Cass. pen. Sez. I, Sent., (ud. 18-02-2011) 10-06-2011, n. 23475 Trattamento penitenziario

Sentenza scelta dal dott. Domenico Cirasole direttore del sito giuridico http://www.gadit.it/

Svolgimento del processo

1. Con ordinanza in data 18 maggio 2010 il Tribunale di sorveglianza di Bologna rigettava la istanza di proroga della detenzione domiciliare, ai sensi dell’art. 47 ter, comma 1 ter, Ord. Pen., misura alla quale M.C. era stato ammesso con ordinanza dello stesso tribunale in data 3.5.2001, più volte prorogata fino alla data del 31.5.2010.

Premesso che il M. risulta seguito dal 1999 dal Servizio Psichiatrico Territoriale di (OMISSIS) per un disturbo di panico con agorafobia e disturbo di personalità e richiamato diffusamente il contenuto della certificazione del predetto servizio psichiatrico, in data 11.5.2010, nonchè, quello della relazione di perizia medico legale disposta dal tribunale al fine di verificare le attuali condizioni di salute dell’istante, il tribunale riteneva che non vi fossero le condizioni per confermare l’attuale persistenza delle gravi condizioni psico-fisiche dell’istante, tali da giustificare l’ulteriore proroga del regime alternativo.

2. Avverso il citato provvedimento ha proposto ricorso per cassazione, tramite il difensore di fiducia, il M., il quale denuncia la mancanza, contraddittorietà e manifesta illogicità della motivazione.

In particolare, afferma che la motivazione dell’impugnata ordinanza risulta evidentemente contraddittoria sia intrinsecamente, in quanto perviene a conclusioni in contrasto con le premesse, sia rispetto alle risultanze processuali.

Infine, lamenta la totale assenza di valutazione da parte del Tribunale degli elementi introdotti e documentati dalla difesa:

consulenza medica di parte e certificazioni mediche relative ad episodi acuti verificatisi tra (OMISSIS), che sono stati ridimensionati sull’assunto indimostrato che tali episodi fossero riconducibili all’approssimarsi dell’udienza.
Motivi della decisione

Il ricorso non è fondato.

1. Premesso che al ricorrente è stata applicata la misura alternativa della detenzione domiciliare secondo il disposto dell’art. 47 ter Ord. Pen., comma 1 ter, va ricordato che la concessione del differimento obbligatorio o facoltativo dell’esecuzione della pena per grave infermità fisica ai sensi dell’art. 146 c.p., comma 1, n. 3, art. 147 c.p., n. 2 e la misura di cui alla L. 26 luglio 1975, n. 354, art. 47 ter, comma 1 ter, fondano sul principio costituzionale di uguaglianza di tutti i cittadini dinanzi alla legge senza distinzione di condizioni personali, quello secondo cui le pene non possono consistere in trattamenti contrari al senso di umanità ed, infine, quello secondo il quale la salute è un diritto fondamentale dell’individuo.

Ne consegue che: a) le pene legittimamente inflitte devono essere eseguite nei confronti di coloro che le hanno riportate; b) l’esecuzione della pena non è preclusa da eventuali stati morbosi del condannato, suscettibili di un generico miglioramento per effetto del ritorno in libertà; c) uno stato morboso del condannato in tanto legittima il rinvio dell’esecuzione, in quanto la prognosi sia infausta quoad vitam ovvero il soggetto possa giovarsi in libertà di cure e trattamenti indispensabili non praticabili in stato di detenzione, neanche mediante ricovero in ospedali civili o altri luoghi esterni di cura, ovvero ancora, a cagione della gravità delle condizioni, l’espiazione della pena si riveli in contrasto con il senso di umanità. La malattia da cui è affetto il condannato deve essere grave, cioè tale da porre in pericolo la vita o da provocare altre rilevanti conseguenze dannose e, comunque, da esigere un trattamento che non si possa facilmente attuare nello stato di detenzione.

