Cass. civ. Sez. lavoro, Sent., 19-07-2012, n. 12499 Licenziamento per causa di malattia

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Svolgimento del processo

1. Con ricorso depositato il 27 novembre del 2006 I. G., premesso di essere stato dipendente del Ministero delle Infrastrutture e dei Trasporti con la qualifica funzionale di operatore amministrativo contabile, posizione economica B2, e di aver prestato servizio, a partire dal 1986, presso la Capitaneria di (OMISSIS), esponeva: che con lettera raccomandata in data 29.7.2005, pervenuta il 3.8.2005, il Direttore Generale del Ministero gli aveva comunicato l’avvio del procedimento di risoluzione del rapporto d’impiego per presunto superamento del periodo di comporto (36 mesi) previsto dal C.C.N.L. art. 21, Comparto Ministeri e lo aveva invitato a presentare, entro cinque giorni, le sue giustificazioni; che con missiva inviata il 9.8.2005, aveva comunicato di versare in uno stato di persistente disturbo d’ansia reattivo, debitamente documentato, tale da renderlo incompatibile con l’attività di operatore amministrativo; che con provvedimento del 5 agosto 2005 il Direttore Generale, prima ancora che decorresse il termine a difesa concesso con la richiamata nota del 29 luglio 2005, aveva disposto la risoluzione del rapporto di lavoro per presunto superamento di 36 mesi di malattia, ai sensi della citata disposizione pattizia; che tale provvedimento gli era stato consegnato in data 27.10.2005 dai Carabinieri di Amalfi, i quali avevano redatto la relata di notifica, nonostante l’assoluta incompetenza e la carenza di poteri in materia; che con comunicazione a mezzo telefax del 25.1.2006 aveva impugnato il provvedimento espulsivo, chiedendo l’immediata riammissione in servizio; che il Ministero delle Infrastrutture e dei Trasporti solo in data 7.2.2006 gli aveva comunicato i periodi di assenza che avevano dato luogo alla risoluzione del rapporto di lavoro; che la procedura di notificazione della lettera di licenziamento era del tutto inesistente per assoluta incompetenza e carenza di potere dell’organo notificatore (autorità di p.g.) ad eseguire in materia civile, qualsiasi attività certificatoria destinata a produrre effetti di giuridica conoscenza nella sfera del destinatario; che, pertanto, il licenziamento era da ritenersi intimato oralmente, ragion per cui, da un lato, non poteva produrre alcun effetto estintivo del rapporto di lavoro e, dall’altro, era inidoneo a far maturare la decadenza prevista dalla L. n. 604 del 1966, art. 6; che, inoltre, il licenziamento era illegittimo in quanto intimato a distanza di soli due giorni dalla ricezione della comunicazione di avvio del procedimento, ossia ben cinque giorni prima che cadesse il termine a difesa accordato dalla stessa pubblica amministrazione procedente; che, in ogni caso, il licenziamento era illegittimo per mancanza di giusta causa o giustificato motivo, non essendo stato superato il periodo di comporto previsto dall’art. 21 del contratto collettivo di categoria;

che, infine, il Ministero delle Infrastrutture e dei Trasporti era tenuto a corrispondergli la somma di Euro 3.466,28 a titolo di indennità di mancato preavviso, avendo disposto il suo licenziamento con effetto immediato.

Tanto premesso, l’ I. adiva il Giudice del lavoro presso il Tribunale di Salerno chiedendo che venisse accertata e dichiarata l’illegittimità, l’inefficacia ovvero la nullità del licenziamento intimatogli con provvedimento in data 5.8.2005, con ogni conseguenza re integra tori a e risarcitoria di legge e con il favore delle spese di lite. In via gradata, chiedeva che il Ministero delle Infrastrutture e dei Trasporti fosse condannato al pagamento, in suo favore, della somma dovutagli a titolo di indennità di mancato preavviso.

2. Instauratosi il contraddittorio, il Ministero convenuto si costituiva tempestivamente in giudizio con memoria depositata il 12.1.2007 ed eccepiva, in primo luogo, la tardività dell’impugnazione del licenziamento, ponendo in rilievo che il provvedimento espulsivo era stato comunicato all’ I. il 27.10.2005, mentre l’impugnazione era intervenuta solo in data 25.1.2006. Deduceva pertanto che il ricorrente era decaduto dalla facoltà di formulare ogni censura in ordine alla legittimità del recesso datoriale. Evidenziava, in ogni caso, che, contrariamente a quanto affermato dall’ I., il licenziamento non era di carattere disciplinare, e quindi l’Amministrazione non aveva alcun obbligo di contestazione preventiva e/o di instaurazione di un vero e proprio contraddittorio con l’interessato prima dell’adozione del provvedimento estintivo del rapporto di lavoro. Il Ministero delle infrastrutture e dei Trasporti concludeva, quindi, per il rigetto del ricorso con vittoria delle spese di lite.

3. Con sentenza n. 4680 del 3.12.2007 il tribunale di Salerno decideva la causa rigettando le domande formulate dall’ I. condannando quest’ultimo alla rifusione delle spese del giudizio, liquidate in complessivi Euro 1.500,00.

Nella motivazione della sentenza il giudicante rilevava, innanzitutto, che non era condivisibile l’assunto del ricorrente incentrato sulla necessità della notifica del provvedimento di recesso a mezzo di un organo che avesse una specifica potestà in tal senso: essendo l’intimazione del licenziamento un atto unilaterale recettizio, erano applicabili gli artt. 1334 e 1335 c.c., con la conseguenza che era operante una presunzione di conoscenza per il solo fatto dell’arrivo della dichiarazione nella sfera di conoscenza del dipendente, a prescindere dalle modalità di notifica della stessa. Del resto – osservava il primo giudice – la disposizione normativa di cui alla L. n. 604 del 1966, art. 2, comma 2, prevedeva l’obbligo per il datore di lavoro di comunicare per iscritto il suo recesso, ma non stabiliva alcunchè in merito alle modalità di notifica dell’atto. Il superamento del termine di 60 giorni fissato dalla citata legge (art. 6) imponeva, quindi, il rigetto della domanda.

