Cass. civ. Sez. V, Sent., 20-01-2011, n. 1221

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Svolgimento del processo e motivi della decisione

La causa ha per oggetto i dinieghi di rimborsi IRPEG ed ILOR chiesti dal Consorzio Agrario Provinciale di Foggia in liquidazione per gli anni dal 1988 al 1994 e derivanti dal supero degli importi delle imposte trattenute d’acconto operate dagli istituti di credito rispetto all’ammontare delle imposte dovute. La C.T.P. di Foggia ha escluso per intervenuta decadenza il diritto al rimborso per gli anni 1991, 1993 (in parte) e 1994, e lo ha ritenuto sussistente per gli altri anni.

La C.T.R. della Puglia, premessa la natura di soggetto non esente del Consorzio in quanto società cooperativa, rilevato che i crediti di imposta erano stati evidenziati nelle dichiarazioni dei redditi, che non era necessaria nuova domanda di rimborso e conseguentemente non vi era decadenza, ma eventualmente solo prescrizione della quale non era decorso il relativo termine.

Con l’unico motivo del ricorso per cassazione l’Agenzia delle Entrate denunzia il vizio di ultrapetizione e la violazione del giudicato perchè la questione della non necessità della domanda di rimborso non era stata proposta con l’appello. Si è costituito con tempestivo controricorso il Consorzio ed ha anche depositato memoria.

Il motivo è inammissibile per la mancanza del quesito di diritto prescritto dall’art. 366 bis c.p.c., introdotto dalla L. n. 40 del 2006, applicabile alla fattispecie essendo la sentenza impugnata pubblicata dopo il primo marzo 2006. Insegnano le SS.UU. con sentenza n. 7258/2007 che: E’ inammissibile per violazione dell’art. 366 bis c.p.c., introdotto dal D.Lgs. n. 40 del 2006, art. 6, il ricorso per cassazione nel quale l’illustrazione dei singoli motivi non sìa accompagnata dalla formulazione di un esplicito quesito di diritto, tale da circoscrivere la pronuncia del giudice nei limiti di un accoglimento o un rigetto del quesito formulato dalla parte.

Le spese seguono la soccombenza e si liquidano nel dispositivo.

P.Q.M.

La Corte dichiara inammissibile il ricorso e condanna la ricorrente alle spese liquidate in Euro 7000, oltre Euro 100 di spese vive ed accessori di legge.

Testo non ufficiale. La sola stampa del bollettino ufficiale ha carattere legale.

Cass. pen. Sez. IV, Sent., (ud. 17-09-2010) 26-01-2011, n. 2609

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Svolgimento del processo

Con sentenza del 2/7/2009 il Gup presso il Tribunale di Brescia, pronunziando in sede di rinvio nei confronti di D.G.D., R.C. e Z.P., per il reato di cui agli artt. 110 e 572 c.p., art. 61 c.p., n. 9 ha dichiarato non doversi procedere in ordine al reato ascritto perchè il fatto non sussiste.

Il Procuratore Generale di Brescia ha proposto ricorso per cassazione per ottenere l’annullamento del provvedimento appena sopra menzionato. All’udienza camerale del 17/9/2010 il ricorso è stato deciso con il compimento degli incombenti imposti dal codice di rito.
Motivi della decisione

