Cass. civ. Sez. I, Sent., 26-10-2011, n. 22346

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Svolgimento del processo

Con sentenza del 14.01-14.02.2005, il Tribunale di Cagliari rigettava la domanda proposta nel 1985, da P. e F.B., M.P., S.L., Ma.Pa. e P.P. nei confronti della Gestione governativa delle Ferrovie Meridionali Sarde e del Ministero dei Trasporti, volta ad ottenere la condanna dei convenuti al pagamento dell’indennizzo disposto dalla L. n. 309 del 1974, art. 6. Con sentenza del 23.11.2007- 17.12.2008, la Corte di appello di Cagliari dichiarava "..inammissibile l’appello proposto da F.P., F.B., M.P., S. L., Ma.Pa., P.P., nei confronti della Gestione Governativa delle Ferrovie Meridionali Sarde e del Ministero dei Trasporti contro la sentenza 14 febbraio 2005 del tribunale di Cagliari". La Corte territoriale riteneva:

che l’appello notificato l’11 febbraio 2006, era tardivo per inosservanza del termine breve di cui all’art. 325 c.p.c., dato che la sentenza di primo grado era stata notificata a ciascuno degli appellanti, presso il procuratore costituito, con notifica ricevuta il 13 aprile 2005 da tale Me.Ma., "segretaria, addetta allo studio" che doveva essere disatteso l’assunto degli appellanti, secondo cui la notifica della sentenza impugnata era nulla, in quanto eseguita mediante consegna dell’atto a persona non autorizzata e solo occasionalmente presente nello studio che in particolare tale assunto era rimasto del tutto sfornito di prova, giacchè la produzione della copia del libretto di lavoro della Me., dalla quale risultava la cessazione, in data 4 giugno 2004, del rapporto di lavoro dalla stessa intrattenuto con l’Avv. Massidda, non era di per sè sufficiente, in mancanza di ulteriori riscontri, a dimostrare l’occasionalità della sua presenza presso lo studio del professionista, e non, invece che ivi svolgesse, comunque, le mansioni di segretaria, come da lei stessa, evidentemente, riferito all’ufficiale giudiziario che aveva proceduto alla notificazione della sentenza.

Avverso questa sentenza F.P., M.P. e S.B., quale erede di S.I. hanno proposto ricorso per cassazione notificato alla Gestione governativa delle Ferrovie Meridionali Sarde. La società ARST S.p.A., subentrata alla Gestione Governativa delle Ferrovie Meridionali Sarde, ha resistito con controricorso. La medesima sentenza d’appello è stata impugnata per gli stessi motivi anche da P.P. e Ma.Pa., con ricorso notificato alla subentrata società ARST S.p.A., che ha resistito con controricorso. I due ricorsi sono stati riuniti.
Motivi della decisione

Preliminarmente in rito va dichiarata l’inammissibilità dei controricorsi, per mancata produzione degli avvisi di ricevimento della relativa notificazione eseguita a mezzo posta (cfr cass. n. 4559 del 2001). A sostegno del gravame il F., il M., lo S., il P. ed il Ma. denunziano:

1. Errata interpretazione e applicazione dell’art. 139 c.p.c..

2. Mancata applicazione degli artt. 115 e 116 c.p.c..

3. Difetto ed illegittimità di motivazione dell’unica ipotesi interpretativa espressa a fondamento della decisione.

In entrambi i ricorsi vengono formulati i seguenti quesiti:

Se la qualifica a ricevere un atto giudiziario, perchè ne sia valida la notificazione ad destinatario, sia tassativamente, inestensibilmete stabilita dall’art. (1)39 c.p.c.; Se la prova documentale dell’insussistenza di tale qualifica del consegnatario di un atto giudiziario superi la presunzione che questo sia pervenuto al notificatario; Se la rilevanza probatoria del documento prodotto in proposito, tanto più quando se conseguenza che per quelli proposti antecedentemente (dopo l’entrata in vigore del D.Lgs. n. 40 del 2006) tale norma è da ritenersi ancora applicabile.

Conclusivamente i riuniti ricorsi devono essere dichiarati inammissibili, con conseguente condanna in solido dei ricorrenti al pagamento in favore della società controricorrente ( art. 370 c.p.c., comma 1), delle spese del giudizio di legittimità liquidate come in dispositivo.
P.Q.M.

La Corte dichiara inammissibili i riuniti ricorsi e condanna in solido i ricorrenti a rimborsare alla società controricorrente le spese del giudizio di cassazione, liquidate in complessivi Euro 2.200,00, di cui Euro 2.000,00 per onorari, oltre alle spese generali ed agli accessori come per legge.

Testo non ufficiale. La sola stampa del bollettino ufficiale ha carattere legale.

T.A.R. Toscana Firenze Sez. II, Sent., 06-07-2011, n. 1141 Giurisdizione del giudice ordinario e del giudice amministrativo

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Svolgimento del processo

Con ricorso straordinario al Presidente della Repubblica la società E.P. domandava l’annullamento della deliberazione in epigrafe con cui la Giunta esecutiva della Comunità montana della Media Valle del Serchio aveva approvato il piano di classifica definitivo degli immobili del Comprensorio di bonifica della Valle del cerchio, nella parte in cui determinava il criterio di calcolo del contributo consortile applicabile agli immobili definiti speciali. Veniva, altresì, contestato il ruolo di contribuenza dell’anno 2004, applicativo delle disposizioni del suddetto piano con riferimento agli immobili di proprietà della ricorrente, oltre all’avviso bonario di pagamento inviato dal concessionario della riscossione relativo all’anno 2005.

