Cass. pen. Sez. IV, Sent., (ud. 19-01-2011) 15-03-2011, n. 10440 Reato continuato e concorso formale omicidio colposo

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G Dott. MAZZOTTA Gabriele, che ha chiesto il rigetto del ricorso.
Svolgimento del processo – Motivi della decisione

Ricorre per cassazione il Procuratore Generale della Repubblica presso la Corte di Appello di Napoli avverso la sentenza pronunciata ai sensi dell’art. 444 c.p.p., dal GIP del Tribunale di S. Maria Capua Vetere in data 24.3.2010 con la quale, sull’accordo delle parti, veniva applicata a T.T. la pena di anni uno e mesi dieci di reclusione per i reati di cui all’art. 589 c.p., commi 1 e 2 e artt. 186 e 187 C.d.S., deducendo l’errata applicazione della legge penale in relazione all’art. 81 c.p., essendo stato ritenuto il vincolo della continuazione tra i reati contestati, quanto meno con riferimento a quello di cui all’art. 589 c.p. che attesa la sua natura colposa sfugge alla riconducibilità al medesimo disegno criminoso non essendo voluto dall’agente.

Il Procuratore generale in sede, all’esito della requisitoria scritta, ha concluso per il rigetto del ricorso.

Il ricorso è fondato e va accolto.

E’ giurisprudenza costante di questa Corte quella secondo cui l’istituto della continuazione non è applicabile tra reati dolosi e reati colposi, in quanto l’unicità del disegno criminoso attiene al momento psicologico (dolo) che non può sussistere nei reati colposi nei quali l’evento non è voluto.

In tali termini, nello specifico, si rinvengono pronunce in tema di esclusione del vincolo della continuazione tra il delitto di omicidio colposo e quello di cui all’art. 189 C.d.S. (Cass. pen. Sez. 4^, n. 35665 del 19.6.2007, Rv. 237454); e tra il delitto di omicidio colposo e la contravvenzione di guida in stato di ebbrezza (Sez. 4^, n. 16693 del 2.2.2005, Rv. 231541).

Nè può ritenersi che nel caso in esame sia configurabile, in via succedanea e ai fini rettificativi, un mero concorso formale tra reati, trattandosi di violazioni che non possono ricondursi ad una sola azione o omissione, palesandosi le rispettive condotte distinte e successive, benchè accertate in un unico contesto.

Trattandosi di pena applicata a seguito di accordo tra le parti e venendo meno perchè illegale, deve conseguire l’annullamento senza rinvio dell’intera sentenza impugnata e disporsi la trasmissione degli atti al Tribunale di Santa Maria Capua Vetere per l’ulteriore corso.
P.Q.M.

Annulla senza rinvio la sentenza impugnata e dispone trasmettersi gli atti al Tribunale di Santa Maria Capua Vetere per l’ulteriore corso.

Testo non ufficiale. La sola stampa del bollettino ufficiale ha carattere legale.

Cons. Giust. Amm. Sic., Sent., 25-03-2011, n. 268 Piano regolatore generale

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Svolgimento del processo – Motivi della decisione

1. Gli odierni appellati sono proprietari di un terreno nel Comune di Messina, località Pistunina – Contrada (…) individuato in catasto al foglio 152, partt.lle 69 – 70 – 71 – 72 – 73 – 136 – 137 – 420 – 341 – 134 e 133. Il terreno in questione, già incluso nel piano di zona del 1970 e poi destinato in parte a zona agricola ed in parte a zona per l’edilizia economica e popolare, è stato incluso nel piano particolareggiato ambito F "S. Lucia, S. Filippo", quale prescrizione esecutiva ex art. 2 della L.R. n. 4/2002 della variante al P.R.G. adottata con deliberazione n. 29/c del 6/4/1998 (approvata con DDG n. 686/2002), con destinazione "attrezzature e servizi pubblici o di uso pubblico". Avverso tale destinazione, i signori Mu. proposero osservazioni ed opposizioni che sono state respinte.

