Cass. civ. Sez. lavoro, Sent., 24-02-2011, n. 4530 Dipendenti delle banche Previdenza integrativa

Sentenza scelta dal dott. Domenico Cirasole direttore del sito giuridico http://www.gadit.it/

Svolgimento del processo

La Corte di Appello di Torino, confermando la sentenza di primo grado, respingeva la domanda dei pensionati indicati in epigrafe, proposta nei confronti del Fondo Pensioni Gruppo San Paolo Imi, avente ad oggetto la riliquidazione della quota individuale in capitale della prestazione previdenziale complementare, prevista dall’art. 1 sub lett. B) dello statuto dell’Ente previdenziale San Paolo, consistente nella distribuzione agli iscritti di una quota di reddito prodotto dal patrimonio della gestione di pertinenza della prestazione stessa.

La predetta Corte, respinte le eccezioni, sollevate dal Fondo Pensioni Gruppo San Paolo Imi, concernenti il difetto di legittimazione passiva, di prescrizione quinquennale e di necessità d’integrazione del contraddittorio nei confronti degli altri iscritti al Fondo, rilevava, innanzitutto, che non era configurabile la preesistenza di un diritto soggettivo perfetto sul quale le parti collettive ed il Fondo avevano inciso con modalità lesive determinando una Liquidazione della quota capitale per un importo minore di quello spettante. Tanto, secondo "la Corte del merito, conseguiva dalla considerazione che la prestazione dedotta in causa era incerta ed aleatoria in quanto collegata con il reddito prodotto dal patrimonio della gestione di pertinenza della prestazione stessa e, quindi, con una entità economica non determinabile a priori ed anzi eventualmente e potenzialmente anche pari a zero. La Corte torinese, inoltre, sulla premessa che i pensionati non contestavano la decisione delle fonti collettive di operare un liquidazione in capitale della quota di patrimonio individuale – ossia della prestazione B – ma lamentavano solo che ciò era avvenuto per un importo minore e ribadendo l’insussistenza di un diritto soggettivo perfetto, affermavano l’insidacabilità delle scelte discrezionali della parti collettive. La Corte del merito, poi, dopo aver esaminato le richiamate fonti collettive ed aver precisato che i pensionati avevano optato per la liquidazione in capitale percependo i relativi importi, rilevava che solo a seguito della complessa procedura regolata da tali fonti si era venuto a configurare un diritto perfetto dei predetti pensionati alla liquidazione in capitale in luogo della prestazione precedente di carattere incerto ed aleatorio.

Nè, secondo la Corte di Appello, la disciplina delle fonti collettive risultava in contrasto con norme imperative o dei principi di non discriminazione ovvero inficiata da elementi di manifesta arbitrarietà o irrazionalità. Riteneva, infine, la Corte territoriale che, sulla base di alcuni passi degli accordi del 7 novembre 1998 e 30 novembre 1998 e del verbale del Consiglio di Amministrazione del Fondo – che aveva recepito lo statuto, doveva affermarsi, così escludendosi l’applicabilità dell’invocato art. 1349 c.c., che le parti istitutive avevano ritenuto di acquisire la perizia O. – in base alla quale si era proceduto al calcolo delle quote – come parte integrante degli accordi collettivi.

Con ricorso iscritto al n. 12694 del R.G. dell’anno 2009 A.G. P. e gli altri pensionati in epigrafe indicati impugnano dinanzi questa Corte la precitata sentenza sulla base di cinque motivi, illustrati da memoria.

Resiste con controricorso il Fondo Pensioni Gruppo San Paolo Imi il quale propone impugnazione incidentale condizionata assistita da tre motivi – precisati da memoria, cui si oppongono, con controricorso, A.G.P. e gli altri predetti ricorrenti.

Con separato ricorso iscritto al n. 27797 del R.G. del 2009 P. L. ed altri quattro pensionati in epigrafe specificati ricorrono in cassazione sulla base di cinque analoghi motivi, illustrati da memoria. li Fondo Pensioni Gruppo San Paolo Imi resiste con controricorso con il quale, sottolineando, tra l’altro, la tardività della notifica del ricorso perchè avvenuta oltre il termine di cui all’art. 325 c.p.c., u.c., propone analoga impugnazione incidentale sostenuta da tre motivi, precisati da memoria.
Motivi della decisione

Preliminarmente va disposta la riunione dei ricorsi riguardando l’impugnazione della stessa sentenza.

Con il primo motivo di ambedue i ricorsi principali i pensionati deducendo, violazione e/o falsa applicazione degli artt. 2117, 2123, 1362 e 1363 c.c., in riferimento agli artt. 2, 3, 4, 5, 6, 7, 9, 13, 14, 15, 26 e 27 dello Statuto dell’Ente previdenziale San Paolo approvato con accordo collettivo 14 giugno 1984, nonchè vizio di motivazione insufficiente e/o contraddittoria su punto decisivo della controversia, pongono, ex art. 366 bis c.p.c., il seguente quesito di diritto:" Dica la Corte se viola gli artt. 2117 e 2123 c.c., nonchè i canobi di interpretazione negoziale ( artt. 1362 e 1363 c.c.) in riferimento agli artt. 2, 3, 4, 5, 6, 7, 9, 13, 14, 15, 26 e 27 dello Statuto dell’Ente previdenziale San Paolo approvato con accordo collettivo 14 giugno 1984 la sentenza di appello che, con motivazione- insufficiente e/o contraddittoria, ha ritenuto che, al a stregua del sistema pensionistico precedente, i ricorrenti non avevano maturato un diritto soggettivo perfetto alla liquidazione della c.d. prestazione B trattandosi di prestazione aleatoria, costituente, al più, un aspettativa giuridicamente qualificata".