Con atto notificato il 10 agosto 2005 la Comunità montana notificava atto di opposizione al ricorso straordinario chiedendo, ex art. 10 del d.p.r. 1199/1971, la trasposizione del ricorso dinanzi al Tribunale amministrativo regionale competente.

Conseguentemente, con atto notificato il 3 ottobre 2005, ritualmente depositato, l’odierna ricorrente si costituiva dinanzi a questo TAR chiedendo l’accoglimento, in questa sede, del ricorso straordinario proposto, in relazione al quale erano dedotte le seguenti censure:

– Violazione e falsa applicazione degli artt. 10 e 11 del r.d. 13 febbraio 1933, n. 215; degli artt. 3, 4 e 16 della l. reg. 5 maggio 1994, n. 34. Eccesso di potere per contraddittorietà ed illogicità manifesta. Ingiustizia manifesta. Difetto di motivazione rilevante anche come violazione falsa applicazione dell’art. 3 della l. n. 241/1990.

Si è costituita in giudizio l’Amministrazione intimata opponendosi all’accoglimento del gravame.

Dopo la proposizione del ricorso, con nota del 6 dicembre 2005, la Comunità montana Media Valle del Serchio comunicava alla ricorrente che, atteso che le dighe non possiedono una propria rendita catastale costituente la base per la determinazione della contribuenza di bonifica, provvedeva alla trasmissione degli elementi necessari all’accertamento del contributo dovuto da E. per l’annualità 2005. Allo scopo veniva allegata una specifica tecnica descrittiva del metodo seguito per il calcolo del contributo nei confronti dei complessi industriali di produzione idroelettrica.

Con motivi aggiunti notificati il 3 febbraio 2006 e ritualmente depositati, l’odierna ricorrente contestava anche tale atto, deducendo:

Violazione e falsa applicazione degli artt. 10 e 11 del r.d. 13 febbraio 1933, n. 215; degli artt. 3, 4 e 16 della l. reg. 5 maggio 1994, n. 34. Eccesso di potere per contraddittorietà, illogicità manifesta e ingiustizia manifesta. Difetto di motivazione rilevante anche come violazione falsa applicazione dell’art. 3 della l. n. 241/1990.

Alla pubblica udienza del 30 marzo 2011 il ricorso è stato trattenuto per la decisione.

Motivi della decisione

Con il ricorso in esame vengono impugnati gli atti in epigrafe con cui la Comunità montana della Media Valle del Serchio ha approvato il Piano di classifica definitivo degli immobili del Comprensorio di bonifica della Valle del Serchio, nella parte in cui viene determinato il criterio di calcolo del contributo consortile applicabile agli immobili definiti speciali, oltre al ruolo di contribuenza per l’anno 2004, e all’avviso bonario di pagamento, inviato dal concessionario della riscossione, relativo all’anno 2005.

Preliminarmente, ai fini del riparto di giurisdizione sugli atti impugnati, si rileva che, pacificamente, rientrano in quella del giudice amministrativo le domande volte a denunciare lo scorretto esercizio del potere impositivo del consorzio, dovuto ad errori od abusi nella liquidazione dei contributi ovvero nei piani di classificazione dei beni e di riparto delle spese, posti a fondamento della liquidazione medesima (Cass. civ., sez. un., 6 agosto 2010, n. 18327, id. 21 aprile 1995, n. 4485).

Per contro appartengono al giudice ordinario le controversie dirette ad ottenere l’annullamento della cartella esattoriale, relativa al ruolo iscritto per il credito vantato da un Consorzio di bonifica nei confronti dei ricorrenti (T.A.R. Lazio, sez. II, 18 aprile 2007, n. 3408).

Ne discende che deve essere dichiarata inammissibile per difetto di giurisdizione l’impugnazione diretta nei confronti del ruolo di contribuenza per l’anno 2004 e dell’avviso bonario di pagamento riferito a tale annualità, fatti comunque salvi gli effetti processuali e sostanziali della domanda, alle condizioni di cui all’art. 11 comma 2, cod. proc. amm..

La difesa della Comunità Montana nella memoria depositata in data 25 febbraio 2011, rilevando preliminarmente che la ricorrente aveva erroneamente attribuito all’atto impugnato gli estremi di una diverso atto (segnatamente quelli della delibera della giunta esecutiva n. 207 del 2 novembre 2004 riguardante la contribuenza di bonifica anno 2004, anziché quelli corretti: delibera consiglio n. 5 del 23 aprile 2004 di approvazione del piano di classifica definitivo del Comprensorio di bonifica), ha eccepito la tardività del ricorso proposto relativamente alla delibera di approvazione del piano di classificazione degli immobili (delibera 23 aprile 2004 n. 5) in considerazione della circostanza che, sebbene la deliberazione sia stata pubblicata per 15 giorni consecutivi all’albo pretorio della Comunità montana, dall’11 al 26 maggio 2004, il giudizio è stato introdotto dalla ricorrente con ricorso straordinario notificato solo il 27 giugno 2005. Si invoca in proposito art. 124 t.u.e.l. n. 267 del 2000 che disciplina una forma tipica di conoscenza, rilevante per il computo del termine breve di impugnazione degli atti degli enti locali da parte dei soggetti non direttamente pregiudicati dall’atto, per i quali cioè non è richiesta una comunicazione o una notificazione in forma individuale.

In proposito, la Comunità montana richiama la giurisprudenza del Consiglio di Stato secondo cui, in materia di contributi consortili, le deliberazioni dei consorzi di bonifica che stabiliscono la misura delle tariffe, avendo carattere generale e normativo, sono immediatamente lesive nei confronti dei contribuenti e vanno perciò impugnate nel termine di decadenza ricorrente dalla loro pubblicazione.