2. Con il ricorso introduttivo al TAR di Catania, notificato il 18 dicembre 2006, i predetti impugnavano il richiamato P.R.G., asserendo il carattere espropriativo della destinazione impressa a parte dei terreni di proprietà, con particolare riguardo alle aree ricomprese all’interno del piano particolareggiato di risanamento, ed all’uopo deducendo avverso le destinazioni impresse svariate censure di violazione di legge, eccesso di potere, difetto di motivazione.

Le Amministrazioni intimate si costituivano in giudizio per resistere al ricorso.

Con successivo ricorso per motivi aggiunti, notificato in data 18 settembre 2008, gli appellati impugnavano, altresì, la deliberazione del Consiglio Comunale di Messina 6/C del 4 marzo 2008, adottata dal Commissario regionale per la gestione del Comune di Messina con i poteri del Consiglio Comunale, avente ad oggetto la reiterazione dei vincoli del Piano Regolatore Generale della Città di Messina approvato con decreto n. 686/2002.

Con ulteriore ricorso per motivi aggiunti, impugnavano la deliberazione consiliare n. 46/C del 29 ottobre 2008, avente ad oggetto la conferma della deliberazione n. 39/C del 17 ottobre 2007 (revocata dalla deliberazione n. 6/C del 4 marzo 2008) ed adottata nonostante fosse medio tempore intervenuta la bocciatura della deliberazione n. 6/C da parte dell’Assessorato Regionale Territorio ed Ambiente, e si trattasse di mera riproposizione di atto (la delibera n. 39/C revocata e confermata con identico contenuto, quanto alla disposta reiterazione dei vincoli preordinati all’esproprio, dalla delibera n. 6/C del 4 marzo 2008) già bocciato dall’Assessorato Regionale Territorio ed Ambiente.

Chiedevano, quindi, gli originari ricorrenti l’annullamento dei provvedimenti di reiterazione dei vincoli e il risarcimento del danno conseguente all’illegittima compressione del diritto di proprietà.

In particolare, parte ricorrente nell’impugnare, con il ricorso introduttivo, il P.R.G. del Comune di Messina laddove i terreni di proprietà venivano inseriti nel piano di risanamento ambito F e destinati a servizi pubblici, deduceva – oltre l’illegittimità della destinazione a carattere espropriativo non congrua con lo stato dei luoghi e le conseguenti censure in punto di omessa motivazione e omessa previsione dell’indennizzo – anche la complessiva illegittimità del comportamento del Comune che, attraverso il meccanismo delle prescrizioni esecutive delineate dall’art. 2 della L.R. n. 71/1978, avrebbe sostanzialmente riadottato il medesimo piano di risanamento parzialmente bocciato dall’Assessorato Regionale Territorio e Ambiente con D.A. del 17 marzo 2008. Con i ricorsi per motivi aggiunti, assumendo il carattere espropriativo dei vincoli impressi dalle predette destinazioni, i ricorrenti impugnavano, altresì, gli atti di adozione della variante parziale, deducendo la mancanza di motivazione per la reiterazione dei vincoli, la mancanza di previsione dell’indennizzo e la violazione di regole procedimentali concernenti il procedimento di adozione della variante.

Il Comune di Messina controdeduceva ai ricorsi in prime cure, eccependo la carenza d’interesse in ordine ai ricorsi per motivi aggiunti, dato che i provvedimenti impugnati costituivano la prima fase di una procedura complessa che si sarebbe perfezionata con l’atto di approvazione regionale, nel merito, invece, sostenendo la legittimità dei provvedimenti di reiterazione "in blocco" di tutti i vincoli decaduti e richiamando i principi contenuti nella pronunzia dell’Adunanza Plenaria del Consiglio di Stato n. 7/2007.