D.G., R. e Z. giudicati separatamente per il reato di cui agli artt. 110, 81 e 609 bis c.p., art. 609 septies c.p., comma 4, n. 3, art. 61 c.p., n. 9, addebitato per avere essi costretto e indotto, attraverso le condotte dettagliatamente a ciascuno attribuite nel capo di imputazione, la paziente psichiatrica D.N. (deceduta nelle more del processo), ospite della comunità protetta degli spedali civili di (OMISSIS), a compiere e subire atti sessuali abusando delle condizioni di inferiorità psichiatrica della predetta con l’aggravante dell’art. 61 c.p., n. 9, erano stati assolti con sentenza del Tribunale di Brescia del giorno 8/7/2008 per insussistenza del fatto addebitato. Gli stessi imputati, giudicati in sede di udienza preliminare a seguito di sentenza di annullamento 16/4/2007 per il reato previsto e punito dagli art. 110 e 572 c.p., art. 61 c.p., n. 9 ad essi addebitato perchè in concorso tra loro, i primi due nella loro qualità di infermieri professionali e la terza in qualità di educatrice professionale, con più azioni esecutive di un medesimo disegno criminoso, con violenza e mediante abuso di autorità, tutti svolgendo la propria attività professionale presso il Presidio di Comunità protetta del Dipartimento di salute mentale della Azienda ospedaliera Spedali Civili di (OMISSIS), maltrattavano con le condotte a ciascuno dettagliatamente addebitate al n. 2 del capo di imputazione, la paziente psichiatrica D.N. erano assolti perchè il fatto addebitato non sussiste. La sentenza del Gup presso il Tribunale di Brescia rilevato che le condotte contestate come maltrattamenti, con l’unica eccezione di un episodio di rovesciamento d’acqua ghiacciata sulla testa qualificato come scherzo, sono state realizzate nel medesimo contesto nel quale si verificarono le violenze sessuali, tali condotte, pur sussistendo come condotte materiali, sono da scriminare in relazione al particolare contesto nel quale si era sviluppato il rapporto tra paziente e operatori della comunità protetta, inteso dalla prima sentenza assolutoria come sorta di recita scherzosa alla quale partecipava pienamente consapevole e consenziente la paziente, inteso dalla sentenza impugnata come contesto integrante una nuova famiglia, trasferisce la formula assolutoria anche al reato di maltrattamenti.

Parte ricorrente denunzia.

Violazione dell’art. 627 c.p.p., comma 3. Utilizzazione illegittima di motivazione per relationem e mancanza di autonoma motivazione.

Questa Corte ritiene che il ricorso sia infondato posto che la sentenza del giudice di rinvio, collocandosi sulla linea tracciata dalla sentenza rescindente, ha adeguatamente motivato in ordine alla esistenza materiale dei fatti contestati e alla loro irrilevanza penale in ragione di un ritenuto contesto amicale e terapeutico nel quale i fatti si svolgevano. A sua volta la motivazione per relationem si è risolta in una recezione di dati e valutazioni che pure si appartengono al giudice di merito e contribuiscono a costruire una motivazione completa. L’accertamento di merito, coerente alle indicazioni contenute nella sentenza di rinvio, quali che siano i parametri valoriali che ne costituiscono il presupposto culturale, è compiuto e privo di contraddizioni sicchè non può essere richiesto al giudice di legittimità di sostituire ad esso un proprio non consentito accertamento di merito. Il ricorso del Procuratore Generale deve essere rigettato.
P.Q.M.

Rigetta il ricorso.

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Cass. civ. Sez. lavoro, Sent., 25-03-2011, n. 7013 Contributi

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Svolgimento del processo

Con la sentenza impugnata la Corte d’appello di Genova, modificando la statuizione di primo grado, all’esito di nuova CTU, rigettava la domanda proposta da C.C., A.L. e C. G. nei confronti dell’Inps per ottenere la rivalutazione del periodo contributivo per esposizione ad amianto, riferito al lavoro svolto presso l’Omsav. La Corte affermava di condividere le risultanze della nuova CTU, disposta considerando le difficoltà di verifica, trattandosi di realtà industriali dismesse. Con la nuova consulenza si era proceduto all’accertamento della soglia di esposizione di ciascun lavoratore facendo applicazione della formula usata dal Contarp, ossia utilizzando, per i valori di concentrazione per tipo di attività, il valore medio segnalato dalla banca dati Amyant presso l’Inail, data la impossibilità di rilevare in concreto i valori effettivi; il CTU inoltre aveva individuato le frequenze di esposizione calcolando i relativi tempi con riferimento a ciascuna lavorazione e con stime abbondanti. Sulla base di questi dati la esposizione media annua era risultata inferiore a quella prescritta dalla legge, mentre valutazioni diverse erano solamente ipotetiche perchè non suffragate da dati oggetti vi. Era poi irrilevante che l’Inail avesse riconosciuto la esposizione qualificata ad altri due dei lavoratori originari ricorrenti. Avverso detta sentenza i soccombenti ricorrono con tre motivi. L’Inps resiste con controricorso.
Motivi della decisione

1. Con il primo motivo e con denunzia di omessa, insufficiente e contraddittoria motivazione circa un fatto controverso decisivo per il giudizio (omessa motivazione in punto rinnovo della CTU già esperita in primo grado) la sentenza d’appello è censurata per aver disposto una nuova consulenza tecnica di ufficio senza alcuna giustificazione, posto che da quella svolta in primo grado emergevano tutti gli elementi di cognizione necessari per la verifica della personale esposizione a rischio dei ricorrenti e non erano stati introdotti elementi di fatto nuovi rispetto a quelli già valutati.