2. Alla luce di questi principi, ad avviso del Collegio, la motivazione dell’ordinanza impugnata è esente dalle censure che le sono state mosse. Il tribunale, infatti, riportato in maniera dettagliata il contenuto della recente certificazione del Servizio Psichiatrico Territoriale che ha in cura l’istante e della relazione del perito, nominato al fine di verificare le attuali condizioni di salute psico-fisica del M., ha sviluppato con argomentazioni coerenti la valutazione che lo ha indotto a ritenere che attualmente non vi sono le condizioni di gravità tali da giustificare una ulteriore proroga del regime di detenzione domiciliare.

In particolare, il tribunale ha sottolineato che il perito ha rilevato la difficoltà della valutazione di una patologia che si basa soprattutto sulla descrizione di una sintomatologia soggettiva, facilmente simulabile, e che il M. aveva dichiarato al perito di aver raggiunto un certo equilibrio e di non avere più crisi di panico e di ansia, sia pure riferendosi alle attuali condizioni di vita.

Nè, invero più ritenersi illogica – alla luce di quanto riferito dal perito e tenuto conto della condizione psicologica del soggetto – la valutazione che i recenti episodi acuti ( (OMISSIS)), che avevano richiesto l’intervento della guardia medica, fossero riconducibili all’imminenza dell’udienza camerale.

Per queste ragioni, il ricorso deve essere rigettato con conseguente condanna del ricorrente al pagamento delle spese processuali.
P.Q.M.

Rigetta il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali.

Testo non ufficiale. La sola stampa del bollettino ufficiale ha carattere legale.

Cass. pen. Sez. I, Sent., (ud. 18-05-2011) 27-06-2011, n. 25619

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Svolgimento del processo – Motivi della decisione

1. Con sentenza in data 12.03.2010 la Corte d’appello dell’Aquila, in parziale riforma della pronuncia di primo grado, esclusi alcuni episodi ritenuti estinti per prescrizione, riduceva la pena nei confronti dell’imputato C.R., per i reati di cui alla L. n. 1423 del 1956, art. 9, comma 2, e art. 336 c.p., avvinti in continuazione, ad anni 1 e mesi 4 di reclusione.

2. Avverso tale sentenza proponeva ricorso per cassazione l’anzidetto imputato che motivava l’impugnazione deducendo: a) le ipotesi ritenute integrare il cit. art. 9, comma 2, avrebbero dovuto essere qualificate ex comma 1, con conseguente estinzione di tali reati per prescrizione; b) per l’episodio di cui al procedimento riunito n. 2045/01 doveva valere l’autorizzazione data dal Tribunale di Chieti il 23.07.2001; c) l’illecito di cui al procedimento n. 1231/03 non poteva sussistere essendo stato commesso dopo la scadenza della vigenza della sorveglianza speciale; d) anche gli episodi del (OMISSIS) dovevano essere qualificati ex art. 9, comma 1, da dichiarare prescritti; e) il fatto riconosciuto come reato ex art. 336 c.p. doveva essere qualificato come minaccia verbale semplice, improcedibile per mancanza di querela.

3. Il ricorso, manifestamente infondato in ogni sua deduzione, deve essere dichiarato inammissibile con tutte le dovute conseguenze di legge.

Tutti i motivi del ricorso sono, invero, del tutto infondati.

Quanto alla deduzione relativa alla qualificazione giuridica dei fatti ex L. n. 1423 del 1956, art. 9 (comma 1 – si sostiene – e non comma 2, come ritenuto), occorre rilevare come tale motivo, assolutamente generico ed aspecifico, nulla contesti in punto di fatto in ordine alle condotte contestate, mentre la natura della violazione, e quindi la piena correttezza della decisione, discendono ex lege (oltre che da pacifica giurisprudenza di questa Corte). E’ di conseguenza infondata anche la tesi della già maturata estinzione di tali fatti per prescrizione.

Anche il secondo motivo di ricorso, relativo alla pretesa autorizzazione avuta dal Tribunale di Chieti, è quanto mai generico, nulla aggiungendo, ed anzi solo ripetendo, quanto già dedotto nelle precedenti fasi di giudizio, e già correttamente disatteso dai giudici del merito. Nulla, in realtà, il ricorrente deduce in ordine alla motivazione della Corte territoriale secondo cui detta autorizzazione non consentiva al C. di recarsi ad (OMISSIS), ove veniva sorpreso in patente violazione alle prescrizioni della misura di prevenzione.

