Cass. pen. Sez. II, Sent., (ud. 27-09-2011) 12-10-2011, n. 36753

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Svolgimento del processo – Motivi della decisione

Con sentenza 27.9.10 la Corte d’Appello di Palermo confermava la condanna emessa il 14.1.10 all’esito di rito abbreviato dal GUP del Tribunale della stessa sede nei confronti di S.A. e I.G. per i reati di rapina aggravata e lesioni personali aggravate ai danni di L.V.S. nonchè, per il solo I., anche di concorso in tentato furto pluriaggravato.

Tramite i rispettivi difensori ricorrevano il S. e l’ I. contro detta sentenza, di cui chiedevano l’annullamento per i motivi qui di seguito riassunti nei limiti prescritti dall’art. 173 disp. att. c.p.p., comma 1.

Entrambi i ricorrenti deducevano che:

a) il delitto di rapina andava configurato come furto con strappo ex art. 624 bis c.p., atteso che la violenza era diretta solo sulla cosa per separarla dalla persona;

b) il delitto di lesioni personali di cui al capo E) dell’editto accusatorio non era configurabile perchè, per potersi parlare di lesioni, sarebbe stata necessaria anche un’apprezzabile riduzione di funzionalità dell’arto, ma in assenza di singoli esami specifici, di prescrizione di cure, di segni esterni quali ecchimosi, ematomi, perdite di sangue od insorgenza di altri sintomi tipici delle lesioni il reato non era configurabile e la violenza doveva intendersi assorbita nel reato di rapina.

Il solo I. lamentava altresì:

c) erronea valutazione della prova nella parte in cui la penale responsabilità dell’imputato in ordine al reato di tentato furto pluriaggravato ascrittogli al capo C) dell’editto accusatorio era stata affermata soltanto in base alla deposizione del teste oculare T.A., nonostante che questi avesse reso una deposizione poco affidabile perchè il fatto era avvenuto di notte, il teste era a distanza notevole dall’accaduto (aveva visto la scena dal balcone dalla propria abitazione) e ben difficilmente poteva memorizzare le sembianze fisiche di più soggetti (cinque) in movimento; per di più si era limitato a riferire solo della somiglianzà tra la corporatura e l’abbigliamento di uno degli autori del reato e quelli dell’ I.; inoltre, il ricorrente aveva giustificato la propria presenza nelle medesime circostanze topico-temporali del tentato furto con il fatto di essere in compagnia di una studentessa di cui non poteva fare il nome per ovvie ragioni di riservatezza; ulteriore errore di valutazione delle prove acquisite riguardava la contraddittoria motivazione della sentenza in relazione alle s.i. rese dal proprietario della FIAT Stilo tg. (OMISSIS) utilizzata per il tentato furto, auto che sarebbe stata nella disponibilità dell’ I., mentre questi era stato poi fermato mentre si trovava a bordo di una YARIS Toyota; le prove a discarico, pur credibili, erano state ingiustificatamente giudicate recessive rispetto a quelle a carico;

d) quanto ai reati di rapina aggravata e lesioni personali aggravate ai danni di L.V.S. (reati ascritti all’ I. e al S.), le intercettazioni telefoniche delle conversazioni tra i due imputati non avevano alcuna connotazione probatoria se considerate separatamente rispetto all’individuazione fotografica operata dal teste agente A.N. a distanza di tre mesi dai fatti, nonostante che nell’immediatezza egli avesse riconosciuto altro soggetto quale autore della rapina e nessuno dei due odierni ricorrenti.

1 – I ricorsi sono infondati.

In ordine al motivo che precede sub a) si tenga presente che l’impugnata sentenza ha evidenziato che la rapina fu effettuata spintonando la persona offesa. Per costante giurisprudenza, anche soltanto uno spintone costituisce violenza sulla persona idonea ai fini del delitto p. e p. ex art. 628 c.p..

2 – Il motivo che precede sub b) è infondato perchè anche una mera contusione (nell’impugnata sentenza si da atto che la persona offesa riportò contusioni con trauma toracico e dell’arto inferiore sinistro giudicate guaribili in 5 gg. s.c.) comporta un’alterazione anatomica dell’organismo e, in quanto tale, costituisce malattia ai sensi dell’art. 582 c.p. (giurisprudenza costante: cfr., da ultimo, Cass. Sez. 5 n. 22781 del 26.4.10, dep. 15.6.10).

