T.A.R. Lazio Roma Sez. I, Sent., 17-01-2011, n. 350 Competenza e giurisdizione

Sentenza scelta dal dott. Domenico Cirasole direttore del sito giuridico http://www.gadit.it/

Svolgimento del processo

Con ricorso notificato in data 28 giugno 2007, depositato il successivo 11 luglio, il ricorrente impugna il provvedimento del 10 maggio 2006, con il quale la Commissione per l’esame teoricopratico di concorso per la nomina a notaio, indetto con DD 1 settembre 2004, lo ha dichiarato non idoneo alla prova scritta.

Il ricorrente precisa che la Commissione – che nella seduta del 19 novembre 2005 aveva definito i criteri generali in base ai quali sarebbero stati dichiarati non idonei gli elaborati – ha ritenuto "non idoneo" il suo elaborato afferente alla prova "atto tra vivi", assumendo che egli "avrebbe completamente travisato la traccia in quanto il ricorso alla garanzia ipotecaria non sarebbe stato motivato in maniera adeguata e convincente nella parte teorica e si porrebbe in contrasto con gli interessi delle parti" ed inoltre che "il ricorrente non avrebbe proceduto alla conferma della donazione non spiegando il perché nella parte teorica".

Vemngono proposti i seguenti motivi di ricorso:

violazione dell’art. 11, comma 5, d. lgs. 24 aprile 2006 n. 166; eccesso di potere per violazione e travisamento dei presupposti; per travisamento del fatto e manifesta illogicità della motivazione; violazione e falsa applicazione art. 2744 c.c.; poiché la Commissione ha violato i limiti da essa stessa posti al proprio giudizio con i criteri di valutazione predeterminati, ed in particolare:

a) il terzo criterio, poiché il candidato non avrebbe spiegato, nella parte teorica, la mancata convalida della donazione nulla, laddove "tale spiegazione è ben presente" (v. pag. 12 ric.);

b) il primo criterio, avendo la Commissione ritenuto sussistente il "travisamento della traccia", mentre essa invece ha "più volgarmente espresso un’opinione giuridica diversa da quella del candidato";

c) infine la Commissione è incorsa nella "violazione dei principi scientifici unanimemente riconosciuti", poiché "mentre la spiegazione teorica del ricorrente è conforme ai principi di diritto conclamati da dottrina e giurisprudenza, in base a tali principi la Commissione ha preteso dai candidati una scelta giuridica che avrebbe importato responsabilità del notaio ai sensi dell’art. 76 l. 16 febbraio 1913 n. 89".

Con ordinanza 25 luglio 2007 n. 3770 (poi confermata dal Consiglio di Stato, sez. IV, n. 5556/2007), questo Tribunale ha rigettato la domanda di misure cautelari.

Si è costituito in giudizio il Ministero della giustizia, che ha concluso per il rigetto del ricorso, stante la sua infondatezza. In particolare, l’amministrazione rileva come "piuttosto che denunziare la presenza, nell’operato della Commissione, di puntuali profili di illogicità manifesta o di travisamento", i motivi di ricorso si traducono "in una richiesta di valutazione diretta da parte del giudice della bontà del tema, con l’evidente quanto inammissibile effetto di promuovere una sostituzione dell’autorità giurisdizionale all’organo amministrativo appositamente competente".

All’odierna udienza, la causa è stata riservata in decisione.
Motivi della decisione

Il ricorso è infondato e deve essere, pertanto, respinto.

Come è noto, la giurisprudenza amministrativa ha affermato, per un verso, la sottoponibilità al sindacato giurisdizionale del giudice amministrativo anche delle valutazioni effettuate dalle commissioni di esame sulle prove dei candidati, per altro verso, ha ricercato i limiti di tale sindacato, consistenti in quello che è stato definito come "sindacato debole", estrinsecantesi, cioè, in un annullamento del giudizio cui consegua un obbligo di "nuova valutazione", demandato alla stessa commissione esaminatrice.