4. Avverso tale sentenza I.G. proponeva appello con ricorso depositato il 27.3.2008, reiterando l’eccezione di "radicale inefficacia del provvedimento di licenziamento, con conseguente insussistenza di qualsivoglia decadenza L. n. 604 del 1966, ex art. 6. Sosteneva, in particolare, che la garanzia della forma scritta, prevista in tema di licenziamento individuale, investiva, oltre alla fase propriamente genetica o formativa dell’atto, quella della giuridica certezza da parte del destinatario, con la conseguenza che sia l’intimazione de licenziamento che la comunicazione dei relativi motivi dovevano, a pena di inefficacia, rivestire la forma scritta, di guisa che erano irrilevanti un’intimazione ed una contestazione espresse in forma diversa, al pari di una conoscenza aliunde acquisita dal lavoratore.

Il Ministero appellato si costituiva in giudizio con memoria depositata il 23.6.2008 e ribadiva le deduzioni già svolte in prime cure, sostenendo la infondatezza dei motivi addotti a sostegno del gravame, del quale invocava il rigetto, con rivalsa delle spese del grado del giudizio. Rappresentava, peraltro, di aver regolarmente riconosciuto e liquidato, in favore dell’ I., l’importo a lui spettante a titolo di indennità di mancato preavviso.

La corte d’appello di Salerno con sentenza del 2 luglio 2008 – 20 agosto 2008 rigettava l’appello e condannava l’appellante al pagamento delle spese di giudizio.

5. Avverso questa pronuncia ricorre per cassazione l’originario ricorrente con tre motivi motivi.

Non ha svolto difesa alcuna la parte intimata.

Il ricorrente ha anche depositato memoria.
Motivi della decisione

1. Il ricorso è articolato in tre motivi.

Con il primo motivo il ricorrente denuncia la violazione e falsa applicazione della L. n. 604 del 1966, artt. 2 e 6. Deduce la radicale inefficacia del provvedimento di risoluzione del rapporto sostenendo che, ove il datore di lavoro scelga il mezzo della notificazione per portare a conoscenza del lavoratore il provvedimento disciplinare, deve osservare puntualmente il procedimento notificatorio disciplinato dal codice di rito. In ogni caso deve osservare l’obbligo della forma scritta.

Con il secondo motivo il ricorrente denuncia violazione e falsa applicazione dei principi regolatori in tema di diritto di difesa, nonchè del principio di correttezza e buona fede. Deduce che il decreto dirigenziale di licenziamento è stato adottato senza che si perfezionasse in capo al ricorrente il termine a difesa concesso dalla pubblica amministrazione con la comunicazione di avvio del procedimento.

Con il terzo motivo il ricorrente deduce l’illegittimità del licenziamento per insussistenza del presupposto e mancanza di giusta causa o di giustificato motivo, costituito dal numero delle assenze.

2. Preliminarmente va rilevato che il ricorrente, che inizialmente aveva notificato il ricorso all’Avvocatura distrettuale dello Stato, ha provveduto, a seguito di ordinanza di questa corte, a notificare il ricorso all’Avvocatura generale dello Stato.

3. Il ricorso – i cui tre motivi possono essere esaminati congiuntamente – è infondato.

4. In riferimento in particolare al primo motivo deve considerarsi che correttamente la corte d’appello ha considerato che la L. 15 luglio 1966, n. 604, art. 2, come modificato dalla L. 11 maggio 1990, n. 108, art. 2, esige che il licenziamento sia comunicato per iscritto al lavoratore, senza prescrivere particolare modalità della comunicazione stessa, essendo necessario e sufficiente che l’atto di recesso datoriale si è portato a conoscenza del lavoratore. Va ribadito in proposito il principio più volte affermato da questa corte (Cass., sez. lav., 13 agosto 2007, n. 17652) secondo cui, quanto alla forma scritta del licenziamento prescritta a pena di inefficacia, non sussiste per il datore di lavoro l’onere di adoperare formule sacramentali e la volontà di licenziare può essere comunicata al lavoratore anche in forma indiretta, purchè chiara. Si è quindi ritenuto, ad esempio, che la dichiarazione di conclusione de rapporto contenuta nel libretto di lavoro consegnato al dipendente da parte del datore accompagnata da lettera di trasmissione indicante il recesso datoriale, deve essere considerato atto scritto di recesso dalla data della relativa consegna. Cfr.

altresì Cass., sez. lav., 17 maggio 2005, n. 10291, che con riguardo al caso di utilizzazione di un telegramma dettato attraverso l’apposito servizio telefonico per l’intimazione del licenziamento, ha precisato che il requisito della forma scritta deve ritenersi sussistente ove risulti la effettiva provenienza del telegramma dall’autore della dichiarazione, così come la forma scritta richiesta per il licenziamento e per l’impugnazione stragiudiziale dello stesso è integrata dalla consegna dell’ordinario telegramma all’ufficio postale, da parte del mittente o per suo incarico, oppure dalla sottoscrizione da parte del mittente.

Altresì Cass., sez. lav., 11 settembre 2003, n. 13375, ha ribadito che ai fini del rispetto del requisito della forma scritta per la validità del licenziamento, non è necessario che la volontà risolutiva sia espressa attraverso formule sacramentali, ma essa deve essere comunque manifestata in maniera adeguatamente intellegibile, ai fini della tutela dell’affidamento della controparte, sulla quale grava l’onere di una tempestiva impugnazione, mentre non può ritenersi equipollente la mera espressione del convincimento della validità di un precedente atto risolutivo, in quanto trattasi di dichiarazione priva di contenuto volitivo.

Pertanto, nel caso di specie, la comunicazione dell’atto di recesso a mezzo di ufficiale di p.g., ancorchè quest’ultimo fosse sprovvisto dei requisiti soggettivi per procedere a una vera propria notifica, costituisce comunque una modalità idonea per la comunicazione del licenziamento in ragione appunto della libertà della forma del licenziamento, purchè per iscritto.

