Il contratto di somministrazione

a cura del dott. Domenico CIRASOLE

L’art.1559 c.c. definisce la somministrazione ( o fornitura) come “il contratto con il quale una parte si obbliga, verso il corrispettivo di un prezzo, a eseguire, a favore dell’altra, prestazioni periodiche o continuative di cose”.
Tale contratto può trovare applicazione in diversi ambiti economici, in quanto si ricorre a tale forma contrattuale o per soddisfare esigenze dei consumatori o degli utenti (si pensi alla fornitura di gas, energia elettrica ecc.) o ancora nei rapporti tra imprese( si pensi ad una impresa che fornisce semi lavorati o materie prime ad un’altra azienda che successivamente immetterà il prodotto finito sul mercato, o ancora al panificio che fornisce quotidianamente pane a ristoranti o ad altri esercizi commerciali )
Elementi distintivi del contratto in esame sono:
1) pluralità delle prestazioni: le prestazioni sono molteplici ed hanno una loro autonomia;
2) unitarietà della causa che si concretizza con l’unicità del contratto:in pratica, viene stipulato un solo contratto che obbliga il somministrante-fornitore ad adempiere le prestazioni, in maniera periodica o continuativa;
3) è un contratto di durata (essendo appunto presenti molteplici prestazioni,reiterate nel tempo)
4) è un contratto consensuale e non formale: è sufficiente che le parti manifestino il proprio consenso, in qualunque maniera, non è necessario per la validità del contratto la forma scritta (tranne in alcuni casi ai fini probatori) .
5) è un contratto di scambio (do ut des; il somministrante fornisce la cosa, l’utente paga)
6) l’oggetto è dato dalla prestazione( determinata o determinabile) di cose; si potrà trattare di cose mobili o immobili, di energie o di titoli di credito.

La somministrazione si distingue dalla “vendita a consegne ripartite” ; questa infatti ha ad oggetto un’unica prestazione, divisibile, con pluralità di atti esecutivi di consegna, ( si pensi alla consegna ripartite di una quantità di terra acquistata per creare un giardino) nel caso dell’ esempio, la consegna di terra avviene in maniera ripartita solo per comodità, e per rendere più agevole l’esecuzione della prestazione,che è e rimane unica, invece nella somministrazione la periodicità è in funzione di un bisogno periodico dell’utente,e da vita ad una serie di prestazioni, si pensi all’imprenditore che produce pomodori pelati ed ha bisogno delle scatole di latta.

Più delicata è la distinzione tra somministrazione ed appalto. Molto si è discusso su tale problematica, ma a parere di chi scrive, appare degna di nota la tesi secondo cui nella somministrazione e nella vendita la cosa è negoziata come tale e non come risultante dall’attività altrui, attività che invece nell’appalto assume rilevanza in quanto l’imprenditore mette a disposizione i propri mezzi ed il proprio capitale per eseguire l’opera a favore del committente .