3. Con la sentenza impugnata, il TAR adito, effettuata una puntuale ricostruzione della normativa applicabile in tema di piani particolareggiati di risanamento, ed esclusa la fondatezza delle questioni di legittimità costituzionale sollevate, riconosceva che, nel caso specifico, la predetta destinazione integrava i caratteri di un vincolo espropriativo, in ragione del suo inserimento all’interno di un piano di risanamento, finanziato con risorse pubbliche e la cui realizzazione era, quindi, affidata all’iniziativa comunale. Esso, comunque, risultava adeguatamente motivato dalle finalità di risanamento delle aree degradate della città perseguite dal legislatore regionale non solo attraverso la realizzazione di alloggi, ma anche attraverso la realizzazione di attrezzature collettive, fondamentali per la riqualificazione urbanistica dell’area. La censura di difetto motivazione veniva, dunque, ritenuta infondata.

Analoga sorte spettava alla denunciata illegittimità dell’atto impugnato per mancata previsione dell’indennizzo, atteso che il principio della spettanza di un indennizzo al proprietario nel caso di reiterazione del vincolo preordinato all’esproprio – introdotto nell’ordinamento con la sentenza della Corte Costituzionale n. 179 del 1999 – non rileva per la verifica della legittimità della previsione urbanistica. La giurisprudenza amministrativa, infatti, è concorde nel ritenere che l’omessa previsione dell’indennizzo non inficia la legittimità del provvedimento di reiterazione di un vincolo espropriativo o di inedificabilità scaduto, e ciò sulla base del rilievo che dai principi sul raccordo tra la pianificazione urbanistica e le previsioni del bilancio emerge che in tal caso l’Amministrazione non può impegnare somme di cui non è certa la spettanza in ordine all’an e al quantum, anche perché tale quantificazione richiede complessi accertamenti su elementi di fatto che solo il proprietario può rappresentare al termine del procedimento di pianificazione (fermo restando il diritto ad ottenere, in presenza dei relativi presupposti e dinanzi al giudice fornito in merito di giurisdizione, un’indennità commisurata all’entità del danno effettivamente prodotto).

Il ricorso introduttivo, in definitiva, veniva respinto.

Relativamente, invece, ai ricorsi per motivi aggiunti, con cui parte ricorrente, ritenendo il carattere espropriativo della predetta destinazione, aveva impugnato i provvedimenti con i quali era stata adottata la variante parziale relativa alla reiterazione dei vincoli del Piano Regolatore Generale della Città di Messina approvato con D.D.R. n. 686/2002, ritenuta preliminarmente l’ammissibilità dell’impugnativa relativamente ad un provvedimento di sola adozione della variante, atto immediatamente lesivo e direttamente impugnabile, ancorché la sua impugnazione costituisca una facoltà e non un onere, il TAR, affermata, come accennato, la natura tecnicamente espropriativa del vincolo di cui veniva lamentata l’illegittima reiterazione, li giudicava fondati, nel merito, sotto l’assorbente profilo del vizio di difetto di motivazione della reiterazione dei vincoli.

Richiamando, dunque, la propria giurisprudenza sul punto, il primo Collegio concludeva che, nel caso in esame, relativamente ai terreni come sopra destinati, era illegittima la reiterazione dei vincoli preordinati all’espropriazione in quanto non adeguatamente motivata.

Se dunque il ricorso introduttivo veniva respinto, interveniva l’accoglimento, in parte qua, dei ricorsi per motivi aggiunti, data l’immotivata reiterazione di vincoli a contenuto espropriativo, con l’annullamento degli atti con esso impugnati limitatamente alla parte di interesse, fatti salvi gli ulteriori motivati provvedimenti dell’Amministrazione comunale.

Veniva, invece, rigettata, allo stato, la domanda di risarcimento del danno, non rinvenendosi un profilo di "danno ingiusto".