5. Inammissibili sono invece le altre due censure (secondo e terzo motivo). La sentenza impugnata ha ritenuto che l’impugnazione del licenziamento, fatta dal ricorrente, non fosse tempestiva e quindi ha rigettato la domanda. Questa essendo la ragione del decidere le censure mosse con il secondo e il terzo motivo sono inammissibili perchè non conferenti, riferendosi l’una alla dedotta violazione delle regole procedimentali (mancato rispetto del termine di difesa) e l’altra alla dedotta esistenza del presupposto del recesso (ossia il numero di giorni di assenza per malattia che integravano il presupposto della superamento del termine di comporto previsto la contrattazione collettiva).

Il ricorrente invece non censura l’affermazione della sentenza impugnata secondo cui è intervenuta la decadenza per avere il ricorrente impugnato il recesso oltre il termine di 60 giorni.

E’ pur vero che questa corte (Cass. civ., sez. lav., 28 gennaio 2010, n. 1861) ha affermato che il recesso per superamento del periodo di comporto rappresenta una forma speciale di cessazione del rapporto di lavoro, che non trova la sua disciplina nella legge, di carattere generale, n. 604 del 1966, ma nella specifica previsione di cui all’art. 2110 c.c., comma 2, con la conseguenza che l’impugnazione da parte del prestatore di lavoro non è soggetta al termine di decadenza stabilito dall’art. 6 suddetta legge. Ma il ricorrente non ha proposto alcun vizio di violazione di legge sotto tale profilo e la censura mossa solo nella memoria è a tal fine inammissibile atteso che con la memoria il ricorrente può illustrare i motivi di ricorso già proposti, ma non può proporne di nuovi. Cfr., ex plurimis, Cass., sez. 1^, 21 febbraio 2001, n. 2478, che ha affermato che le memorie illustrative, di cui all’art. 378 c.p.c., non hanno altra funzione che quella di chiarire le ragioni a sostegno dei motivi enunciati in ricorso; sicchè non è consentito proporre in esse motivi nuovi, in quanto tali inammissibili.

6. Il ricorso va quindi, nel suo complesso, rigettato.

Non avendo il ministero intimato svolto alcuna difesa, non occorre provvedere sulle spese processuali di questo giudizio di cassazione.
P.Q.M.

La Corte rigetta il ricorso; nulla sulle spese di questo giudizio di cassazione.

Così deciso in Roma, il 29 marzo 2012.

Depositato in Cancelleria il 19 luglio 2012

Testo non ufficiale. La sola stampa del bollettino ufficiale ha carattere legale.

