Acquisto e perdita della capacità giuridica

La capacità giuridica si acquista al momento della nascita, ed è sufficiente che il soggetto anche per un solo attimo sia vissuto [1].
Prima di tale momento, non vi sono ne diritti ne obblighi giuridici.
La permanenza in vita, seppur breve del soggetto gli permette di essere titolare di diritti ed obblighi ( anche patrimoniali ) e se insorge immediatamente la morte, essi vengono trasmessi.
La prova della vita del incombe su colui che allega il fatto della vita, e tale prova può essere fornita con ogni mezzo ed anche con presunzioni[2].
Al nascituro è risarcibile:
1. il danno alla salute subito per prestazioni rese alla madre prima della nascita (risarcibile in favore del soggetto solo una volta che costui venga in vita) [3];
2. il danno alla salute subito per imperizia del medico durante la vita prenatale [4];
3. il danno subito per le lesioni causategli durante il parto [5];
Il nascituro ha diritto a godere della doppia figura genitoriale, pertanto è vietato alla donna di chiedere, senza il consenso dell’ altro genitore, l’impianto di embrioni crioconservati [6].
E’ vietata la soppressione, la produzione a fini di ricerca o sperimentazione, la selezione a scopo eugenetico, la clonazione e la produzione di ibridi [7]
La capacità giuridica si perde con la morte, che coincide con la cessazione irreversibile di tutte le funzioni dell’encefalo[8]
Dalla morte:
• nessun diritto può più essere acquistato;
• quelli personalissimi già acquisiti si estinguono o si trasmettono agli eredi;
La dichiarazione di morte è fatta non oltre le ventiquattro ore dal decesso all’ufficiale dello stato civile del luogo ove questa è avvenuta.[9] che rilascia l’atto di morte contenente:
1. il luogo;
2. il giorno;
3. l’ora della morte;
4. le generalità del defunto;
5. se coniugato, vedovo o divorziato il nome ed il cognome del coniuge nonché le generalità del dichiarante [10].
La prova della morte è data esibendo l’atto di morte (che è atto pubblico)[11] o altro mezzo, anche la prova testimoniale[11].

a cura del dott. Domenico CIRASOLE
(diritto civile, commerciale, societario, privacy, 231/01, penale d’impresa, dei mercati, degli intermediari finanziari, agrario )

Bibliografia:
1. Bianca;
2. Dogliotti, Le persone fisiche, in Tratt Rescigno, 2, II, Torino, 1982, 19;
3. C. pen., sez. IV, 13.11.2000, C. 11503/93;
4. C. 5881/00
5. T. Nocera Inferiore 7.3.96;
6. T. Bologna 26.6.00, T. Bologna 9.5.00;
7. T. Catania 3.5.04.
8. art. 1 , art. 6 L. 29.12.1993, n. 578;
9. art. 72, d.p.r. 3.11.2000, n. 396;
10. art. 73, d.p.r. 3.11.2000, n. 396;
11. Dogliotti, 25;
12. C. pen., sez. V, 13.5.1998, n.6871