Il motivo non è fondato.

La sentenza impugnata da conto delle ragioni che avevano indotto la Corte territoriale a disporre la rinnovazione della CTU, per le difficoltà di accertamento in aziende dismesse.

Decisiva, comunque, è la considerazione che la consulenza tecnica non è un mezzo di prova, bensì (come riconoscono gli stessi ricorrenti) un mezzo istruttorio sottratto alla disponibilità delle parti e affidato al prudente apprezzamento del giudice, al quale spetta decidere sulla esaustività degli accertamenti già compiuti e valutare l’opportunità di disporre indagini tecniche suppletive o integrative di quelle già espletate, ovvero di sentire a chiarimenti il consulente, nonchè di procedere alla rinnovazione delle indagini con la nomina di altri consulenti; e l’esercizio di tale potere (così come il suo mancato esercizio) non può essere sindacato in sede di legittimità sotto il profilo del difetto di motivazione, salvo che l’esigenza di procedere a una nuova consulenza (o di chiamare il consulente a chiarimenti o, ancora, di effettuare accertamenti suppletivi o integrativi) sia stata segnalata dalle parti e il giudice non ritenga di accogliere la relativa istanza (vedi Cass. nn. 17906 del 2003, n. 5777 del 1998, 8611 del 1995,10972 del 1994).

2. Con il secondo motivo si denunzia ancora difetto di motivazione, per non avere la Corte affrontato la questione della imparzialità del CTU, risultando, da una lettera del consulente di parte degli attuali ricorrenti, che questi avrebbe in qualche modo paventato le conseguenze derivanti dall’accoglimento di un eccessivo numero di domande.

Neppure questo motivo è fondato.

In primo luogo non risulta che i ricorrenti abbiano fatto valere queste riserve in sede di appello tramite istanza di ricusazione ex artt. 51 e 63 cod. proc. civ., di talchè la Corte non era onerata di motivare sul sospetto del difetto di terzietà dell’ausiliare. In ogni caso non può dubitarsi della imparzialità del CTU, rispetto alle valutazioni da compiere (e poi espresse) con riferimento alla posizione lavorativa degli odierni ricorrenti, per il solo fatto che l’ausiliare tecnico avesse in qualche modo paventato le conseguenze di ordine politico-economico derivanti dal numero di domande (all’epoca) pendenti per il riconoscimento dei benefici previdenziali riconosciuti dalla L. n. 257 del 1992 ai lavoratori esposti all’amianto. E’ irrilevante, quindi, che la sentenza impugnata manchi di una espressa motivazione.

3. Con il terzo motivo si censura la sentenza per difetti di motivazione in relazione alle conclusioni della consulenza di secondo grado che la sentenza ha fatto proprie.

Ne rileva il fatto che per altri lavoratori sia stata riconosciuta la esistenza di esposizione oltre la soglia, perchè il CTU ha valutato, come doveva, ciascuna singola posizione lavorativa e su ciascuna ha espresso il suo parere, calcolando peraltro con stima abbondante i tempi e le frequenze dell’esposizione. Nè vi è obbligo stringente di porre a confronto le due consulenze di diverso segno, anche perchè non si espongono in ricorso i dati rilevanti della CTU di primo grado che sarebbero in palese contrasto con quella del secondo, tale da convincere sulla necessità di motivare la scelta dell’un elaborato invece dell’altro.

Quanto al fatto che il lieve margine di approssimazione per il superamento o no della soglia di legge avrebbe necessitato di espressa motivazione, si rileva che la sentenza ha rinviato integralmente alla CTU e quindi alle ragioni della decisione per ciascuno dei lavoratori, avendo il perito "tarato" l’accertamento sulla specifica posizione lavorativa. In ogni caso dall’avvenuta esposizione qualificata di un collega non è lecito inferire, in assenza di ulteriori circostanze precise, l’esposizione di altro lavoratore.