Cass. civ. Sez. II, Sent., 22-08-2012, n. 14605

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Svolgimento del processo
1. – La Corte d’appello di Venezia, con decreto reso pubblico mediante deposito in cancelleria il 4 agosto 2005, ha rigettato l’opposizione proposta dalla Banca popolare di xxx soc. coop. a r.l. nonchè da C.G.M., P.S., G.G., F.R., E.G., F. A.C., R.G., Ri.Ga., B. A., Be.Gi., Gu.Gi. e Co.Pi., avverso il decreto n. 102890/04, in data 6 ottobre 2004, con cui il Ministero dell’economia e delle finanze aveva loro irrogato sanzioni per complessivi Euro 49.100, ai sensi del D.Lgs. 24 febbraio 1998, n. 58, art. 190 (Testo unico delle disposizioni in materia di intermediazione finanziaria, ai sensi della L. 6 febbraio 1996, n. 52, artt. 8 e 21), in relazione all’art. 21, comma 1, lett. d), del citato d.lgs. e dell’art. 56, commi 1 e 2, del regolamento CONSOB n. 11522 del 1998, per inadeguatezze nella procedura di prestazione dei servizi di investimento e nell’attività di controllo interno, con riguardo all’acquisto, promosso e procacciato dalla Banca popolare, di obbligazioni di un operatore statunitense in seguito fallito.
2. – Per la cassazione del decreto della Corte d’appello la Banca popolare di xxx e gli altri i-stanti indicati in epigrafe hanno proposto ricorso, con atto notificato il 27 gennaio 2006, sulla base di tre motivi.
Il Ministero e la CONSOB hanno resistito con controricorso.
I ricorrenti hanno depositato una memoria illustrativa in prossimità dell’udienza.
Motivi della decisione
1. – Il Collegio ha deliberato l’adozione di una motivazione in forma semplificata.
2. – Con il primo motivo si prospetta violazione e falsa applicazione dell’art. 2697 cod. civ. e L. 24 novembre 1981, n. 689, art. 23, comma 12. Ad avviso dei ricorrenti, sarebbe mancata la verifica della reale presenza di prove sufficienti a dimostrare la responsabilità degli opponenti, essendovi l’obbligo, in mancanza, di accogliere l’opposizione.
1.1. – Il motivo non coglie nel segno.
E’ esatto che, in tema di sanzioni amministrative per violazione delle disposizioni in materia di intermediazione finanziaria, l’opposizione prevista dal D.Lgs. 24 febbraio 1998, n. 58, art. 195, da luogo, non diversamente da quella di cui alla L. n. 689 del 1981, art. 22 e 23, ad un ordinario giudizio di cognizione, nel quale l’onere di provare i fatti costitutivi della pretesa sanzionatoria è posto a carico dell’Amministrazione, la quale è pertanto tenuta a fornire la prova della condotta illecita.
Sennonchè la Corte d’appello ha escluso il mancato raggiungimento nella specie di prove certe della responsabilità degli opponenti.
Infatti, la negligenza degli opponenti all’obbligo di assumere adeguate informazioni finanziarie ai fini della valutazione di compatibilità dell’investimento richiesto, con il conseguente obbligo di astenersi dal dare corso ad operazioni scoordinate con la tipologia del cliente senza l’ausilio di specifica richiesta dove fossero state annotate le contrarie avvertenze scritte, è stata ravvisata non già esclusivamente per l’inadeguatezza del sistema informatico adottato dalla banca, ma, più specificamente, per la più articolata inidoneità dell’assetto complessivo di procedure e strumenti predisposti ed utilizzati dalla banca, in particolare perchè la valutazione di adeguatezza faceva leva soltanto sulle informazioni fornite dal modulo informatico, senza alcun ausilio di sistemi o procedure alternativi nel caso di inefficacia delle risposte fornite dal modulo, in tutte le ipotesi di mancata collaborazione del cliente.
L’assenza di sistemi e procedure alternativi – ha precisato la Corte territoriale – non poteva essere colmata con il ricorso al sistema della raccolta della doppia firma. E ciò perchè con il sistematico ricorso a tale metodo la banca violava l’obbligo di verificare, attraverso i propri uffici, le caratteristiche dell’investimento, scaricandone, invece, la responsabilità sul cliente; e perchè comunque sugli ordini cosi acquisiti (con doppia firma) mancava l’essenziale menzione dell’avvenuta comunicazione dell’avvertenza della banca circa la rischiosità dell’investimento.
Infine, la Corte territoriale ha sottolineato – a conferma del raggiungimento della piena prova della responsabilità degli opponenti – che la violazione ascritta agli organi di controllo risiede nel non avere vigilato sul rispetto delle disposizioni diramate (culpa in vigilando), come confermato dalla concreta consistenza del fenomeno accertato; e che, nel loro operare, i dipendenti perseguirono l’interesse della banca, ciò che fornisce una chiave di lettura sfavorevole agli opponenti in ordine alle ragioni del mancato esercizio di un adeguato controllo da parte degli stessi.
E’ evidente, pertanto, che nonostante il formale richiamo alla violazione e falsa applicazione di norme di legge (assolutamente insussistente, perchè la Corte di Venezia ha ritenuto raggiunta la piena responsabilità degli opponenti sulla base delle prove fornite dall’Amministrazione), i ricorrenti finiscono con il mettere in discussione, in realtà, il convincimento espresso dalla Corte d’appello con logico e motivato apprezzamento delle risultanze di cause, sicchè la censura si risolve nella prospettazione di una diversa valutazione del merito della causa e nella pretesa di contrastare apprezzamenti di fatti e di risultanze probatorie che sono inalienabile prerogativa del giudice del merito.
2. Il secondo motivo denuncia, in riferimento all’art. 360 c.p.c., n. 5, vizio di motivazione, tanto in relazione alla preliminare mancata valuta-zione, singola e complessiva, degli innumerevoli riscontri probatori documentali forniti dagli opponenti, quanto per la presenza di un contrasto tra le argomentazioni complessivamente adottate, tali da non permettere l’identificazione del procedimento logico-giuridico a base della impugnata decisione e comunque da configurare una motivazione meramente apparente. Con esso si censura il decreto della Corte territoriale là dove ha ritenuto sussistenti le sanzionate carenze procedurali della banca nella prestazione dei servizi di investimento.
Il terzo mezzo denuncia, in riferimento all’art. 360 c.p.c., n. 5, vizio di motivazione, sia per il mancato esame e valutazione degli elementi probatori documentali forniti dagli opponenti, sia per la mancanza e contraddittorietà della motivazione su un punto decisivo della causa, nella parte in cui è stata confermata la sussistenza delle carenze procedurali relative all’attività di vigilanza e di controllo interno.
2.1. – Entrambe le censure sono inammissibili.
Nella disciplina (ratione temporis applicabile, essendo il decreto impugnato stato pubblicato il 4 agosto 2005) anteriore alla riforma dell’art. 360 cod. proc. civ., introdotta dal D.Lgs. 2 febbraio 2006, n. 40, il decreto della Corte di appello che decide sulle opposizioni alle sanzioni irrogate per violazione della legge in materia di intermediazione finanziaria è impugnabile, atteso il suo contenuto decisorio, in mancanza di una espressa previsione di impugnabilità per cassazione, esclusivamente con il ricorso straordinario per cassazione ex art. 111 Cost., mezzo con il quale possono essere fatte valere violazioni di norme di diritto sostanziale o processuale, quindi anche la totale carenza o la mera apparenza della motivazione, restando invece esclusa l’ammissibilità di ogni sindacato in ordine alla congruità ed alla adeguatezza della motivazione (Cass., Sez. 1, 8 aprile 2004, n. 6934; Cass., Sez. 2, 16 maggio 2011, n. 10748).
Tanto precisato, si osserva che la Corte di appello ha ampiamente motivato la propria statuizione di rigetto attraverso argomentazioni idonee a rilevare il procedimento logico seguito.
Ne deriva che i rilievi critici svolti dal ricorso, che investono non già l’esistenza, bensì la sufficienza e congruità della motivazione data dal giudice territoriale, non possono che considerarsi inammissibili, non essendo consentito in questa sede alcun sindacato in proposito.
3. – Il ricorso è rigettato.
Le spese del giudizio di cassazione, liquidate come da dispositivo, seguono la soccombenza.
P.Q.M.
La Corte rigetta il ricorso e condanna, i ricorrenti, in solido tra loro, al rimborso delle spese processuali sostenute dai controricorrenti, che liquida in complessivi Euro 2.500 per onorari, oltre alle spese prenotate a debito.
Così deciso in Roma, nella camera di consiglio della 2^ Sezione civile della Corte suprema di Cassazione, il 6 giugno 2012.
Depositato in Cancelleria il 22 agosto 2012
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Cassazione, Sezione V Penale, Sentenza 15 gennaio 2008 (dep. 29 aprile 2008), n. 17401 Diffamazione, internet, legalgeek (2011-02-24)

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Fatto e diritto

Con ordinanza del 19.9.2007 il Tribunale di Roma, in sede di riesame, confermava il provvedimento, con cui il g.i.p. dello stesso Tribunale, in data 5.7.2007, aveva disposto il sequestro preventivo, mediante oscuramento, del sito internet omissis e della home page del sito omissis, in relazione al reato di diffamazione a mezzo internet ed a mezzo televisione (art. 595 c.p., comma 3), perpetrato in danno di F.E., per il quale era indagato R.P.

Avverso la suaccennata ordinanza del predetto tribunale il R. proponeva, per mezzo del difensore, ricorso per cassazione.