4. Il Comune appellante, ritenendo l’anzidetta pronunzia del TAR non condivisibile, ha interposto il gravame in trattazione, che affida a due essenziali profili di diritto:

1) la carenza di interesse attuale all’impugnativa in capo all’originaria ricorrente, atteso che gli atti in origine impugnati costituivano solo la prima fase della procedura complessa destinata a perfezionarsi con l’approvazione da parte della competente Autorità regionale (eccezione preliminare già rigettata dal TAR di Catania);

2) per quanto attiene al merito, la circostanza che il TAR si è erroneamente discostato dagli assunti autorevolmente e recentemente affermati dall’Adunanza Plenaria del Consiglio di Stato (n. 7/2007), in ordine particolarmente alla necessità di considerare, ai fini dell’individuazione del contenuto dell’onere motivazionale, che trattavasi della prima reiterazione, ed in blocco, dei vincoli espropriativi all’esito della scadenza quinquennale del primo termine di validità, il che comporta che non occorreva diffondersi sull’interesse pubblico a provvedere, già insito nella primaria apposizione del vincolo.

Il Comune ha dunque concluso per l’accoglimento dell’appello principale e, per l’effetto, per il conseguente rigetto totale dei ricorsi di primo grado.

5. Gli originari ricorrenti si sono costituiti in giudizio e, con apposito atto di controricorso, hanno puntualmente controdedotto sulle censure proposte in appello, non mancando, preliminarmente, di eccepire l’inammissibilità dell’appello stesso per carenza di interesse, ed in ogni caso riproponendo espressamente tutti i motivi e le censure ritenuti assorbiti o comunque non esaminati in primo grado.

6. Il competente Assessorato regionale si è costituito ed ha chiesto l’estromissione dal giudizio per estraneità rispetto al rapporto controverso.

7. Orbene, premesso che in ordine all’ultima richiesta formulata dalla Regione non può pronunziarsi assenso alla luce della circostanza che gli assorbenti profili procedurali e di rito alla base della presente decisione coinvolgono necessariamente l’Amministrazione regionale stessa, va rilevata, in sede preliminare, la giuridica consistenza dell’eccezione di inammissibilità dell’appello per carenza di interesse, formulata dagli appellati.

Non può, infatti, pretermettersi che il competente Assessorato regionale, con provvedimento n. 74449 del 1 ottobre 2008 (emesso sulla base del voto del CRU n. 79 del 17 settembre 2008, che tra l’altro ha evidenziato che i vincoli preordinati all’esproprio sono stati reiterati dopo la loro decadenza e "senza alcuna reale motivazione in ordine ad uno specifico interesse pubblico concreto ed attuale"), si è definitivamente espresso in senso negativo, per assenza dei presupposti di legge occorrenti alla sua adozione, in ordine alla reiterazione dei vincoli, adottata dal Comune con la citata deliberazione di variante parziale n. 6/C del 4 marzo 2008, già riproduttiva del contenuto della precedente deliberazione 39/C del 17 ottobre 2007, ed ancora riproposta il 29 ottobre 2008, successivamente al parere negativo regionale, ma con deliberazione sul punto meramente confermativa (n. 46/C), e quindi non idonea a produrre effetti propri sul piano sostanziale.

La mancata impugnativa della bocciatura della reiterazione dei vincoli da parte dell’Amministrazione regionale competente all’approvazione della variante, bocciatura ormai consolidatasi e che di certo non può dirsi superata da una mera riproposizione confermativa, fa si che, obiettivamente, il Comune di Messina non sia titolare di interesse ad appellare la contestata sentenza di parziale annullamento, per difetto motivazionale, delle delibere di reiterazione dei vincoli medesimi.

A fronte, infatti, dell’avvenuto consolidamento della bocciatura regionale in fase di approvazione della reiterazione dei vincoli, non si intravede alcun interesse concreto dell’Amministrazione comunale a coltivare l’appello per sovvertire la pronunzia di parziale accoglimento formulata dai Giudici di prime cure.

In definitiva, l’appello deve essere dichiarato inammissibile per difetto di interesse.

Ritiene altresì il Collegio che ogni altro motivo od eccezione di rito e di merito possa essere assorbito in quanto ininfluente ed irrilevante ai fini della presente decisione.

8. Le spese del grado seguono la declaratoria di inammissibilità dell’appello.
P.Q.M.

Il Consiglio di Giustizia Amministrativa per la Regione Siciliana, in sede giurisdizionale, definitivamente pronunciando, dichiara inammissibile l’appello.