Con la seconda censura i ricorrenti principali, in entrambi i ricorsi, denunciando violazione e/o falsa applicazione degli artt. 1703 e 1704 c.c., del D.Lgs. n. 124 del 1993, artt. 3 e 18, nonchè vizio di motivazione insufficiente e/o contraddittoria su punto decisivo della controversia, formulano, ex art. 366 bis c.p.c., cit., il seguente quesito di diritto: "Dica la Corte se viola gli artt. 1703 e 1704 c.c. e del D.Lgs. n. 124 del 1993, artt. 3 e 18, la sentenza della Corte di d’appello che, con motivazione insufficiente e/o contraddittoria,ha ritenuto che le oo.ss. avessero il potere di rappresentare i ricorrenti nelle trattative contrattuali ed incidere su diritti acquisiti al precedente sistema di previdenza integrativa aziendale".

Con il terzo motivo dei ricorsi principali i pensionati, allegando violazione e/o falsa applicazione dell’art. 3 Cost. (sotto il profilo del principio di ragionevolezza), artt. 36 e 38 Cost., artt. 1453, 2117 e 2123 c.c., nonchè vizio di motivazione insufficiente e/o contraddittoria su punto decisivo della controversia, articolano, ex art. 366 bis c.p.c., cit., il seguente quesito di diritto: "Dica la Corte se viola l’art. 3 Cost. (sotto il profilo del principio di ragionevolezza), artt. 36 e 38 Cost., artt. 1453, 2117 e 2123 c.c., la sentenza della Corte di d’appello che, con motivazione insufficiente e/o contradditroria, ha ritenuto insindacabili le scelte delle parti collettive di modificare il preesistente sistema di previdenza integrativa aziendale, incidendo sui diritti acquisiti dei ricorrenti, già pensionati al momento degli accordi".

Con la quarta censura i ricorrenti principali, nei rispettivi ricorsi, assumendo violazione e/o falsa applicazione dell’art. 1362 c.c., in riferimento all’art. 1, comma 5, dello Statuto del Fondo pensioni gruppo San Paolo IMI approvato con accordo sindacale del 30 novembre 2008 – rectius 1998, nonchè vizio di motivazione insufficiente e/o contraddittoria su punto decisivo della controversia, formulano, ex art. 366 bis c.p.c. cit., il seguente quesito di diritto: "Dica la Corte se viola l’art. 1362 c.c., in riferimento all’art. 1, comma 5, dello Statuto del Fondo pensioni gruppo San Paolo IMI approvato con accordo sindacale del 30 novembre 2008 – rectius 1998 – la sentenza di appello che, con motivazione insufficiente e/o contraddittoria, ha ritenuto che la salvaguardia dei diritti individualmente maturati degli iscritti di cui al sistema pensionistico aziendale, prevista dalla norma citata, non comprendesse anche i diritti collegati alla ed prestazione B di cui al preesistente sistema".

Con il quinto motivo i ricorrenti principali, nei rispettivi ricorsi, denunciando violazione e/o falsa applicazione degli artt. 1349, 1453, ed altresì art. 1362 c.c., in riferimento all’accordo sindacale del 7 novembre 1998, nonchè vizio di motivazione insufficiente e/o contraddittoria su punto decisivo della controversia, pongono, ex art. 366 bis c.p.c. cit., il seguente quesito di diritto: Dica la Corte se viola gli artt. 1349, 1453 ed altresì l’art. 1362 c.c., in riferimento all’accordo sindacale 7 novembre 1998, la sentenza di appello che, con motivazione insufficiente e/o contraddittoria, ha ritenuto che l’affidamento a dei periti attuariali dell’incarico di determinare le spettanze dei ricorrenti a titolo di prestazione B non costituisse un ipotesi di arbitraggio, ad onta delle chiare espressioni utilizzate dai contraenti, con la conseguente omissione dell’esame della manifesta iniquità e/o erroneità dell’elaborato, alla luce delle critiche formulate nei confronti dei criteri utilizzati dagli attuari".

Con il primo motivo dei ricorsi incidentali condizionati il Fondo in epigrafe, deducendo violazione dell’art. 182 c.p.c. e art. 1362 c.c., in relazione allo statuto del Fondo, articola, ex art. 366 bis c.p.c., il seguente quesito di diritto: "Dica la Corte se costituisca violazione e/o falsa applicazione dell’art. 182 c.p.c. e art. 1362 c.c., in relazione all’art. 41 dello statuto (omissis), ritenere come affermato dalla Corte di appello, che sussista legittimazione passiva del Fondo rispetto alle domande svolte con il ricorso avversario ed dirette ad ottenere il ricalcolo dei c.d. zainetti, liquidati in mera attuazione degli accordi 1998/1999, e dica, conseguentemente, se in base al corretto principio di diritti applicabile al caso di specie vada esclusa la legittimazione del Fondo".

Con la seconda censura dei ricorsi incidentali il Fondo, prospettando violazione dell’art. 784 c.p.c., in relazione all’intervenuta ripartizione del patrimonio del vecchio Fondo tra attivi e pensionati, formula, ex art. 366 bis c.p.c. cit., il seguente quesito di diritto: "Dica la Corte so costituisca violazione e/o falsa applicazione dell’art. 784 c.p.c., in quanto applicabile in via analogica alla trasformazione del Fondo, ritenere, come affermato dalla Corte di appello, che l’eventuale accoglimento delle domande avversane non incida sulle posizioni degli iscritti estranei al presente giudizio e, conseguentemente, dica se il corretto principio di diritto applicabile al caso di specie che la distribuzione ad attivi e pensionati, a seguito di devoluzione, del patrimonio indiviso del Fondo, costituisca vera e propria divisione, assimilabile a quella della comunione disciplinata dalla norma anzidetta".