Nella memoria depositata il 9 marzo 2011 l’E. contesta l’eccezione di irricevibilità sotto un duplice profilo.

Innanzitutto perché detta delibera, così come tutti gli atti generali, diverrebbe lesiva solo con la notifica degli atti applicativi (ossia delle relative cartelle esattoriali) con la conseguenza che è solo da tale ultima data che comincia a decorrere il termine per l’ impugnazione (cfr. T.A.R. Molise, 19 maggio 2003, n. 466).

In secondo luogo perché la Comunità montana fa riferimento alla pubblicazione della deliberazione sul proprio albo pretorio, anziché su quello del Comune competente per territorio, così come previsto dal comma 2 dell’art. 124 TUEL che "è norma di stretta interpretazione (atteso che da essa discendono oneri e decadenze in relazione all’esercizio del diritto di difesa giurisdizionale), sicché la pubblicazione dell’atto deve essere prevista da un atto che abbia forma e sostanza o di legge o di regolamento; non ha dunque tale natura uno statuto di un ente, che ha una funzione regolatoria interna, ma non regolamentare esterna" (Cons. Stato sez. VI 17 giugno 2009, n. 3946).

In tal senso anche T.A.R. Lazio, sez. I, 03 novembre 2009, n. 10719 secondo cui "tutte le deliberazioni degli altri enti locali sono pubblicate mediante affissione dell’albo pretorio del Comune dove ha sede l’ente, per quindici giorni consecutivi, salvo specifiche disposizioni".

Replica la Comunità montana che, anche a non volere considerare la disposizione statuaria dell’ente (art. 58 dello Statuto), a conferma della bontà della sua tesi vi sarebbe l’art. 28 della l. reg. n. 34/1994 (Norme in materia di bonifica) che in tema di pubblicazione ed esecutività delle deliberazioni consortili stabilisce che "1. Le deliberazioni del Consorzio sono pubblicate, entro sette giorni dall’adozione, mediante affissione per cinque giorni consecutivi nell’albo consortile istituito presso la sede del Consorzio medesimo.

2. Le deliberazioni non soggette a controllo diventano esecutive trascorso il termine di affissione".

Quindi, avendo rispettato tale disposizione attraverso la pubblicazione della delibera dall’11 al 26 maggio 2004 sull’albo pretorio della Comunità stessa, si sarebbe realizzata la pubblicità legale dell’atto come stabilito dalla legge.

La tesi pare inoppugnabile.

Proprio in tema di deliberazione consortile afferenti alla determinazione delle tariffe per tutti i contribuenti ricadenti nel comprensorio si è infatti avuto modo di affermare che la medesima costituisce un atto normativo, ancorché immediatamente lesivo, e perciò il termine per l’impugnazione da parte degli interessati non direttamente menzionati nel relativo atto decorre dalla data di pubblicazione della delibera stessa (Cons. Stato sez., sez. VI, 19 dicembre 1997, n. 1867).

D’altro canto, quello appena riferito costituisce un approdo interpretativo comune a tutti gli atti generali recanti determinazioni in materia di tariffe o imposte comunali (TARSU, ICI, ecc.) con la conseguenza che i medesimi, per la loro immediata lesività, devono formare oggetto di autonoma impugnazione nel termine di decadenza decorrente dall’ultimo giorno della loro pubblicazione (cfr., fra le altre, Cons. Stato, sez. V, 9 dicembre 1986, n. 601; id. V, 27 aprile 1990, n. 379; T.A.R. Sicilia, Catania, sez. III, 12 gennaio 2006, n. 17; T.A.R. Toscana, sez. I, 19 gennaio 2004, n. 146; T.A.R. Puglia, Lecce, sez. I, 9 giugno 2005, n. 3264).

La stessa pronuncia del Consiglio di Stato sopra citata affermando che ad avere rilievo ai fini della conoscenza legale dell’atto sono le modalità di pubblicazione previste dalla legge regionale, ribadisce, tuttavia, che le deliberazioni dei consorzi di bonifica che stabiliscono le misure delle tariffe, ragguagliate alla diversa ubicazione dei terreni inclusi nel comprensorio consortile, pur se aventi carattere generale e latamente normativo, sono immediatamente lesive nei confronti dei contribuenti e, pertanto, vanno impugnate nel termine di decadenza decorrente dalla loro pubblicazione (Cons. Stato sez. VI 17 giugno 2009, n. 3946).

Quanto al differente problema concernente la decorrenza del termine per l’impugnazione, tenuto conto che secondo il 2° comma dell’art. 124 del d. lgs 267 del 2000, 2. tutte le deliberazioni degli altri enti locali sono pubblicate mediante affissione all’albo pretorio del comune ove ha sede l’ente, per quindici giorni consecutivi, salvo specifiche disposizioni, per le delibere delle Comunità Mintane occorre tener conto anche della normativa specifica dettata in materia dalla Regione.

In proposito la Regione Toscana ha dettato le norme di cui alla l. reg. 26 maggio 1994, n. 34 (Ordinamento dei consorzi di bonifica) il cui art. 28, in tema di "Pubblicazione ed esecutività delle deliberazioni consortili", stabilisce, come si è visto, che "Le deliberazioni del Consorzio sono pubblicate, entro sette giorni dall’adozione, mediante affissione per cinque giorni consecutivi nell’albo consortile istituito presso la sede del Consorzio medesimo".