3 – I motivi che precedono sub c) e d) si collocano al di fuori del novero di quelli spendibili ex art. 606 c.p.p..

Invero, sostanzialmente in essi si svolgono mere censure sulla valutazione operata in punto di fatto dai giudici del gravame, che con motivazione esauriente e logica hanno dedotto la penale responsabilità dell’ I. – in ordine al delitto di concorso in tentato furto pluriaggravato rubricato al capo C) – dalla deposizione del teste T..

Secondo quanto riportato nell’impugnata sentenza, il teste ebbe a riconoscere anche i tratti fisio-somatici dell’ I., osservando la scena dal momento in cui la persona (poi identificata nell’odierno ricorrente) era uscita dall’intercapedine del marciapiede antistante la banca ove era in corso il tentativo di furto non appena uno dei complici rimasto all’esterno aveva dato l’allarme a cagione del sopraggiungere delle forze dell’ordine, allertate proprio dal T..

L’impugnata sentenza ha, poi, correttamente valorizzato la descrizione dell’intera scena proveniente dal suddetto teste: sul luogo del tentato furto vi erano cinque persone, una delle quali aveva preso un borsone (contenente strumenti atti allo scasso, come poi accertato dalla polizia) dal bagagliaio della FIAT Stilo tg. (OMISSIS); tre persone avevano divelto la grata di ferro posta a protezione dell’intercapedine del marciapiede antistante l’istituto di credito, uno dei correi aveva poi dato l’allarme al sopraggiungere delle forze dell’ordine e uno di costoro, uscito da tale intercapedine, si era fermato all’altezza di un’autovettura parcheggiata nei pressi del bar "New Paradise".

In breve, l’impugnata sentenza da conto, senza che nella motivazione si ravvisino vizi logico-giuridici, del fatto che il teste T. ha osservato tutta la scena senza perdere di vista la persona che poi, fermata dalle forze di polizia allertate dal teste medesimo, fu identificata nell’ I..

Non vi è alcuna contraddizione circa il fatto che l’auto da cui era stato prelevato il borsone contenente gli attrezzi atti allo scasso fosse una FIAT Stilo tg. (OMISSIS) e il rilievo che all’arrivo delle forze dell’ordine l’ I. stesse per salire a bordo di una YARIS Toyota, ben potendo essere state utilizzate per raggiungere il luogo del delitto anche due auto.

Quanto ai reati di rapina aggravata e lesioni personali aggravate ai danni di L.V.S. ascritti all’ I. e al S., l’impugnata sentenza si dilunga – con motivazione immune da censure – nell’evidenziare che le dichiarazioni e il riconoscimento effettuato dall’assistente della P.S. A.N. (genero della persona offesa L.V.S., che aveva assistito alla rapina), lette in chiave alle intercettazioni telefoniche, dimostrano la penale responsabilità degli odierni ricorrenti e la falsità della denuncia di furto del motociclo da loro adoperato nell’occasione, motociclo di proprietà del cognato dell’ I..

Del pari con motivazione immune da vizi logico-giuridici l’impugnata sentenza ha chiarito l’attendibilità del secondo riconoscimento, dando atto altresì dell’errore in cui era incorso l’ A. nell’immediatezza dei fatti.

Ogni ulteriore obiezione svolta in ricorso scivola sul piano dell’apprezzamento di fatto, estraneo alla presente sede.

4 – In conclusione, i ricorsi sono da rigettarsi. Ex art. 616 c.p.p. consegue la condanna dei ricorrenti al pagamento delle spese processuali.

P.Q.M.

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE SEZIONE SECONDA PENALE rigetta i ricorsi e condanna i ricorrenti al pagamento delle spese processuali.

Testo non ufficiale. La sola stampa del bollettino ufficiale ha carattere legale.

Cass. pen. Sez. IV, Sent., (ud. 12-07-2011) 27-10-2011, n. 38851

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Svolgimento del processo

La Corte di Appello di Torino con sentenza resa il 4/10/2010 ha confermato la sentenza del Tribunale di Alessandria che aveva assolto il dott. P.A.N. (e la Dott. N.G. la cui assoluzione non era stata impugnata) dal delitto di lesioni colpose addebitate.

A.A.A., parte civile, ha proposto ricorso per cassazione, per ottenere l’annullamento del provvedimento appena sopra menzionato ai fini della sola responsabilità civile, ai sensi dell’art. 576 c.p.p..