E’ palesemente infondato, altresì, l’ulteriore motivo di ricorso – meramente ripetitivo di argomento già correttamente disatteso nelle precedenti sedi – con il quale si deduce che il fatto commesso in data (OMISSIS) sarebbe successivo alla scadenza della misura, avendo ben motivato i giudici del merito in ordine al fatto che la sorveglianza triennale a carico del C. decorresse – contrariamente a tale infondato assunto – dal 06.03.2001.

Gli episodi in data (OMISSIS) configurano esattamente l’ipotesi delittuosa ex art. 9, comma 2 (e non comma 1, come erroneamente dedotto) proprio perchè – come si legge nello stesso ricorso – esso C. si era portato, senza autorizzazione, in località diverse ((OMISSIS)) da quella prescritta. Non si tratta, dunque, di ipotesi estinte per prescrizione.

Anche l’ultimo motivo di ricorso, relativo al reato ex art. 336 c.p., peraltro generico e meramente assertivo, è inammissibile per proporre una diversa lettura in fatto, non consentita in questa sede di legittimità. Sullo specifico punto, peraltro, la Corte territoriale ha esplicato corretta ed adeguata motivazione, coerente ed immune da vizi logici.

Il ricorso, palesemente infondato in ogni sua deduzione, deve pertanto essere dichiaro inammissibile ex art. 591 c.p.p., e art. 606 c.p.p., comma 3. Alla declaratoria di inammissibilità dell’impugnazione consegue ex lege, in forza del disposto dell’art. 616 c.p.p., la condanna del ricorrente imputato al pagamento delle spese del procedimento ed al versamento della somma, tale ritenuta congrua, di Euro 1.000,00 (mille) in favore della Cassa delle Ammende, non esulando profili di colpa nel ricorso palesemente infondato e, per certi versi, anche generico (v. sentenza Corte Cost. n. 186/2000).

P.Q.M.

Dichiara inammissibile il ricorso. Condanna il ricorrente C. R. al pagamento delle spese processuali ed al versamento della somme di Euro 1.000,00 (mille) in favore della cassa delle Ammende.

Testo non ufficiale. La sola stampa del bollettino ufficiale ha carattere legale.

Cons. Stato Sez. VI, Sent., 19-07-2011, n. 4358 Albi professionali

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Svolgimento del processo

Il signor G. R. afferma di aver svolto, fin dal 1993, attività di agente assicurativo iscritto al registro unico degli intermediari assicurativi e riassicurativi, nella qualità di agente monomandatario per conto di A. S.p.A.

Con nota del 13 novembre 2008 egli comunicava all’ISVAP i propri nuovi dati anagrafici, indicando sia il domicilio (in Roma, alla via Govoni n. 35), sia l’indirizzo dell’Agenzia presso la quale svolgeva la propria attività (sempre in Roma, alla via dei Colli Albani n. 158/169).

La determinazione di cancellazione dal suddetto registro, disposta da ISVAP in ragione dell’omesso pagamento del contributo di vigilanza ex art. 336 del d.lgs. 209/2005 per l’anno 2008, è stata inviata presso un indirizzo diverso da quello comunicato dall’interessato all’Istituto di vigilanza (di talché la lettera non veniva recapitata al sig. R. in quanto "sconosciuto" all’indirizzo di che trattasi).

Il provvedimento impugnato in primo grado veniva, quindi, nuovamente trasmesso al ricorrente (nota dell’11 gennaio 2010) presso la comunicata sede dell’Agenzia.

Il giudice di primo grado ha rilevato che – a fronte del mancato versamento, da parte del ricorrente sig. R., del contributo relativo all’anno 2008 (il cui termine aveva scadenza al 31 luglio 2008) – l’ISVAP provvedeva ad inoltrare all’interessato – con nota recante data 22 gennaio 2009 – la diffida ad effettuare il pagamento entro il termine di giorni quindici; l’informativa costituiva altresì comunicazione di avvio del procedimento di cancellazione nel caso di perdurante omissione del versamento decorso il termine sopra precisato.

La nota anzidetta – spedita mediante lettera raccomandata all’indirizzo del sig. R. di via Ugo De Carolis n. 34, in Roma – veniva ricevuta il 23 febbraio 2009 da nominativo diverso rispetto all’odierno appellato, giusta quanto è dato evincere dalla sottoscrizione apposta in calce all’avviso di ricevimento.