Infine appare significativo, a conferma della correttezza della sentenza, il fatto che agli attuali ricorrenti, a differenza che ad altri colleghi di lavoro, non è stata rilasciata l’attestazione da parte dell’Inail L. n. 179 del 2002, ex art. 18.

In definitiva, le censure di vizio di motivazione che i ricorrenti addebitano alla sentenza impugnata non evidenziano lacune o vizi logici del suo impianto motivazionale, tali da rendere la decisione priva di razionale giustificazione, ma si risolvono, per la gran parte, attraverso la messa in discussione dell’operato e delle conclusioni del CTU, in critiche strumentali a una revisione del merito del convincimento del giudice (che quelle conclusioni ha fatto proprie) e, per ciò stesso, devono ritenersi inammissibili, in quanto incompatibili con il sindacato di (sola) legittimità proprio del giudizio di cassazione.

In conclusione il ricorso è rigettato.

Non vi è luogo a condanna dei ricorrenti al pagamento delle spese del giudizio di cassazione ai sensi dell’art. 152 disp. art. c.p.c., nel testo anteriore alle modifiche apportate dal D.L. n. 269 del 2003 (conv. in L. n. 326 del 2003), nella specie inapplicabile ratione temporis.
P.Q.M.

La Corte rigetta il ricorso. Nulla per le spese.

Testo non ufficiale. La sola stampa del bollettino ufficiale ha carattere legale.

T.A.R. Lazio Roma Sez. III quater, Sent., 28-02-2011, n. 1838 Contratto di appalto

Sentenza scelta dal dott. Domenico Cirasole direttore del sito giuridico http://www.gadit.it/

Svolgimento del processo

Con il ricorso indicato in epigrafe l’istante, premesso che l’Università resistente aveva indetto un bando, pubblicato sulla G.U.R.I. n. 1 del 4.1.2010, per l’affidamento del servizio di ritiro, trasporto e smaltimento dei rifiuti pericolosi, speciali pericolosi e non pericolosi, liquidi e solidi e di noleggio e manutenzione di contenitori igienici per la raccolta e trasporto all’impianto di smaltimento degli assorbenti igienici prodotti nei complessi della stessa struttura, esponeva che nella seduta riservata del 15.6.2010 la Commissione aveva ritenuto che nell’offerta della ricorrente vi fossero elementi seri, oggettivi, precisi, univoci e concordanti con l’offerta presentata dalla Sameco s.r.l., tali da pregiudicare la correttezza della gara e conseguentemente pronunciava l’esclusione della ricorrente e della società Sameco dal procedimento di aggiudicazione.

Pertanto impugnava i predetti provvedimenti, deducendo i seguenti motivi:

– violazione dell’art. 38, comma 1, lett. m – quater, d.lgs. n. 163 del 2006, eccesso di potere per carenza di istruttoria, travisamento dei presupposti di fatto e di diritto e violazione dei principi di concorsualità, poichè la ricorrente era esclusa per collegamento sostanziale con altra impresa partecipante alla gara, non dichiarato in sede di domanda di partecipazione, in forza di tre elementi (identità di n. 10 pag. dei volumi contenenti l’offerta tecnica, orario di arrivo dei plichi contenenti le offerte e riferimento all’utilizzo di contenitori prodotti da Sameco nel progetto tecnico della G.), senza che questi possano essere ritenuti elementi univoci;

Si costituivano l’amministrazione e la controinteressata, eccependo preliminarmente l’inammissibilità ed irricevibilità del ricorso e chiedendo il rigetto della domanda.

All’udienza di discussione la causa era trattenuta in decisione.
Motivi della decisione

Osserva il Collegio che non occorre soffermarsi sulle eccezioni preliminari sollevate dalle parti resistenti, poiché il ricorso è infondato nel merito.