Tali giudizi costituiscono "atti di natura mista", come tali aventi una "duplice valenza", e cioè sia natura "provvedimentale", quanto all’ammissione o meno alla fase successiva della procedura; sia natura di "giudizio", circa la sufficienza della preparazione del candidato stesso al fine di detta ammissione (Cons. Stato, sez. VI, nn. 935/2008; 689/2008; 172/2006). Quanto a quest’ultimo profilo, si è affermato che "la commissione giudicatrice di concorso esprime un giudizio tecnico discrezionale caratterizzato da profili di puro merito… non sindacabile in sede di legittimità, salvo che risulti manifestamente viziato da illogicità, irragionevolezza, arbitrarietà o travisamento dei fatti" (Cons. Stato, sez. IV, n. 1237/2008).

Da ultimo, (Cons. St., sez. IV, 15 febbraio 2010, n. 835), si è affermato che le valutazioni espresse dalle commissioni giudicatrici in merito alle prove di concorso, seppure qualificabili quali analisi di fatti (correzione dell’elaborato del candidato con attribuzione di punteggio o giudizio), e non come ponderazione di interessi, costituiscono pur sempre espressione di ampia discrezionalità, finalizzata a stabilire in concreto l’idoneità tecnica e/o culturale, ovvero attitudinale, dei candidati. Tali valutazioni, quindi, non sono sindacabili dal giudice amministrativo, se non nei casi in cui sussistono elementi idonei ad evidenziarne uno sviamento logico od un errore di fatto, o, ancora, una contraddittorietà ictu oculi rilevabile.

Da ciò consegue che il giudicante non può ingerirsi negli ambiti riservati alla discrezionalità tecnica dell’organo valutatore e, quindi, sostituire il proprio giudizio a quello della commissione, se non nei casi in cui il giudizio si appalesi viziato sotto il profilo della logicità, vizio la cui sostanza non può essere confusa con l’adeguatezza della motivazione, ben potendo questa essere adeguata e sufficiente e tuttavia al tempo stesso illogica.

Anche la Cassazione (Sez. Un., n. 14893/2010, citata anche dal ricorrente nella memoria del 14 ottobre 2010) – premesso che "nessun problema è mai sorto con riguardo al controllo di legalità del giudice amministrativo sull’osservanza delle regole del procedimento" e tenuto conto della acquisizione della giurisprudenza amministrativa in ordine al proprio cd. "sindacato debole" sulle valutazione delle commissioni di esame – condivide che tale sindacato "senza giungere alla riserva di intangibilità del merito amministrativo, ben più che al controllo della mera coerenza logica della argomentazione (si qualifichi come) sindacato di attendibilità dei giudizi tecnici adottati, restando esclusa pertanto la possibilità di alcun intervento demolitorio sulle valutazioni attendibili ancorchè opinabili… con la conseguenza di vedere adottate, in perfetta conformità al ruolo debole del sindacato stesso, decisioni di annullamento "con ricorrezione" delle valutazioni delle commissioni esaminatrici affette da manifesta inattendibilità od implausibilità".

Tanto premesso, nel caso di specie, il Tribunale – come già affermato con la ordinanza cautelare, con motivazioni dalle quali non ritiene di doversi discostare – rileva che la motivazione del giudizio di non idoneità è sufficientemente articolata, con riferimento ad una pluralità di profili, e che non emergono contraddizioni tra essa ed i criteri generali previamente elaborati dalla medesima Commissione (criteri avverso i quali, peraltro, non sono avanzate specifiche doglianze).

Né il giudizio risulta icto oculi tale da evidenziare macroscopici errori e quindi manifesta illogicità o irragionevolezza della valutazione della Commissione.

Peraltro, il giudice amministrativo – in difetto di tali figure sintomatiche – non può sostituire la propria valutazione a quella della Commissione, attraverso l’esercizio di un sindacato giurisdizionale "forte" (invocato dal ricorrente: v. pag. 10 ric.), che, oltre che essere escluso dalla giurisprudenza amministrativa, si porrebbe inevitabilmente come ingerenza nella sfera propria dell’amministrazione (di "merito"), al contempo autoattribuendosi il giudice un sindacato che travalicherebbe i confini (di legittimità) impostigli dall’ordinamento.

Per le ragioni esposte, il ricorso deve essere respinto.

Sussistono giusti motivi per compensare tra le parti sperse, diritti ed onorari di giudizio.
P.Q.M.

definitivamente pronunciando sul ricorso proposto da S.M. (n. 6268/2007 r.g.), lo rigetta.