Con il terzo motivo dei ricorsi incidentali il Fondo, denunciando violazione dell’art. 2948 c.c., n. 4, pone, ex art. 366 bis c.p.c. cit., il seguente quesito di diritto: "Dica la Corte se costituisca violazione e/o falsa applicazione dell’art. 2948 c.c., n. 4, ritenere, come affermato dalla Corte di appello, che la prestazione pensionistica erogata in un’unica soluzione, in virtù dell’attualizzazione della rendita periodica, sia soggetta a prescrizione decennale e conseguentemente, dica se il corretto principio di diritto applicabile al caso di specie sia invece ritenere che tale prestazione, quale ultima quota del trattamento in essere fino a quel momento, abbia natura periodica e sia quindi soggetta al termine di prescrizione quinquennale".

Preliminarmente rileva il Collegio che va disattesa l’eccezione, sollevata dal Fondo Pensioni del Gruppo San Paolo IMI di tardività della notifica del ricorso iscritto al n. 27797 del R.G. dell’anno 2009 in quanto notificato oltre il termine di cui all’art. 325 c.p.c., u.c.. Non vi è infatti alcun riscontro documentale dell’assunto concernente l’avvenuta notifica, nei confronti dei ricorrenti, in data 22 marzo 2009 della sentenza impugnata. Nè il predetto Fondo indica dove tale riscontro – ossia l’avvenuta notifica della sentenza impugnata – risulterebbe rintracciabile nelle carte processuali.

Tanto premesso rileva la Coree che i ricorsi principali, i cui motivi d’impugnazione fanno tutti riferimento, direttamente o indirettamente, ad una determinata interpretazione delle norme contrattuali che si assume corretta, contrastante con l’interpretazione, ritenuta errata, data dal giudice di merito, sono inammissibili a norma dell’art. 366 c.p.c., n. 6, così come modificato dal D.Lgs. 2 febbraio 2006, n. 40, art. 5.

Invero, questa Corte ha ritenuto (Cass. S.U. 2 dicembre 2008 n. 28547, Cass. 23 settembre 2009 n. 20535 e Cass. S.U. 25 marzo 2010 n. 7161) che il requisito previsto dall’art. 366 c.p.c., n. 6, il quale sancisce che il ricorso deve contenere a pena d’inammissibilità la specifica indicazione degli atti processuali, dei documenti e dei contratti o accordi collettivi sui quali il ricorso si fonda, per essere assolto, "postula che sia specificato in quale sede processuale il documento è stato prodotto, poichè indicare un documento significa necessariamente, oltre che specificare gli elementi che valgono ad individuarlo, allegare dove nei processo è rintracciabile". La causa di inammissibilità prevista dal nuovo art. 366 c.p.c., n. 6, ha chiarito inoltre questa Corte, è direttamente ricollegata al contenuto del ricorso, come requisito che si deve esprimere in una indicazione contenutistica dello stesso. Tale specifica indicazione, quando riguardi un documento, in quanto quest’ultimo sia un atto prodotto in giudizio, richiede che si individui dove è stato prodotto nelle fasi di merito e, quindi, anche in funzione di quanto dispone l’art. 369 c.p.c., comma 2, n. 4, prevedente un ulteriore requisito di procedibilità del ricorso, che esso sia prodotto in sede di legittimità.

Applicando tali principi, che il Collegio in questa sede intende ribadire, al caso di specie emerge che non risulta specificata in quale sede processuale sono rinvenibili, i documenti e i contratti o accordi collettivi su i quali i ricorsi si fondano ed in particolare, tra l’altro, lo Statuto dell’Ente previdenziale San Paolo approvato con accordo collettivo 14 giugno 1984, lo Statuto del Fondo pensioni gruppo San Paolo IMI approvato con accordo sindacale del 30 novembre 1998 e l’accordo sindacale 7 novembre 1998.

E’ pur vero che in calce al ricorso iscritto al n. 27797 del 2009 del R.G. viene riportato un elenco di documenti che sarebbero stati depositati unitamente al ricorso iscritto al n. 12694 dell’anno 2009 del R.G.; ma è altrettanto vero che unitamente a tale ultimo ricorso non risultano depositati i richiamati documenti nè in siffatto ricorso vi è alcuna specifica indicazione della sede processuale in cui tali documenti sarebbero rinvenibili.

Nè l’eventuale presenza dei documenti in parola nei fascicoli di parte o di quelli d’ufficio del giudizio del merito potrebbe sanare l’inosservanza della prescrizione di cui al richiamato art. 366 c.p.c., n. 6, atteso che siffatta prescrizione (Cass. S.U. 25 marzo 2010 n. 7161 cit. come ribadito anche da Cass. S.U. 23 ottobre 2010 n. 20075) va correlata a quella ulteriore, sancita a pena d’improcedibilità, di cui all’art. 369 c.p.c., comma 2, n. 4, che deve ritenersi soddisfatta "qualora il documento sia stato prodotto nelle fasi di merito dallo stesso ricorrente e si trovi nel fascicolo di esse, mediante la produzione del fascicolo, purchè nel ricorso si specifichi che il fascicolo è stato prodotto e la sede in cui il documento è rinvenibile". Specificazioni, queste, come sottolineato, del tutto carenti nel caso in esame.

I ricorsi principali di conseguenza vanno dichiarati inammissibili.

L’esame dei ricorsi incidentali rimane assorbito.

Le spese del giudizio di legittimità vanno poste a carico dei ricorrenti principali sostanzialmente soccombenti.
P.Q.M.