La ricorrente A. denunzia:

1) violazione delle previsioni di cui all’art. 606 c.p.p., lett. b) ed e); mancanza contraddittorietà o manifesta illogicità della motivazione nella parte in cui la Corte di appello ha omesso di esaminare nella sua interezza e complessità il primo motivo di appello; violazione di legge con riguardo all’art. 220 c.p.p..

La sentenza impugnata avrebbe esaminato solo il primo motivo di appello erroneamente ritenendo decisivo e assorbente tale esame; non avrebbe colto la necessità di verificare le conclusioni di perizia con le risultanze della istruttoria effettuata; non avrebbe giustificato la adesione alle conclusioni della perizia in atti e, dunque, avrebbe violato l’art. 220 c.p.p..

2) violazione delle previsioni di cui all’art. 606 c.p.p., comma 1, lett. b) ed e); mancanza contraddittorietà o manifesta illogicità della motivazione nella parte in cui la Corte di Appello ha omesso di esaminare gli ulteriori motivi di appello.

La motivazione della sentenza impugnata non avrebbe dedicato attenzione alcuna alle questioni devolute in punto di erroneità delle scelte terapeutiche e diagnostiche del Dott. P., in punto di violazione dei doveri di perizia diligenza e prudenza e in punto di nesso eziologico tra profili di colpa denunziati e danni patiti dalla persona offesa con particolare riguardo al rapporto tra omessa informazione, assenza di orientamento della autonomia decisionale della paziente e sottrazione della possibilità di scegliere terapie alternative alla scelta conservativa anche di demolizione radicale.

All’udienza pubblica del 12/7/2011 il ricorso è stato deciso con il compimento degli incombenti imposti dal codice di rito.

Motivi della decisione

L’imputato era stato chiamato a rispondere del delitto di cui all’art. 590 c.p., in relazione all’art. 583 c.p. per avere, per colpa professionale dovuta a imperizia e negligenza consistente nel non aver posto in essere gli accertamenti che avrebbero consentito una tempestiva diagnosi della ripresa della malattia di base (endometriosi) nonchè nel non aver adottato le conseguenti necessarie misure terapeutiche, cagionato ad A.A.A. l’indebolimento permanente dell’apparato digerente nonchè la perdita della capacità di procreare.

La sentenza di appello esclude che le questioni sollevate in punto di omessa informazione possano avere rilevanza in una condizione processuale nella quale tale omissione (peraltro negata dalla stessa Corte) non è stata oggetto di contestazione rivolta contro l’imputato. La sentenza di appello compie una analisi critica delle conclusioni peritali già assunte a fondamento della sentenza di primo grado, svolge una comparazione tra le tesi della parte appellante e le risultanze probatorie acquisite al processo e conclude per la totale infondatezza delle censure mosse.

Ogni censura relativa ad asserite omissioni di motivazione o vizi della stessa in punto di omessa informazione della paziente oggi ricorrente, è infondata perchè ripropone questioni alle quali la sentenza di appello ha dato motivata e niente affatto apparente risposta. Una tale censura non si fa ancora una volta carico della pur sottolineata estraneità delle questioni relative alla informazione della paziente rispetto alle contestazioni mosse all’imputato e agli stessi confini che delimitano il processo per il quale è ricorso. L’espediente secondo il quale la mancanza di informazione si risolverebbe in una condotta omissiva che ha dato causa alle lesioni per le quali è processo, propone una inammissibile alterazione del principio di correlazione di cui all’art. 521 c.p.p., e domanda al giudice di legittimità di pronunziare su circostanze di fatto, eccentriche rispetto a quelle scrutinate nel contraddittorio delle parti e, certamente, non ricomprese, neppure in virtù di una relazione di continenza, nella contestazione mossa al medico. La prima censura è infondata perchè la decisione censurata, diversamente da quanto afferma la ricorrente, non si produce in una passiva recezione delle conclusioni dell’elaborato peritale già fatte proprie dalla sentenza di primo grado ma, giustapponendo le tesi di parte appellante alle indicazioni peritali e alle risultanze probatorie che le riscontrano, svolge esattamente quella complessa analisi critica che il ricorso nega sia stata svolta e la svolge in specifica considerazione delle tesi di appello. Peraltro la motivazione censurata segue una propria linea dimostrativa e giustificativa logica e coerente che non deve necessariamente ricalcare i percorsi argomentativi del gravame.