Capacità giuridica

La giurisprudenza definisce la capacità giuridica come la capacità di assumere la titolarità di situazioni giuridiche e la configura come imputazione di rapporti giuridici.
La dottrina configura la capacità giuridica come l’attitudine alla titolarità di poteri e doveri giuridici , cioè l’idoneità del soggetto ad essere titolare di posizioni giuridiche .
La capacità giuridica acquista riconoscimento e tutela costituzionali con l’art. 2 Cost. che riconosce e garantisce i diritti inviolabili dell’uomo tra cui ritroviamo la personalità.
Il riconoscimento della capacità giuridica è generalizzato nei confronti di tutti i cittadini senza alcuna limitazione di sesso, razza, lingua, religione, opinioni politiche, condizioni personali e sociali e contro ogni ostacolo di ordine economico o sociale che possa di fatto impedire il pieno sviluppo della persona umana .
Dalla capacità giuridica ricaviamo i seguenti principi:
• L’eguaglianza dei coniugi
• L’eguaglianza dei cittadini in relazione all’accesso ai pubblici uffici
• La pari opportunità tra uomini e donne ;
• L’impossibilità che la capacità giuridica venga eliminata per motivi di natura politica ;
• L’uguaglianza di trattamento tra uomo e donna in ambito familiare ;
• L’equiparazione dei sessi per l’accesso agli uffici pubblici ed alle cariche elettive
• L’uguaglianza di trattamento tra uomo e donna in ambito lavorativo ;
• Il sostegno all’imprenditoria femminile ;
• L’equiparazione tra la donna e l’uomo, riconoscendo medesime possibilità di esercitare la propria capacità giuridica ed uguali diritti per la conclusione dei contratti e l’amministrazione dei beni. La stessa norma prevede la nullità di tutti i contratti aventi l’effetto di limitare la capacità giuridica della donna .
• L’equiparazione tra figli naturali e legittimi;

La capacità giuridica non va confusa con la capacità di agire, che precisa chi possa validamente compiere azioni, atti e fatti per l’esercizio dei propri diritti o doveri .
La capacità giuridica si acquista con la nascita ;

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1. C. 360/03; C. St. 21.12.92, n. 1539
2. Rescigno, Capacità, in Digesto civ., II, Torino, 1988, 209
3. Bianca, Diritto civile, I, Milano, 1981, 193
4. Articolo 2 Cost. “La Repubblica riconosce e garantisce i diritti inviolabili dell’uomo, sia come singolo, sia nelle formazioni sociali ove si svolge la sua personalità, e richiede l’adempimento dei doveri inderogabili di solidarietà politica, economica e sociale.”
5. Stanzione, Capacità, in EG, V, Roma, 1988, 6
6. Articolo 3 Cost. “Tutti i cittadini hanno pari dignità sociale e sono eguali davanti alla legge, senza distinzione di sesso di razza, di lingua, di religione, di opinioni politiche, di condizioni personali e sociali.
7. E` compito della Repubblica rimuovere gli ostacoli di ordine economico e sociale, che, limitando di fatto la libertà e l’eguaglianza dei cittadini, impediscono il pieno sviluppo della persona umana e l’effettiva partecipazione di tutti i lavoratori all’organizzazione politica, economica e sociale del Paese.”
8. Articolo 29 Cost. La Repubblica riconosce i diritti della famiglia come società naturale fondata sul matrimonio.
9. Il matrimonio è ordinato sull’uguaglianza morale e giuridica dei coniugi, con i limiti stabiliti dalla legge a garanzia dell’unità familiare.
10. Articolo 51 Cost. Tutti i cittadini dell’uno o dell’altro sesso possono accedere agli uffici pubblici e alle cariche elettive in condizioni di eguaglianza, secondo i requisiti stabiliti dalla legge. A tale fine la Repubblica promuove con appositi provvedimenti le pari opportunità tra donne e uomini.
11. La legge può, per l’ammissione ai pubblici uffici e alle cariche elettive, parificare ai cittadini gli italiani non appartenenti alla Repubblica.
12. Chi è chiamato a funzioni pubbliche elettive ha diritto di disporre del tempo necessario al loro adempimento e di conservare il suo posto di lavoro.