La Corte, riuniti i ricorsi, dichiara inammissibili quelli principali e dichiara assorbiti quelli incidentali. Condanna i ricorrenti principali in solido al pagamento delle spese del giudizio di legittimità liquidate in Euro, per esborsi, oltre Euro 9.000,00 per onorario, ed oltre spese, I.V.A. e C.P.A..

Testo non ufficiale. La sola stampa del bollettino ufficiale ha carattere legale.

Cass. civ. Sez. I, Sent., 24-03-2011, n. 6850 Estinzione del processo

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Svolgimento del processo

La snc Impresa Edile Stradale di Gianni Mario e Marchetti Francesco e l’Impresa individuale Piantoni Giuseppe, costituivano un raggruppamento temporaneo di imprese al fine di partecipare alla gara per l’appalto dei lavori del primo piano generale attrezzature pubbliche urbane, indetta dal Comune di Calcio per l’importo complessivo di L. 1.253.031.491. La snc Marchetti veniva nominata capogruppo. Il 9 aprile del 1991, vinta la gara dall’ATI con un ribasso d’asta del 7,70%, fu stipulato il contratto di appalto.

In ordine all’esecuzione del contratto sorgeva controversia fra l’Impresa Edile Stradale e l’impresa Piantoni.

P.G., nella qualità di titolare di quest’ultima, conveniva davanti al tribunale di Bergamo la snc Impresa Edile Vigani e Marchetti chiedendone la condanna al pagamento delle seguenti somme:

A) L. 29.142.734 come differenza tra lo sconto riconosciuto dal P. al Comune appaltante e quello riconosciuto, in tesi andando contro gli accordi di associazione, dalla snc;

B) L. 15.892.515, quali interessi per il ritardo nei pagamenti subiti a seguito dell’inerzia della convenuta snc nei confronti del Comune di Calcio.

C) L. 21.672.791 a titolo di differenza fra quanto percepito dalla convenuta (L. 910.710.455) e quanto corrisposto alla attrice impresa individuale (L 879.037.664);

D) L. 60.609.612 per non avere la convenuta, a dire dell’attrice impresa individuale, inserito nel conto finale le riserve riguardanti gli stati di avanzamento e le liquidazioni che invece essa attrice pretendeva.

Si costituiva la Impresa Edile stradale convenuta e chiedeva il rigetto della domanda, proponendo riconvenzionale di risarcimento dei danni che quantificava in L. 17.393.434. Sosteneva che l’attrice aveva eseguito i lavori con difetti ai quali essa convenuta aveva dovuto porre rimedio.

Il Tribunale condannava la convenuta a pagare all’Impresa Piantoni la somma di L. 214.218, oltre interessi legali, rigettando tutte le altre domande proposte da entrambe le parti. Compensava le spese di lite.

Sostanzialmente il primo giudice riteneva fondata soltanto la marginale domanda dell’attrice relativa alle riserve innanzi menzionate.

L’impresa Piantoni proponeva due distinti appelli. Il primo, in data 23 aprile 2002, notificandolo alla Edil Strade Presolana S.r.l., il quale dava luogo alla causa n. 385 del 2002. Il secondo, in data 12 luglio del 2002, notificandolo alla Edil Strade Vigani S.r.l., già Edil Strade Presolana S.r.l., già Vigani e Marchetti S.r.l., già Impresa Edile Stradale Vigani Mario e Marchetti Francesco snc. Detto ultimo appello dava luogo alla causa n. 694 del 2002.

Il difensore dell’appellante Impresa Piantoni, inoltre, dopo di aver notificato l’appello alla Edil Strade Presolana s.r.l. (causa n. 385 del 2002), scriveva una lettera alla medesima,con la quale, facendo presente che essa era stata erroneamente convenuta in giudizio, dichiarava di rinunciare agli atti del medesimo e la invitava a non costituirsi.

Nessuno compariva alla prima udienza la quale veniva rinviata ad una successiva udienza ai sensi dell’art. 348 c.p.c., nella quale invece si costituiva l’Impresa Edile Stradale Vigani S.r.l. che, pur facendo presente di avere a suo tempo incorporato la Edil Presolana S.r.l., eccepiva la propria carenza di legittimazione passiva in quanto la predetta Edil Presolana non era mai stata parte in alcuna fase del giudizio di cui si trattava, iniziato dalla Impresa Piantoni.

La Corte d’appello di Brescia,pertanto,riunite le cause, con sentenza dichiarava l’estinzione del processo n. 385 del 2002 rilevando che, al momento in cui la rinuncia agli atti del giudizio di appello era stata comunicata, la convenuta S.r.l. Edil Presolana non si era costituita e non aveva alcun interesse alla prosecuzione del giudizio. Riteneva pertanto che nella specie non fosse necessaria l’accettazione della rinuncia,non avendo la convenuta Presolana proposto alcuna domanda di merito. Quanto alla causa numero 694 del 2002, e dunque all’appello notificato alla Edil Strade Vigani S.r.l., la Corte disattendeva anzitutto l’eccezione, da questa preliminarmente avanzata, di carenza di legittimazione passiva.

Rilevava infatti che l’appellante aveva convenuto in giudizio la società ultima derivante dalla trasformazione della società che era stata parte nel giudizio di primo grado. E che l’appellata non era andata oltre una mera affermazione, sprovvista di alcuna allegazione.

Riteneva quindi che nel caso di raggruppamento di imprese, benchè il rapporto contrattuale esterno si crei solo tra la capogruppo, mandataria con rappresentanza, e l’ente pubblico appaltante, all’interno tuttavia le imprese mandanti possono pattuire condizioni specifiche particolari, anche diverse rispetto a quelle risultanti dal contratto stipulato dalla mandataria capogruppo. Riteneva, tuttavia, sulla base della documentazione prodotta dall’appellante, che l’Impresa Piantoni si era obbligata ad eseguire i lavori solo ed esclusivamente nei limiti di un ribasso d’asta contenuto del 4,50%.