L’approdo di sentenza a motivate conclusioni che non coincidono con quelle auspicate dall’allora parte appellante non significa errata lettura dei motivi di appello ma solo rigetto di quei motivi.

La specifica motivazione dedicata alla evoluzione nel tempo delle conoscenze scientifiche in tema di endometriosi e al rapporto tra quella evoluzione e il tempo quasi decennale di cura e terapia della ricorrente presso il dott. P., oggi imputato, in una alla valutazione delle condotte del medico all’interno dello specifico rapporto terapeutico costituisce risposta senza omissione alcuna alle doglianze circa le errate scelte terapeutiche e diagnostiche del medico e circa la colpa sotto i profili della imperizia, negligenza e imprudenza nonchè circa il nesso eziologico tra colpa addebitata e danni patiti dalla persona offesa. In conclusione il ricorso è errato in ogni sua parte e deve essere rigettato con condanna della ricorrente al pagamento delle spese del procedimento.

P.Q.M.

Rigetta il ricorso e condanna la ricorrente al pagamento delle spese processuali.

Testo non ufficiale. La sola stampa del bollettino ufficiale ha carattere legale.

Cass. pen. Sez. V, Sent., (ud. 15-07-2011) 16-11-2011, n. 42153

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Svolgimento del processo – Motivi della decisione

E.C. ricorre avverso l’ordinanza dell’11 gennaio 2011, con cui il Tribunale del Riesame di Napoli aveva confermato l’ordinanza cautelare applicativa della custodia cautelare in carcere, emessa a suo carico da quel GIP il 13 dicembre 2010, in relazione all’omicidio premeditato, di V.G., detto (OMISSIS), secondo l’ipotesi di accusa da lui consumato in concorso con S.S. – deceduto -, S.P. e S.V. quali mandanti; D.L.B.A. quale istigatore e, con M.C., materiale esecutore del delitto; il porto e la detenzione delle armi usate nella circostanza; trasferimento fraudolento di valori come sanzionato dalla L. n. 356 del 1992, art. 12 quinquies, reati tutti aggravati dalla L. n. 203 del 1991, art. 7.

Secondo l’ordinanza impugnata l’ E. aveva partecipato all’omicidio svolgendo il compito di "filatore" o "specchiettista", consistente nel vigilare sul teatro del delitto perchè la sua consumazione si svolgesse senza intoppi secondo il piano prestabilito.

Il provvedimento cautelare, adottato nel corso delle indagini relative ad una serie di omicidi consumati tra il (OMISSIS) nell’ambito dell’aspra e sanguinosa contesa insorta tra i clan Sarno, Ponticelli e De Luca Bossa per il controllo del territorio di Cercola e San Sebastiano al Vesuvio, era stato adottato sulla base delle chiamate in correità effettuate da S.P., C. C. e S.V., nonchè sulle dichiarazioni di A. F. e D.V., ritenute dal Tribunale convergenti e reciprocamente riscontrate.

Deduce il ricorrente con unico articolato motivo di ricorso violazione di legge in relazione all’art. 192 c.p.p. e difetto di motivazione sulla valutazione delle chiamate in correità e delle dichiarazioni testimoniali, ritenute convergenti e reciprocamente riscontrate ad onta di contraddizioni e discrasie.

Il ricorso, al limite dell’inammissibilità, è destituito di fondamento.

Infatti l’ordinanza impugnata fonda la decisione sulla sostanziale coincidenza delle dichiarazioni dei chiamanti in correità e dei testimoni, non attribuendo correttamente rilevanza ad elementi fattuali di contorno, che il ricorso focalizza ed enfatizza.

Del resto l’ordinanza impugnata rinviene robusta conferma del quadro indiziario da quanto avevano riferito D.V. e E.C. detto "(OMISSIS)" (persona diversa dal ricorrente) che testimoni diretti dell’omicidio.

Se poi il Tribunale non ha provveduto, come il ricorrente lamenta, a testare specificamente le propalazioni dei chiamanti in correità, alla luce dei criteri logico-giuridici di valutazione costituiti da credibilità, desunta dal vissuto del dichiarante e dalle motivazioni delle sue esternazioni confessorie; attendibilità, desunta da coerenza, precisione, costanza e spontaneità delle dichiarazioni;

convalida desunta da adeguati riscontri esterni, è cosa che non influisce sulla correttezza ed esaustività della motivazione, atteso che, ancorchè secondo un percorso argomentativo diverso da quello divisato dal ricorrente, tuttavia la validità degli indizi è stata scrutinata con motivazione logica ed esaustiva, comunque immune da vizi logici o contraddizioni.

