T.A.R. Lazio Roma Sez. I quater, Sent., 17-01-2011, n. 340

Sentenza scelta dal dott. Domenico Cirasole direttore del sito giuridico http://www.gadit.it/




Svolgimento del processo

Con ricorso notificato alla resistente Amministrazione comunale in data 6 luglio 2010 e depositato il successivo 2 agosto 2010, l’Associazione ricorrente, impegnata in attività di volontariato nei confronti di diversamente abili mentali e fisici nel quartiere Prenestino – Labicano in Roma, espone che, in data 7 luglio 2008, ha chiesto al Comune di Roma di poter realizzare una palestra per disabili con accanto una ludoteca per bambini normodotati in un’area nei pressi di largo Preneste. Con nota dell’8 agosto 2008 il Dipartimento III del Comune assegnava all’Associazione un’area di proprietà comunale di mq. 3000, situata nel Parco Prenestino. Seguivano il parere favorevole alla realizzazione dell’opera a cura del Municipio VI, dove l’area insiste ed il nulla osta del Dipartimento III a recintare l’area.

In data 23 settembre 2009 la ricorrente presentava una DIA per l’inizio delle attività di restauro e risanamento conservativo del fondo e di apposizione di una struttura prefabbricata a carattere precario, dopo di che seguivano la trasmissione degli atti da parte del Municipio VI al Dipartimento IX (Ufficio DIA), l’avviso di un procedimento amministrativo di rimozione della recinzione in paletti di cemento e rete metallica da parte del Municipio VI, nonché la comunicazione del Dipartimento IX che gli interventi non richiedevano permesso a costruire e le richieste di accesso agli atti da parte dell’Associazione ricorrente, non esaudite al momento della presentazione del ricorso in esame.

Seguiva altresì la determinazione impugnata, motivata a causa della "realizzazione su una porzione di area (mq. 3000 circa) di una recinzione perimetrale tramite posa in opera di pali in cemento e rete", in assenza di titolo abilitativo, avverso la quale l’Associazione interessata deduce i motivi che saranno più oltre indicati.

Conclude chiedendo la sospensione del provvedimento impugnato e l’accoglimento del ricorso, con vittoria di spese ed onorari.

L’Amministrazione comunale si è costituita in giudizio tramite relazione del Municipio VI.

Il ricorso, pervenuto per la trattazione dell’istanza cautelare alla Camera di Consiglio del 18 novembre 2010, è stato trattenuto per la decisione in forma semplificata, avvertitene sul punto le parti costituite.

Motivi della decisione

Il ricorso è infondato e va, pertanto, respinto.

Con esso l’interessata si oppone alla determinazione a demolire la recinzione realizzata su un fondo, concessole dal Comune di Roma nel Parco Prenestino per la realizzazione di una palestra per disabili e di una ludoteca per bambini normodotati.

In buona sostanza l’Associazione interessata fa valere che del tutto erroneamente l’Amministrazione comunale contesta l’esistenza di un valido titolo abilitativo, che sarebbe, invece, del tutto illegittimo e meritevole di annullamento, dal momento che la stessa Amministrazione ed in particolare il Dipartimento IX (Ufficio DIA) ha confermato con nota del 18 dicembre 2009 che gli interventi previsti dal progettista "non rientrano tra quelli di nuova costruzione (…) e che per essi è sufficiente una semplice DIA, come da nota dell’Avvocatura del Comune di Roma prot. 46918 del 15 novembre 2001…". L’interessata lamenta pure che sull’istanza di accesso agli atti formulata si sarebbe formato l’illegittimo silenzio – rifiuto dell’Amministrazione, peraltro già impugnato con ricorso in trattazione presso altra sezione, con la conseguenza che appare anche violato il diritto di partecipazione di cui all’art. 10 della legge n. 241 del 1990.

In ordine alla prima censura emerge dalla costituzione dell’Amministrazione comunale che i lavori in corso di realizzazione a cura dell’Associazione ricorrente – e consistenti, allo stato, in una recinzione – sono stati classificati come rientranti nelle fattispecie di cui all’"art. 37, comma 6 del d.P.R. n. 380 del 2001 in quanto privi di nulla osta archeologico", per il quale l’esponente non ha presentato nessuna richiesta.

In effetti dalle premesse della determinazione impugnata è dato rilevare che malgrado il presupposto giuridico dell’adozione del detto provvedimento sia proprio costituito dall’art. 37, comma 6 del d.P.R. 6 giugno 2001, n. 380, inerente le conseguenze della mancata denuncia di inizio attività o della difformità da essa, tuttavia, in ordine a tale esplicita motivazione, parte ricorrente non articola alcun motivo di ricorso, limitandosi a sostenere che, con la presentazione della DIA in data 23 settembre 2009 si sarebbe formato un titolo abilitativo idoneo alla realizzazione delle opere sopra descritte nell’area del Parco Prenestino, come individuata in progetto.

E che, d’altronde, parte ricorrente fosse a conoscenza, seppure dopo la presentazione della DIA, dell’esistenza del vincolo archeologico sull’area e che, quindi, il provvedimento tacito non si fosse perfettamente formato, è dimostrato dalla sua stessa produzione documentale (all. 9), della quale fa parte il verbale a prot. 58745 del 6 novembre 2009 (antecedente alla presentazione del ricorso in esame) con il quale la Polizia Municipale di Roma rilevava, ai sensi dell’art. 27, comma 4 del d.P.R. n. 380 del 2001, che "Su porzione di area (mq. 3000 circa) sita all’interno del Parco Prenestino, in zona sottoposta a vincolo con d.lgs. n. 42/2004 art. 142/1 lett. M imposto con DM del 21 ottobre 1985, sono in corso d’opera lavori consistenti nella recinzione perimetrale, della stessa, tramite posa in opera di pali in cemento e rete". L’Amministrazione comunicava tale verbale all’Associazione ricorrente in allegato all’avviso di avvio del procedimento sanzionatorio, con raccomandata a prot. n. 63439 in data 23 novembre 2009 e quindi almeno da quest’ultima data l’interessata era consapevole dell’esistenza del vincolo archeologico sul terreno dove andava a realizzare le opere sopra descritte.