Va rilevato, peraltro, che lo stesso sig. R., con precedente nota del 28 novembre 2008 – trasmessa ad ISVAP a mezzo di lettera raccomandata che risulta essere pervenuta all’Istituto il 16 dicembre 2008 – aveva comunicato i propri nuovi dati anagrafici, precisando che:

– il domicilio era ubicato in Roma, alla via Aladino Govoni n. 35;

– mentre gli uffici presso cui trovava svolgimento l’attività dell’interessato avevano sede, sempre in Roma, alla via dei Colli Albani n. 158.

È incontroverso – sulla base delle illustrate risultanze documentali presenti in atti del giudizio – che l’Istituto di vigilanza fosse stato formalmente reso edotto, ben prima dell’invio della comunicazione di che trattasi, del mutamento domiciliare (rectius: dei recapiti) dell’interessato.

In assenza di una validamente partecipata comunicazione di avvio procedimentale (e, con essa, della prevista ingiunzione ad adempiere, corredata da un termine per sanare l’omissione contributiva ex art. 113 del Codice delle Assicurazioni), il provvedimento ISVAP n. 2751 del 18 novembre 2009, con il quale è stata disposta la cancellazione del ricorrente dal registro unico degli intermediari assicurativi e riassicurativi, deve ritenersi illegittimo e di conseguenza deve essere annullato.

Il ricorrente ha documentato inoltre che, a seguito della disposta cancellazione dal RUI (registro unico degli intermediari assicurativi), A. s.p.a. (società per la quale il sig. R. svolgeva la propria attività di agente monomandatario) ha risolto il contratto di agenzia in essere a far data dal 31 dicembre 2009.

L’interessato, ritenendo causa esclusiva della risoluzione del contratto d’agenzia l’illegittima cancellazione dall’albo, ha pertanto richiesto una liquidazione di una somma pari ad Euro 1.000.000,00 (un milione) in ragione:

– del mancato incasso delle provvigioni alla data dell’avvenuta risoluzione del contratto di agenzia;

– della differenza fra i ricavi annuali medi realizzati dal ricorrente stesso nell’ultimo triennio ed i ricavi che lo stesso potrà conseguire alla ripresa della propria attività;

– del valore dell’avviamento e del portafoglio clienti maturato dal sig. R. al momento del provvedimento di cancellazione dal RUI;

– del danno moraleesistenziale conseguente non soltanto alla perdita dell’unica fonte reddituale disponibile, ma anche all’impossibilità di (continuare a) svolgere l’attività lavorativa disimpegnata negli ultimi 16 anni.

Quanto al rapporto di agenzia di che trattasi, va osservato come il sig. R., con lettera raccomandata del 15 aprile 2010, abbia sollecitato A. S.p.A. alla "ricostituzione del rapporto agenziale… con efficacia ex tunc,…".

Il giudice di primo grado, per quanto concerne il danno dal ricorrente risentito per effetto della cessazione del rapporto di agenzia in precedenza intrattenuto con A. (che trova univoco fondamento nella cancellazione del sig. R. dal RUI), come sopra illegittimamente disposto da ISVAP, ha posto a carico dell’ISVAP, in applicazione della disposizione prevista dall’art. 35, comma 2, del d.lgs. 31 marzo 1998 n. 80 (come sostituito dall’art. 7 della legge 21 luglio 2000 n. 205), la formulazione di una proposta risarcitoria nei confronti dell’odierno ricorrente.

In applicazione del suindicato disposto di legge – e previa verifica della data di effettivo reintegro del ricorrente nel rapporto agenziale già intercorso con ISVAP, giusta la pure rammentata istanza dal sig. R. rivolta nei confronti della predetta Compagnia assicuratrice – l’ISVAP dovrà formulare, entro il termine di giorni 60 (sessanta) dalla notificazione o, se anteriore, dalla comunicazione in via amministrativa della presente sentenza, proposta risarcitoria in favore del ricorrente, che dovrà tenere conto:

– del periodo di effettivo mancato svolgimento dell’attività dal ricorrente stesso precedentemente disimpegnata, a far tempo dall’intervenuta cessazione del rapporto agenziale con A. (31 dicembre 2009);

– degli introiti mediamente percepiti dal ricorrente medesimo, alla stregua della media degli ultimi tre anni;

– di eventuali ulteriori elementi di pregiudizio conseguenti a perdita di avviamento e/o di clientela, ove adeguatamente comprovati dal sig. R..

