’art. 384 c.p.c., comma 2;

che il processo presupposto de quo – nel quale è stata pacificamente omessa dal ricorrente la presentazione dell’istanza di prelievo di cui al R.D. 17 agosto 1907, n. 642, art. 51, comma 2 e che era pendente alla data del deposito del ricorso per equa riparazione – ha avuto una durata complessiva di tredici anni e cinque circa (dal 26 febbraio 1996, data del ricorso introduttivo del processo presupposto, al 20 luglio 2009, data del deposito del ricorso per equa riparazione);

che, in applicazione del su enunciato principio di diritto, la domanda di equa riparazione è improponibile per la durata del processo amministrativo presupposto dal 25 giugno 2008 al 20 luglio 2009, vale a dire per il periodo di tredici mesi circa, con la conseguenza che la durata complessiva di tale processo, suscettibile di indennizzo, è pari a dodici anni e tre mesi circa;

che la Corte EDU, con due recenti decisioni (del 16 marzo 2010, Volta et autres contro Italia, e del 6 aprile 2010, Falco et autres contro Italia), ha ritenuto che potessero essere liquidate, a titolo di indennizzo per il danno non patrimoniale da eccessiva durata del processo, in relazione ai singoli casi ed alle loro peculiarità, somme complessive d’importo notevolmente inferiore a quella di mille/00 Euro annue normalmente liquidate, con valutazione di detto danno che consente al giudice italiano di procedere, in relazione alle particolarità della fattispecie, a liquidazioni dell’indennizzo più riduttive rispetto a quelle precedentemente ritenute congrue (cfr., ex plurimis, le sentenze nn. 14753 del 2010 cit. e 1359 del 2011);

che, secondo il consolidato orientamento di questa Corte, in caso di violazione del termine di durata ragionevole del processo, il diritto all’equa riparazione di cui alla L. n. 89 del 2001, art. 2 spetta a tutte le parti del processo, indipendentemente dal fatto che esse siano risultate vittoriose o soccombenti, costituendo l’ansia e la sofferenza per l’eccessiva durata del processo i riflessi psicologici del perdurare dell’incertezza in ordine alle posizioni in esso coinvolte, ciò ad eccezione dei casi in cui il soccombente abbia promosso una lite temeraria, o abbia artatamente resistito in giudizio al solo fine di perseguire proprio il perfezionamento della fattispecie di cui al richiamato art. 2, e dunque in difetto di una condizione soggettiva di incertezza, nei quali casi l’esistenza di queste situazioni, costituenti abuso del processo, deve essere provata puntualmente dall’Amministrazione, non essendo sufficiente, a tal fine, la deduzione che la domanda della parte sia stata dichiarata manifestamente infondata (cfr., ex plurimis e trai le ultime, le sentenze nn. 9938 del 2010, 25595 del 2008, 21088 del 2005; cfr., altresì, le sentenze nn. 18780 del 2010 e 10500 del 2011);

che questa Corte, sussistendo il diritto all’equa riparazione per il danno non patrimoniale di cui alla L. n. 89 del 2001, art. 2 considera equo, in linea di massima, l’indennizzo di Euro 500,00 per ciascuno degli anni di durata complessiva del processo;

che, nella specie, sulla base dei criteri adottati da questa Corte e dianzi richiamati il diritto all’equa riparazione per il danno non patrimoniale di cui alla L. n. 89 del 2001, art. 2 va determinato in Euro 6.250,00 per i dodici anni e tre mesi circa di irragionevole durata, oltre gli interessi a decorrere dalla proposizione della domanda di equa riparazione e fino al saldo;

che, conseguentemente, le spese processuali del giudizio a quo debbono essere nuovamente liquidate – sulla base delle tabelle A, par. 4, e B, par. 1, allegate al D.M. giustizia 8 aprile 2004, n. 127, relative ai procedimenti contenziosi, in complessivi Euro 1.140,00, di cui Euro 50,00 per esborsi, Euro 600,00 per diritti ed Euro 490,00 per onorari, oltre alle spese generali ed agli accessori come per legge;

che le spese del presente grado di giudizio seguono la soccombenza e vengono liquidate nel dispositivo.

P.Q.M.

Accoglie il ricorso nei limiti di cui in motivazione, cassa il decreto impugnato e, decidendo la causa nel merito, condanna il Ministro dell’economia e delle finanze al pagamento, in favore del ricorrente, della somma di Euro 6.250,00, oltre gli interessi dalla domanda, condannandolo altresì al rimborso, in favore della parte ricorrente, delle spese del giudizio, che determina, per il giudizio di merito, in complessivi Euro 1.140,00, di cui Euro 50,00 per esborsi, Euro 600,00 per diritti ed Euro 490,00 per onorari, oltre alle spese generali ed agli accessori come per legge, e, per il giudizio di legittimità, in complessivi Euro 965,00, di cui Euro 100,00 per esborsi, oltre alle spese generali ed agli accessori come per legge.

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