Compensa tra le parti spese, diritti ed onorari di giudizio.

Ordina che la presente sentenza sia eseguita dall’autorità amministrativa.

Così deciso in Roma nella camera di consiglio del giorno 27 ottobre 2010 con l’intervento dei magistrati:

Giorgio Giovannini, Presidente

Roberto Politi, Consigliere

Oberdan Forlenza, Consigliere, Estensore

Testo non ufficiale. La sola stampa del bollettino ufficiale ha carattere legale.

T.A.R. Campania Napoli Sez. VII, Sent., 28-01-2011, n. 524

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Svolgimento del processo
Con ricorso iscritto al n. 3362 dell’anno 1992, la parte ricorrente impugnava i provvedimenti indicati in epigrafe. A sostegno delle sue doglianze, premetteva:
– di essere proprietaria di un terreno in xxx alla via xxx n. 4, e di aver ricostruito alcuni cespiti rurali;
– che, in data 2/10/1991, il Sindaco ordinava la demolizione delle opere in questione, con provvedimento n. 91/1991;
– che, in data 3.12.1991, veniva adottata una nuova ordinanza, la n. 30/1992, con cui si ordinava la demolizione di altri presunti abusi (entrambe le ordinanze sono state impugnate dinanzi al Tar Campania);
– di aver presentato al Comune l’istanza di accertamento tecnico di conformità ex art. 13 l. 47/1985;
– che, tuttavia, prima che tale istanza fosse esaminata, veniva adottata l’ordinanza di demolizione in epigrafe.
Con ordinanza presidenziale n. 72/2010 veniva disposta l’acquisizione di documentati chiarimenti sui fatti che hanno determinato l’adozione del provvedimento impugnato, nonché su fatti e circostanze sopravvenuti (tra i quali istanze della parte privata, ulteriori provvedimenti eventualmente adottati dall’Amministrazione ed ulteriori gravami eventualmente proposti dalla parte privata).
Veniva pertanto depositata istanza di condono edilizio ai sensi della l. 724/1994, presentata dalla ricorrente in data 28.02.1995.
All’udienza del 13.01.2011, il ricorso è stato assunto in decisione.
Motivi della decisione
La parte ricorrente impugnava i provvedimenti in epigrafe per i seguenti motivi: 1) violazione dell’art. 13 l. 47/1985, atteso che – prima di ordinare la demolizione degli abusi – l’Amministrazione avrebbe dovuto decidere l’istanza ex art. 13; 2) violazione dell’art. 7 l. n. 241/90, attesa l’omessa comunicazione dell’avvio del procedimento; 3) violazione dell’art. 4 l. 241/1990, attesa la mancata individuazione del responsabile del procedimento; 4) violazione dell’art. 13 l. 47/1985, atteso che – prima di ordinare la demolizione degli abusi – l’Amministrazione avrebbe dovuto decidere l’istanza ex art. 13.
Il ricorso va dichiarato improcedibile.
Infatti, secondo l’orientamento giurisprudenziale seguito da questa Sezione, la presentazione dell’istanza di condono successivamente alla impugnazione dell’ordinanza di demolizione – o alla notifica del provvedimento di irrogazione delle altre sanzioni per gli abusi edilizi – produce l’effetto di rendere inefficace tale provvedimento e, quindi, improcedibile l’impugnazione stessa, per sopravvenuta carenza di interesse, in quanto il riesame dell’abusività dell’opera, sia pure al fine di verificarne la eventuale sanabilità, provocato da detta istanza, comporta la necessaria formazione di un nuovo provvedimento, esplicito od implicito (di