13. Articolo 51 Cost. Tutti i cittadini dell’uno o dell’altro sesso possono accedere agli uffici pubblici e alle cariche elettive in condizioni di eguaglianza, secondo i requisiti stabiliti dalla legge. A tale fine la Repubblica promuove con appositi provvedimenti le pari opportunità tra donne e uomini.
14. La legge può, per l’ammissione ai pubblici uffici e alle cariche elettive, parificare ai cittadini gli italiani non appartenenti alla Repubblica.
15. Chi è chiamato a funzioni pubbliche elettive ha diritto di disporre del tempo necessario al loro adempimento e di conservare il suo posto di lavoro.
16. Articolo 22 Cost. Nessuno può essere privato, per motivi politici, della capacità giuridica, della cittadinanza, del nome.
17. l. 19.5.1975, n. 151;
18. l. 9.2.1963, n. 66;
19. l. 9.12.1977, n. 903; l. 8.3.00, n. 53 ; d.lg. 26.3.01, n. 151; l. 10.4.1991, n. 125; art. 8 d.lg. 23.5.00, n. 196;
20. l. 25.2.1992, n. 215;
21. Art. 15, 1° co., l. 14.3.1985, n. 132 (di ratifica ed esecuzione della Convenzione di New York del 18.12.1979);
22. Art. 1 C.C. La capacità giuridica si acquista dal momento della nascita.
23. I diritti che la legge riconosce a favore del concepito sono subordinati all’evento della nascita.

dott. Domenico CIRASOLE
( perfezionamento in diritto penale d’impresa, dei mercati, e degli intermediari finanziari )

Il rapporto di lavoro subordinato ( The relationship of employment )