Chiarito quanto sopra, posto che non è contestato che la formalità di pubblicazione sia stata adempiuta dalla Comunità montana resistente (per la precisione, come riporta l’attestato del Segretario, la delibera è stata pubblicata all’Albo pretorio per quindici giorni consecutivi, dall’11 al 26 maggio 2004, ai sensi dell’art. 124, 2° comma del d. lgs n. 267 del 18.8.2000 e art. 58 comma 1°, dello Statuto. Va aggiunto, peraltro, che si tratta della stessa formalità di pubblicazione alla quale è stata anche sottoposta la delibera della giunta esecutiva n. 207 del 2.11.2004, erroneamente indicata come atto impugnato, pubblicata per quindici giorni consecutivi dal 10 novembre 1l 25 novembre 2004, per cui sarebbe anche tardiva la sua impugnazione) ne discende che il termine per l’impugnazione della delibera contestata decorreva dalla data dell’ultimo giorno di pubblicazione nell’albo pretorio.

Il ricorso, nella parte in cui impugna la delibera di approvazione del piano di classifica definitivo degli immobili, deve pertanto essere dichiarato irricevibile.

Tale pronuncia, a prescindere dalla natura provvedimentale dell’atto in questione, determina consequenzialmente l’inammissibilità delle censure rivolte, attraverso i motivi aggiunti, alla nota del 6 dicembre 2005 con cui la Comunità montana ha comunicato alla ricorrente gli elementi tecnici necessari all’accertamento del contributo dovuto da E. per l’annualità 2005, atteso l’evidente nesso di presupposizione che lega i due atti.

Le spese di giudizio seguono la soccombenza come da liquidazione fattane in dispositivo.

P.Q.M.

Il Tribunale Amministrativo Regionale per la Toscana (Sezione Seconda) definitivamente pronunciando sul ricorso, come in epigrafe proposto, lo dichiara in parte inammissibile per difetto di giurisdizione e, in parte, irricevibile.

Dichiara inammissibili i motivi aggiunti di ricorso notificati il 3 febbraio 2006.

Restano salvi gli effetti della domanda dichiarata inammissibile, secondo quanto stabilito da all’art. 11 comma 2, cod. proc. amm..

Condanna la parte ricorrente al pagamento delle spese di giudizio che si liquidano forfettariamente in Euro 3.000, oltre IVA e CPA.

Ordina che la presente sentenza sia eseguita dall’autorità amministrativa.

Testo non ufficiale. La sola stampa del bollettino ufficiale ha carattere legale.

Cass. pen. Sez. IV, Sent., (ud. 19-05-2011) 19-07-2011, n. 28824 Detenzione, spaccio, cessione, acquisto

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Svolgimento del processo

P.D. ricorre avverso la sentenza di cui in epigrafe che gli ha applicato la pena per le plurime violazioni del D.P.R. n. 309 del 1990, art. 73 contestategli.

Si duole del fatto che il giudice non avrebbe considerato che per i fatti sub iudice sarebbe stato già giudicato con sentenza irrevocabile: ciò che doveva desumersi da alcune intercettazioni.

Si duole del fatto che il giudicante avrebbe accolto la richiesta di patteggiamento senza considerare che questa era condizionata all’esclusione dell’aggravante dell’ingente quantità e alla richiesta di "determinare" temporalmente l’epoca finale dei commessi reati.

Motivi della decisione

Il ricorso è infondato.

A prescindere dalla genericità della doglianza, meramente assertiva, va rilevato, quanto al primo motivo, con considerazione assorbente, che l’accertamento delle condizioni di operatività della preclusione del "ne bis in idem", per giudicato sullo stesso fatto e nei confronti del medesimo soggetto, non può essere svolto dalla Corte di cassazione, poichè resta estraneo al giudizio di legittimità l’accertamento del fatto e la parte non può produrre documenti concernenti elementi fattuali, la cui valutazione è rimessa esclusivamente al giudice di merito, potendo comunque l’imputato far valere la violazione di detto divieto davanti al giudice dell’esecuzione (cfr. Sezione 4, 3 dicembre 2009, Bersani, rv.

245740).

Quanto all’altro motivo, basta osservare che, poichè l’applicazione della pena su richiesta delle parti è un meccanismo processuale in virtù del quale, da un lato, l’imputato e il pubblico ministero si accordano sulla qualificazione giuridica della condotta contestata, sulla concorrenza di circostanze, sulla comparazione delle stesse e sull’entità della pena, e, dall’altro, il giudice ha il potere- dovere di controllare l’esattezza dei menzionati aspetti giuridici e la congruità della pena richiesta e di applicarla dopo aver accertato che non emerge in modo evidente una delle cause di non punibilità previste dall’art. 129 cod. proc. pen., ne deriva che l’imputato non può poi dolersi, con il ricorso per cassazione, del mancato riconoscimento di attenuanti, dell’esclusione di un’aggravante e della mancata applicazione della continuazione, trattandosi di doglianze inammissibili perchè mirano a ricostruire i fatti, sul punto, in modo diverso da quanto concordato. Ciò valendo, a fortiori, con riferimento alla pretesa della ricostruzione del fatto oggetto di richiesta di applicazione di pena concordata in termini diversi da quelli contestati qui, con riferimento al tempus commissi delicti (cfr., per riferimenti, Sezione feriale, 12 agosto 2010, Alò).

Al rigetto del ricorso consegue ex art. 616 cod. proc. pen. la condanna del ricorrente al pagamento delle spese processuali.

P.Q.M.

Rigetta il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese del procedimento.

Testo non ufficiale. La sola stampa del bollettino ufficiale ha carattere legale.