L’indagato chiedeva l’annullamento senza rinvio dell’ordinanza impugnata, deducendo:

1) erronea applicazione dell’art. 595 c.p., comma 3, con riferimento alla ritenuta sussistenza del fumus commissi delicti, giacchè, nella specie, ricorrerebbe l’esimente dell’esercizio di un diritto;

2) motivazione meramente apparente, con riferimento alla ritenuta sussistenza del periculum in mora legittimante il provvedimento di sequestro.

Il ricorso deve essere rigettato, essendo i suaccennati motivi privi di fondamento.

Invero, in tema di sequestro preventivo, la verifica del c.d. fumus del reato non può estendersi fino a far coincidere l’esame con un vero e proprio giudizio di colpevolezza, dovendo restare fuori dall’indagine il complesso degli elementi di valutazione che concorrono ai fini dell’accertamento della responsabilità dell’indagato, ed essendo sufficiente la semplice enunciazione, che non sia manifestamente arbitraria, di un’ipotesi di reato, in relazione alla quale si appalesi, almeno allo stato, la necessità di escludere la libera disponibilità della cosa pertinente a quel reato, stante il pericolo che siffatta libera disponibilità possa aggravare o protrarre le conseguenze del reato (Cass. Sez. 6^, 26.4.2004 n. 25056).

Nella specie, il Tribunale, non discostandosi dal citato orientamento giurisprudenziale, ha ritenuto sussistente il fumus del delitto di cui all’art. 595 c.p., comma 3, evidenziando, correttamente, che le espressioni pronunciate dal R. nei confronti del F. ("servo, verme, bastardo…guardalo lì l’informazione in mano ai servi", "vergogna del giornalismo italiano… che insulta mezza Italia tutti i giorni dal suo cesso di telegiornale abusivo… fa la sceneggiata napoletana"), nell’episodio filmato dall’indagato e diffuso sul sito e sulla pagina web oggetto del sequestro de quo, travalicavano "l’alveo della critica delle funzioni svolte dal F., atteso il tenore palesemente e gratuitamente offensivo delle stesse" espressioni.

Il tribunale ha altresì giustificato la sussistenza del periculum in mora con sintetica, ma congrua, motivazione, la quale sottolinea che "il disposto vincolo cautelare reale si presenta, nella specie, assolutamente necessario al fine di evitare che si possano aggravare o protrarre le conseguenze del reato in contestazione, evenienza che discenderebbe dalla libera disponibilità, in capo al R., del sito e della pagina web" oggetto del sequestro preventivo.

P.Q.M.

La Corte rigetta il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese del procedimento.

Testo non ufficiale. La sola stampa del bollettino ufficiale ha carattere legale.

Cass. civ. Sez. III, Sent., 21-01-2011, n. 1394 Custodia di oggetti

Sentenza scelta dal dott. Domenico Cirasole direttore del sito giuridico http://www.gadit.it/

Svolgimento del processo

D.L.A., alla guida del ciclomotore di D.L. M., essendo il (OMISSIS) andato a sbattere contro un muro di cemento di 50cm. invisibile prima dell’uscita di una curva destrorsa su un tratto di (OMISSIS), di proprietà del Comune di Olginate, i cui lavori di ripristino erano stati affidati alla Comunità Montana del Lario Orientale, convenivano costoro dinanzi al giudice di Pace chiedendone la condanna in solido al risarcimento dei danni subiti. La Comunità Montana, dedotta l’esclusiva responsabilità di D.L.A. che alla guida del motorino del padre, con a bordo una ragazza, aveva percorso una strada chiusa al traffico dal 1976 a causa di una frana, nota agli abitanti del luogo, e segnalata da numerosi cartelli che avvertivano del pericolo e vietavano il transito, negava comunque di esser responsabile perchè la strada era comunale, con conseguenti oneri di vigilanza rimasti al Comune, ed in ogni caso i lavori di sistemazione erano stati appaltati all’Impresa Vitali che chiamava in causa chiedendo di esser garantita. Il Comune di Olginate, eccepita l’esclusiva responsabilità del D.L., escludeva comunque di avere la vigilanza sulla strada in cui si era verificato l’incidente perchè dal 1997 aveva concesso alla Comunità Montana di eseguire su di essa i lavori di sistemazione, appaltati, all’impresa Vitali e quindi chiedeva di esser manlevata dall’una o dall’altra o da entrambe, custodi a norma dell’art. 2051 c.c., della strada, riconsegnata nel 1999. L’impresa Vitali, contestata qualsiasi responsabilità avendo ottemperato alle prescrizioni segnaletiche previste nel contratto di appalto e nelle ordinanze comunali, rilevato che comunque l’ente proprietario della strada ne restava custode, sì che il Comune e la Comunità Montana erano almeno corresponsabili, chiamava in garanzia la B.P.B. assicurazioni s.p.a. che contestava la responsabilità dell’impresa assicurata affermando la responsabilità esclusiva del D.L..

Il giudice di Pace, con sentenza del 12 aprile 2002, accoglieva le domande attoree, condannando i convenuti e i terzi chiamati a pagare, in solido tra loro, in quanto tutti corresponsabili del sinistro verificatosi su una strada di fatto transitabile, il 50% dei danni subiti dagli attori – ritenendo in pari misura corresponsabile D.L.A. – sulla base della documentazione prodotta.

Accoglieva altresì la domanda di garanzia dell’Impresa Vitali nei confronti dell’ assicurazione B.P.B..

Questa appellava la ritenuta corresponsabilità di convenuti e chiamati e insisteva per l’affermazione dell’esclusiva responsabilità di D.L.A.. La Comunità Montana, con appello notificato al Comune il 20 maggio 2003, in via subordinata impugnava la sua affermata corresponsabilità, sostenendo che solo il Comune, proprietario della strada, doveva rispondere del sinistro su di essa verificatosi e comunque doveva esser manlevata dall’impresa Vitali. Il Comune di Olginate, con atto del 24 settembre 2003, impugnava a propria volta la statuizione di sua corresponsabilità, ribadendo che dal 1997 al 1999 (OMISSIS) era stata affidata alla Comunità Montana per il ripristino, i cui lavori erano stati appaltati all’impresa Vitali. Concludeva perciò per l’esclusione della sua responsabilità.