accoglimento o di rigetto), che vale comunque a superare il provvedimento sanzionatorio oggetto dell’impugnativa (cfr. Cons. Stato, sez. V, 21 aprile 1997, n. 3563; sez. IV, 11 dicembre 1997, n. 1377; C.G.A. 27 maggio 1997, n. 187; T.A.R. Sicilia, sez. II, 5 ottobre 2001, n. 1392; T.A.R. Liguria, sez. II, 14 dicembre 2000, n. 1310; T.A.R. Toscana, sez. III, 18 dicembre 2001, n. 2024; T.A.R. Puglia, Bari, sez. II, 11 gennaio 2002, n. 154; T.A.R. Campania, Sez. IV, 25 maggio 2001, n. 2340, 11 dicembre 2002, n. 7994, 30 giugno 2003, n. 7902, 22 febbraio 2004, n. 1239, 13 settembre 2004, n. 11983).
Pertanto, il ricorso giurisdizionale avverso un provvedimento sanzionatorio, proposto anteriormente all’istanza di concessione in sanatoria, deve ritenersi improcedibile per sopravvenuta carenza di interesse, "spostandosi" l’interesse del responsabile dell’abuso edilizio dall’annullamento del provvedimento già adottato, all’eventuale annullamento del provvedimento (esplicito o implicito) di rigetto (T.A.R. Sicilia, Catania, Sez. II, 16 marzo 1991, n.67, Palermo, Sez. II, 16 marzo 2004, n. 499; T.A.R. Campania, Sez. IV, 24 settembre 2002, n. 5559, 22 febbraio 2003, n. 1310); in tal caso, l’Aministrazione dovrà emanare un nuovo provvedimento sanzionatorio, eventualmente di demolizione, con l’assegnazione di un nuovo termine per adempiere (T.A.R. Lazio, Latina, 28 novembre 2000, n. 826; T.A.R. Lazio, sez. II, 17 gennaio 2001, n. 230; T.A.R. Sicilia, Catania, Sez. I, 12 dicembre 2001, n. 2424; T.A.R. Puglia, Bari, sez. II, 11 gennaio 2002, n. 154; T.A.R. Emilia Romagna, sez. II, 11 giugno 2002, n. 857; T.A.R. Campania, sez. IV, 26 luglio 2002, n. 4399).
Orbene, siffatti principi possano applicarsi anche nel caso di presentazione di una domanda di condono edilizio, ai sensi della l. n. 724/1994, fatta eccezione per quelle fattispecie in cui manchino, in modo evidente, i presupposti per l’ammissibilità della domanda medesima.
Nel caso di specie, la domanda di condono risulta presentata entro il termine previsto dalla predetta legge; le opere in questione, inoltre, risultano realizzate anteriormente al termine stabilito dalla l. n. 724/1994.
Pertanto – ritenuto che sussistono i presupposti per l’esame, da parte del Comune, della domanda di condono edilizio presentata dal ricorrente e per l’adozione dei conseguenti atti, eventualmente anche a carattere sanzionatorio, in caso di rigetto dell’istanza – non resta al Collegio che dichiarare l’improcedibilità del ricorso, per sopravvenuta carenza di interesse.
Sussistono giusti motivi, attesa la peculiarità della questione, per compensare interamente tra le parti le spese del giudizio.
P.Q.M.
definitivamente pronunciando, disattesa e respinta ogni diversa istanza, domanda, deduzione ed eccezione, così provvede:
1. Dichiara improcedibile il ricorso n. 3362 dell’anno 1992;
2. Compensa integralmente le spese tra le parti.
Ordina che la presente sentenza sia eseguita dall’autorità amministrativa.
Così deciso in Napoli nella camera di consiglio del giorno 13 gennaio 2011 con l’intervento dei magistrati:
Salvatore Veneziano, Presidente
Michelangelo Maria Liguori, Consigliere
Guglielmo Passarelli Di Napoli, Primo Referendario, Estensore
Testo non ufficiale. La sola stampa del bollettino ufficiale ha carattere legale.