L’esponente, invece, come sopra accennato, si limita a trincerarsi dietro la nota del Dipartimento IX (Ufficio DIA) in data 18 dicembre 2009, il quale rappresenta che, data la precarietà della erigenda struttura "è sufficiente una semplice DIA", ma non pone attenzione a quanto avrebbe potuto rilevare dalla nota del Dipartimento III in data 29 settembre 2009, con la quale quell’ufficio ha rilasciato il nulla osta per la realizzazione della recinzione di che trattasi, ma "previo ottenimento delle autorizzazioni e dei nulla osta previsti dalla legge".

In sostanza le argomentazioni offerte dalla ricorrente a sostegno delle sue posizioni, per come risulta pure dalla documentazione dalla stessa prodotta, non possono essere condivise, con la conseguenza che va del tutto contestata la prospettazione che con la DIA del 23 settembre 2009 si sarebbe formato un idoneo titolo abilitativo edilizio, dal momento che a tale tesi si oppongono sia l’esistenza del vincolo archeologico imposto sulla zona per effetto del D.M. 21 ottobre 1985, come chiarito dall’Amministrazione, sia la completa assenza di richiesta di autorizzazione alla competente Soprintendenza dei Beni Archeologici di Roma, pur sempre possibile come rappresentato nella nota di quest’ultima in data 11 febbraio 2010 a prot. 4694.

A tali conclusioni è di conforto l’orientamento giurisprudenziale, chiaritosi a seguito di una nota decisione del Consiglio di Stato (sezione VI, 5 aprile 2007, n. 1550), secondo il quale la DIA edilizia differisce da quella disciplinata dall’art. 19 della legge n. 241 del 1990, laddove mentre la prima rappresenta una semplificazione procedimentale, che consente al privato di conseguire un titolo abilitativo a seguito del decorso di un termine (30 giorni) dalla presentazione della denuncia, la seconda è uno strumento di liberalizzazione di determinate attività economiche e non presuppone la formazione di un titolo abilitativo. La riconosciuta natura provvedimentale, seppure tacita, della DIA edilizia comporta come diretta conseguenza che essa non si perfezioni se alla denuncia non è allegata tutta la documentazione prevista dall’art. 23 del d.P.R. n. 380 del 2001 o dalle leggi speciali che la prevedono, documentazione nella quale è compresa l’autorizzazione ai sensi del d.lgs. n. 42 del 2004 volta ad accertare la compatibilità della realizzanda opera con il vincolo, nel caso archeologico, insistente sulla zona interessata dall’intervento.

Ma non può essere condivisa neppure la seconda censura di violazione delle norme che presiedono al giusto procedimento, per non essere la ricorrente stata messa in condizione di interloquire con l’Ente. Infatti, come sopra accennato, tutto il carteggio esibito sia dalla Associazione interessata sia dalla Amministrazione comunale dimostra che la prima, ancorché abbia presentato la DIA in data 23 settembre 2009 senza barrare alcuna delle caselle del relativo modulo riguardanti il prospetto dei vincoli, perché non ne era a conoscenza, è divenuta tuttavia consapevole della situazione del fondo sul quale era stata autorizzata ad aprire l’attività di palestra per disabili e ludoteca per bambini, almeno dalla data della comunicazione di avvio del procedimento sanzionatorio inviatole con raccomandata a prot. n. 63439 in data 23 novembre 2009, per come dichiarato pure nel ricorso per l’accesso ai documenti, depositato il 27 febbraio 2010.

In base al criterio teleologico che sovente guida l’interpretazione delle norme poste a tutela degli interessi procedimentali, nel caso in esame, è da ritenersi dunque che siano stati, comunque, raggiunti gli effetti della norma di cui all’art. 10 della legge n. 241 del 1990, che presiede alla partecipazione al procedimento da parte dei soggetti nella cui sfera giuridica il provvedimento andrà a produrre i suoi effetti, dal momento che il verbale ex art. 27, comma 4 del d.P.R. n. 380 del 2001 conteneva anche la ragione per cui il titolo abilitativo tacito non poteva ritenersi validamente formatosi.

Per le superiori considerazioni il ricorso va respinto.

La delicatezza delle questioni trattate fa ritenere giusti i motivi per la compensazione delle spese di giudizio ed onorari tra le parti.

P.Q.M.

definitivamente pronunziando sul ricorso in epigrafe, lo respinge.

Spese compensate.

Ordina che la presente sentenza sia eseguita dall’autorità amministrativa.

Così deciso in Roma nella camera di consiglio del giorno 18 novembre 2010 con l’intervento dei magistrati:

Elia Orciuolo, Presidente

Giancarlo Luttazi, Consigliere

Pierina Biancofiore, Consigliere, Estensore

Testo non ufficiale. La sola stampa del bollettino ufficiale ha carattere legale.

T.A.R. Lazio Roma Sez. I bis, Sent., 28-01-2011, n. 817

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Svolgimento del processo

Con atto notificato il 5 novembre 2002, depositato nei termini, il Maresciallo 1ª classe M.A. ha proposto gravame avverso il provvedimento meglio specificato in epigrafe, recante diniego alla corresponsione dell’indennità di aerosoccorso prevista dall’art. 9, secondo comma, della legge n. 78/83, nonché per la condanna dell’Amministrazione convenuta al pagamento della suddetta indennità limitatamente ai giorni di effettiva partecipazione ad operazioni ed esercitazioni, con le ulteriori maggiorazioni dovuta ex lege.

A sostegno del gravame il ricorrente deduce la seguente censura:

Violazione e falsa applicazione dell’art.9, secondo comma, della legge n. 78/83. Violazione dell’art. 36 Costituzione. Eccesso di potere per sviamento e travisamento, contraddittorietà, illogicità manifesta. Disparità di trattamento.

Il ricorrente sostiene di aver diritto alla corresponsione della richiesta indennità in quanto ha prestato servizio presso il centro operativo per l’aerosoccorso, per cui l’indennità supplementare in parola deve essere riconosciuta in capo al ricorrente, limitatamente ai giorni di effettiva partecipazione ad operazioni ed esercitazioni.

Si è costituita in giudizio l’Amministrazione intimata a mezzo dell’Avvocatura Generale dello Stato, la quale ha contestato le ragioni dell’impugnativa ed ha insistito per il rigetto del ricorso.

Alla pubblica udienza del 9 giugno 2010 la causa è passata in decisione.