Il Tribunale di Lecco, con sentenza del 13 maggio 2005, respingeva tutti gli appelli sulle seguenti considerazioni: 1) la valutazione delle circostanze di fatto effettuata dal primo giudice ai fini dell’attribuzione della misura della responsabilità alle parti era corretta perchè era stato accertato che il pomeriggio del 5 aprile 1999 nessun vigile del Comune era sul posto per effettuare il relativo servizio; il muretto posto all’accesso di (OMISSIS) non ostruiva completamente il passaggio ed infatti un teste aveva dichiarato di passare su quel tratto di strada abitualmente; i testi avevano riferito che i cartelli di divieto di transito e di segnalazione di pericolo attuale non erano sul versante (OMISSIS), ma solo viceversa, e comunque essendo vecchi cartelli risalenti al 1976, difficilmente sarebbero stati idonei alla segnalazione del pericolo, essendo ragionevole, supporre che le cause di esso in 24 anni erano state rimosse; dalle fotografie del giorno dopo il sinistro prodotte dagli attori emergeva che non vi era alcun cartello all’imbocco di (OMISSIS) – agevolmente percorribile per un lungo tratto, ripulito da rami, foglie, sassi e detriti e per nulla insidioso – nel senso percorso dal D.L., mentre era visibile sia la rete interrotta prima del masso spostato, sia lo spazio lasciato libero, sufficiente al transito di un motorino;

invece, dalle foto prodotte dall’ impresa Vitali, scattate dieci giorni dopo il sinistro, risultava che la rete copriva il masso, la sbarra era chiusa con un lucchetto e erano apposti ben sei cartelli di pericolo e divieto di transito. Inoltre il muretto di 50 cm. contro il quale aveva sbattuto il D.L., nelle foto prodotte dall’ impresa era sormontato da una rete rossa di protezione chiusa, e da tre cartelli, nuovi, non arrugginiti o rovinati, e vi era posizionato un palo con un altro cartello, e poichè nè l’Ispettore del Comune di Olginate, nè l’agente di polizia municipale, avevano ricevuto segnalazione di furti o distruzioni di cartelli nel tratto di strada interessato, l’apposizione di tanti nuovi cartelli era ingiustificata; 2) era perciò sussistente la responsabilità dei convenuti per omesso controllo delle segnalazioni di pericolo e mancato tempestivo ripristino delle stesse e delle recinzioni necessarie, a norma dell’art. 2043 c.c., e per omessa segnalazione, prima della curva in discesa di (OMISSIS), della presenza del muretto di cemento a 50 mt. di distanza, che ostruiva la carreggiata soltanto se le due parti di esso erano ravvicinate, come risultava dalle foto prodotte dalla predetta impresa, e in cui compare la ruspa utilizzata verosimilmente per spostare il muretto, ma che non risultava chiuso il giorno in cui contro di esso era finito il motorino; 3) quindi il muretto, la ghiaia e le foglie secche configuravano, data la parziale visibilità per l’ora pomeridiana in cui si era verificato il sinistro, l’imprevedibile insidia ravvisata dal primo giudice; 4) il concorso nella determinazione del sinistro del comportamento del giovane era da ribadire non essendo contestato quanto da esso compiuto; 5) il quantum richiesto non era stato contestato in primo grado e data l’esiguità degli importi richiesti la domanda non meritava approfondite e dispendiose indagini di ufficio; 6) la conferma della sentenza di primo grado comportava il rigetto degli appelli incidentali "di manleva".

Ricorrono ora per cassazione la Comunità Montana del Lario Orientale, la s.p.a. BPU Assicurazioni, il Comune di Olginate e l’Impresa s.r.l. Vitali Pietro, cui resistono D.L.A. e M.. Al ricorso del Comune resiste l’Impresa s.r.l. Vitali Pietro. Quest’ ultima, l’Ubi Assicurazioni s.p.a. e la Comunità Montana hanno depositato memoria.

Motivi della decisione

1.- Preliminarmente i ricorsi devono esser riuniti ai sensi dell’art. 335 cod. proc. civ..

1.1 – Con il primo motivo del ricorso formalmente rubricato in termini di vizi di motivazione, ma sostanzialmente volto a riproporre la tesi di esistenza, nella circostanza, di adeguati indici di segnalazione della chiusura al traffico della strada in questione – e perciò di esclusiva responsabilità di D.L.A. per la grave condotta di guida tenuta in spregio ad ogni prudenza – sulla base di una valutazione del materiale istruttorio diversa da quella operata, con compiuta e logica argomentazione, dai giudici di merito, è, come tale, inammissibile, in quanto in non altro si risolve che nella pretesa, che non può trovare ingresso in questa sede di legittimità, di un rinnovato esame nel merito.

2.- Con il secondo motivo ex art. 360 c.p.c., n. 3, la stessa deduce:

"falsa applicazione di norma di diritto".

Sussiste incompatibilità logica tra la responsabilità del danneggiato e l’insidia o trabocchetto della strada, come ha rilevato la Corte Costituzionale con sentenza 156/1999. Perciò essendovi visibilità ed evidenza del muretto, non vi era insidia.

Il motivo, per la parte in cui denuncia violazione di norma di diritto, è infondato, mentre è inammissibile per la censura di inappagante ricostruzione del luogo del sinistro.

Va infatti riaffermato che il giudice, nell’accertare la responsabilità nella determinazione dell’evento dannoso, non può limitarsi a valutare la condotta del danneggiato sotto il profilo della prevedibilità del pericolo, ma deve al contempo valutare l’eventuale concorrente efficacia causale della condotta colposa dell’Amministrazione nella produzione del sinistro (Cass. 8847/2007), che non è incompatibile con quella del danneggiato se questa non è idonea ad interrompere il nesso causale tra l’evento ed il fatto colposo dell’Ente pubblico, ed in tal caso deve valutare in concreto l’entità dell’apporto causale dell’una e dell’altra concausa nella produzione dell’evento dannoso, a norma dell’art. 1227 c.c., comma 1 (Cass. 9546/2010).