Pertanto, avendo la mandataria snc praticato un più alto ribasso, nella misura del 7,70%, la Piantoni, benchè vincolata all’esterno ad eseguire i lavori alle predette condizioni, aveva diritto, in base al rapporto interno, a vedersi corrispondere la richiesta differenza.

Conseguentemente condannava l’appellata al pagamento in favore dell’appellante della somma di Euro 14.527,52 oltre agli interessi, al titolo appena precisato.

Riteneva quindi inammissibile la domanda dell’appellante basata su una pretesa inerzia della appellata nel richiedere all’appaltante i dovuti pagamenti, per la ragione che l’appellante non aveva contestato una specifica delle ragioni di rigetto di detta pretesa adottate dal primo giudice, nella specie consistente nella circostanza secondo la quale, essendo stato il s.a.l. emesse la prima volta il 10 ottobre 1992, già dal 15 febbraio successivo, la Vigani, congiuntamente alla Piantoni, aveva inviato lettera di costituzione in mora. Dichiarava pure inammissibile l’ulteriore motivo di appello relativo alla prova del pattuito limite al ribasso d’asta, giacchè sul punto l’appellante non aveva argomentato a fronte dell’accertamento effettuato dal Tribunale ed adeguatamente motivato.

Rigettava l’appello incidentale in quanto non argomentato neppure esso.

Ricorre per Cassazione con atto articolato su due motivi la srl Impresa Edile Stradale Vigani.

Resiste e spiega ricorso incidentale la Impresa Edile Giuseppe Piantoni, con atto articolato su tre emotivi.
Motivi della decisione

Va disposta la riunione del ricorso principale e di quello incidentale, ai sensi dell’art. 335 c.p.c..

Con il primo motivo del suo ricorso s.r.l. Edil Strade Vigani lamenta la violazione agli artt. 306 e 105 c.p.c. Sostiene che la Corte d’appello di Brescia ha erroneamente dichiarato estinto il giudizio rubricato al n. 385/2002, ritenendo valida la rinuncia agli atti inviata dal difensore della impresa edile Giuseppe Piantoni alla Edil Strade Presolana, per la ragione che, non essendo questa costituita, non era necessaria la sua accettazione.

1.a. Il motivo è infondato. L’art. 306 c.p.c. stabilisce che il processo si estingue per rinuncia agli atti del giudizio, quando questa è accettata dalle parti costituite che potrebbero avere interesse alla prosecuzione, il fondamento del diritto ad accettare la rinuncia, ovvero di quello, opposto, a non accettarla, sta nell’essere parte costituita nel giudizio. Non già di avere un interesse, posto pure che esso esista, alla partecipazione al giudizio, come ritiene il ricorrente. In alcun modo poteva dal giudice del merito riconoscersi siffatta posizione e la conseguente legittimazione all’intervenuta Edil Strade, oggi ricorrente, benchè questa fosse in base alla sua prospettazione, titolare di un interesse dipendente da quello dedotto in giudizio, giacchè essa era carente della posizione prevista dalla legge, ovvero di parte, convenuta e costituita.

E’ appena il caso di soggiungere che la condivisibile giurisprudenza richiamata dalla ricorrente, relativa alla disciplina dell’intervento adesivo, autonomo ovvero dipendente, non soccorre la tesi del medesimo. Ciò che rileva nella fattispecie definita dall’art. 306 c.p.c. è l’attualità dell’interesse processuale, attualità che soltanto la posizione di parte convenuta, alla quale dunque si richiede uno specifico bene nella vita, può legittimare ad un atto di disposizione quale è l’accettazione, ovvero il rifiuto, della rinuncia ad un giudizio sul relativo titolo.

2. Con il secondo motivo del suo atto la ricorrente lamenta che con motivazione del tutto inadeguata la Corte di merito, in accoglimento parziale dell’appello proposto dalla Impresa Edile Piantoni, ha riconosciuto la fondatezza della pretesa al pagamento della differenza fra quanto corrisposto dal Comune di Calcio in applicazione del ribasso d’asta del 7,70%, e la diversa remunerazione che, sempre secondo la corte di merito, sarebbe stata pattuita fra le parti. La ricorrente sostiene che la motivazione adottata è frutto di una distorta interpretazione della clausola contrattuale di cui si tratta, contenuta nella convenzione che le parti hanno tra loro stipulato successivamente alla costituzione dell’Ati. Il motivo quindi riporta la clausola di cui si tratta e ne evidenzia gli aspetti che, a suo dire, comproverebbero l’erroneità dell’interpretazione fornita dal giudice del merito.

2.a. Il motivo è inammissibile giacchè tende ad introdurre nella fase di legittimità l’esame di una questione di merito, quale è l’interpretazione di un negozio di diritto privato che nel caso in esame è stata effettuata dal giudice del merito con motivazione pienamente adeguata. La corte di merito rileva che l’impresa Piantoni si era obbligata ad eseguire i lavori solo ed esclusivamente nei limiti di un ribasso contenuto nella misura del 4/50%.

Rileva come inconsistente, con motivazione contestata in questa sede, l’obiezione della avvenuta produzione in secondo grado soltanto del documento riportante tale pattuizione, giacchè, trattandosi di prova precostituita, essa poteva per la prima volta essere prodotta per l’appunto in grado di appello. Rileva che la convenzione di cui si tratta, sottoscritta, dice il giudice del merito, anche dall’odierna ricorrente, è successiva alla costituzione del raggruppamento di imprese (cosicchè essa inevitabilmente teneva conto delle ragioni per le quali il raggruppamento era stato costituito e degli interessi economici da regolare nella realizzazione dell’appalto di cui si tratta.