E’ noto che l’art. 38, comma 1, lett. m – quater del codice dei contratti pubblici dispone il divieto di partecipazione alle gare per i soggetti che si trovino in una situazione di controllo di cui all’art. 2359 c.c. o in una qualsiasi relazione, anche di fatto, "se la situazione di controllo o la relazione comporti che le offerte sono imputabili ad un unico centro decisionale". Peraltro, nella specie, il bando di gara richiedeva espressamente a pena di esclusione, una dichiarazione dell’impresa partecipante, di non trovarsi, rispetto ad altro partecipante "in una situazione di controllo di cui all’art. 2359 del codice civile o in una qualsiasi relazione, anche di fatto, se la situazione di controllo o la relazione comporti che le offerte siano imputabili ad un unico centro decisionale o alternativamente, di essere in una situazione di controllo di cui all’at. 2359 del codice civile e di aver formulato autonomamente l’offerta, con l’indicazione del concorrente con cui sussiste tale situazione".

La disciplina dei contratti pubblici corrisponde, come precisato dalla costante giurisprudenza (T.A.R. Lazio Roma, sez. III, 12 novembre 2003, n. 9838 e T.A.R. Lazio Roma sez. III 30 giugno 2006 n. 5318) alla necessità che la pubblica amministrazione addivenga alla scelta del soggetto con cui concludere un contratto attraverso un procedimento retto da norme pubblicistiche, finalizzate all’individuazione del miglior contraente possibile, sia dal punto di vista soggettivo (con riferimento ai requisiti soggettivi, alle capacità tecniche, organizzative e finanziarie), sia dal punto di vista oggettivo, con riferimento all’economicità dell’offerta formulata e quindi al buon uso del danaro pubblico.

Sicchè il procedimento di scelta, fondandosi sui principi di legalità, buon andamento, imparzialità e trasparenza dell’azione amministrativa, di cui all’art. 97 della Costituzione, si realizza nella corretta attuazione dei principi di concorsualità, segretezza, completezza, serietà, autenticità e compiutezza delle offerte formulate rispetto alle prescrizioni ed alle previsioni della lex specialis.

Tali principi governano l’intero iter procedimentale, con la conseguenza che non ne rimangono estranei i comportamenti dei concorrenti al fine di garantire il rispetto della concorrenzialità, come prescritto dal bando in esame.

La norma richiamata, di cui all’art. 38 del codice dei contratti, trova la propria "ratio" in questa necessità al fine di evitare che partecipino alla gara soggetti che, in quanto legati da una stretta comunanza di interessi, non sono ritenuti dal legislatore idonei a formulare offerte contraddistinte dalla necessaria indipendenza, serietà ed affidabilità.

Nel caso di specie, la valutazione di tali situazione è stata effettuata dalla commissione di gara che, vagliata la documentazione delle imprese partecipanti e le relative offerte, ha individuato tre elementi di fatto nella identità di ben dieci pagine dell’offerta, nell’orario di presentazione delle offerte escluse (lo stesso giorno, a distanza di cinque minuti l’una dall’altra), l’utilizzo di un prodotto Sameco dichiarato nella stessa offerta della G..

Pertanto, a differenza di quanto sostenuto dalla parte ricorrente, gli indici rilevatori indicati dalla Commissione di gara "non costituiscono meri indizi irrilevanti, ma, al contrario appaiono idonei a tutelare l’interesse pubblico alla correttezza sostanziale della gara e ad assicurare, perciò, l’effettiva concorrenzialità delle offerte ai fini della individuazione del "giusto contraente" (cfr., Consiglio di Stato, Sez. IV, 1° ottobre 2004, n. 6367).

Per le considerazioni svolte, il ricorso deve essere respinto. Le spese di lite seguono la soccombenza nella misura indicata in dispositivo.
P.Q.M.

Il Tribunale Amministrativo Regionale per il Lazio (Sezione Terza Quater), definitivamente pronunciando sul ricorso, come in epigrafe proposto, lo respinge. Condanna la società ricorrente al pagamento delle spese di lite, determinate in complessivi euro 3.000,00 (tremila/00), da dividersi in parti uguali in favore dell’Università di Roma Tor Vergata e della società R..

Ordina che la presente sentenza sia eseguita dall’autorità amministrativa.

Testo non ufficiale. La sola stampa del bollettino ufficiale ha carattere legale.