Condanna l’Amministrazione appellante al pagamento delle spese del grado in favore della parte privata appellata, che liquida in Euro 2.000,00 (duemila/00). Compensa per il resto. Ordina che la presente sentenza sia eseguita dall’Autorità amministrativa.

Così deciso in Palermo, dal Consiglio di Giustizia Amministrativa per la Regione Siciliana, in sede giurisdizionale, nella camera di consiglio del 2 febbraio 2011, con l’intervento dei signori: Riccardo Virgilio, Presidente, Gerardo Mastrandrea, estensore, Gabriele Carlotti, Giuseppe Mineo, Alessandro Corbino, Componenti.

Depositata in Segreteria il 25 marzo 2011.

Testo non ufficiale. La sola stampa del bollettino ufficiale ha carattere legale.

T.A.R. Lombardia Milano Sez. IV, Sent., 13-04-2011, n. 976 stranieri

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Svolgimento del processo – Motivi della decisione

il gravame è stato proposto per i dedotti motivi di illegittimità avverso gli atti indicati in epigrafe, con i quali è stata dichiarata irricevibile la domanda di permesso di soggiorno presentata dal ricorrente il 5.11.2007 e gli è stato ordinato di lasciare entro 5 giorni il territorio dello stato in seguito a decreto di espulsione dal territorio nazionale;

Ritenuto che il ricorso risulti inammissibile sia con riferimento all’impugnazione della comunicazione di irricevibilità dell’istanza di permesso di soggiorno datata primo luglio 2010, che non riveste natura provvedimentale, che dell’ordine di lasciare il territorio nazionale, strettamente connesso al decreto di espulsione, sussistendo per giurisprudenza costante la giurisdizione del giudice ordinario in relazione a tale tipo di provvedimento;

che, alla luce delle suesposte considerazioni, il ricorso deve essere dichiarato inammissibile;

che, in considerazione delle peculiarità della controversia, sussistono giusti motivi per disporre l’integrale compensazione tra le parti delle spese di giudizio;

che l’accertato parziale difetto di giurisdizione comporta, in relazione alla porzione medesima, l’applicazione dell’istituto della "translatio iudicii", in forza del quale, ferme restando le preclusioni e le decadenze intervenute, sono fatti salvi gli effetti processuali e sostanziali della domanda se il processo è riproposto innanzi al giudice ordinario entro il termine perentorio di tre mesi dal passaggio in giudicato della presente sentenza, ai sensi e per gli effetti dell’art. 11 del c.p.a.;
P.Q.M.

Il Tribunale Amministrativo Regionale per la Lombardia (Sezione Quarta)

definitivamente pronunciando sul ricorso, come in epigrafe proposto, lo dichiara inammissibile.

Spese compensate.

Ordina che la presente sentenza sia eseguita dall’autorità amministrativa.

Testo non ufficiale. La sola stampa del bollettino ufficiale ha carattere legale.

T.A.R. Sicilia Palermo Sez. II, Sent., 03-05-2011, n. 818 Regolamenti comunali e provinciali

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rbale;
Svolgimento del processo

Con il ricorso in epigrafe, il ricorrente, premesso di essere proprietario di un immobile nel Comune di Corleone, via F. Bentivegna, numeri civici 31, 33 e 35, ha impugnato la deliberazione n° 68 del 27 aprile 2005, divenuta esecutiva il 16 giugno 2005, con la quale il consiglio comunale ha modificato il locale regolamento per il commercio su aree pubbliche, individuando davanti all’abitazione del ricorrente un’area sulla quale realizzare un chiosco di 24 mq. per la vendita di ortofrutta.

Con atto di intervento del 25 luglio 2005, si è costituito in giudizio il controinteressato, in qualità di titolare dell’attività di commercio svolta nell’area controversa, sollevando preliminarmente eccezione di inammissibilità del ricorso, e domandandone comunque il rigetto, con vittoria di spese.