Cass. civ. Sez. Unite, Sent., 22-12-2011, n. 28338 Concessioni Giudizio avanti i Tribunali delle Acque Pubbliche

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Svolgimento del processo

Pendendo domande di subconcessione di derivazione dalla Dora Baltea a scopo di produzione idroelettrica proposte da Seva s.r.l., dal Comune di Prè Saint Didier e da Exergy s.r.l., la Giunta della Regione Autonoma Valle d’Aosta, con Delib. 24 ottobre 2008, n. 3046, respinse l’istanza di ammissione ad istruttoria in concorrenza eccezionale avanzata da Borio Mangiarotti s.r.l. ed accolse, invece, quella avanzata da Compagnia Valdostana delle Acque s.p.a., società a totale partecipazione della Regione Autonoma Valle d’Aosta per il tramite della finanziaria regionale Finaosta s.p.a..

Avverso detta delibera, proposero distinti ricorsi al Tribunale Superiore delle Acque pubbliche, in sede di giurisdizione diretta, Borio Mangiarotti nonchè, con identiche argomentazioni, Seva ed Exergy.

Con sentenza 21.9.2010 n. 127, il Tribunale Superiore delle Acque Pubbliche, riuniti i ricorsi, annullò i provvedimenti impugnati. In particolare: a) in accoglimento del secondo comune motivo dei ricorsi promossi da Seva e da Exergy, rilevò il difetto di motivazione dell’ammissione ad istruttoria in concorrenza eccezionale della Compagnia Valdostana delle Acque, con specifico riguardo alla valutazione della ricorrenza del requisito dell’"interesse pubblico speciale e prevalente"; b) in accoglimento del primo motivo del ricorso promosso da Borio Mangiarotti, riscontrò la carenza dei presupposti per l’ammissione a concorrenza eccezionale della Compagnia Valdostana delle Acque e per la preferenza accordata al suo progetto rispetto a quello della ricorrente e ciò in considerazione della mancanza di qualsiasi "valutazione contrapposta e concorrenziale" tra i due progetti e della "oltre che generica, decisamente pretestuosa" motivazione del rigetto dell’istanza della ricorrente medesima; c) in accoglimento del quarto motivo del ricorso promosso da Borio Mangiarotti e del terzo motivo comune ai ricorsi di Seva e Exergy, affermò che l’ammissione alla procedura concorsuale di una società partecipata dall’Amministrazione subconcedente implicava, di per sè, per l’immanente effetto distorsivo sulla concorrenza, una violazione (o, almeno, un’elusione) dell’art. 86 Trattato Ce (ora art. 106 T.F.U.E.); d) dichiarò assorbito "ogni altro profilo di doglianza".

Avverso tale decisione, Regione Autonoma Valle d’Aosta e Compagnia Valdostana delle Acque hanno proposto distinti ricorsi, ai sensi del R.D. n. 1775 del 1933, art. 200 e art. 111 Cost., rispettivamente, in sei ed in tre motivi. Borio Mangiarotti, Seva e Exergy hanno resistito con controricorso. Seva ed Exergy hanno anche proposto un motivo di ricorso incidentale.

Motivi della decisione

1)- 1. I ricorsi, siccome proposti contro la stessa sentenza, devono essere riuniti a norma dell’art. 335 c.p.c..

2. Ciò posto, occorre, in via preliminare, rilevare l’infondatezza dell’eccezione, con la quale Seva, Exergy e Borio Mangiarotti mirano a far rilevare l’inammissibilità dei ricorsi promossi da Regione Autonoma Valle d’Aosta e da Compagnia Valdostana delle Acque, in quanto non investenti l’asserita autonoma ratio della decisione impugnata ravvisabile nell’affermata illegittimità del contrastato provvedimento regionale di ammissione ad istruttoria in concorrenza eccezionale di Compagnia Valdostana delle Acque per mancata comunicazione dell’inizio del correlativo subprocedimento.

In proposito, deve, invero, osservarsi che la questione dell’illegittimità del provvedimento in rassegna per il profilo considerato non è stata resa oggetto di decisione da parte del giudice a quo, ma è stata da questi ritenuta assorbita nelle (altre) determinazioni assunte, al pari di "ogni altro profilo di doglianza" diverso da quelli di cui alle sopra riportate lett. a), b) e c).

Ciò, pure con specifico riferimento al ricorso promosso da Borio Mangiarotti, posto che l’inciso "anche sotto l’aspetto della mancata conoscenza dell’intera documentazione del procedimento", comparente nella decisione impugnata (a p. 21) in riferimento al primo motivo del ricorso succitato, appare attenere alla sola descrizione complessiva del motivo medesimo piuttosto che ai contenuti della correlativa determinazione decisionale, essendo questa univocamente incentrata sui soli profili della mancanza di una "valutazione contrapposta e concorrenziale" tra i progetti di Borio Mangiarotti e di Compagnia Valdostana delle Acque ai sensi del R.D. n. 1775 del 1933, art. 9 e della genericità e pretestuosità della motivazione del rigetto dell’istanza di Borio Mangiarotti.

2)- 1. Regione Autonoma Valle d’Aosta e Compagnia Valdostana delle Acque – rispettivamente, con il primo ed il secondo motivo e con il primo motivo dei relativi ricorsi – censurano, in primo luogo, la decisione impugnata, sul piano della violazione di legge (R.D. n. 1775 del 1933, art. 10) e su quello del difetto assoluto di motivazione, con riferimento all’affermata illegittimità del provvedimento regionale di ammissione ad istruttoria in concorrenza eccezionale della Compagnia Valdostana delle Acque, per carenza di motivazione in merito alla ricorrenza del requisito dell’"interesse pubblico speciale e prevalente".