Osserva inoltre il giudice del merito (foglio 11 della sentenza) che, come si evince dall’atto introduttivo del primo giudizio, l’appellante aveva sempre richiesto la differenza fra "quanto praticato dall’appellata e quanto pattuito". Confermando dunque con il suo comportamento la predetta,ritenuta, comune intenzione delle parti contraenti.

Tutto ciò dunque, giova ripetere, da conto del percorso logico seguito dal giudice del merito e non fa emergere alcun vizio di contraddittorietà o di illogicità. 3. E’ inammissibile il primo motivo del ricorso incidentale con il quale l’Impresa edile Giuseppe Piantoni lamenta la ritenuta inammissibilità, a sua volta, del secondo motivo di appello, relativo alla richiesta di risarcimento per la ritardata liquidazione del saldo. La Corte di merito infatti non ha esaminato il motivo di appello in questione ritenendolo inammissibile, perchè ha chiarito che al di là della fondatezza o meno del medesimo, in ogni caso l’appellante non aveva speso una parola per contestare l’altra, concorrente ratio decidendi adottata dal primo giudice sul punto in questione, costituite dalla circostanza, appunto valorizzata dalla sentenza del Tribunale, secondo la quale essendo stato il s.a.l. emesso per la prima volta il 10 ottobre 1992, sin dal 15 febbraio 1993 la Vigani, congiuntamente alla Piantoni, aveva inviato una lettera di costituzione in mora. Circostanza questa, aggiunge la corte di merito, come si è in precedenza narrato, che ex se escludeva la lamentata inerzia in capo alla convenuta, poi appellata.

La doglianza in esame dunque non identifica e non prende di mira la ratio sulla quale, a sua volta,la criticata statuizione della Corte di merito è stata emessa, ovvero la affermata mancata contestazione di una specifica statuizione del primo giudice.

4. Con il secondo motivo del suo ricorso incidentale l’Impresa Piantoni lamenta la violazione dell’art. 360 c.p.c., n. 5, in relazione al punto della sentenza della Corte bresciana laddove essa ha mancato di accogliere il terzo motivo dell’appello, relativo questo alla richiesta di pagamento delle differenze fra quanto pattuito fra le parti per l’esecuzione dei lavori, ovvero L. 910.710.455, e la minor somma riconosciuta, ovvero L. 679.037.664.

Sostiene che la Corte non ha proceduto come avrebbe dovuto ad un riesame delle prove documentali e testimoniali come ad essa richiesto omettendo ogni motivazione sul punto.

4.a. Il motivo è inammissibile, come inammissibile era stato dichiarato il motivo di appello al quale il ricorrente incidentale oggi fa riferimento. La Corte di merito ha rilevato che il Tribunale ha esaminato la contabilità fornita dalla impresa Piantoni e le dichiarazioni rese dalla signora P.R., ed ha rilevato la genericità della critica fornita dall’appellante alla valutazione delle prove stesse. La Corte di Brescia peraltro rileva che mentre il primo giudice ha preso in considerazione tutto ciò che gli è stato offerto e che se non ha esaminato la convenzione del 12 dicembre 1990 ciò dipese semplicemente dal fatto che essa non era mai stata prodotta, la censura avverso tale capo della sentenza di primo grado è del tutto generica.

Scrive la sentenza oggi impugnata che l’appellante non ha proposto una sola parola di censura avverso l’iter argomentativo del primo giudice. Dunque correttamente il secondo giudice ha dichiarato inammissibile una censura generica e la stessa, con la medesima caratteristica di genericità, viene oggi avanzata davanti a questa Corte.

5. E’ inammissibile anche l’ultimo motivo del ricorso incidentale con il quale l’impresa Piantoni lamenta ancora la violazione dell’art. 360 c.p.c., n. 5 in relazione al mancato accoglimento del quarto motivo di appello, a sua volta riguardante la domanda di pagamento dell’importo di L. 60.609.612 per aver eseguito, essa Impresa, quali varianti in corso di esecuzione d’opera, altri lavori che la capogruppo avrebbe dovuto formalmente comunicare al Comune affinchè fossero contabilizzati nella liquidazione finale. La ricorrente incidentale lamenta oggi, come ha fatto in secondo grado, la carenza e la contraddittorietà della motivazione del giudice che ha respinto una sua domanda, tuttavia nemmeno oggi indica le ragioni per le quali il giudice di merito avrebbe dovuto accoglierla.

6. I due ricorsi vanno complessivamente rigettati. La soccombenza reciproca giustifica la compensazione delle spese di questa fase.
P.Q.M.

La Corte riunisce i ricorsi e li rigetta. Compensa le spese del giudizio.

Testo non ufficiale. La sola stampa del bollettino ufficiale ha carattere legale.

Cass. pen. Sez. V, Sent., (ud. 11-01-2011) 28-02-2011, n. 7601

Sentenza scelta dal dott. Domenico Cirasole direttore del sito giuridico http://www.gadit.it/

Svolgimento del processo

1. Il Tribunale di Genova in funzione di Giudice del Riesame, con ordinanza del 22 ottobre 2010, ha confermato l’ordinanza del 27 settembre 2010 del GIP del Tribunale di Sanremo con la quale, nell’ambito del procedimento penale a carico di O.S. per il delitto di cui all’art. 612 bis c.p., era stata applicata la misura cautelare personale di cui all’art. 282 ter c.p.p. del divieto di avvicinamento ai luoghi frequentati dalla persona offesa S. B..