a cura del dott. Domenico CIRASOLE

Nel nostro ordinamento il rapporto di lavoro subordinato viene trattato separatamente dagli altri contratti perché in esso non è tanto rilevante la fase della formazione della volontà contrattuale quanto lo svolgimento del rapporto stesso. Vi è inoltre la necessità pubblicistica di tutelare il lavoratore, quale contraente più debole.
La principale caratteristica del rapporto di lavoro subordinato è infatti la subordinazione del lavoratore al datore di lavoro, che non implica solo inferiorità economica e sociale dello stesso ma anche la sua estraneità all’organizzazione produttiva in cui è inserito, nonché la soggezione al potere direttivo del datore di lavoro.
Dal punto di vista formale, il rapporto di lavoro è un rapporto di scambio, oneroso, a prestazioni corrispettive. Da una parte c’è l’obbligazione del lavoratore di eseguire la prestazione per il quale è stato assunto, dall’altra c’è quella del datore di lavoro di corrispondere la retribuzione, in proporzione alla qualità e la quantità del lavoro prestato. E’ inammissibile nel nostro ordinamento un contratto di lavoro a titolo gratuito.
Attorno a queste due obbligazioni fondamentali, si dispongono a carico di entrambe le parti una serie di obbligazioni accessorie, strumentali o integrative, quali, per il lavoratore, l’obbligo di non trattare affari in concorrenza con l’imprenditore (c.d. obbligo di fedeltà), gli obblighi di collaborazione, diligenza ed obbedienza, d’altra parte, per il datore di lavoro, l’obbligo di garantire condizioni di lavoro sicure ed i poteri disciplinare, gerarchico e di controllo.
L’obbligazione di lavoro al momento della stipula del contratto è determinata solo in maniera generica; sarà poi il datore di lavoro a riempirla di contenuto (mansioni), attraverso l’esercizio del proprio potere direttivo. Il luogo della prestazione di lavoro viene stabilito dall’imprenditore nell’esercizio del potere direttivo, mentre per quello che riguarda l’orario vi sono una serie di limitazioni stabilite dalla legge a tutela della salute e della sicurezza del lavoratore.
Il potere direttivo del datore di lavoro è tuttavia soggetto ad una serie di limiti legali, in quanto non è attribuito al datore di lavoro solo per il soddisfacimento dei propri interessi ma soprattutto nell’interesse dell’impresa. I lavoratori hanno quindi un interesse legittimo che venga esercitato con imparzialità e senza abusi, da qui la necessità per il datore di lavoro di motivare i provvedimenti presi, ogni volta che venga fatto un trattamento differenziato tra i lavoratori.
Accanto al potere direttivo, il datore di lavoro ha in via strumentale anche il potere di vigilanza sui lavoratori. Tale potere tuttavia deve essere esercitato nel rispetto della riservatezza, libertà e dignità del lavoratore. Sono vietati quindi i controlli a distanza mediante impianti audiovisivi, le indagini sulle opinioni politiche, sindacali o religiose, mentre gli accertamenti sulle infermità fisiche possono essere espletati solo tramite strutture pubbliche.
Qualora il lavoratore non osservi le disposizioni impartite, il datore di lavoro può fare uso del potere disciplinare e comminare sanzioni proporzionali alla gravità dell’infrazione. A tutela del lavoratore è però previsto il principio della predeterminazione delle infrazioni e delle sanzioni corrispondenti in modo che il lavoratore possa fondare la propria responsabilità su una ragionevole prevedibilità della sanzione e anche che il datore di lavoro non abbia troppa discrezionalità nell’applicazione delle stesse. La normativa disciplinare deve essere pubblica e conoscibile a tutti i lavoratori e contro le sanzioni illegittime è possibile fare ricorso.