Rispettivamente, con il quarto ed il secondo motivo dei relativi ricorsi, Regione Autonoma Valle d’Aosta e Compagnia Valdostana delle Acque censurano, in secondo luogo, la decisione impugnata, sul piano della violazione di legge (R.D. n. 1775 del 1933, art. 9) e su quello del vizio di motivazione, con riguardo alla ritenuta illegittimità della preferenza accordata dal provvedimento regionale, a fine di ammissione a concorrenza eccezionale, alla domanda di subconcessione di derivazione idrica avanzata dalla Compagnia Valdostana delle Acque rispetto a quella, analoga, avanzata da Borio Mangiarotti.

Rispettivamente se con il quinto ed il sesto motivo e con il terzo motivo dei relativi ricorsi, le succitate ricorrenti censurano, infine, la decisione impugnata, sul piano della violazione di legge (art. 86 Trattato Ce, ora 106 T.F.U.E.) e su quello del vizio di motivazione – nella parte in cui ha ritenuto illegittimo il provvedimento regionale di ammissione della Compagnia Valdostana delle Acque ad istruttoria in concorrenza eccezionale, sul presupposto che l’ammissione a procedura concorsuale di società partecipata dall’Amministrazione subconcedente determinerebbe, di per sè, violazione delle evocate norme comunitarie.

2. Con identici motivi, Seva ed Exergy, pur pienamente vittoriose nel giudizio a quo, censurano la decisione del Tribunale Superiore delle Acque in rassegna, in via di ricorso incidentale, con riferimento all’esito riservato alla proposta impugnativa del provvedimento regionale, sotto il profilo della violazione della L. n. 241 del 1990, art. 7 e art. 97 Cost., per mancata comunicazione dell’inizio del subprocedimento di ammissione in concorrenza eccezionale.

3)- 1a. In merito alla prima delle sopra riportate doglianze della Regione Autonoma Valle d’Aosta e della Compagnia Valdostana delle Acque, occorre premettere che, come emerge dalla sentenza impugnata, l’annullato provvedimento regionale giustifica l’ammissione ad istruttoria in concorrenza eccezionale del progetto della Compagnia Valdostana delle Acque, riscontrandovi un "interesse pubblico speciale e prevalente", in funzione della sua idoneità a garantire una maggiore sicurezza del sistema elettrico regionale, consentendo la rialimentazione in autonomia della rete elettrica della Valdigne (ed eventualmente, con opportuni interventi di predisposizione, anche della città di Aosta) ed, altresì, della possibilità, riferita da Terna s.p.a. (società concessionaria in esclusiva del servizio pubblico di trasmissione dell’energia sulla rete elettrica nazionale) di inserire l’impianto idroelettrico asservito dalla derivazione nel "Piano di riaccensione"e del sistema elettrico nazionale.

Ciò posto, deve considerarsi che, nell’argomentarne l’annullamento, la decisione del Tribunale Superiore delle Acque Pubbliche qui impugnata – richiamata propria consolidata giurisprudenza (T.s.a.p. 35/1997, 20/1995), secondo cui l’interesse pubblico rilevante ai fini dell’ammissione in concorrenza eccezionale è soltanto quello che attiene all’"uso diretto" dell’acqua (nel senso che la domanda può essere ammessa in concorrenza eccezionale solo ove l’interesse pubblico che è idonea a soddisfare risieda nel diretto sfruttamento della risorsa idrica, e non sia, invece, realizzato in via meramente mediata, attraverso l’uso dei proventi derivanti dall’impiego diretto della risorsa) – nega che, nell’ammettere a concorrenza eccezionale il progetto della Compagnia Valdostana delle Acque, la Giunta della Regione Valle d’Aosta si sia, in concreto, attenuta a tale criterio;

e sostiene che essa, obliterando ogni profilo inerente all’interesse pubblico come sopra definito, avrebbe, invece, individuato l’interesse giustificante l’ammissione in concorrenza eccezionale nella mera maggior convenienza economica (implicante arricchimento non dissimile da quello proprio di qualsiasi altro soggetto privato) connessa al soddisfacimento dell’interesse di Terna.

Alla luce degli esposti rilievi, la doglianza della Regione Valle d’Aosta e della Compagnia Valdostana delle Acque in esame si rivela pienamente fondata.

Nell’affermare lo scorretto governo della nozione di "interesse pubblico speciale e prevalente" da parte della Giunta regionale, la decisione impugnata finisce, invero, per tradire la stessa evocata consolidata interpretazione del R.D.L. n. 1775 del 1933, art. 10 così incorrendo in violazione della disposizione medesima.

L’idoneità del progetto della Compagnia Valdostana delle Acque di garantire il servizio di rialimentazione della rete elettrica in caso di black-out, indicato nel provvedimento regionale quale interesse pubblico qualificante ai fini dell’ammissione in concorrenza eccezionale, costituisce, infatti, indubitabilmente espressione di un "uso diretto" e non meramente mediato della risorsa. Ciò mentre i concomitanti vantaggi economici, immanenti in qualsiasi iniziativa imprenditoriale, non possono certo, di per se stessi, escludere la ricorrenza dei presupposti di operatività della norma.

D’altro canto – anche per l’assenza di qualsiasi coerente consequenzialità tra la richiamata premessa in diritto e la conclusione – l’inesistenza del requisito dell’"interesse pubblico speciale e prevalente" nel progetto di Compagnia Valdostana delle Acque risulta affermazione perentoria quanto apodittica della decisione del Tribunale Superiore delle Acque, che, lasciando pertanto imprescrutabile la specifica ratio decidendi e precludendone qualsiasi controllo, si rivela, in parte qua, anche affetta da difetto assoluto di motivazione.