Motivi della decisione

Con il presente gravame il ricorrente, sottufficiale dell’Aeronautica Militare facente parte degli Equipaggi Fissi di Volo (E.F.V.), ha chiesto che questo Tribunale riconosca il suo diritto a beneficiare della cd. indennità di aerosoccorso, limitatamente ai giorni di partecipazione ad operazioni ed esercitazioni, ai sensi dell’art. 9, secondo comma, della legge n. 78/83, con tutte le conseguenze anche di ordine patrimoniale indicate in ricorso.

Il gravame non si appalesa fondato.

Il Collegio, sulla scorta anche di una recente giurisprudenza da cui non rinviene alcuna valida ragione per discostarsi (T.A.R. LAZIO – LATINA – n. 428 del 2005, confermata da CONS. STATO – SEZ. IV – n. 175/2007) ritiene che la tesi su cui si fonda il ricorso, ossia che l’indennità in contestazione possa essere attribuita anche ai componenti degli equipaggi fissi di volo che non hanno mansioni di aerosoccorritori, non possa essere condivisa.

La disposizione dell’art. 9, secondo comma, della legge n. 78 disciplina infatti l’erogazione di un’indennità che ha come suo fondamentale presupposto lo svolgimento di attività di aerosoccorritore presso uno dei reparti che istituzionalmente svolgono tale funzione. Essa distingue al riguardo due fattispecie. La prima, normale, ricorre allorchè l’attività in questione sia svolta da personale munito del relativo brevetto; a tale personale l’indennità spetta in misura fissa mensile. La seconda fattispecie ricorre invece quando l’attività di aerosoccorritore sia svolta da personale non munito del relativo brevetto (evidentemente nelle more dello svolgimento della relativa attività addestrativa preordinata al suo conseguimento ovvero nelle more del perfezionamento dell’iter di rilascio del brevetto); in questo caso, la disposizione in esame riconosce il diritto all’indennità limitatamente ai giorni di partecipazione all’attività addestrativa o operativa.

In questo quadro normativo ritiene il Collegio che al ricorrente non possa essere riconosciuto l’emolumento in contestazione dato che egli incontestatamente non svolge attività di aerosoccorritore ma di componente degli equipaggi fissi di volo (come dimostra la circostanza della percezione dell’indennità di aeronavigazione).

Né rilevanza alcuna può essere riconosciuta alla circostanza – pure evidenziata dal ricorrente – che l’art. 17 della legge n. 78 – nel disciplinare corresponsione e cumulabilità delle varie indennità da essa previste – non sancisce un divieto di cumulo tra indennità di aeronavigazione e indennità di aerosoccorso.

La mancanza di disciplina del cumulo – o meglio la mancanza di una norma che espressamente lo vieti – non ha il significato di rendere cumulabili le due indennità ma dipende dalla circostanza che i presupposti del riconoscimento delle due indennità e le loro funzioni sono talmente diverse da escludere in radice la possibilità del cumulo.

Ed infatti l’indennità di aeronavigazione è un emolumento spettante al personale adibito alla conduzione degli aeromobili (con funzioni di pilota, di operatore di sistema etc….) e al personale "paracadutista", svolgente la funzione di compensare i particolari rischi e responsabilità connessi a tali compiti, mentre l’indennità di aerosoccorso è un’indennità spettante ai componenti degli equipaggi fissi di volo che svolgono funzioni di aerosoccorritore ed ha la funzione di compensare gli specifici rischi tipici di tale attività (recupero di un naufrago calandosi con il verricello ovvero immergendosi nelle acque).

In altri termini, nel sistema della legge n. 78 a ciascun particolare compito o impiego operativo è riconosciuta la corresponsione di una particolare indennità; in questa situazione, quindi, la possibilità di un cumulo – nella fattispecie in cui il relativo problema non è oggetto di una specifica normativa – deve essere ammessa solo nei casi in cui vi sia una sicura compatibilità tra le due indennità; nel caso in esame il Collegio ritiene che i compiti svolti e i rischi e i disagi sopportati dai componenti degli equipaggi fissi di volo siano già compensati dal riconoscimento in loro favore della (specifica) indennità di aeronavigazione; il riconoscimento in aggiunta dell’indennità spettante al personale con mansioni di aerosoccorritore determinerebbe dunque una inammissibile moltiplicazione di emolumenti per la medesima attività.

Del resto questo ragionamento – portato alle estreme conseguenze – implicherebbe l’attribuzione dell’indennità di aerosoccorso a ogni componente dell’equipaggio fisso di volo, indipendentemente dalle specifiche mansioni svolte; se però questo fosse il significato della norma, quest’ultima sarebbe stata verosimilmente formulata in modo diverso, nel senso che avrebbe fatto generico riferimento ai componenti degli equipaggi degli aeromobili impiegati nell’attività addestrativa e di aerosoccorso.

In realtà proprio l’inciso "ma non in possesso del brevetto di incursore o di subacqueo o di aerosoccorritore" impiegato dalla norma conferma l’interpretazione restrittiva proposta, nel senso che esso sottintende, contrariamente a quanto sostenuto dal ricorrente che intende tale inciso come conferma della propria interpretazione, che il percettore dell’indennità giornaliera di aerosoccorso debba essere comunque un militare svolgente i tipici compiti dell’aerosoccorritore; in altri termini, se fosse corretta la tesi del ricorrente secondo cui l’indennità giornaliera in contestazione spetta a ogni componente dell’equipaggio fisso di volo coinvolto in operazioni o esercitazioni di aerosoccorso, l’inciso in questione sarebbe del tutto superfluo.

Conclusivamente il ricorso va respinto, mentre le spese seguono la soccombenza e vengono liquidate come da dispositivo.

P.Q.M.

il Tribunale Amministrativo Regionale – Sezione Prima Bis -respinge il ricorso meglio specificato in epigrafe.

Condanna il ricorrente al pagamento, in favore dell’Amministrazione resistente, delle spese del presente giudizio che liquida in complessivi Euro 2.000,00 (duemila).

Ordina che la presente sentenza sia eseguita dall’autorità amministrativa.

Così deciso in Roma nella camera di consiglio del giorno 9 giugno 2010 con l’intervento dei Magistrati:

Elia Orciuolo, Presidente

Domenico Landi, Consigliere, Estensore

Roberto Proietti, Consigliere

Testo non ufficiale. La sola stampa del bollettino ufficiale ha carattere legale.