L’ISVAP ha prodotto appello avverso la sentenza indicata in epigrafe rilevando innanzitutto che l’odierno appellato risultava nuovamente iscritto nel registro unico degli intermediari assicurativi e riassicurativi dal 15 gennaio 2010.

L’istituto appellante ha censurato la sentenza per la sua intrinseca contraddittorietà in quanto ha attribuito differente efficacia ad identici mezzi di prova forniti rispettivamente dal ricorrente e dall’autorità resistente in base al mero dato estrinseco del disconoscimento come non propria da parte del signor R. della firma apposta sulla cartolina di ricevimento prodotta dall’autorità.

L’appellante ha richiamato in proposito l’art. 139, commi 2 e 3, del cod. proc. civ, dal quale emerge che la consegna dell’atto da notificare non deve necessariamente essere effettuata personalmente.

L’assunto secondo cui l’appellato non avrebbe legalmente conosciuto l’atto di diffida e la comunicazione di avvio del procedimento costituisce una pura e semplice, e del tutto indimostrata petizione di principio, dal momento che nessuna norma o principio ordina mentale impediscono che, similmente a quanto previsto dalla disciplina delle notificazioni del codice di procedura civile, una lettera raccomandata con avviso di ricevimento possa essere legalmente consegnata al destinatario a mezzo di persona di famiglia od addetta alla casa o al portiere dello stabile, ovvero ancora, d’un vicino di casa.

In riferimento al risarcimento del danno cui l’ISVAP è stato condannato, l’istituto ritiene perplessa la motivazione della sentenza che ha riconosciuto che: "Ove, infatti, venisse riservato positivo esito alle pretese reintegratorie del sig. R. (anche sotto l’aspetto economico), il pregiudizio da quest’ultimo risentito per quanto concerne la lamentata perdita reddituale verrebbe drasticamente ridimensionato, se non addirittura eliso nel caso di integrale ristoro del danno sofferto per effetto delle perdute occasioni di lavoro".

L’istituto appellante quindi evidenzia la perplessità della motivazione perché la quantificazione del risarcimento che l’ISVAP dovrebbe proporre al signor R. è palesemente condizionata ad una sorta di fatto del terzo, la compagnia assicuratrice A..

Si è costituito in giudizio l’appellato sostenendo l’infondatezza dell’appello.

All’udienza del 15 marzo 2001 il ricorso è stato trattenuto in decisione.

Motivi della decisione

Il ricorso, nella parte in cui è finalizzato alla riforma della sentenza che ha annullato il provvedimento ISVAP n. 2751 del 18 novembre 2009, è infondato.

Con il suddetto provvedimento veniva disposta la cancellazione dell’appellato dal Registro unico degli intermediari assicurativi e riassicurativi di cui all’art. 109 del D.Lgs. 209/2005 per omesso pagamento del contributo di vigilanza per l’anno 2008 di cui all’art. 336 dello stesso decreto legislativo.

La sentenza appellata ha evidenziato che la diffida ad effettuare il versamento – spedita mediante lettera raccomandata all’indirizzo del sig. R. di via Ugo De Carolis n. 34, in Roma – veniva ricevuta il 23 febbraio 2009 da nominativo diverso (verosimilmente tale signor D’Ignazio) rispetto all’odierno appellato, giusta quanto è dato evincere dalla sottoscrizione apposta in calce all’avviso di ricevimento.

L’amministrazione appellante sostiene che alla fattispecie in esame andrebbe applicato in via analogica l’art. 139 del cod. proc. civ, commi 2 e 3, i quali prevedono che la consegna dell’atto possa essere fatta a persona diversa dal destinatario.

Anche ad ammettere, in via di mera ipotesi, l’applicabilità in astratto della disciplina codicistica alla consegna delle ordinarie raccomandate postali, la censura è infondata in punto di fatto.