2. Avverso tale ordinanza ha proposto ricorso per cassazione l’imputato, a mezzo del proprio difensore, lamentando quale unico motivo una violazione di legge, ex art. 606 c.p.p., lett. b), con particolare riferimento alla sussistenza del contestato delitto di cui all’art. 612 bis c.p..
Motivi della decisione

1. Il ricorso è, chiaramente, da rigettare.

2. In punto di diritto, giova premettere come questa Corte abbia ripetutamente affermato che, ai fini della sussistenza del reato di cui all’art. 612 bis c.p., le condotte di minaccia o molestia debbano essere "reiterate", sì da cagionare un perdurante e grave stato di ansia o di paura nella vittima ovvero un fondato timore per la propria incolumità o per quella di persone vicine o, infine, costringere la parte lesa a modificare le sue abitudini di vita (v. da ultimo, Cass. Sez. 5^ 22 giugno 2010 n. 34015).

Il termine "reiterare" denota, in sostanza, la ripetizione di una condotta una seconda volta ovvero più volte con insistenza.

Se ne deve evincere, dunque, che anche due condotte siano sufficienti a concretare quella reiterazione cui la norma subordina la configurazione della materialità del reato.

In fatto, questa volta, nel caso di specie dall’incontestata enunciazione dello svolgimento dei fatti contenuta nel provvedimento impugnato si evince come gli atti di molestia e minacce, benchè contenuti nell’arco di tempo di pochi giorni (20-22 luglio 2010), siano stati in ogni caso reiterati, a partire da telefonate e poi dall’appostamento sotto la casa del padre della parte lesa nonchè dall’ulteriore molestia attraverso il citofono dell’abitazione e ancora mediante conversazione telefonica.

La pretesa mancanza di contenuto molesto o minatorio, in quanto posto in essere dall’imputato, risulta, inoltre, smentita dal contenuto dell’annotazione di servizio della Polizia del 20 luglio 2010 nonchè dalla relazione dei Servizi Sociali del successivo 10 agosto 2010 dai quali esce rafforzata la considerazione in merito alla sussistenza dei gravi indizi di colpevolezza del reato ascritto.

3. Il ricorso, in conclusione, deve essere rigettato e il ricorrente condannato al pagamento delle spese processuali.
P.Q.M.

La Corte, rigetta il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali.

Testo non ufficiale. La sola stampa del bollettino ufficiale ha carattere legale.

Cass. pen. Sez. IV, Sent., (ud. 25-02-2011) 15-03-2011, n. 10497 misure cautelari

Sentenza scelta dal dott. Domenico Cirasole direttore del sito giuridico http://www.gadit.it/

Svolgimento del processo

Con ordinanza in data 26 novembre 2010 il Tribunale di Ancona rigettava la richiesta di riesame proposta nell’interesse di P. L. avverso l’ordinanza in data 15.11.2010 del G.I.P. del Tribunale di Ancona che le applicava la misura cautelare degli arresti domiciliari.

P.L. era indagata in ordine al reato di cui al D.P.R. n. 309 del 1990, art. 73 per avere ceduto a F.A. due dosi di eroina, una delle quali ne causava il decesso e in ordine al reato di cui all’art. 586 in relazione all’art. 589 c.p. perchè, mediante la condotta di cui al capo a) ed essendo a conoscenza del fatto che F.A. era al termine di un periodo di astinenza forzata, causava la morte dello stesso per "overdose".

Avverso tale provvedimento del tribunale del riesame P.L. personalmente proponeva ricorso per Cassazione e concludeva chiedendone l’annullamento senza rinvio e la sua conseguente immediata liberazione, in subordine l’annullamento con rinvio, con ogni consequenziale provvedimento.
Motivi della decisione

P.L. censurava l’impugnato provvedimento del Tribunale del riesame del 26 novembre 2010 per i seguenti motivi:

1) art. 606 c.p.p., lett. c): violazione dell’art. 63 c.p.p. e art. 64 c.p.p., comma 3 bis. Secondo la ricorrente l’interrogatorio da lei reso in data 13.10.2010, tre giorni prima dell’emissione del titolo restrittivo in oggetto, davanti ai Carabinieri di Ancona era assolutamente inutilizzabile per violazione degli artt. 63 e 64 c.p.p., in quanto, al momento in cui fu reso tale interrogatorio, la stessa già rivestiva la posizione di persona sottoposta alle indagini e, in tale qualità, doveva essere sentita. In seguito alle sue dichiarazioni da cui emergevano indizi di reità, l’autorità procedente aveva interrotto l’esame e l’aveva invitata a nominare un difensore, ma non le aveva dato alcun avvertimento che, a seguito di tali dichiarazioni, avrebbero potuto svolgersi indagini nei suoi confronti. Gli agenti operanti avevano quindi ripreso l’interrogatorio senza darle gli avvisi previsti dall’art. 64 c.p.p..

Secondo la ricorrente inoltre neppure era condivisibile l’assunto del tribunale del riesame, il quale aveva ritenuto il vizio in questione rientrante tra le nullità di ordine generale a regime intermedio, soggette alla sanatoria di cui agli artt. 181 e 182 c.p.p.. Rilevava sul punto la ricorrente che la L. n. 63 del 2001 aveva profondamente modificato la struttura dell’art. 64 c.p.p., modificando il comma 3 ed inserendo il comma 3 bis, nel quale appunto veniva sancita l’inutilizzabilità assoluta dell’atto assunto senza le garanzie indicate nei precedenti commi.