1.b I rilievi esposti comportano l’assorbimento del terzo motivo del ricorso della Regione Autonoma Valle d’Aosta, con il quale viene dedotta, in relazione al medesimo capo della decisione impugnata, la violazione del R.D. n. 1775 del 1933, art. 10 con riguardo alla negata legittimità dell’ammissione in concorso eccezionale di Compagnia Valdostana delle Acque in funzione del solo riferimento al mero criterio soggettivo della sua natura di società con scopo di lucro.

2. Con riferimento alla seconda delle doglianze avanzate da Regione Autonoma Valle d’Aosta e Compagnia Valdostana delle Acque – incidente sull’affermata illegittimità della preferenza accordata dal provvedimento regionale alla domanda di derivazione della Compagnia Valdostana delle Acque rispetto a quella proposta da Borio Mangiarotti – occorre rilevare che, per il profilo considerato, la decisione impugnata collega la ritenuta illegittimità del provvedimento della Giunta regionale al mancato esperimento di ogni "valutazione contrapposta e concorrenziale" tra i progetti di Borio Mangiarotti e di Compagnia Valdostana delle Acque ai sensi del R.D. n. 1775 del 1933, art. 9 ed al fatto che la motivazione del rigetto dell’istanza di Borio Mangiarotti sarebbe stata "oltre che generica, decisamente pretestuosa".

La doglianza è fondata.

Invero – richiamando l’esigenza di una valutazione comparativa delle istanze R.D. n. 1775 del 1933, ex art. 9 ai fini dell’ammissione in concorrenza eccezionale – il tribunale Superiore delle Acque pare confondere la valutazione che l’Amministrazione concedente deve compiere per l’eventuale ammissione di domande in concorrenza eccezionale con la valutazione comparativa che la stessa Amministrazione deve effettuare successivamente, tra le domande ammesse, al fine della scelta del subconcessionario.

Il provvedimento di ammissione in concorrenza eccezionale (nella specie annullato), attenendo alla fase dell’ammissione delle domande (ed essendo, pertanto, soltanto prodromico alla successiva gara tra le domande ammesse) non richiede alcuna valutazione comparativa delle istanze pendenti (rilevante ai fini dell’aggiudicazione della subconcessione), ma richiede solo la ricognizione, ai sensi del R.D. n. 1775 del 1933, art. 10 della sussistenza di uno "speciale e prevalente motivo di interesse pubblico" (nel senso specificato in precedenza).

Meramente apodittica si rivela, poi, l’affermazione secondo cui il diniego di ammissione dell’istanza di Borio Mangiarotti sarebbe generico e pretestuoso.

3. Fondata è, infine, anche la doglianza, con la quale Regione Autonoma Valle d’Aosta e Compagnia Valdostana delle Acque censurano la decisione del Tribunale Superiore delle Acque in merito all’affermata illegittimità del provvedimento regionale di ammissione di Compagnia Valdostana delle Acque ad istruttoria in concorrenza eccezionale, con riferimento alle norme nazionali e comunitarie a tutela della libera concorrenza.

Quanto al profilo considerato, il Tribunale Superiore delle Acque, sostiene che la natura di impresa a capitale dell’ente pubblico concedente è elemento, di per sè, ostativo anche al solo accesso al procedimento concorsuale indetto da tale ente; sicchè, per ravvisare, nel procedimento concorsuale di concessione di acqua pubblica, una disparità di trattamento perpetrata dall’Amministrazione concedente in favore del concorrente da essa stessa partecipato a danno degli altri concorrenti, non sarebbe necessario accertare, a seguito di apposite indagini e valutazioni, la presenza effettiva di fenomeni distorsivi e fuorvianti, perchè tale disparità risiederebbe in re ipsa nel solo dato della partecipazione dell’ente che ha indetto la procedura concorsuale al capitale della società concorrente; in altre parole, il solo fatto della presenza in una pubblica gara di un organismo partecipato dall’ente aggiudicatore determinerebbe una presunzione assoluta di disparità di trattamento in danno degli altri concorrenti, in ragione della posizione di privilegio intrinseco di cui godrebbe tale organismo con riguardo alle valutazioni del soggetto aggiudicante.

La tesi del Tribunale Superiore della Acque Pubbliche, contrastato dalle ricorrenti, non può essere condivisa.

Ed, invero, la partecipazione dell’Amministrazione aggiudicatrice al capitale della società concorrente non determina, di per sè, alcuna violazione di norme o di principi giuridici nè dell’ordinamento nazionale nè dell’ordinamento comunitario ed anzi, in contrasto con i principi di detti ordinamenti, si porrebbe una discriminazione di dette società nell’accesso al concorso.

Quanto all’ordinamento nazionale rilevano in tal senso, in particolare, il principio di uguaglianza, di cui all’art. 3 Cost. ed il principio di libertà d’impresa, indifferenziatamente riconosciuto, ex art. 41 Cost., comma 3, sia con riguardo all’attività economica pubblica sia a riguardo di attività economica privata.

Quanto all’ordinamento comunitario, rilevano la previsione dell’art. 86 del Trattato CE, ora art. 106 T.F.U.E., (che, vietando il mantenimento nei confronti delle imprese pubbliche di misure contrarie alle norme del Trattato, salvo quelle strettamente necessarie all’adempimento delle specifiche funzioni di interesse generale di cui siano investite, presuppone, per ogni altro aspetto, una piena parificazione tra imprese pubbliche e private) nonchè il principio di neutralità rispetto alla partecipazione dei pubblici poteri all’esercizio di imprese, sancito dall’art. 295 Trattato CE (ora art. 345 T.F.D.E.), in forza del quale "i Trattati lasciano del tutto impregiudicato il regime di proprietà esistente negli Stati membri" e non stabiliscono, quindi, alcuna forma di penalizzazione della proprietà pubblica rispetto a quella privata.