Il ricorso va pertanto rigettato ed al rigetto consegue la condanna del ricorrente al pagamento delle spese processuali.

P.Q.M.

Rigetta il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali.

Manda alla cancelleria per gli adempimenti di cui all’art. 94 disp. att. c.p.p..

Testo non ufficiale. La sola stampa del bollettino ufficiale ha carattere legale.

T.A.R. Lazio Roma Sez. II, Sent., 10-01-2012, n. 190 Procedimento e provvedimento disciplinari

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Svolgimento del processo

Il ricorrente, Maresciallo della Guardia di Finanza, è stato sottoposto a procedimento disciplinare, conclusosi con il provvedimento di perdita del grado per rimozione, per avere intrattenuto dal 2000 al 2007 rapporti di frequentazione con un soggetto implicato in vicende relative al traffico ed alla spaccio di sostanze stupefacenti, dal quale il ricorrente è risultato avere, in diverse occasioni, ricevuto quantitativi di sostanze stupefacenti per uso personale.

Con il ricorso in epigrafe il Mar. D. ha impugnato il provvedimento citato, assumendone l’illegittimità per insussistenza dei fatti ascrittigli, difetto di istruttoria e motivazione, violazione del principio di proporzionalità, ingiustizia manifesta e chiedendone l’annullamento, previa sospensione cautelare degli effetti.

Si è costituita l’Amministrazione intimata ed ha eccepito l’infondatezza di tutti i motivi di gravame.

Con ordinanza cautelare n. 4404 del 2008 il Tribunale, stimando, in base alla cognizione sommaria propria della fase cautelare del giudizio, l’insufficienza degli elementi istruttori su cui fonda il provvedimento impugnato, ne disponeva la sospensione cautelare; l’ordinanza veniva però annullata dal Consiglio di Stato.

Alla pubblica udienza del giorno 9 novembre 2011 la causa veniva trattenuta per la decisione nel merito.

Motivi della decisione

Il ricorso è infondato e va rigettato.

Il provvedimento impugnato è motivato in relazione all’uso di sostanze stupefacenti da parte del militare e alla frequentazione ripetuta con un soggetto sottoposto a procedimento penale per traffico e spaccio di droghe.

Le predette circostanze di fatto, e in particolare l’uso non occasionale di sostanze stupefacenti da parte del D., risultano indicate in maniera articolata nella parte motiva del provvedimento impugnato in relazione ai diversi elementi istruttori raccolti in seno al procedimento disciplinare e fatti oggetto dell’apprezzamento del competente organo disciplinare.

La determinazione disciplinare assunta prende infatti le mosse dalle risultanze delle attività di indagine di polizia giudiziaria e, in particolare, dai verbali di trascrizione integrale delle intercettazioni telefoniche, dalle quali risultano in maniera in equivoca i rapporti del ricorrente con il sig. M.M. ( il quale forniva al ricorrente le sostanze stupefacenti) , e dal verbale di spontanee dichiarazioni rese dallo stesso sig. M., il quale ha fatto riferimento alla frequentazione amicale con il D. al quale forniva le sostanze stupefacenti per l’uso personale anche in sua stessa presenza (dichiarazioni confermate dal M. in occasione dell’udienza di convalida del suo arresto, come risulta dal relativo verbale).

Le riferite circostanze hanno costituito oggetto di conferma, in seno al procedimento penale a carico del M., anche in base alle dichiarazioni di altri soggetti a conoscenza dei rapporti di frequentazione intercorrenti fra i due.

Nel procedimento disciplinare, poi, gli elementi istruttori così assunti hanno costituito oggetto di apprezzamento e valutazione autonoma, in relazione alla loro specifica rilevanza in ordine alla violazione degli obblighi gravanti su un militare della Guardia di Finanza.

E’ stato altresì correttamente ritenuta l’irrilevanza degli accertamenti di natura tossicologica prodotti dall’incolpato, e dai quali è risultata la mancata assunzione di cocaina da parte del D., attesa la loro risalenza ad un periodo di tempo molto posteriore rispetto all’epoca dei fatti oggetto di apprezzamento e considerato che i test espletati ( drug test ed esame del capello) possono verificare l’assunzione di cocaina per un periodo non superiore ai novanta giorni precedenti le prove di laboratorio.