Il dato dirimente è che la qualità del consegnatario deve essere indicata e, nel caso di specie, non v’è alcuna annotazione della relazione che dovrebbe legare il sig. D’Ignazio all’appellato.

Tanto è sufficiente per rigettare l’appello sul punto.

L’appello è invece parzialmente fondato nella parte in cui censura i criteri posti a base della liquidazione del danno in favore dell’appellato.

Il nesso di causalità, che l’istituto appellante nega, tra la cancellazione dall’albo e interruzione del rapporto di intermediazione tra impresa assicuratrice mandante ed intermediario, è dimostrata proprio dalle norme richiamate dall’istituto spellante (artt. 108 e 305 del cod. delle assicurazioni).

Senza l’iscrizione all’albo l’appellato non poteva esercitare l’attività di intermediazione e tanto è sufficiente, secondo quanto di norma sperimentalmente è dato rilevare secondo la tesi della causa adeguata, per dimostrare l’esistenza del nesso di causalità tra cancellazione ed interruzione dell’attività.

Per quanto attiene la determinazione del risarcimento la Sezione rileva che il giudice di primo grado non ha posto alcun limite temporale al "periodo di effettivo mancato svolgimento dell’attività dal ricorrente stesso precedentemente disimpegnata, a far tempo dall’intervenuta cessazione del rapporto agenziale con A. (31 dicembre 2009)". Pertanto, ove l’azienda assicuratrice non dovesse ripristinare il contratto d’agenzia con l’odierno appellato, l’istituto appellante, sia pure implicitamente, dovrebbe corrispondere al signor R. la somma di unmilione di euro, cifra ictu oculi eccessiva.

La Sezione ritiene di dover evidenziare che l’odierno appellato sin dalla data del 15 gennaio 2010 era stato reinscritto nel pertinente albo, cosicché il tempo trascorso fino alla data del 15 aprile 2010, data sotto la quale l’appellato ha chiesto all’impresa assicuratrice di ricostituire il rapporto, non può che essere addebitato al medesimo appellato.

La Sezione ritiene ragionevole individuare nel temine di tre mesi il periodo di tempo entro il quale la società assicuratrice avrebbe dovuto manifestare la propria volontà di ricostituzione del rapporto.

Trascorso tale periodo può ritenersi che il rapporto non sia stato ricostituito per ragioni diverse dall’iscrizione all’albo: di tali ragioni non può rispondere, ovviamente, l’istituto appellante.

Pertanto all’appellato dovrà essere corrisposta una somma pari a tre mensilità, il cui importo unitario sarà determinato sommando i redditi netti risultanti dalle dichiarazioni dei redditi ai fini IRPEF degli anni 2008, 2009 e 2010, e dividendo tale somma per il numero dei mesi (trentasei).

Sussistono giusti motivi per compensare tra le parti le spese di entrambi i gradi di giudizio.

P.Q.M.

Il Consiglio di Stato in sede giurisdizionale (Sezione Sesta) definitivamente pronunciando sull’appello, come in epigrafe proposto, lo accoglie in parte e, per l’effetto, condanna l’ISVAP (Istituto Vigilanza Assicurazioni Private e di Interesse Collettivo), in persona del legale rappresentante pro tempore, alla somma indicata in motivazione.

Compensate le spese di entrambi i gradi di giudizio.

Ordina che la presente sentenza sia eseguita dall’autorità amministrativa.

Testo non ufficiale. La sola stampa del bollettino ufficiale ha carattere legale.

Cons. Stato Sez. V, Sent., 05-08-2011, n. 4710 Ricorso per l’esecuzione del giudicato

Sentenza scelta dal dott. Domenico Cirasole direttore del sito giuridico http://www.gadit.it/

Svolgimento del processo – Motivi della decisione

Il Commissario ad acta delegato dal Prefetto di Bari per il compimento degli atti in esecuzione delle decisioni del Consiglio di Stato, Sez. Quinta, n. 4267/2007, n. 3817/2008, n. 2153/2010 e n.8420/2010, riferisce circa l’attività svolta, in particolare quanto alle iniziative per l’adozione della variante al P.R.G. necessaria all’attuazione del giudicato. In merito, comunica di avere richiesto con decreto n. prot. 2/ Commiss. del 2 marzo 2011 all’Ufficio urbanistico del Comune di Bari ed all’impresa P. la presentazione di una relazione sui vincoli esistenti sul territorio interessato dall’intervento edilizio programmato e di avere nominato due consulenti per seguire le operazioni e le attività tecniche sotto il profilo progettuale e sotto quello urbanistico.