Tribunale Amministrativo Regionale per il Veneto Sent.n. 588/09

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

Avviso di Deposito

del

a norma dell’art. 55

della L. 27 aprile

1982 n. 186

Il Direttore di Sezione

Il Tribunale Amministrativo Regionale per il Veneto, terza sezione, con l’intervento dei magistrati:

Angelo De Zotti Presidente

Marco Buricelli Consigliere, rel. ed est.

Stefano Mielli Primo Referendario

ha pronunciato, nella forma semplificata di cui agli artt. 21 e 26 della legge 6 dicembre 1971, n. 1034, la seguente

SENTENZA

nel giudizio introdotto con il ricorso n. 342/2009, proposto da Uchendu Sunny, rappresentato e difeso dall’avv. Angelo Lorenzon, con domicilio presso la Segreteria del T.A.R., ai sensi dell’art. 35 del R.D. 26.6.1924 n. 1054;

CONTRO

l’Amministrazione dell’interno, in persona del Ministro pro tempore, rappresentato e difeso dall’Avvocatura distrettuale dello Stato di Venezia, domiciliataria per legge;

per l’annullamento

del provvedimento Cat. A11.2008/Imm. n. 70/08/Div. Amm. e Soc., emesso il 20.10.2008 dalla Questura di Venezia e notificato il 17.11.2008, con il quale è stato revocato il permesso di soggiorno n. M736328 rilasciato al ricorrente il 12.1.2007 per motivi di lavoro subordinato;

visto il ricorso, notificato il 15 gennaio 2009 e depositato in segreteria il 4 febbraio 2009, con i relativi allegati;

visto l’atto di costituzione in giudizio dell’Avvocatura dello Stato per l’Amministrazione dell’interno, con i relativi allegati;

visti gli atti tutti della causa;

uditi, nella camera di consiglio del 25 febbraio 2009 (relatore il consigliere Marco Buricelli), l’avv. Masier, in sostituzione di Lorenzon per la parte ricorrente e l’avv. dello Stato Greco per la P.A.;

premesso che, nel corso dell’udienza camerale fissata nel giudizio in epigrafe, il presidente del collegio ha comunicato alle parti come, all’esito, avrebbe potuto essere emessa decisione in forma semplificata, ex articoli 21 e 26 della l. 6 dicembre 1971, n. 1034, e che queste non hanno espresso rilievi o riserve;

che sussistono effettivamente i presupposti per pronunciare tale sentenza nei termini come di seguito esposti:

1.-premesso in fatto che con il decreto in epigrafe il Questore di Venezia ha revocato il permesso di soggiorno a suo tempo rilasciato al cittadino nigeriano Uchendu Sunny evidenziando:

-che in data 7 settembre 2008 lo straniero è stato tratto in arresto, in flagranza di reato, per la violazione degli articoli 110 c. p. e 73 t. u. n. 309 del 1990 per avere detenuto, trasportato e importato nel territorio italiano, con un suo connazionale, 1,487 kg. di cocaina e che il GIP di Venezia, con provvedimento emesso in data 10.9.2008, ha convalidato l’arresto disponendo, nei confronti dello straniero, la misura della custodia cautelare in carcere, misura tuttora in atto;

-che la condotta sopra citata, che implica collegamenti, nell’ambito sociale, con ambienti e soggetti dediti ad attività illecite, fa ritenere che l’Uchendu rientri nella previsione di cui all’art. 13, comma 2, lettera C) del t. u. n. 286 del 1998;

-che la memoria prodotta dal legale del ricorrente in seguito alla comunicazione del preavviso di rigetto è insufficiente per giustificare una valutazione diversa da quella sopra descritta;

che a sostegno del ricorso è stato sottolineato, in particolare:

-che lo straniero non appartiene ad alcuna delle categorie indicate dall’art. 1 della l. n. 1423 del 1956;

-che l’Uchendu è soltanto imputato del reato di cui all’art. 73, comma 1, del t. u. n. 309/90 e che l’attività illegale contestatagli non può ritenersi accertata giudizialmente;

-che presupposto per poter ritenere un soggetto socialmente pericoloso è l’emissione, nei confronti dello stesso, di una sentenza di condanna per un reato in materia di stupefacenti;

-che il ricorrente dispone di mezzi di sussistenza idonei a garantire il proprio sostentamento;

che l’Avvocatura dello Stato ha concisamente controdedotto chiedendo al Tar di respingere il ricorso;

2.-considerato in diritto che il ricorso è chiaramente infondato e va respinto;

che va premesso che nella specie non trova applicazione l’automatismo di cui al combinato disposto degli articoli 4, comma 3, e 5, comma 5, del t. u. n. 286 del 1998, ma si fa questione di una revoca di un permesso di soggiorno basata su una valutazione –quella di pericolosità sociale- avente natura discrezionale;

che l’apprezzamento della pericolosità sociale costituisce giudizio caratterizzato da una discrezionalità assai ampia e che il giudizio stesso è sindacabile dinanzi al giudice amministrativo esclusivamente nei casi di illogicità, di carenza dei presupposti e di manifesta incongruità (sull’ampia discrezionalità che contraddistingue la valutazione dell’autorità di polizia in materia v. Cons. St., sezione quarta, sentenze nn. 4731/05 e 5305/04; Tar Veneto, III, sent. n. 1289 del 2008);

che, sempre in termini generali, il giudizio probabilistico e prognostico di pericolosità sociale può reggersi anche solamente su un singolo episodio, sempre che si tratti di fatto idoneo a determinare un notevole allarme sociale, e il giudizio medesimo può anche prescindere da accertamenti già intervenuti in sede penale con sentenza (ancorchè emessa in primo grado);

che, guardando più da vicino la fattispecie in esame, il collegio ritiene che dalla documentazione prodotta in giudizio (v. doc. 3 fasc. P. A.) emerga con chiarezza la gravità e la precisione del quadro indiziario a carico dell’Uchendu, anche alla luce delle modalità dell’azione e della tipologia e del quantitativo dello stupefacente, sicché la valutazione di pericolosità sociale fatta dal Questore di Venezia non risulta illogica ed è stata adeguatamente motivata;

che, per quanto riguarda le circostanze addotte dal ricorrente circa la convivenza con una connazionale e il fatto di essere padre di due figli, indipendentemente dalla insufficienza delle stesse, in considerazione della specificità e gravità del fatto commesso, per superare gli elementi negativi desumibili dalla documentazione in atti e in definitiva per sovvertire la decisione finale dell’autorità pubblica, va rilevato che il Tribunale per i minorenni potrà consentire l’autorizzazione alla permanenza dello straniero in deroga, ex art. 31, comma 3, del t. u. n. 286 del 1998, ove ne ricorrano i presupposti;

che il collegio ritiene che il Questore abbia adeguatamente valutato l’attualità della pericolosità sociale considerando la personalità complessiva dello straniero;

che, in definitiva, risulta sufficientemente giustificata la valutazione di pericolosità sociale posta a base della revoca del permesso di soggiorno;

che le spese del giudizio seguono la soccombenza e si liquidano nel dispositivo;

P.Q.M.

il Tribunale amministrativo regionale per il Veneto, terza sezione, definitivamente pronunciando sul ricorso in epigrafe lo rigetta.