Alla stregua delle superiori considerazioni sono da ritenersi quindi infondate le censure relative all’eccesso di potere per la presunta insussistenza dei fatti ascritti al ricorrente e per l’asserita inadeguatezza dell’istruttoria espletata a suo carico in seno al procedimento disciplinare.

Quanto poi alla dedotta violazione del principio di proporzionalità della sanzione, il Collegio rileva che – in linea di principio, e considerata l’ampia discrezionalità che connota le valutazioni dell’Amministrazione in ordine alla sanzione disciplinare da infliggere a fronte delle condotte accertate – non è illogica, nè irragionevole la scelta di irrogare una sanzione destitutoria al militare appartenente alla Guardia di Finanza il quale risulti aver fatto uso di sostanza stupefacente, tenuto conto anche dell’appartenenza a un Corpo che è istituzionalmente preposto, fra l’altro, al contrasto allo spaccio ed alla diffusione degli stupefacenti (cfr., ex multis, Cons. Stato, Sez. IV, 30 novembre 2010 n. 8352).

Né il Collegio sottace che questa stessa Sezione ha anche avuto modo di evidenziare che, se il consumo di sostanze stupefacenti costituisce – per l’appunto – per il militare del Corpo della Guardia di Finanza violazione degli obblighi assunti con il giuramento e giustifica la comminatoria della sanzione espulsiva perché indice di carenza di qualità morali e di carattere e comunque lesivo del prestigio del Corpo, ciò deve comunque avvenire nel rispetto della proporzione fra addebito e sanzione che è espressivo di civiltà giuridica, non potendosi ragionevolmente porre sullo stesso piano l’addebito, pur riprovevole, di consumo occasionale o di singolo episodio di assunzione di sostanze stupefacenti rispetto all’addebito, in ipotesi, di spaccio e consumo, magari in forma organizzata e sistematica (cfr. al riguardo Cons. Stato IV, 18 febbraio 2010 n. 939).

E" infatti incontrovertibile che entrambe le violazioni costituiscono un vulnus al giuramento prestato e che, peraltro, l’assunto secondo cui entrambe devono essere punite con la massima sanzione (id est, quella espulsiva), come se il vulnus fosse di identico livello in entrambi i casi, si rivela palesemente in contrasto con i precitati principi di ragionevolezza e proporzionalità, essendo ontologicamente diversa, nelle due ipotesi, l’incidenza della violazione sui doveri di fedeltà e lealtà assunti dal militare con la prestazione del giuramento e risultando altresì differente il livello di carenza di qualità morali e di carattere, ancorché pur sempre in negativo, nelle due ipotesi considerate (cfr. Cons. Stato IV. 30 agosto 2011 n. 4872).

Nondimeno, nel caso in esame, il contestato consumo di stupefacente da parte del D.. non può reputarsi del tutto occasionale, ma va ricondotto ad un vero e proprio stile di vita da lui assunto per un consistente lasso di tempo con la ripetuta frequentazione con il M., e da lui dismesso solo per effetto della denuncia inoltrata a suo carico: stile che, pertanto, non risulta per certo conforme ai doveri da lui assunti con il giuramento prestato.

In conseguenza di ciò, pertanto, la decisione dell’Amministrazione di destituire dal servizio il ricorrente non può reputarsi carente nella motivazione né contraria al principio di proporzione fra il fatto ascrittogli e la sanzione irrogata.

Con ultimo ordine di motivi di impugnazione, il ricorrente reputa violato l’art 124 del T.U.approvato con D.P.R. n. 309 del 1990.