Con successivo ricorso per motivi aggiunti, è stata impugnata la nota prot. n° 581 del 8 luglio 2005, con la quale il Comune, sulla base delle modifiche apportate al regolamento per il commercio su aree pubbliche, impugnato in via principale, ha rilasciato al sig. B. il nulla osta per l’installazione di un chiosco per la vendita di frutta e verdura.

Con ordinanza cautelare n° 942 del 20 settembre 2005, questa Sezione ha respinto l’istanza di sospensione dell’esecuzione dei provvedimenti impugnati.

Con ordinanza n° 1005 del 19 dicembre 2005, il Consiglio di Giustizia Amministrativa della Regione Siciliana, ravvisando sufficienti motivi di fondatezza del ricorso, ha accolto l’appello interposto dal ricorrente.

Con secondo ricorso per motivi aggiunti, è stata impugnata l’autorizzazione n° 24 del 20 ottobre 2005, rilasciata al controinteressato, all’installazione del chiosco controverso.

Con ordinanza cautelare n° 170 del 3 febbraio 2006, questa Sezione ha accolto l’istanza di sospensione dell’esecuzione della suddetta autorizzazione n° 24 del 20 ottobre 2005 impugnata con motivi aggiunti.

Con terzo ricorso per motivi aggiunti, è stato impugnato il provvedimento n° 8 del 31 marzo 2010, recante testualmente "autorizzazione per la esecuzione di opere per la trasformazione urbanistica ed edilizia del territorio per le quali non è richiesta la concessione edilizia".

In data 28 febbraio 2011, il Comune resistente ha depositato memoria difensiva, domandando, in sede di discussione orale, la declaratoria di inammissibilità del ricorso e, comunque, il suo rigetto, vinte le spese.

Con memoria di replica depositata il 2 marzo 2011, il ricorrente ha eccepito la tardività del deposito della memoria comunale.

Alla pubblica udienza del 23 marzo 2011, sentiti i difensori delle parti presenti, come da verbale, il ricorso è stato trattenuto per essere deciso.
Motivi della decisione

Preliminarmente, dev’essere esaminata l’eccezione di inammissibilità del ricorso sollevata dal Comune resistente con memoria in data 28 febbraio 2011, tardiva ai sensi dell’art. 73 del codice del processo amministrativo, applicabile ratione temporis stante l’integrale ricadenza del decorso del termine di deposito della memoria in questione sotto la sfera di efficacia del codice medesimo, conformemente ai principi desumibili dall’Adunanza Plenaria del Consiglio di Stato n° 1 del 7 marzo 2011.

Il superamento del termine, di natura perentoria, di trenta giorni liberi prima dell’udienza di discussione, previsto per il deposito di memorie difensive, non esime il Collegio dal vagliare la questione di inammissibilità del ricorso, per omessa impugnazione della concessione prot. n° 7228 del 23 maggio 2002, atteso che tale questione, se fondata, eliderebbe l’interesse a ricorrere, comportando il venir meno di una condizione dell’azione, la cui sussistenza deve essere sempre riscontrata dal giudice anche d’ufficio (conforme Cass., Sez. I, 21 dicembre 2007, n° 27088; 1 ottobre 2007, n° 21141; 1 marzo 2007, n° 4853).

Ritiene il Collegio che la suddetta questione di inammissibilità del ricorso, qui rilevata d’ufficio, (anche a prescindere dalla sua indicazione in udienza, stante la portata non dirimente ai fini della decisione della controversia) sia infondata.

Non risulta, infatti, dagli atti del giudizio che la concessione summenzionata, riguardante l’occupazione di spazi e aree pubbliche comunali, avesse attribuito la facoltà di costruzione di un chiosco di mq. 24, corrispondente al progetto versato in atti e assentito con i provvedimenti impugnati, per l’esercizio di attività commerciale su posto fisso esattamente nell’area antistante l’immobile di proprietà del ricorrente, ai numeri civici dal 31 al 35 della via Bentivegna di Corleone: sotto tale profilo, non era ravvisabile l’immediata, attuale e concreta idoneità lesiva della sfera giuridica del ricorrente, che, per tale ragione, non aveva l’onere di impugnarla.