Riferisce, altresì, di essere in grado di dar corso alla procedura per l’adozione della variante a P.R.G. considerando tuttavia che la scelta della procedura accelerata di approvazione del progetto e della variante, ai sensi del d.p.r. 383/1994 nonché dell’art. 19 d.p.r. 327/2001 e della l. reg. Puglia n.3/2005, indicata dal Consiglio di Stato nelle decisioni prese, potrebbe comportare contestazioni da parte dell’amministrazione comunale in ordine alla ricorrenza dei presupposti dell’opera pubblica statale, atteso che la Cittadella della Giustizia, di indubbio interesse statale, verrà edificata dall’impresa in proprio e con conservazione della piena proprietà in capo alla stessa, con obbligo di concessione in locazione al Comune di Bari. Esprime, quindi, la preferenza per l’adozione della procedura ordinaria secondo quanto previsto dalla l. reg. Puglia 31 maggio 1980 n. 56.

Segnala, altresì, la necessità di nomina di un responsabile del procedimento, ferme restando le competenze decisorie del Commissario.

Chiede, quindi, al Consiglio di Stato di:

1.ratificare l’operato ad oggi dell’Ufficio Commissariale, anche in riferimento alla nomina dei consulenti tecnici;

2.indicare la procedura da seguire per l’adozione della variante al P.R.G. vigente, se quella semplificata o quella ordinaria;

3. approvare l’intento del Commissario di designare il RUP;

4.dotare l’Ufficio commissariale di un fondo spese a carico del Comune di Bari;

5.determinare provvisoriamente in euro 50.000,00 (cinquantamila) la dotazione di detto fondo;

6.liquidare un acconto sulle competenze professionali al Commissario ed ai suoi consulenti;

7.prorogare il termine per l’esecuzione dell’incarico commissariale per il tempo necessario all’adozione della variante urbanistica e dei successivi strumenti contrattuali per un tempo non inferiore ad un anno solare.

Va, preliminarmente, rilevato che le istanze del Commissario ad acta da esaminare in questa sede sono configurabili alla stregua di richieste di chiarimento sulle modalità di ottemperanza, in ordine alle quali il giudice dell’ottemperanza esercita i poteri cognitori ed ordinatori ora codificati negli artt. 112 e 114, comma 7 del cod. proc. amm.. Esse riguardano profili di attuazione del giudicato già affrontati nelle pronunce e sui quali l’ausiliario del giudice non può che richiedere all’organo giurisdizionale i chiarimenti ritenuti necessari, rimanendo esclusa ogni preventiva valutazione su atti ancora da emanare, per i quali non possono che valere gli eventuali strumenti di reclamo ex post dinanzi allo stesso giudice di ottemperanza (Cass. Civ. Sez. III, 18 settembre 2009, n. 20105).

Ciò precisato,in ordine alle singole richieste del Commissario, il Collegio ritiene di fornire i seguenti chiarimenti.

1. In ordine alla prima domanda, il Collegio ritiene che la complessità tecnica delle operazioni ed attività connesse all’adozione della variante urbanistica rendano effettivamente necessario per il Commissario ad acta delegato dotarsi della collaborazione di consulenti tecnici in grado di dare il proprio apporto di natura tecnica. Autorizza, pertanto, il Commissario ad acta, nella qualità di proprio organo ausiliario, a nominare due consulenti tecnici, in base ai requisiti stabiliti dall’art. 19, comma 2 cod. pr. amm..

2. In ordine alla procedura da seguire, rileva il Collegio che con decisione n. 2153/2010 del 15.4.2010, è stato statuito che "poiché, quindi, in conclusione, la proposta contempla la realizzazione previa approvazione di una variante urbanistica, il Commissario, nella qualità indicata, dovrà attivare le procedure occorrenti perché tale variante venga predisposta e, previa verifica degli altri presupposti normativi, adottata secondo le procedure di legge, utilizzando se del caso, ove legittimamente possibile, i procedimenti accelerati che la legge appresta per casi di realizzazione di opere di interesse generale o di interesse pubblico strettamente inteso."