2) Art. 606 c.p.p., lett. e): vizio di motivazione in ordine alla sussistenza dei gravi indizi di colpevolezza. Secondo la ricorrente, una volta dichiarata l’inutilizzabilità del verbale dell’interrogatorio sopra indicato, gli elementi probatori residui offrirebbero un quadro indiziario non più grave ed univoco, ma labile e incerto, essendo assolutamente incerta l’attendibilità dei soggetti escussi, che peraltro non hanno assistito alla cessione, i quali sono tutti gravitanti nell’ambiente dei tossicodipendenti e potrebbero avere interessi a rendere dichiarazioni per sviare da sè le indagini.

3) Art. 606 c.p.p., lett. e): vizio di motivazione in relazione alle esigenze cautelari. Rilevava sul punto la ricorrente che neppure sussistono esigenze cautelari, atteso che, per quanto attiene al pericolo di inquinamento delle prove, tale esigenza cautelare sarebbe stata già ampiamente compromessa dall’eco mediatico che la vicenda di cui è processo ha avuto sui quotidiani locali. Inoltre la ricorrente, se avesse voluto avvertire qualcuno relativamente alle indagini, avrebbe potuto farlo in considerazione del lasso di tempo intercorso tra l’interrogatorio e l’adozione della misura cautelare.

4) Art. 606, lett. b) ed e): erronea applicazione dell’art. 275 c.p.p., comma 2 bis in merito alla valutazione nell’adozione della misura cautelare della concedibilità in astratto del beneficio della sospensione condizionale della pena, non avendo sul punto il tribunale del riesame fornito alcuna motivazione. Osserva la Corte di Cassazione che il primo motivo di ricorso è fondato.

Il Tribunale del riesame sostiene la tesi che, nell’interrogatorio di cui sopra, la violazione delle garanzie difensive di cui agli artt. 64 e 350 c.p.p. costituirebbe nullità di ordine generale non assoluta (in quanto non rientrante nella tassativa elencazione di cui all’art. 179 c.p.p.), bensì a regime intermedio, come tale rilevabile nei termini di cui all’art. 182 c.p.p., comma 2 e soggetta alla sanatoria di cui all’art. 183 c.p.p.. Tale nullità, considerata la presenza del difensore nell’interrogatorio in questione, avrebbe dovuto essere eccepita prima del compimento dell’atto o subito dopo (quindi prima che venisse dichiarato chiuso il verbale di interrogatorio) e non già nella memoria integrativa all’istanza di riesame della misura cautelare in atto. Al fine di sostenere tale prospettazione fa riferimento alla sentenza di questa Corte, Sez. 1, n. 4242 del 20.06.1997, Rv. 208597, che, tuttavia, è anteriore alla sostituzione dell’art. 64 c.p.p., comma 3 con gli attuali commi 3 e 3 bis cod.proc.pen. ad opera della L. 1 marzo 2001, n. 63, art. 2, ove è prevista la sanzione dell’inutilizzabilità delle dichiarazioni rese dalla persona interrogata in caso di inosservanza delle disposizioni di cui all’art. 64, comma 3, lett. a) e b). Tanto premesso si osserva che secondo la giurisprudenza più recente di questa Corte (cfr., tra le altre, Cass., Sez. 6, Sent. n. 25456 del 4.03.2009, Rv. 244589; Cass., Sez. 3, Sent. n. 35372 del 23.05.2007, Rv. 237412) non possono essere legittimamente utilizzati ai fini della decisione, neanche a seguito di accordo delle parti per la loro acquisizione al fascicolo del dibattimento, atti contenuti nel fascicolo del P.M. affetti da inutilizzabilità c.d. "patologica" per essere stati assunti in violazione del principio di garanzia espresso dall’art. 63 c.p.p.. L’interrogatorio reso dalla P. in data 13 ottobre 2010 è quindi inutilizzabile. Peraltro il provvedimento impugnato evidenzia chiaramente i gravi indizi che sussistono a carico dell’indagata, anche prescindendo dalle dichiarazioni dalla stessa rese nell’interrogatorio di cui sopra, con particolare riferimento al verbale di sommarie informazioni rese da M. G. in merito all’incontro avvenuto con P.L. presso l’abitazione della stessa e con V.M. e C. S., nel corso del quale la P. avrebbe confidato ai tre di essere seriamente preoccupata perchè aveva saputo della morte del F. in seguito ad un overdose e sospettava che la dose di eroina che aveva provocato il decesso dell’uomo fosse proprio quella che gli aveva venduto il 23.09.2010. Il provvedimento impugnato evidenziava poi le risultanze dei tabulati del F. che rivelavano chiamate effettuate da quest’ultimo a P.L. il 23.09.2010, giorno della cessione dello stupefacente e la conversazione via chat che il F. ebbe,alle ore 20,30 di quello stesso giorno, con T.S., che ha riferito tale circostanza ai Carabinieri, la quale, avendo saputo dell’intenzione del F., di acquistare l’eroina, aveva cercato di dissuaderlo, sapendo che egli si trovava in un periodo di assistenza, circostanza che era ben conosciuta da P.L..

Tali elementi dettagliatamente indicati sono indicativi della circostanza che il requisito della gravita indiziaria resiste nonostante la inutilizzabilità dell’interrogatorio di cui sopra.

Anche la motivazione relativa alle esigenze cautelari è logica e congrua, essendo assolutamente condivisibile l’assunto del Tribunale del riesame circa il concreto ed apprezzabile rischio di reiterazione di reati in materia di stupefacenti, non potendosi ritenere occasionale la condotta dell’indagata che appare ben inserita in un contesto di persone dedite al traffico di sostanze stupefacenti.

Il ricorso deve essere quindi rigettato e la ricorrente condannata al pagamento delle spese processuali.
P.Q.M.

Rigetta il ricorso e condanna la ricorrente al pagamento delle spese processuali.

Testo non ufficiale. La sola stampa del bollettino ufficiale ha carattere legale.