L’eccezione di inammissibilità per omessa impugnazione della concessione per l’occupazione di spazi e aree pubbliche, va, dunque, respinta.

Ulteriore eccezione di inammissibilità del ricorso è stata sollevata dall’interveniente, per il cui vaglio è propedeutico dirimere la questione di ammissibilità dell’intervento dallo stesso spiegato in giudizio, ammissibilità contestata dal ricorrente.

L’odierno interveniente fa valere il proprio interesse qualificato alla conservazione dei provvedimenti impugnati, analogo e contrario a quello che legittima la posizione del ricorrente. Egli riveste, per tale ragione, la qualità di parte necessaria del giudizio, nei cui confronti la sentenza che lo definisce esplica la forza della cosa giudicata sostanziale.

Egli è, dunque, legittimato ad intervenire nel giudizio di primo grado, non essendo stato intimato in relazione all’impugnativa del regolamento per il commercio su aree pubbliche, ed avendo svolto intervento prima che si perfezionassero nei suoi confronti, nella sopravvenuta qualità di controinteressato in senso tecnico, le notifiche delle impugnative per motivi aggiunti, non sussistendo, inoltre, alcuna ragione ostativa inerente il diritto di difesa di parte ricorrente, atteso il rispetto dei termini per il deposito di memorie e documenti.

L’intervento, da qualificarsi come litisconsortile, è, per tale ragione, ammissibile, ai sensi dell’art. 22 L. n° 1034/1971, disposizione oggi confermata, per quanto rileva in questa sede, dall’art. 28 del codice del processo amministrativo.

Tornando, quindi, all’eccezione di inammissibilità del ricorso per omessa notifica a controinteressato, la stessa è infondata.

Tutte le impugnative per motivi aggiunti, articolate avverso provvedimenti abilitativi individuali, nei quali ultimi era direttamente e nominativamente identificato il destinatario, sono state ritualmente notificate al suddetto controinteressato, con correlativa infondatezza in fatto dell’eccezione in esame.

Residua la questione dell’omessa notifica del ricorso principale al controinteressato c.d. "successivo".

Giova al riguardo succintamente ricordare i principi di diritto maturati in sede giurisprudenziale in ordine alla nozione di controinteressato ai fini dell’insorgenza dell’onere di notifica.

In particolare, la giurisprudenza amministrativa consolidata richiede la sussistenza di un duplice profilo, sostanziale (essere portatore di un interesse qualificato analogo e contrario a quello che legittima la posizione del ricorrente) e formale (essere nominativamente indicato nel provvedimento come destinatario, o agevolmente individuabile come tale) (conforme, Cons. Stato, Sez. IV, 16 gennaio 2008, n. 74).

Tale criterio va specificato per il caso di atti generali, in relazione ai quali l’onere di notifica a controinteressato sorge solo per i soggetti singolarmente individuati del tenore degli stessi e che ne abbiano tratto beneficio prima della loro impugnazione (ex plurimis, Cons. Stato, Sez. VI, 7 febbraio 2004, n° 402; Consiglio di Giustizia Amministrativa della Regione Siciliana, 28 luglio 1988, n° 130).

Nel caso di specie, il regolamento per il commercio su aree pubbliche non contiene alcun diretto riferimento all’odierno interveniente, nei cui confronti, pertanto, non sussisteva l’onere di notifica del ricorso principale e che, in ogni caso, non ha subito alcuna "deminutio" di tutela, proprio in virtù dell’intervento volontario compiutamente e tempestivamente svolto, altresì, idoneo a soddisfare il principio dell’integrità del contraddittorio, ai sensi dell’art. 2 del codice del processo amministrativo.

Il ricorso è, pertanto, ammissibile.

Venendo al merito, il ricorso principale e per motivi aggiunti è fondato.