Condanna il ricorrente alla rifusione delle spese di giudizio in favore dell’Amministrazione dell’interno, nella misura di € 1.500,00 di cui € 300,00 per spese anticipate ed il residuo per diritti ed onorari, oltre i.v.a. e c.p.a. .

Ordina che la presente sentenza sia eseguita dall’autorità amministrativa.

Così deciso in Venezia, nella camera di consiglio del 25 febbraio 2009.

Il Presidente l’Estensore

Il Segretario

SENTENZA DEPOSITATA IN SEGRETERIA

il……………..…n.………

(Art. 55, L. 27/4/1982, n. 186)

Il Direttore della Terza Sezione

T.A.R. per il Veneto – III Sezione n.r.g. 342/09

Fonte: www.giustizia-amministrativa.it

Corte Costituzionale sentenza n. 78 SENTENZA 07 – 11 marzo 2011 .

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Gazzetta Ufficiale – 1ª Serie Speciale – Corte Costituzionale n. 12 del 16-3-2011

Sentenza

nel giudizio di legittimita’ costituzionale degli articoli 31, commi
2, 3 e 8 lettera c); 32 e 33 della legge della Regione Molise 22
febbraio 2010, n. 8 (Disciplina sull’assetto programmatorio,
contabile, gestionale e di controllo dell’Azienda sanitaria regionale
del Molise – Abrogazione della legge regionale 14 maggio 1997, n.
12), promosso dal Presidente del Consiglio dei ministri con ricorso
notificato il 29 aprile – 7 maggio 2010, depositato in cancelleria il
6 maggio 2010 ed iscritto al n. 73 del registro ricorsi 2010.
Udito nell’udienza pubblica dell’8 febbraio 2011 il Giudice
relatore Alfonso Quaranta;
Udito l’avvocato dello Stato Diana Ranucci per il Presidente del
Consiglio dei ministri.