Tribunale Amministrativo Regionale per la Puglia – Lecce 1714/2008

Registro Dec.: 30/2009

Registro Generale: 1714/2008

Il Tribunale Amministrativo Regionale per la Puglia, Terza Sezione di Lecce, nelle persone dei signori Magistrati:

ANTONIO CAVALLARI Presidente

TOMMASO CAPITANIO Primo Referendario , relatore

SILVIA CATTANEO Referendario

ha pronunciato la seguente

SENTENZA

ex art. 21-bis della L. n. 1034/1971

nella Camera di Consiglio dell’8 Gennaio 2009

fonte: www.giustizia-amministrativa.it

Visto il ricorso n. 1714/2008 proposto da:

IMMOBILIARE PUGLIA SRL

in persona del legale rappresentante p.t.,

rappresentata e difesa dagli avv.

IDA MARIA DENTAMARO

ANGELO BRACCIODIETA

con domicilio eletto in LECCE

VIA IMBRIANI 24

presso lo studio dell’avv.

PIER LUIGI PORTALURI
contro

COMUNE DI CISTERNINO,

non costituito

per l’accertamento dell’illegittimità e, ove necessario, per l’annullamento

del silenzio formato ex art. 20, comma 9, D.P.R. n. 380/2001, sull’istanza di permesso di costruire presentata al Comune il 22.7.2008;

nonché per la conseguente condanna

dell’Amministrazione ad emettere il provvedimento richiesto.

Visti gli atti e i documenti depositati con il ricorso;

Udito il relatore, Primo Referendario Tommaso Capitanio, e udito, altresì, per la società ricorrente l’avv. Vantaggiato, in sostituzione degli avv.ti Dentamaro e Bracciodieta.

Considerato che:

* con memoria depositata in atti in data 7 gennaio 2009, i difensori della società ricorrente hanno comunicato che, dopo la proposizione del ricorso, il Comune di Cisternino ha adottato un provvedimento espresso (c.d. preavviso di diniego, ex art. 10-bis della L. n. 241/1990) sull’istanza di rilascio del permesso di costruire;
* ciò determina l’improcedibilità del ricorso, essendo venuto meno il silenzio-rifiuto della P.A.;
* le spese di giudizio, liquidate in dispositivo, debbono comunque essere poste a carico del Comune di Cisternino, non essendo giustificabile l’inerzia serbata dal civico ente sull’istanza di cui sopra.

P.Q.M.

Il Tribunale Amministrativo Regionale per la Puglia, Terza Sezione di Lecce, dichiara improcedibile il ricorso in epigrafe.

Condanna il Comune di Cisternino al pagamento in favore della società ricorrente delle spese di giudizio, che ritiene di liquidare in € 600,00 (seicento/00), oltre a IVA e CPA.

Ordina che la presente sentenza sia eseguita dall’Autorità Amministrativa.

Così deciso in Lecce, nella Camera di Consiglio dell’8 gennaio 2009.

Dott. Antonio Cavallari – Presidente

Dott. Tommaso Capitanio – Estensore

Pubblicato mediante deposito

in Segreteria il 13.01.2009

N.R.G. «1714/2008»

Fonte: www.giustizia-amministrativa.it

Cass. pen., sez. VI 18-12-2006 (09-11-2006), n. 41370 REATI CONTRO L’AMMINISTRAZIONE DELLA GIUSTIZIA – DELITTI CONTRO L’ATTIVITÀ GIUDIZIARIA – PATROCINIO O CONSULENZA INFEDELE- Pendenza del procedimento dinanzi all’autorità giudiziaria

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Fatto

Con la sentenza in epigrafe, la Corte di appello di Messina confermava la sentenza in data 4 giugno 2003 del Tribunale di Messina, appellata da A.C., condannato, con la condizionale, alla pena di mesi otto di reclusione ed Euro 500,00 di multa, oltre al risarcimento dei danni in favore della parte civile da liquidare in separata sede, in quanto responsabile del reato di cui all’art. 380 c.p., perchè, quale patrocinatore di R. F. in una causa promossa in data 8 marzo 1995 con azione revocatoria ex art. 2901 c.c. nei confronti di V.G., erede di M.A., e dell’Arcidiocesi di Messina, per la declaratoria di inefficacia nei suoi confronti di un atto di donazione in data 29 luglio 1994 con cui il M. aveva beneficiato la predetta Acidiocesi di un terreno sito in ?, rendendosi infedele ai suoi doveri professionali, costituiva con la parte avversa V.G. rapporti societari, aventi a oggetto l’acquisto e il trasferimento di immobili, arrecando un nocumento all’interesse del R. consistito nel fargli perdere le garanzie sul patrimonio immobiliare della V. e comunque rendendogli più difficoltosa l’azione su detti beni (in ?).