A questi principi si sono attenuti i giudici di appello ed hanno perciò ritenuto, secondo il principio dell’ equivalenza delle cause – art. 41 cod. pen. – la corresponsabilità del danneggiato nella misura del 50%, e pertanto la censura va respinta.

3.- Con il terzo motivo ex art. 360 c.p.c., n. 5, la medesima deduce:

"Omessa, insufficiente o contraddittoria motivazione circa un fatto controverso e decisivo della controversia".

La Comunità Montana comunque, quale ente finanziatore dei lavori di risanamento sulla (OMISSIS), non aveva obbligo di vigilanza sulla strada ed in particolare sul cantiere poichè la proprietà della strada era del Comune a cui incombeva l’obbligo di vigilanza – che durante l’esecuzione dei lavori spettava all’impresa Vitali – ed infatti i dipendenti municipali hanno dichiarato di esser stati impegnati sul posto due volte a settimana per svolgere attività di controllo, come ha confermato anche il Sindaco, e sul punto manca qualsiasi motivazione.

Il motivo è infondato.

Ed infatti, poichè a norma della L. n. 142 del 1990, artt. 28 e 29 – applicabile ratione temporis – le Comunità Montane sono enti locali di amministrazione attiva del Comune, con compiti di coordinamento, vigilanza ed impulso dell’attività del medesimo, costituite con leggi regionali tra Comuni montani e parzialmente montani della stessa Provincia allo scopo di promuovere la valorizzazione delle zone montane e l’esercizio associato delle funzioni comunali o di quelle delegate al Comune dalla Regione o dalla Provincia, sono corresponsabili con il Comune per la realizzazione dei programmi annuali operativi di esecuzione dei piani pluriennali di opere ed interventi dalle stesse adottati, finanziati dalle Regioni mediante gli stanziamenti di cui alla L. 23 marzo 1981, n. 93, art. 1.

Pertanto, così integrata la motivazione, correttamente i giudici di merito, a norma dell’art. 2055 cod. civ., hanno affermato che Comune e Comunità Montana debbano rispondere in solido dei danni subiti dal D.L. per l’omessa idonea segnalazione dei pericoli esistenti sulla strada Belvedere per tutta la durata del ripristino della medesima, avviato nel 1997, e quindi prima del sinistro, e ultimato nel 1999. 4.- Con il quarto motivo ex art. 360 c.p.c., n. 5, la Comunità Montana del Lario Orientale deduce: "Omessa, insufficiente o contraddittoria motivazione circa un fatto controverso e decisivo della controversia".

In via subordinata, la Comunità Montana avrebbe diritto di esser garantita dall’ impresa Vitali a cui erano stati appaltati i lavori e che aveva la custodia e la vigilanza del cantiere, anche per obbligo specificatamente assunto per contratto, come la sorveglianza diurna e notturna, l’apposizione e la manutenzione di cartelli di avviso, lumi di segnale notturno nei punti prescritti, e quanto necessario alla sicurezza, e sul punto la sentenza omette qualsiasi motivazione limitandosi a rigettare gli appelli in manleva.

Il motivo è infondato.

Premesso infatti che il giudice di appello, come emerge dalla sentenza impugnata, ha respinto la domanda di garanzia impropria in conseguenza della conferma della corresponsabilità dell’appaltante e dell’ appaltatore nella determinazione dell’ unico fatto dannoso, a norma dell’art. 2055 cod. civ., u.c., la statuizione è immune da vizi giuridici e logici, avendo questa Corte già affermato (Cass. 4591/2008) che nell’appalto di opere pubbliche gli specifici poteri di autorizzazione, controllo ed ingerenza della P.A. nell’esecuzione del progetto o nelle direttive all’appaltatore escludono che l’ente committente possa esser esente da responsabilità per il risarcimento dei danni cagionati a terzi (Cass. 4591/2008), con conseguente persistenza della custodia da parte della stessa (Cass. 15784/2010).

5.- Con il quinto motivo ex art. 360 c.p.c., n. 5, la Comunità Montana deduce: "Omessa, insufficiente o contraddittoria motivazione circa un fatto controverso e decisivo della controversia".

Sul quantum dei danni la ricevuta fiscale per il danno al motorino pari a L. 1.140.000 è inidonea perchè non confermata dal legale rappresentante del garage Casati Pier Enrico e figli, ed altrettanto non provate sono le lesioni subite dal D.L. perchè non confermate da c.t.u., non essendo probante la documentazione allegata, ed essendo stata contestata in primo e secondo grado, diversamente da quanto affermato dai giudici di appello.

Il motivo, privo di ragioni contrapposte a quelle riassunte in narrativa, poste a fondamento della decisione impugnata, è inammissibile.

6.- Il Comune di Olginate deduce: 1) "Insufficiente e/o contraddittoria motivazione circa un fatto controverso e decisivo della controversia ovvero sulla non ritenuta colpa esclusiva del conducente del ciclomotore".

Per le ragioni espresse dalla Comunità Montana doveva ritenersi l’esclusiva responsabilità del D.L. avendo il Comune dimostrato che dall’ottobre 1976 per andare e tornare da (OMISSIS) era stato ordinato di percorrere la strada da (OMISSIS) e la relativa ordinanza sindacale era stata confermata da altre del 1992.

Dall’ottobre 1997 il Comune aveva consegnato il tratto di strada interessato alla Comunità Montana del Lario Orientale che si era accollata l’onere del ripristino, aggiudicando poi i lavori all’impresa Vitali s.r.l..

La censura, per la parte concernente l’esclusiva responsabilità di D.L.A., va respinta per le ragioni indicate nell’omologo motivo della Comunità Montana, mentre per quanto attiene all’impugnazione nei confronti di questo ente è inammissibile per le ragioni indicate nell’ esame del quarto motivo.

2) "Falsa applicazione di norma di diritto: incompatibilità logica della responsabilità del danneggiato per colpa con la responsabilità per ed. insidia o trabocchetto".

Al riguardo valgono le argomentazioni svolte dalla Comunità Montana:

se vi è imprudenza del danneggiato, non vi è trabocchetto o insidia.