Ritenuto in fatto

1. – Con ricorso del 29 aprile 2010, depositato presso la
cancelleria della Corte il successivo 6 maggio (ric. n. 73 del 2010),
il Presidente del Consiglio dei ministri ha promosso questione di
legittimita’ costituzionale degli articoli 31, commi 2, 3 e 8,
lettera c); 32 e 33 della legge della Regione Molise 22 febbraio
2010, n. 8 (Disciplina sull’assetto programmatorio, contabile,
gestionale e di controllo dell’Azienda sanitaria regionale del Molise
– Abrogazione della legge regionale 14 maggio 1997, n. 12), per
violazione dell’articolo 120 della Costituzione.
1.1. – Il ricorrente premette che la Regione Molise rientra tra
quelle Regioni che «hanno sottoscritto l’accordo con lo Stato per il
rientro dai deficit sanitari», ai sensi dell’art. 1, comma 180, della
legge 30 dicembre 2004, n. 311 (Disposizioni per la formazione del
bilancio annuale e pluriennale dello Stato – legge finanziaria 2005),
nel testo modificato dall’art. 4 del decreto-legge 14 marzo 2003, n.
35 (Disposizioni urgenti nell’ambito del Piano di azione per lo
sviluppo economico, sociale e territoriale), convertito in legge, con
modificazioni, dalla legge 14 maggio 2005, n. 80.
Sottolinea, inoltre, che tale accordo – la cui attuazione
costituisce condizione per la rinnovata attribuzione del
finanziamento statale – comporta, tra l’altro, l’impegno da parte
delle Regioni interessate a procedere ad una ricognizione delle cause
dei disavanzi e ad elaborare un programma operativo di
riorganizzazione, riqualificazione o di potenziamento del servizio
sanitario regionale, nella prospettiva di individuare gli interventi
necessari al perseguimento dell’equilibrio economico, nel rispetto
dei livelli essenziali di assistenza sanitaria.
Analogamente, l’art. 1, comma 796, lettera b), della legge 27
dicembre 2006, n. 296 (Disposizioni per la formazione del bilancio
annuale e pluriennale dello Stato – legge finanziaria 2007) ha
istituito un fondo transitorio, da ripartirsi tra le Regioni
interessate, subordinando l’accesso anche a tali ulteriori risorse
alla sottoscrizione di un apposito accordo, nuovamente comprensivo di
un piano di rientro dai disavanzi, il cui azzeramento era previsto
entro l’anno 2010. La medesima norma conferisce, poi, al Ministero
della salute, di concerto con quello dell’economia e finanze,
un’attivita’ di affiancamento delle Regioni, per la verifica ed il
monitoraggio dei singoli piani di rientro.
Qualora, poi, nell’ambito del procedimento di verifica e
monitoraggio dei singoli piani, sottolinea ancora la difesa statale,
risulti la mancata attuazione, da parte di taluna delle Regioni
interessate, degli adempimenti posti a loro carico, e’ previsto che
il Presidente del Consiglio dei ministri – ai sensi dell’art. 4 del
decreto-legge 1° ottobre 2007, n. 159 (Interventi urgenti in materia
economico-finanziaria, per lo sviluppo e l’equita’ sociale),
convertito in legge, con modificazioni, dall’art. 1 della legge 29
novembre 2007, n. 222 – diffidi la Regione ad adottare, entro
quindici giorni, tutti gli atti normativi, amministrativi,
organizzativi e gestionali idonei a garantire il conseguimento degli
obiettivi del piano. In caso di persistente inadempimento regionale,
ovvero di verificata inidoneita’ od insufficienza degli atti ed
azioni posti in essere, il Consiglio dei ministri nomina un
commissario ad acta, per l’intero periodo di vigenza del piano di
rientro, con facolta’ – tra l’altro – di proporre alla Regione la
sostituzione dei direttori generali delle aziende sanitarie locali
ovvero delle aziende ospedaliere.
Orbene, non avendo realizzato la Regione Molise gli obiettivi
previsti dal piano di rientro, il Presidente del Consiglio dei
ministri, in base alle citate disposizioni legislative, ha nominato
il Presidente della Regione commissario ad acta per la realizzazione
del piano stesso.
1.2. – E’ in tale contesto, dunque, che si inserisce la legge
regionale n. 8 del 2010, che ha previsto l’adozione di una serie di
misure di natura programmatica, economica, finanziaria e patrimoniale
al fine di individuare gli obiettivi da assegnare al servizio
sanitario regionale, le fonti di finanziamento delle aziende
sanitarie regionali, le modalita’ di ripartizione di tali risorse, il
controllo sulla gestione delle aziende sanitarie regionali per
assicurare efficacia ed efficienza nella acquisizione e nella
gestione delle risorse.
In particolare, gli artt. 31, 32 e 33 attribuiscono alla Giunta
regionale il controllo regionale, il visto regionale e l’attivita’ di
controllo regionale in materia amministrativo-contabile.
Tuttavia, atteso l’intervenuto commissariamento della Regione
Molise, risulterebbero costituzionalmente illegittime le previsioni
legislative secondo cui: e’ la Giunta ad esercitare il controllo su
tutti gli atti del Direttore generale dell’Azienda sanitaria della
Regione Molise (art. 31, comma 2); gli atti adottati dalla Giunta
nell’esercizio della funzione di vigilanza non sono soggetti a
controllo (art. 31, comma 3); la Giunta puo’ deliberare la
risoluzione del contratto con il Direttore generale e la sua
contestuale sostituzione, qualora questi non provveda nei termini
all’adozione del bilancio e/o alla proposta per la copertura della
perdita d’esercizio (art. 31, comma 8, lettera c).
Difatti, osserva il ricorrente, il citato art. 31, comma 2,
«tende a realizzare una funzione di controllo sugli atti del
Direttore generale, in punto di bilancio, riequilibrio della
situazione economica e gestione delle risorse», nell’ottica
dell’attuazione del piano di rientro dal disavanzo sanitario.
Nondimeno, nella specie, sulla base della disciplina legislativa
impugnata, tale finalita’ e’ «destinata a realizzarsi solo attraverso
l’opera degli organi ordinari della Regione, senza alcun riferimento
alle competenze e funzioni del commissario, in assenza del necessario
raccordo istituzionale imposto dal principio di leale collaborazione»
e, pertanto, in violazione dell’art. 120 Cost.
Alla stessa censura si esporrebbe il successivo comma 3 del
medesimo art. 31, posto che «la previsione della assenza di controllo
sugli atti adottati dalla Giunta regionale ai sensi del precedente
comma 2» si tradurrebbe «ancora una volta in una violazione del
principio di leale collaborazione, esautorando di fatto il
commissario ad acta di un’ampia sfera di poteri, primo fra tutti il
controllo sugli atti del Direttore generale, con implicito
disconoscimento dello stesso potere sostitutivo».
Infine, il comma 8 dello stesso articolo – secondo cui la Giunta
puo’ deliberare la risoluzione del contratto con il Direttore
generale e la sua contestuale sostituzione, qualora questi non
provveda nei termini all’adozione del bilancio e/o alla proposta per
la copertura della perdita d’esercizio – violerebbe l’art. 4, comma
2, del decreto-legge n. 159 del 2007, convertito in legge, con
modificazioni, dalla legge n. 222 del 2007, ovvero la norma che
attribuisce al commissario ad acta la facolta’, nell’esercizio dei
suoi poteri, di disporre la sospensione dei Direttori generali.
Anche nel caso in esame la disciplina recata dalla norma
impugnata si tradurrebbe nella negazione della facolta’ spettante al
commissario di proporre alla Regione la sostituzione del Direttore
generale, e dunque in "un disconoscimento" di quel potere di
sostituzione degli organi regionali preordinato alla tutela di
interessi essenziali unitariamente facenti capo allo Stato ed
esercitati dal Governo con la nomina del predetto commissario (e’
richiamata la sentenza n. 2 del 2010 di questa Corte). Difatti, «in
forza di quanto disposto dal citato art. 4, comma 2, rientra tra le
facolta’ del commissario ad acta – dopo la modifica apportata al
testo di tale norma dall’art. 1, comma 1, del decreto-legge 7 ottobre
2008, n. 154 (Disposizioni urgenti per il contenimento della spesa
sanitaria e in materia di regolazioni contabili con le autonomie
locali), convertito in legge, con modificazioni, dall’art. 1, comma
1, della legge 4 dicembre 2008, n. 189 – il potere non gia’ soltanto
di proporre alla Regione la sostituzione dei Direttori generali delle
aziende sanitarie locali e delle aziende ospedaliere, bensi’ quello
di motivatamente disporre la sospensione dalle funzioni dei Direttori
generali, facolta’ che implica, evidentemente, anche quella della
loro sostituzione, trattandosi di assicurare, con tale misura, la
continuita’ nello svolgimento di incarichi che – per il loro
carattere apicale – non tollerano alcuna vacatio» (cosi’ la gia’
citata sentenza n. 2 del 2010, che ha dichiarato costituzionalmente
illegittima la proroga automatica dei Direttori generali delle
aziende sanitarie locali disposta da una norma contenuta in una legge
della Regione Lazio).
Analogamente, violerebbero le prerogative del commissario ad acta
(e, pertanto, l’art. 120 Cost.) anche gli artt. 32 e 33 della legge
regionale impugnata.
Ed invero, il primo di tali articoli stabilisce che gli atti del
Direttore generale, adottati in punto di bilancio e di riequilibrio
della situazione economica, siano soggetti al solo visto di
congruita’ della Giunta regionale. Si e’ in presenza, pertanto, di
atti di natura economico-finanziaria e di programmazione – osserva il
ricorrente – «diretti ad inserirsi nell’ambito di una politica
regionale di ripianamento dei disavanzi», alla quale e’
«completamente estranea la previsione della partecipazione del
commissario ad acta, essendo lasciati alla integrale realizzazione
degli organi ordinari della Regione».
Del pari, l’art. 33 riserva alla Regione l’attivita’ di controllo
e vigilanza sugli atti di programmazione aziendale dell’Azienda
sanitaria regionale, sia sotto il profilo economico di bilancio, sia
sotto quello gestionale di analisi e verifica dei risultati
raggiunti, con eguale menomazione delle attribuzioni del commissario
ad acta.
Di qui, in conclusione, il contrasto di tutte le norme impugnate
con l’art. 120 Cost., giacche’ «la scelta di riservare esclusivamente
agli organi ordinari della Regione la modifica delle "disposizioni
finanziarie, di bilancio e contabili", pur quando esse presentino
profili di interferenza con l’attuazione del piano di rientro dal
disavanzo sanitario, si risolve in un obiettivo svuotamento dei
poteri del commissario ad acta, e dunque in una violazione dell’art.
120, secondo comma, Cost.» (cosi’, la gia’ citata sentenza n. 2 del
2010).
2.- Non si e’ costituita in giudizio la Regione Molise.