I giudici di appello, sulla base delle particolareggiate dichiarazioni della persona offesa nonchè di altre risultanze processuali, anche di natura documentale, accertavano in particolare che mentre era già in corso la causa civile promossa dal R. con il patrocinio dell’avv. A., quest’ultimo, d’intesa con la controparte V., aveva, in data 13 maggio 1996, trasferito il terreno oggetto della donazione e per il quale era in corso l’azione revocatoria alla società CM s.r.l., di cui era amministratore unico la segretaria dello studio del predetto legale, B.S..

Detta società aveva per oggetto la costruzione di fabbricati in Villafranca T., per la cui vendita era stata costituita in data 26 aprile 1996 altra società, la CMC s.r.l., di cui formalmente risultavano soci l’avv. A. al 10 per cento e B. S. al 90 per cento, mentre nella realtà quest’ultima quota faceva capo alla famiglia V.- M., come dichiarato dalla B..

Ciò posto, rilevava la Corte di appello che con tale condotta l’avv. A. aveva tradito il mandato ricevuto, con la finalità di favorire gli interessi della controparte oltre i propri, e che con l’avvenuto trasferimento del bene oggetto dell’azione revocatoria alla società CM, di cui era di fatto titolare l’avv. A., era stata vanificata la domanda del R., il quale avrebbe dovuto intraprendere una nuova azione revocatoria nei confronti sia dell’alienante sia della società acquirente.

Il tutto integrava gli elementi costitutivi del delitto contestato.

Ha proposto ricorso per Cassazione l’ A., con atto sottoscritto personalmente nonchè dal difensore avv. Adriana La Manna, con il quale si deduce:

1. Violazione dell’art. 380 c.p., per insussistenza del presupposto della collocabilità della condotta incriminata nell’ambito di un procedimento giudiziario.

Infatti all’imputato è stato contestato di essersi adoperato per realizzare il trasferimento del bene oggetto del giudizio civile a una società a lui riconducibile, il che non aveva nulla a che fare con le iniziative processuali di un patrocinatore nel corso del giudizio.

2. Vizio di motivazione in relazione all’art. 603 c.p.p..

La Corte di appello ha rigettato la richiesta difensiva di acquisizione degli atti del procedimento civile; mentre tale acquisizione sarebbe stata necessaria per stabilire l’incidenza della condotta contestata sulle sorti di quel giudizio e, quindi, la concreta offesa del bene giuridico tutelato, rappresentato dall’ordinato svolgimento della funzione giudiziaria.

3. Violazione dell’art. 157 c.p..

Posto che la condotta incriminata è consistita nel trasferimento per atto pubblico del bene oggetto del procedimento civile, è a quella data (13 maggio 1996) che si sarebbe realizzata la consumazione del reato e quindi avrebbe preso a decorrere il termine di prescrizione.

Al momento della decisione di appello erano decorsi da quella data nove anni, otto mesi e diciotto giorni; sicchè, pur tenendo conto delle sospensioni, il reato era già prescritto.

Diritto

Pur essendo il reato prescritto, come oltre si preciserà, il ricorso va esaminato ai fini degli effetti civili, a norma dell’art. 578 c.p.p..

1. Va in primo luogo osservato che la condotta contestata rientra appieno nel paradigma dell’art. 380 c.p..

Non è qui in discussione il consolidato, e comunque prevalente, orientamento giurisprudenziale e dottrinale per il quale la fattispecie di cui all’art. 380 c.p. configura un reato proprio, nel senso che soggetto attivo deve essere il "patrocinatore", qualità inscindibile dallo svolgimento di attività processuali, sicchè, ai fini della integrazione del reato in esame, non è sufficiente che un avvocato non adempia ai doveri scaturenti dall’accettazione di un qualsiasi incarico di natura legale, essendo necessaria, quale elemento costitutivo del reato, la pendenza di un procedimento nell’ambito del quale deve realizzarsi la violazione degli obblighi assunti con il mandato, poichè l’attività del patrono infedele è assunta per scelta del legislatore come lesiva dell’interesse tutelato solo nel momento dell’esercizio effettivo della giurisdizione (Sez. 6^, 21 ottobre 2004, Ariis; Sez. 6^, 28 marzo 2201, Achille; Sez. 6^, u.p. 19 maggio 1998, Bove; Sez. 6^, u.p. 8 luglio 1997, Chiaberti; Sez. 6^, u.p. 28 marzo 1995, Layne; Sez. 3^, u.p. 19 dicembre 1978, Abeatici).