E’ assorbente la fondatezza della censura con cui si deduce violazione dell’art. 20, terzo comma, del d.lgs. 30 aprile 1992 n° 285 e succ. mod., per essere stati disattesi i divieti ed i limiti, ivi contemplati, all’occupazione della sede stradale e dei marciapiedi.

La norma invocata, al terzo comma, stabilisce che "nei centri abitati, ferme restando le limitazioni e i divieti di cui agli articoli e ai commi precedenti, l’occupazione di marciapiedi da parte di chioschi, edicole ed altre installazioni, può essere consentita fino ad un massimo della metà della loro larghezza, purchè in adiacenza ai fabbricati e sempre che rimanga libera una zona per la circolazione dei pedoni, larga non meno di 2 metri. Le occupazioni non possono comunque ricadere all’interno dei triangoli di visibilità delle intersezioni di cui all’art. 18, comma 2. (…)".

Nel caso di specie, è incontestato che il chiosco controverso abbia la larghezza di quattro metri e la lunghezza di sei metri e che il marciapiede sia largo quattro metri, mentre non risulta la costruzione in aderenza a fabbricati.

Alla luce dei suindicati elementi fattuali non contestati (restando irrilevanti altre circostanze marginali), non può che inferirsene la fondatezza della denunciata illegittimità, atteso che, già dalle dimensioni del manufatto di cui si tratta, appare evidente l’occupazione del marciapiede in tutta la sua larghezza, senza che residui il prescritto spazio di due metri per il transito dei pedoni e sussistendo, peraltro, elementi non trascurabili e concordanti tali da far deporre nel senso della ricadenza del chiosco medesimo nel triangolo di visibilità dell’intersezione tra la via Bentivegna e la piazza Falcone e Borsellino.

E’ fondata, altresì, la censura, sollevata con il terzo ricorso per motivi aggiunti, per violazione dell’art. 5 della L.R. n° 37/1985, atteso che, per orientamento giurisprudenziale dominante, la precarietà di un’opera va valutata sul piano funzionale, non potendo ravvisarsi tale natura in un chiosco per l’esercizio di attività commerciale, per quanto realizzato in legno o con struttura amovibile, considerata la stabilità e perduranza nel tempo dell’uso cui esso è destinato, principio rafforzato nel caso concreto dal carattere permanente dell’attività svolta dal controinteressato (conforme, Consiglio di Giustizia Amministrativa della Regione Siciliana, 23 ottobre 1998, n° 633; T.A.R. Lazio, Sezione Iquater, 21 luglio 2009).

Per tutte le suesposte ragioni, il ricorso principale ed i ricorsi per motivi aggiunti devono essere accolti, perché fondati.

L’istanza di accesso agli atti, avanzata in sede endoprocessuale, ai sensi dell’art. 116, secondo comma, del codice del processo amministrativo, in quanto riscontrata dall’amministrazione nel corso del giudizio, come dedotto dal medesimo ricorrente in seno al terzo ricorso per motivi aggiunti, nonché atteso l’accoglimento dell’impugnativa, è improcedibile per sopravvenuta carenza di interesse.

Le spese del giudizio sono compensate tra le parti, avuto riguardo alla particolarità del caso.
P.Q.M.

Il Tribunale Amministrativo Regionale per la Sicilia (Sezione Seconda)

definitivamente pronunciando sul ricorso, come in epigrafe proposto, lo accoglie e per l’effetto annulla i seguenti atti:

– il regolamento per il commercio su aree pubbliche, approvato con deliberazione 27 aprile 2005 n° 68, del Comune di Corleone, limitatamente alla parte impugnata, in cui è stata individuata un’area di 24 mq. davanti all’abitazione del ricorrente per la realizzazione di un chiosco per la vendita di prodotti ortofrutticoli;

– la nota prot. n° 581 del 8 luglio 2005;

– l’autorizzazione n° 24 del 20 ottobre 2005;

– l’autorizzazione n° 8 del 31 marzo 2010.

Dichiara improcedibile la domanda di accesso agli atti.

Spese compensate.

Ordina che la presente sentenza sia eseguita dall’autorità amministrativa.

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