Considerato in diritto

1. – Il Presidente del Consiglio dei ministri ha promosso
questione di legittimita’ costituzionale degli articoli 31, commi 2,
3 e 8, lettera c); 32 e 33 della legge della Regione Molise 22
febbraio 2010, n. 8 (Disciplina sull’assetto programmatorio,
contabile, gestionale e di controllo dell’Azienda sanitaria regionale
del Molise – Abrogazione della legge regionale 14 maggio 1997, n.
12), per violazione dell’articolo 120 della Costituzione.
1.1. – Premette in punto di fatto il ricorrente che il Presidente
della Regione Molise e’ stato nominato commissario ad acta per il
rientro dal deficit nel settore sanitario, giacche’ il Molise e’ una
di quelle Regioni che – dopo aver sottoscritto gli accordi diretti
alla riduzione del disavanzo, ai sensi dell’art. 1, comma 180, della
legge 30 dicembre 2004, n. 311 (Disposizioni per la formazione del
bilancio annuale e pluriennale dello Stato – legge finanziaria 2005)
– hanno disatteso l’impegno ad adottare tutti gli atti normativi,
amministrativi, organizzativi e gestionali idonei a garantire il
conseguimento degli obiettivi del piano di rientro, giustificando,
con tale inerzia, l’esercizio del potere sostitutivo statale previsto
dall’art. 4 del decreto-legge 1° ottobre 2007, n. 159 (Interventi
urgenti in materia economico-finanziaria, per lo sviluppo e l’equita’
sociale), convertito in legge, con modificazioni, dall’art. 1 della
legge 29 novembre 2007, n. 222.
1.2. – Cio’ posto, il Presidente del Consiglio dei ministri
assume che la disciplina recata dalle disposizioni impugnate si
risolverebbe in un obiettivo svuotamento dei poteri del commissario
ad acta, e dunque in una violazione dell’art. 120, secondo comma,
Cost.
In particolare, le norme suddette dispongono che: e’ la Giunta ad
esercitare il controllo su tutti gli atti del Direttore generale
dell’Azienda sanitaria regionale (art. 31, comma 2); gli atti
adottati dalla Giunta nell’esercizio della funzione di vigilanza non
sono soggetti a controllo (art. 31, comma 3); la Giunta puo’
deliberare la risoluzione del contratto con il Direttore generale e
la sua contestuale sostituzione, qualora questi non provveda nei
termini all’adozione del bilancio e/o alla proposta per la copertura
della perdita d’esercizio (art. 31, comma 8, lettera c).
In tal modo, osserva il ricorrente, il citato art. 31, comma 2,
«tende a realizzare una funzione di controllo sugli atti del
Direttore generale, in punto bilancio, riequilibrio della situazione
economica e gestione delle risorse», nell’ottica dell’attuazione del
piano di rientro dal disavanzo sanitario; nondimeno, tale finalita’
e’ «destinata a realizzarsi solo attraverso l’opera degli organi
ordinari della Regione, senza alcun riferimento alle competenze e
funzioni del commissario, in assenza del necessario raccordo
istituzionale imposto dal principio di leale collaborazione» e,
pertanto, in violazione dell’art. 120 Cost.
Alla stessa censura si esporrebbe il successivo comma 3 del
medesimo art. 31, posto che «la previsione della assenza di controllo
sugli atti adottati dalla Giunta regionale ai sensi del precedente
comma 2» si tradurrebbe «ancora una volta in una violazione del
principio di leale collaborazione, esautorando di fatto il
commissario ad acta da un’ampia sfera di poteri, primo fra tutti il
controllo sugli atti del Direttore generale, con implicito
disconoscimento dello stesso potere sostitutivo».
Infine, il comma 8 dello stesso articolo – secondo cui la Giunta
puo’ deliberare la risoluzione del contratto con il Direttore
generale e la sua contestuale sostituzione, qualora questi non
provveda nei termini all’adozione del bilancio e/o alla proposta per
la copertura della perdita d’esercizio – violerebbe l’art. 4, comma
2, del citato decreto-legge n. 159 del 2007, ovvero la norma che
attribuisce al commissario ad acta la facolta’, nell’esercizio dei
suoi poteri, di disporre la sospensione del Direttore generale.
In particolare, la disciplina recata dalla disposizione impugnata
si tradurrebbe nella negazione della facolta’ spettante al
commissario di proporre alla Regione la sostituzione del Direttore
generale, e dunque in "un disconoscimento" di quel potere di
sostituzione degli organi regionali preordinato alla tutela di
interessi essenziali unitariamente facenti capo allo Stato ed
esercitati dal Governo con la nomina del predetto commissario (e’
richiamata, al riguardo, la sentenza n. 2 del 2010).
Analogamente, violerebbero le prerogative del commissario ad acta
(e, pertanto, l’art. 120 Cost.) anche gli artt. 32 e 33 della legge
regionale della Regione Molise n. 8 del 2010.
Ed invero, il primo di tali articoli stabilisce che gli atti del
Direttore generale, adottati in punto di bilanci e di riequilibrio
della situazione economica, sono soggetti al solo visto di congruita’
della Giunta regionale. Si e’ in presenza, pertanto, di atti di
natura economico-finanziaria e di programmazione – osserva il
ricorrente – «diretti ad inserirsi nell’ambito di una politica
regionale di ripianamento dei disavanzi», alla quale e’
«completamente estranea la previsione della partecipazione del
commissario ad acta, essendo lasciati alla integrale realizzazione
degli organi ordinari della Regione».
Del pari, l’art. 33 riserverebbe alla Regione l’attivita’ di
controllo e vigilanza sugli atti di programmazione aziendale
dell’Azienda sanitaria regionale, sia sotto il profilo economico di