Militano in tal senso diversi argomenti: in primo luogo, la lettera della norma, secondo la cui la condotta tipica è presa in considerazione in quanto si realizzi attraverso una assistenza o rappresentanza "dinanzi all’Autorità giudiziaria"; in secondo luogo, la nozione di patrocinatore – necessario soggetto attivo del reato – che non può assumere formale riconoscimento se non nell’ambito di una procedura giudiziaria; in terzo luogo, il bene tutelato dalla norma, che va individuato nell’interesse al regolare funzionamento della amministrazione della giustizia (che sarebbe pregiudicato da comportamenti sleali da parte dei patrocinatori), e solo accessoriamente (o, se si vuole, contestualmente) nell’interesse del cliente (v. in tal senso, Rel. Prog. Def., p. 177).

Ciò non significa, peraltro, che la condotta infedele del patrocinatore debba concretarsi necessariamente attraverso atti o comportamenti processuali, perchè ciò non è richiesto dalla lettera della norma, che si riferisce solo al fatto del patrocinatore che si rende "infedele ai suoi doveri professionali", e quindi a una condotta libera, eventualmente anche estrinsecantesi al di fuori del processo.

Ne è riprova la fattispecie aggravata considerata dal n. 1 del comma secondo, perfettamente attagliantesi al caso di specie (ma singolarmente non contestata in imputazione), che prevede che il fatto sia commesso "colludendo con la parte avversaria".

Il patrocinatore che realizzi, a latere del processo, le condizioni di fatto perchè il suo assistito non ottenga il risultato processuale auspicato è non meno colpevole di chi ometta volontariamente di svolgere le opportune iniziative processuali a sostegno delle ragioni del cliente.

Nel caso di specie, non è dubbio, nè è specificamente contestato, che il bene oggetto della garanzia patrimoniale, su cui si fondava l’azione di revocazione ex art. 2901 c.c. promossa dal R., sia stato in corso di causa alienato da parte avversa a una società facente capo all’avv. A., con conseguente perdita immediata, anche se non sicuramente irrimediabile, di tale garanzia, posto che, come esattamente rilevato dai giudici di merito, anche se l’alienazione del bene non era di norma efficace nei confronti dell’attore che avesse trascritto la domanda giudiziale (art. 2901 c.c., comma 4 e art. 2652 c.c., n. 5), essa comunque comportava per lui l’onere dell’esperimento di un nuovo giudizio, dall’esito incerto, nei confronti dell’alienante e dell’acquirente, con connesse spese legali e disagi morali (qui rilevanti ex art. 185 c.p.).

2. Nel presente procedimento penale non vi era necessità di acquisire gli atti del procedimento civile, una volta accertata la condotta criminosa dell’ A., immediatamente produttiva di una lesione del rapporto di fiducia intercorrente con il patrocinato e del conseguente nocumento agli interessi di questo.

Infatti, la sleale operazione di compravendita del bene ordita dall’imputato ha comportato per il R. un immediato danno, connesso alla esigenza di reimpostare ex novo la sua strategia processuale a seguito di questo fatto.

3. Ciò detto, poichè è con il trasferimento del bene, avvenuto il 13 maggio 1996, che il reato deve ritenersi essersi consumato, da tale data è ormai abbondantemente decorso il termine prescrizionale massimo di sette anni e sei mesi previsto, in ragione dei livelli sanzionatori ex art. 380 c.p., dall’art. 157 c.p., comma 1, n. 4 e art. 160 c.p., u.c..

Il termine suddetto cade il 13 novembre 2003 e, anche tenendo conto dei vari periodi in cui il corso della prescrizione è rimasto sospeso, a norma dell’art. 159 c.p., esso è spirato in data ampiamente antecedente al presente giorno.

La sentenza impugnata va dunque annullata senza rinvio stante l’intervenuta prescrizione del reato, ferme restando le statuizioni sugli interessi civili.

P.Q.M.

Annulla senza rinvio la sentenza impugnata per essere il reato estinto per prescrizione, ferme restando le statuizioni civili.

Testo non ufficiale. La sola stampa del bollettino ufficiale ha carattere legale.