La censura è infondata per le ragioni indicate nell’esame dell’omologo motivo della Comunità Montana, innanzi esaminato.

7.- Con il terzo motivo il Comune deduce: "Omessa e/o insufficiente o contraddittoria motivazione su un punto decisivo della controversia ovvero sulla ritenuta prova del danno sofferto dagli attori".

La contestazione sul quantum è stata formulata ed i documenti prodotti non sono idonei.

Il motivo è infondato per le stesse ragioni esposte nel rigetto dell’omologo motivo della Comunità Montana.

8.- Con il quarto motivo il Comune deduce: "Omessa e/o insufficiente o contraddittoria motivazione circa un fatto controverso e decisivo della controversia: omessa motivazione sulla responsabilità nei confronti del Comune di Olginate della Comunità Montana del Lario e/o della Vitali s.r.l.".

In via subordinata il Comune in primo grado ed in appello aveva chiesto di affermare la responsabilità della Comunità Montana e/ o dell’ impresa appaltatrice tenute a manlevarlo ed infatti il Comune non aveva più la disponibilità della strada oggetto di sinistro, come risulta dalla concessione edilizia rilasciata alla Comunità Montana nell’ottobre 1997 e fino alla consegna dei lavori su (OMISSIS) avvenuta nel luglio 1999, sì che è l’appaltatore che ai sensi dell’art. 2051 c.c., risponde dei danni e sul punto manca qualsiasi motivazione.

Il motivo è inammissibile sia nei confronti della Comunità Montana sia nei confronti dell’ Impresa Vitali. Nei confronti della prima perchè in tema di azione risarcitoria per fatto illecito, proposta nei confronti di due convenuti in forza di un dedotto vincolo di solidarietà, ed accolta dal primo giudice anche nei confronti di terzi chiamati, l’appello principale di uno di questi ultimi, ancorchè diretto a far escludere la propria responsabilità in dipendenza dell’ esclusione della responsabilità del chiamante, non si riflette sul distinto e scindibile rapporto fra i condebitori solidali in posizione di conflitto tra loro in quanto interessati all’affermazione della responsabilità esclusiva di uno di essi. Ne consegue che il gravame incidentale di uno di questi, rivolto a censurare l’esclusione di quella responsabilità esclusiva, ha carattere autonomo, in relazione ad un interesse preesistente alla proposizione del gravame principale, e, come tale, va proposto nei termini ordinari. Pertanto la sentenza del giudice di Pace del 12 aprile 2002 che aveva condannato il Comune di Olginate in solido con la Comunità Montana e con l’Impresa Vitali a risarcire il danno agli attori era passata in giudicato allorchè detto ente il 24 settembre 2003 ha proposto appello incidentale per chiedere la responsabilità esclusiva della Comunità Montana. Altrettanto inammissibile per tardività, per le medesime ragioni, è il ricorso incidentale del Comune proposto il 19 luglio 2006 nei confronti dell’Impresa Vitali avverso la sentenza di appello del 13 maggio 2005. 9.- L’impresa Vitali s.r.l. propone ricorso incidentale per: A) "Insufficiente e/o contraddittoria motivazione su un punto decisivo della controversia, ovvero sulla non ritenuta colpa esclusiva del conducente del ciclomotore", con cui lamenta l’erronea valutazione delle risultanze istruttorie secondo le quali dal 1976 la (OMISSIS) era interdetta al traffico con adeguata segnalazione, ulteriormente apposta dopo la concessione ad essa ricorrente in appalto, nel 1998, dei lavori di ripristino.

Il motivo è infondato per le ragioni esposte esaminando il primo, identico motivo, della Comunità Montana.

B): "Falsa applicazione di norma di diritto, ovvero sull’incompatibilità logica della responsabilità del danneggiato per colpa con la responsabilità per c.d. "insidia e trabocchetto".

Con tale censura lamenta che non sono state considerate le dichiarazioni dello stesso danneggiato che aveva ammesso di aver visto gli impedimenti al transito e tuttavia di averli superati, in tal modo dovendosi escluder l’insidia o il trabocchetto.

Il motivo, che si risolve nella richiesta di una più appagante valutazione delle prove congruamente esaminate, è inammissibile.

C): "Omessa, Insufficiente o contraddittoria motivazione su un punto decisivo della controversia, ovvero sulla ritenuta prova del danno sofferto dagli attori".

Con il motivo censura il difetto di prova del quantum dei danni richiesti, la cui domanda e documentazione erano state contestate.

Il motivo va respinto per le ragioni esposte in relazione ad identica doglianza della Comunità montana.

10.- La BPU Assicurazioni s.p.a. propone ricorso incidentale per:

A1)" Violazione e falsa applicazione della norma di cui all’art. 2043 c.c., riguardo il concetto di insidia e trabocchetto";

B1) "Violazione e falsa applicazione della norma di cui all’art. 2043 c.c., riguardo i principi generali in tema di nesso di causalità";

C1) "Violazione e falsa applicazione della norma di cui all’art. 2043 c.c., riguardo il concetto di strada chiusa al pubblico transito";

D1) "Violazione e falsa applicazione della norma di cui all’art. 2043 c.c., riguardo il risarcimento del danno e alla prova dello stesso".

Le censure, che reiterano pedissequamente quelle innanzi esaminate della ricorrente principale e della ricorrente incidentale Impresa Vitali, sono da respingere per le ragioni suesposte.

11.- Concludendo vanno respinti il ricorso principale della Comunità Montana del Lario Orientale ed il ricorso incidentale dell’ impresa Vitali s.r.l. e va dichiarato inammissibile il ricorso incidentale del Comune di Olginate nei confronti dell’una e dell’altra.

Si compensano le spese del giudizio di cassazione tra tutte le parti.

P.Q.M.

La Corte riunisce i ricorsi. Rigetta il ricorso della Comunità Montana del Lario Orientale ed il ricorso incidentale dell’ Impresa Vitali s.r.l.. Dichiara inammissibile il ricorso del Comune di Olginate nei confronti della Comunità Montana del Lario Orientale e dell’ Impresa Vitali s.r.l. Compensa le spese del giudizio di cassazione tra tutte le parti.

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