bilancio, sia sotto quello gestionale di analisi e verifica dei
risultati raggiunti, con eguale menomazione delle attribuzioni del
commissario ad acta.
2.- La questione e’ fondata.
3. – In via preliminare, occorre precisare che nel presente
giudizio di costituzionalita’ non viene in rilievo l’esercizio di
poteri normativi da parte del commissario ad acta, bensi’
l’interferenza, sui poteri dallo stesso esercitati sul piano
amministrativo, di talune scelte compiute dal legislatore regionale
molisano con la legge n. 8 del 2010.
Resta, pertanto, estraneo all’odierno thema decidendum il
problema esaminato dalla recente sentenza n. 361 del 2010, con la
quale questa Corte ha affermato che la disciplina contenuta nel
secondo comma dell’art. 120 Cost. non puo’ essere interpretata come
implicitamente legittimante il conferimento di poteri di tipo
legislativo ad un soggetto che sia stato nominato commissario del
Governo.
4. – Nel caso ora in esame, si tratta soltanto di stabilire se
ricorrano le condizioni per estendere all’odierna questione la ratio
decidendi della citata sentenza n. 2 del 2010.
4.1. – Sul punto, occorre rammentare che tale pronuncia ha
dichiarato costituzionalmente illegittima una normativa legislativa
della Regione Lazio che si caratterizzava per riservare
esclusivamente agli organi ordinari della Regione la modifica delle
disposizioni finanziarie, di bilancio e contabili, pur quando esse
presentino profili di interferenza con l’attuazione del piano di
rientro dal disavanzo sanitario; cio’ che, secondo questa Corte,
costituiva «un obiettivo svuotamento dei poteri del commissario ad
acta», e si traduceva dunque in una violazione dell’art. 120, secondo
comma, Cost. Analogamente, la scelta del legislatore regionale del
Lazio di disporre la proroga dei Direttori generali, nonche’ dei
Direttori sanitari e amministrativi e’ stata ritenuta in contrasto
con il potere del commissario non gia’ soltanto di proporre alla
Regione la sostituzione dei Direttori generali delle aziende
sanitarie locali e delle aziende ospedaliere, bensi’ di motivatamente
disporne la sospensione dalle funzioni, facolta’ che implica,
evidentemente, anche quella della loro sostituzione (sentenza n. 2
del 2010).
4.2. – Tanto premesso, sebbene nel caso oggi in esame –
diversamente da quanto avvenuto in quello deciso dalla citata
sentenza n. 2 del 2010 – non sia ravvisabile un diretto contrasto con
i poteri del commissario, ricorre comunque una situazione di
interferenza sulle funzioni commissariali, idonea ad integrare la
violazione dell’art. 120, secondo comma, Cost.
Giova, infatti, rammentare – come gia’ ha sottolineato in passato
questa Corte, sin dalla sentenza n. 193 del 2007 – che l’operato del
commissario ad acta, incaricato dell’attuazione del piano di rientro
dal disavanzo sanitario previamente concordato tra lo Stato e la
Regione interessata, sopraggiunge all’esito di una persistente
inerzia degli organi regionali, essendosi questi ultimi sottratti –
malgrado il carattere vincolante (art. 1, comma 796, lettera b),
della legge 27 dicembre 2006, n. 296, recante «Disposizioni per la
formazione del bilancio annuale e pluriennale dello Stato – legge
finanziaria 2007») dell’accordo concluso dal Presidente della Regione
– ad un’attivita’ che pure e’ imposta dalle esigenze della finanza
pubblica.
E’, dunque, proprio tale dato – in uno con la constatazione che
l’esercizio del potere sostitutivo e’, nella specie, imposto dalla
necessita’ di assicurare la tutela dell’unita’ economica della
Repubblica, oltre che dei livelli essenziali delle prestazioni
concernenti un diritto fondamentale (art. 32 Cost.), qual e’ quello
alla salute – a legittimare la conclusione secondo cui le funzioni
amministrative del commissario, ovviamente fino all’esaurimento dei
suoi compiti di attuazione del piano di rientro, devono essere poste
al riparo da ogni interferenza degli organi regionali, senza che
possa essere evocato il rischio di fare di esso l’unico soggetto cui
spetti di provvedere per il superamento della situazione di emergenza
sanitaria in ambito regionale.
Da cio’ consegue che devono essere dichiarate costituzionalmente
illegittime le disposizioni contenute nell’art. 31, commi 2, 3 e 8,
lettera c), e negli artt. 32 e 33 della legge regionale impugnata,
nella parte in cui non escludono dall’ambito della loro operativita’
le funzioni e le attivita’ del commissario ad acta nominato dal
Governo per l’attuazione del piano di rientro dal disavanzo regionale
in materia sanitaria.

Per questi motivi
LA CORTE COSTITUZIONALE

Dichiara l’illegittimita’ costituzionale degli articoli 31, commi
2, 3 e 8, lettera c); 32 e 33 della legge della Regione Molise 22
febbraio 2010, n. 8 (Disciplina sull’assetto programmatorio,
contabile, gestionale e di controllo dell’Azienda sanitaria regionale
del Molise – Abrogazione della legge regionale 14 maggio 1997, n.
12), nella parte in cui non escludono dall’ambito della loro
operativita’ le funzioni e le attivita’ del commissario ad acta
nominato dal Governo per l’attuazione del piano di rientro dal
disavanzo regionale in materia sanitaria.
Cosi’ deciso in Roma, nella sede della Corte costituzionale,
Palazzo della Consulta, il 7 marzo 2011.

Il Presidente: De Siervo

Il redattore: Quaranta

Il cancelliere: Melatti

Depositata in cancelleria l’11 marzo 2011.

Il cancelliere: Melatti

Testo non ufficiale. La sola stampa del dispositivo ufficiale ha carattere legale.