Oltre al principale obbligo di retribuzione, si è detto che il datore ha il dovere di garantire le condizioni di sicurezza del lavoratore, pertanto il lavoratore ha un vero e proprio diritto soggettivo a condizioni di lavoro sicure. Le condizioni di sicurezza non sono dalla legge stabilite a priori, bensì il datore di lavoro è tenuto ad attuare tutte le precauzioni rese di volta in volta possibili dal progresso tecnico. Si tratta di un obbligo preventivo e si considera violato ogni volta che le misure non vengono approntate, anche se in concreto non sia capitato nessun danno al lavoratore.
Venendo ad analizzare le possibili modifiche apportabili al rapporto di lavoro vediamo che dal lato del lavoratore il contratto di lavoro non è cedibile ne per atto tra vivi , né per successione. Questo perché la persona del prestatore di lavoro non è fungibile. Dal lato del datore di lavoro è invece possibile la cessione, perché l’obbligazione retributiva è invece perfettamente fungibile. Il codice civile disciplina infatti espressamente la sorte dei contratti di lavoro in caso di trasferimento d’Azienda.
Per quello che riguarda invece le modificazioni dell’oggetto del contratto vediamo che le mansioni del lavoratore non possono essere modificate unilateralmente dal datore di lavoro e comunque, anche con l’accettazione del lavoratore non possono mai essere modificate in senso peggiorativo. Il trasferimento del lavoratore può essere invece disposto unilateralmente dal datore di lavoro ma solo per comprovate esigenze organizzative.
Il rapporto di lavoro è suscettibile di periodi di sospensione (dovuti ad esempio a malattia, gravidanza, puerperio, scioperi,ecc.). In tutti questi casi viene meno l’obbligo della prestazione lavorativa ma non necessariamente quello della retribuzione e tutte le obbligazioni accessorie. Le sospensioni per potersi considerare tali devono però essere espressamente previste dalla legge o dalla contrattazione collettiva, altrimenti costituiscono inadempimento degli obblighi contrattuali.
Il rapporto di lavoro si estingue per scadenza del termine in caso di contratto a tempo determinato, mentre nel caso di contratto di lavoro a tempo indeterminato si può estinguere per morte del lavoratore, licenziamento o dimissioni dello stesso. Mentre le dimissioni non sono sottoposte ad alcun obbligo formale tranne quello del preavviso, il licenziamento può avvenire solo per giusta causa (ragioni attinenti a gravi mancanze del lavoratore ) o giustificato motivo (ragioni attinenti all’organizzazione aziendale). In entrambi i casi va motivato per iscritto ed è impugnabile dal lavoratore davanti all’Autorità Giudiziaria Ordinaria.
In ogni caso di risoluzione, al lavoratore spetta il trattamento di fine rapporto, che è costituito da una somma di denaro commisurata alla durata del rapporto stesso. Oltre ad avere natura retributiva, il trattamento di fine rapporto ha anche natura previdenziale in quanto serve a far fronte ai bisogni immediati che possono presentarsi al lavoratore nel momento in cui si trovi senza lavoro. Questo diritto matura solo alla cessazione del rapporto, perché solo in quel momento diventa certo il suo ammontare. Le anticipazioni in corso di rapporto sono circoscritte ad esigenze eccezionali.
Le regole fin qui enunciate valevano fino a pochi anni fa solo per il rapporto di lavoro tra privati. In seguito al decreto legislativo n. 29 del 1993 invece anche il rapporto di pubblico impiego è stato assoggettato alla disciplina privatistica. Si è parlato di privatizzazione del pubblico impiego, è però più corretto parlare di contrattualizzazione dello stesso. Il rapporto alla dipendenza delle pubbliche amministrazioni resta infatti pubblico, ma ora trae la sua fonte da un contratto e non più da un atto unilaterale di nomina ed è regolato contrattualmente. Gli atti di gestione del rapporto non sono pertanto più da considerare atti amministrativi ma sono “degradati” ad atti autoritativi privati e le eventuali controversie sono devolute alla giurisdizione del giudice ordinario.