L’art. 124, così come vigente all’epoca dei fatti di causa, disponeva quanto segue: "1. I lavoratori di cui viene accertato lo stato di tossicodipendenza, i quali intendono accedere ai programmi terapeutici e di riabilitazione presso i servizi sanitari delle unità sanitarie locali o di altre strutture terapeuticoriabilitative e socioassistenziali, se assunti a tempo indeterminato hanno diritto alla conservazione del posto di lavoro per il tempo in cui la sospensione delle prestazioni lavorative è dovuta all’esecuzione del trattamento riabilitativo e, comunque, per un periodo non superiore a tre anni. 2. I contratti collettivi di lavoro e gli accordi di lavoro per il pubblico impiego possono determinare specifiche modalità per l’esercizio della facoltà di cui al comma 1. Salvo più favorevole disciplina contrattuale, l’assenza di lungo periodo per il trattamento terapeuticoriabilitativo è considerata, ai fini normativi, economici e previdenziali, come l’aspettativa senza assegni degli impiegati civili dello Stato e situazioni equiparate. I lavoratori, familiari di un tossicodipendente, possono a loro volta essere posti, a domanda, in aspettativa senza assegni per concorrere al programma terapeutico e socioriabilitativo del tossicodipendente qualora il servizio per le tossicodipendenze ne attesti la necessità. 3. Per la sostituzione dei lavoratori di cui al comma 1 è consentito il ricorso all’assunzione a tempo determinato, ai sensi dell’art. 1, secondo comma lettera b), della L. 18 aprile 1962, n. 230. Nell’ambito del pubblico impiego i contratti a tempo determinato non possono avere una durata superiore ad un anno. 4. Sono fatte salve le disposizioni vigenti che richiedono il possesso di particolari requisiti psicofisici e attitudinali per l’accesso all’impiego, nonchè quelle che, per il personale delle Forze armate e di polizia, per quello che riveste la qualità di agente di pubblica sicurezza e per quello cui si applicano i limiti previsti dall’art. 2 della L. 13 dicembre 1986, n. 874, disciplinano la sospensione e la destituzione dal servizio"

Per effetto dell’art. 2268, comma 1, del D.Lgs. 15 marzo 2010, n. 66 è stato quindi modificato proprio il comma 4 dell’articolo testè riportato, per cui – ad oggi- "sono fatte salve le disposizioni vigenti che richiedono il possesso di particolari requisiti psicofisici e attitudinali per l’accesso all’impiego, nonché quelle che, per il personale delle Forze di polizia, per quello che riveste la qualità di agente di pubblica sicurezza e per quello cui si applicano i limiti previsti dall’art. 2 della L. 13 dicembre 1986, n. 874, disciplinano la sospensione e la destituzione dal servizio".

Da tutto quanto sin qui esposto agevolmente si ricava comunque la conseguenza per cui, anche se per il personale militare e delle forze di polizia tossicodipendente è previsto l’accesso ai benefici dell’aspettativa per motivi di salute nel periodo M. possibile al fine del proprio recupero, nondimeno ciò non implica che il comportamento del personale medesimo possa essere esente da valutazioni dell’Amministrazione di rispettiva appartenenza al fine dell’irrogazione di sanzioni di stato, ivi incluse quelle espulsive ( cfr. in senso conforme Cons. Stato IV, 30 agosto 2011 n. 4872).

Le pur innegabili e sopravvenute circostanze riferite dal ricorrente e costituite dal suo conseguito recupero e dalla comprovata astensione dall’assunzione di stupefacenti risultano dunque nel loro insieme irrilevanti rispetto all’apprezzamento operato dall’Amministrazione in ordine all’intrinseca gravità dell’illecito disciplinare commesso, tale comunque da impedire la ricostituzione di un rapporto di fiducia tra il Corpo e l’incolpato in considerazione dell’estrema rigorosità del comportamento richiesto al suo personale; e ciò anche per la necessaria reputazione e affidabilità che il Corpo medesimo deve riscuotere presso la generalità dei consociati.

La richiamata disciplina, peraltro, riguarda specificamente le forze di polizia ad ordinamento militare, cosicchè ogni riferimento a diverse discipline riguardante forze diverse risulta manifestamente recessivo.

Conclusivamente il ricorso va rigettato perché infondato.

Sussistono comunque giusti motivi per disporre la compensazione delle spese in ragione della natura della controversia.

P.Q.M.

Il Tribunale Amministrativo Regionale per il Lazio (Sezione Seconda), definitivamente pronunciando sul ricorso, come in epigrafe proposto, lo respinge.

Compensa spese.

Ordina che la presente sentenza sia eseguita dall’autorità amministrativa.

Così deciso in Roma nella camera di consiglio del giorno 9 novembre 2011 con l’intervento dei magistrati:

Luigi Tosti, Presidente

Carlo Modica de Mohac, Consigliere

Giampiero Lo Presti, Consigliere, Estensore

Testo non ufficiale. La sola stampa del bollettino ufficiale ha carattere legale.