Non è stato, pertanto, sancito alcun obbligo da parte del Commissario ad acta di seguire la procedura accelerata di cui al d.p.r. 18.4.1994, n. 383, la cui applicabilità va, in effetti, valutata "se del caso" da parte del Commissario, tenendo conto della necessaria compresenza sia dell’elemento oggettivo (opera di interesse statale) sia dell’elemento soggettivo (realizzazione da parte di amministrazione statale o di ente istituzionalmente competente). Ove manchi anche uno di tali elementi, come nel caso di realizzazione di opera di interesse statale – il complesso di edifici destinati alla sede degli uffici giudiziari di Bari – mediante lo strumento contrattuale della concessione in locazione, che conserva la proprietà del compendio immobiliare in capo al soggetto privato realizzatore e concedente, si ritiene in effetti inapplicabile la procedura accelerata di cui al d.p.r. n. 383/1994 (cfr. Cons. St. Sez. V, 10072000, n. 3860). Occorre, tuttavia, precisare che anche nel procedimento ordinario di adozione di variante urbanistica, secondo quanto previsto dalla l. reg. Puglia 31 maggio 1980 n. 56, il Commissario ad acta si sostituirà integralmente all’amministrazione comunale nell’esercizio di tutti i poteri rientranti nella competenza di quest’ultima.

3. In ordine alla richiesta di autorizzazione alla nomina del responsabile unico del procedimento, il Collegio, condivisa la necessità di individuazione di tale figura ai sensi dell’art. 5 L. n. 241/1990, ritiene tuttavia che esso possa essere prescelto tra uno dei consulenti tecnici del Commissario, che seguirà altresì per intero l’istruttoria ed ogni altro adempimento in relazione al procedimento.

4. Attesa l’onerosità delle operazioni da svolgere – in parte già documentata con elenco delle spese già sostenute dal Commissario – si ritiene di liquidare in via provvisoria, a titolo di acconto per onorari e spese in favore del Commissario ad acta e dei consulenti tecnici, rispettivamente la somma di euro 15.000 (quindicimila) in favore del Commissario ad acta delegato e di euro 5.000 (cinquemila) in favore di ciascuno dei consulenti tecnici, ponendola a carico del Comune di Bari e con riserva di provvedere in via definitiva all’esito dell’ultimazione delle attività.

5. Attesa la complessità delle operazioni, si accoglie altresì la richiesta di proroga del termine assegnato al Commissario ad acta con sentenza n.8420/2010, che si fissa in un anno decorrente dalla notificazione o, se anteriore, dalla comunicazione della presente decisione.

Sussistono giusti motivi per la compensazione delle spese della presente fase di giudizio.

P.Q.M.

Il Consiglio di Stato in sede giurisdizionale (Sezione Quinta)

pronunciando sulla richiesta di chiarimenti del Commissario ad acta delegato dal Prefetto di Bari con provvedimento in data 29.1.2011:

– determina le modalità di ottemperanza alle decisioni del Consiglio di Stato Sez. Quinta, n. 4267/2007, n. 3817/2008, n. 2153/2010 e n. 8420/2010 nei sensi di cui in motivazione;

– liquida provvisoriamente in favore del Commissario ad acta e dei consulenti tecnici da lui nominati la complessiva somma di euro 25.000 (venticinquemila), di cui 15.000 (quindicimila) in favore del Commissario ad acta delegato e di 5.000 (cinquemila) in favore di ciascuno dei consulenti tecnici, che pone a carico del Comune di Bari;

– proroga il termine assegnato al Commissario ad acta per l’esecuzione delle decisioni del Consiglio di Stato Sez. Quinta, n. 4267/2007, n. 3817/2008, n. 2153/2010 e n. 8420/2010 fissandolo in un anno decorrente dalla notificazione o, se anteriore, dalla comunicazione amministrativa della presente decisione;

– compensa le spese della presente fase di giudizio.

Manda alla Segretaria di comunicare la presente decisione al Commissario ad acta delegato.

Ordina che la presente sentenza sia eseguita dall’autorità amministrativa.

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