Urto di navi (Impact of Aircraft)

a cura del dott. Domenico CIRASOLE

Il progressivo intensificarsi del traffico aereo e l’aumento della velocità degli aeromobili, provocando un incremento delle collisioni sia in aria che sul suolo, hanno ingenerato una sempre più pressante esigenza di regolamentazione dell’attività aviatoria e di prevenzione delle collisioni. A tal fine già la Convenzione di Chicago del 7 dicembre 1944 sull’aviazione civile internazionale, obbligava gli Stati a prestare, con lo scopo di controllare il traffico aereo, assistenza al volo da terra. Questa attività, nonché il ricorso sempre più frequente a sistemi automatici di prevenzione delle collisioni installati sugli aeromobili, sono gli strumenti, integrati e complementari, utilizzati per rendere la circolazione aerea scorrevole e sicura e per ridurre quindi le possibilità che si verifichino urti aeronautici.
Nel tentativo di meglio comprendere l’espressione “urto aeronautico”, occorre fornire una spiegazione quanto più possibile dettagliata e precisa che valga a circoscrivere ciò che è oggetto di discussione.
La nozione di urto aeronautico corrisponde a quella elaborata per l’urto di navi, salvo richiedere, per la sua integrazione, l’ulteriore elemento del movimento di tutti i mezzi coinvolti: l’urto, come precisa il primo comma dell’art. 974 del Codice della Navigazione, non deve necessariamente consistere in una collisione materiale, potendo derivare dallo spostamento di aria o altra causa analoga (cosiddetto urto equiparato).
A l’urto aeronautico si applica, in quanto compatibile, la disciplina dell’urto fra navi, contenuta negli articoli da 482 a 487 C. Nav..
In maniera diversa la normativa che si applica nel caso di urto aeronautico, come recata dallo stesso Codice della Navigazione, non trova applicazione agli aeromobili militari. L’esclusione, espressamente prevista dall’art. 748 C. Nav., introduce una difformità di disciplina, in forza della quale ai danni che vedano coinvolti aerei militari in tempo di pace devono applicarsi le norme del Codice Civile in materia di responsabilità civile.
Poiché però le collisioni che si verificano nello spazio aereo, come anche negli aeroporti e in mare (nell’ipotesi di urto misto, ovvero tra aeromobile e nave), sovente interessano velivoli e natanti di diversa nazionalità, occorre menzionare quella parte di disciplina normativa che attinge al diritto internazionale privato, di prevalente origine consuetudinaria, nonché i tentativi di regolamentazione pattizia.
Mentre infatti quest’ultima è stata caratterizzata dai continui insuccessi dei progetti di convenzione internazionale che si sono susseguiti e che hanno fatto emergere l’impossibilità di disciplinare congiuntamente l’urto e i danni a terzi in superficie, ben più prolifero è risultato il bacino normativo del diritto internazionale privato. In base a questo: se l’urto avviene nel territorio o nello spazio aereo di un determinato Stato dovrà ritenersi applicabile la legge di quest’ultimo; se viceversa l’urto è avvenuto in alto mare, od in altro luogo o spazio non soggetto alla sovranità di alcuno Stato, la legge applicabile dovrà essere individuata, come dettato dall’art. 12 C. Nav., nella legge nazionale di appartenenza degli aeromobili, se comune o, altrimenti nella legge italiana.
Presupposto per l’applicazione della disciplina su indicata in materia di urto aeronautico è che tutti i velivoli coinvolti siano in movimento.
Il riferimento al movimento dei mezzi interessati, infatti, costituisce il criterio che discrimina la responsabilità per danno da urto e quella per danno a terzi in superficie.
A questo proposito il 2° comma dell’art. 974 C. Nav. afferma che: “l’aeromobile si considera in volo dall’inizio delle manovre per l’involo al termine di quelle d’approdo”, e da una interpretazione sistematica delle norme in materia, conforme peraltro al concetto elaborato nei citati progetti di convenzione sull’urto, si desume, e ciò a scopo chiarificativo, che deve considerarsi in volo l’aeromobile che si muova utilizzando la propria forza motrice, e dunque anche quello impegnato in una manovra di involo od atterraggio.
Al di fuori di tale ipotesi, la collisione che coinvolga un aeromobile in volo con una nave che non sia in movimento, ovvero con un bene che non sia un mezzo della navigazione, dà luogo all’applicazione della disciplina della responsabilità per danni a terzi in superficie. Ancora diversamente, la collisione tra una nave in movimento ed un aeromobile fermo comporta l’applicazione delle regole di diritto comune.
Tracciata una preliminare distinzione tra “danni da urto” e “danni a terzi in superficie cagionati da urto”, occorre individuare il soggetto responsabile nelle due distinte ipotesi e determinare il contenuto della sua responsabilità.
Così, del danno da urto è responsabile il soggetto esercente del velivolo, ovvero, in caso di urto misto, gli armatori delle navi, e ciò in forza del rapporto di preposizione che esercitano rispetto a comandanti ed equipaggi.
Questa prescrizione non osta, tuttavia, alla circostanza che il danneggiato possa agire direttamente nei confronti dei soggetti che siano preposti dell’esercente e ciò al fine di eludere il regime di limitazione risarcitoria che il Codice della Navigazione, all’art. 975, dispone in favore dell’esercente.
Il particolare, il diritto al risarcimento dei danni da urto si prescrive in due anni dal giorno in cui il danno è stato prodotto.
Invece, in tema di danni a terzi in superficie cagionati da urto, l’art. 978, 1° comma C. Nav. stabilisce che gli esercenti rispondono comunque in solido nei confronti del danneggiati, salvo poi ripartire tra loro le spese sulla base del criterio dell’entità delle rispettive colpe e dell’entità delle relative conseguenze. In questo caso il diritto di regresso si prescrive in un anno dal giorno del pagamento del risarcimento al terzo danneggiato (art. 979 C. Nav.).
Gli esercenti, però, ripartiscono il risarcimento in parti uguali, derogando alla disciplina generale ricordata, quando il danno sia stato prodotto da forza maggiore o se non sia possibile accertare la sussistenza di colpa, ovvero la gravità, o l’entità delle relative conseguenze.
In ultimo, la limitazione a favore dell’esercente è prevista dall’art. 975 C. Nav. il quale fissa nell’ipotesi di danno alle persone un tetto massimo risarcitorio corrispondente all’importo di centonovanta milioni di lire. Non è un caso che questa limitazione corrisponda a quella stabilita in favore del vettore aereo e ciò al fine di impedire che, agendo in via extracontrattuale si possa ottenere un risarcimento maggiore di quello conseguibile nei confronti del vettore in via contrattuale.
Detta limitazione è stata tuttavia superata dal Regolamento CE n. 2027/97 de Consiglio che, in tema di danno alla persona, ha soppresso totalmente il beneficio della limitazione per tutti i vettori aerei comunitari.