In conformità con tale impostazione, la direttiva 2004/18/CE (sul coordinamento delle procedure di aggiudicazione degli appalti pubblici di lavori, di forniture e di servizi) qualifica come "imprenditore", "fornitore" "prestatore di servizi" (cfr. l’art. 1, par. 8) qualsiasi "persona fisica o giuridica o un ente pubblico o un raggruppamento di tali persone o enti che offra sul mercato, rispettivamente, la realizzazione di lavori e/o opere, prodotti o servizi", senza, dunque, operare discriminazione alcuna tra la posizione degli operatori pubblici e quella degli operatori privati.

La giurisprudenza comunitaria ha, peraltro, precisato che "il principio di parità di trattamento degli offerenti … non è violato per il solo fatto che l’amministrazione aggiudicatrice ammette a partecipare ad una procedura di aggiudicazione . . . organismi che ricevono, da essa stessa o da altre amministrazioni aggiudicatrici, sovvenzioni, indipendentemente dalla loro natura" e che "se il legislatore comunitario avesse avuto l’intenzione di obbligare le amministrazioni aggiudicatrici ad escludere tali offerenti, l’avrebbe espressamente indicato" (cfr. C.G. 7.12.2000, in causa C-94/99, Arge Gewasserschutz, e 23.12.2009, in causa C-305/08, Conisma) e che è, inoltre, contraria al diritto comunitario, perchè viola il principio di proporzionalità, una normativa nazionale che escluda dalle gare pubbliche intere categorie di operatori in virtù di una presunzione assoluta di violazione del principio di parità di trattamento, senza permettere valutazioni caso per caso (v. C.G., grande sezione, 16.12.2008, in causa C-213-07, Michaniki).

D’altro canto, la stessa problematica comunitaria relativa ai limiti della prassi della "in house providing" (pure evocata dalla sentenza impugnata) rivela, specularmente, la legittimità dell’ammissione a procedimento di evidenza pubblica di società partecipata dall’ente aggiudicatario (cfr. C.G. 11.1.2005, in causa C-26/03, Stadt Halle, 13.10.2005 in causa C-458/03, Parking Brixen s.p.a. e 18.11.1999, in C-197/98).

Non diversamente, deve condividersi la giurisprudenza amministrativa nazionale (cfr. Cons. Stato, sez. 6^, 3499/08, sez. 5^ 6325/04), laddove ha affermato che, in merito all’ammissione a gare d’appalto, la circostanza che una delle imprese concorrenti è partecipata dalla stessa amministrazione appaltante è, di per sè, irrilevante, giacchè non è contemplata da alcuna norma come elemento ostativo alla partecipazione ad una pubblica gara d’appalto indetta dall’ente titolare della partecipazione; e che a diversa conclusione non può pervenirsi in applicazione dei principi costituzionali d’mparzialità e trasparenza dell’azione amministrativa nonchè dei principi generali di concorrenzialità, poichè le garanzie offerte dalla procedura dell’evidenza pubblica sono idonee ad escludere che la partecipazione alla società da parte dell’ente pubblico che bandisce la gara configuri, di per se stessa, fattore distorsivo della concorrenza ed offrire alla società partecipata un illegittimo vantaggio a scapito delle altre imprese.

Per converso, nessuna rilevanza ai fini qui considerati assume il precedente di questa Corte Cass., ss.uu., 11653/06, richiamato a conforto dalla sentenza impugnata. La decisione si è, infatti, limitata ad affermare l’illegittimità, per contrasto con il principio di libera concorrenza, di una norma regionale (la L.R. Lombardia 28 giugno 1998, n. 10, art. 22) che, al fine del rilascio di concessioni di derivazione di acque a scopo idroelettrico, accordava, in sede di aggiudicazione, trattamento preferenziale alle società pubbliche o miste pubbliche-private, in funzione della loro particolare natura e solo di questa.

In base ai principi generali, sia nazionali sia comunitari, devono, dunque, escludersi, salvi espliciti divieti, limitazioni alla facoltà dei soggetti pubblici o a partecipazione pubblica di concorrere a gare di evidenza pubblica. Con la conseguenza che, così come sostenuto da Regione Valle d’Aosta e Compagnia Valdostana delle Acque, la circostanza che Compagnia Valdostana delle Acque sia interamente (seppur indirettamente) partecipata dalla Regione Valle d’Aosta, non osta, di per sè, al suo accesso al concorso per l’aggiudicazione, da parte della Regione medesima, di subconcessione di derivazione a scopo di produzione idroelettrica.

4) – Alla stregua delle considerazioni che precedono, i ricorsi proposti da Regione Autonoma Valle d’Aosta e Compagnia Valdostana delle Acque devono essere accolti. La sentenza impugnata va, dunque, cassata e la causa rinviata al Tribunale Superiore delle Acque Pubbliche (in diversa composizione), per l’esame delle doglianze di Seva, Exergy e Borio Mangiarotti già ritenute assorbite nella decisione impugnata e qui riformata ed, altresì, per la regolamentazione delle spese del presente giudizio.

Incidendo su questioni rimesse al giudice del rinvio, il motivo di ricorso incidentale comune a Seva ed a Exergy (parti pienamente vittoriose nel giudizio a quo) resta assorbito nella presente decisione.

P.Q.M.

la Corte: riuniti i ricorsi, accoglie i ricorsi proposti dalla Regione Autonoma Valle d’Aosta e dalla Compagnia Valdostana delle Acque s.p.a. e dichiara assorbiti i ricorsi incidentali promossi da Seva s.r.l. e da Exergy s.r.l.; cassa la decisione impugnata e rinvia la causa al Tribunale Superiore delle Acque Pubbliche in diversa composizione.

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