La disciplina del contratto di somministrazione è contenuta negli artt.1559-1569 c.c.
L’entità della somministrazione (art. 1560 c.c) le parti possono naturalmente prevedere particolari modalità di determinazione dell’entità della somministrazione, c.d. a piacere, in cui il somministrante si obbliga a fornire la quantità di cose pretesa di volta in volta in piena discrezionalità dalla controparte; in mancanza di accordo, la somministrazione si intende pattuita in relazione al normale fabbisogno;
Il prezzo (art. 1561-1562 c.c.) è corrisposto, in caso di periodicità, all’atto delle singole prestazioni ed in proporzione di ciascuna di esse mentre in caso di continuatività esso è pagato secondo la scadenza d’uso. Quindi le parti possono stabilire che il prezzo non sia pagato al momento della consegna ma anticipatamente o posticipatamente.
Scadenza delle singole prestazioni(art. 1563 c.c.): la somministrazione cessa alla scadenza del termine fissato dalle parti. Il contratto può essere anche a tempo indeterminato ed in quest’ultimo caso, visto che il contratto non può durare all’infinito, la legge (art.1569 c.c.) attribuisce alle parti il diritto di recedere dando un congruo preavviso nel termine pattuito o in quello stabilito dagli usi avuto riguardo alla natura della somministrazione. In caso di recesso, trattandosi di contratto ad esecuzione continuata o periodica, gli effetti si producono ex nunc (da questo momento),cioè chi recede non può vantare diritti sulle prestazioni già eseguite o in corso di esecuzione (art.1373c.c.) Inoltre in caso di inadempimento di una delle parti, la parte adempiente può chiedere la risoluzione del contratto, purchè , avuto riguardo alla natura negoziale (leggasi natura del rapporto), l’inadempimento abbia una notevole importanza, ed abbia inficiato il rapporto di fiducia tra le parti tanto da temere inesattezze nei successivi adempimenti.(art.1564 c.c- risoluzione del contratto))
La sospensione della somministrazione (art. 1565 c.c): si tratta dell’applicazione del principio generale inadimplenti non est adimplendum (vale a dire non è inadempiente il contraente che non esegue la prestazione perché l’altro contraente non ha adempiuto la sua, in maniera ancora più chiara Tizio non paga perché ritiene che Caio non abbia eseguito a regola d’arte l’opera)) di cui all’art.1460c.c., esteso però, nel caso della somministrazione, anche all’ipotesi di lieve importanza dell’inadempimento.
Quindi,si possono verificare le seguenti circostanze:
– se, la parte che ha diritto alla somministrazione è inadempiente e l’inadempimento è di lieve entità e la sospensione da parte del somministrante non è contraria alla buona fede il somministrante può sospendere l’esecuzione del contratto (non può invece chiedere la risoluzione del contratto, perché per far ciò sono necessari la notevole importanza dell’inadempimento ed il venir meno della fiducia nell’esattezza dei successivi adempimenti) purché dia congruo preavviso;
-se invece l’inadempimento dell’utente non è di lieve entità il somministrante ai sensi dell’art. 1460 c.c. potrà sospendere immediatamente l’esecuzione del contratto, potrà utilizzando le parole dell’articolo ”rifiutarsi di adempiere la propria obbligazione”.
Patto di preferenza (art. 1566 c.c.) “il patto con il quale l’avente diritto alla somministrazione si obbliga a dare la preferenza al somministrante nella stipulazione di un successivo contratto per lo stesso oggetto, è valido purché la durata dell’obbligo non ecceda il termine di cinque anni. Se è convenuto un termine maggiore, questo si riduce a cinque anni.” L’impegno delle parti di preferire un determinato soggetto nella conclusione di un affare implica una ipotesi di prelazione convenzionale. Il legislatore prende in considerazione il patto che favorisce il somministrante, ma ciò non esclude la possibilità che le parti possano determinare una preferenza a favore del somministrato.
Unici limiti posti dal legislatore al patto di preferenza sono limiti temporali (l’obbligo non può superare i cinque anni) e limiti relativi all’oggetto (il patto deve essere riferito solo alla stipulazione di un successivo contratto per lo stesso oggetto)
Interessante è il problema relativo al rapporto intercorrente tra tale disposizione e quella contenuta nell’art. 2596 c.c “limiti contrattuali alla concorrenza” che appunto disciplina un’altra ipotesi di limitazione convenzionale della concorrenza con gli stessi limiti temporali e di oggetto.
Ci si domanda dunque il patto di preferenza, costituendo un patto limitativo della concorrenza in senso verticale (tra persone fisiche per intenderci, fornitori, clienti) è disciplinato anche dal disposto dell’art. 2596 c.c.?
Le soluzioni sono le seguenti:
1) se si ritiene che il 2596 c.c. si applichi al patto di preferenza relativo al contratto di somministrazione, sia nelle ipotesi di concorrenza tra imprese concorrenti (leggasi in senso orizzontale) sia tra fornitori, o a danno dei clienti (leggasi in senso verticale) la norma avrà applicazione diretta sul 1566 cc con conseguente necessità di forma scritta ad probationem e fissazione del limite temporale dei cinque anni
2) se invece si ritiene che la norma del 2596 c.c. si applichi solo alle ipotesi di concorrenza tra imprese concorrenti, essa potrà trovare applicazione analogica al patto di preferenza ed anche in questo caso sarà richiesta la forma scritta ad probationem per il patto di preferenza
Pur prescindendo da tali dibattiti teorici, a parere di chi scrive, sempre sterili, il disposto dell’art. 2596 c.c arricchisce di contenuto il disposto del 1566 c.c. e tra le due norme non vi è alcuna incompatibilità.
Il II comma dell’art. 1566 c.c. così recita :”l’avente diritto alla somministrazione deve comunicare al somministrante le condizioni propostegli dai terzi e il somministrante deve dichiarare, sotto pena di decadenza,nel termine stabilito,o in mancanza in quello richiesto dalle circostanze o dagli usi,se intende valersi del diritto di preferenza”.
Esclusiva a favore del somministrato (art. 1567-1568 c.c.)
Le parti possono inserire nel contratto la clausola di esclusiva a favore del somministrato (art.1567 c.c.) oppure la clausola di esclusiva a favore del somministrante (art.1568 c.c).Non vi è da aggiungere altro rispetto al contenuto letterale delle norme alle quali si rinvia.
Per quanto concerne il rapporto tra tali normative e l’art. 2596 c.c. (limiti contrattuali alla concorrenza) si pone il seguente quesito: l’art.2596 c.c è applicabile al patto di esclusiva?
Diverse sono le risposte:
1)secondo una parte della dottrina e della giurisprudenza l’art. 2596 c.c. è applicabile ai rapporti tra imprenditori con la conseguente limitazione della durata limitata ai cinque anni e la forma scritta ad probationem;
2)secondo altri invece il disposto dell’art. 2596 c.c. non può applicarsi se la clausola di esclusiva è la causa del contratto, cioè rappresenta la ragione economico sociale che con quel contratto si vuole raggiungere, di conseguenza solo se la causa è autonoma si applicherà l’art.2596 c.c.
Rinvio (art.1570 c.c) le norme di cui sopra contengono la disciplina generale del contratto di somministrazione, ma non la esauriscono, in quanto di volta in volta potranno essere integrate con la disciplina dei contratti cui corrispondono le singole prestazioni
Somministrazione e fallimento
Una menzione a parte merita la problematica relativa al rapporto tra disciplina codicistica e legge fallimentare.
L’art. 74 l. f. disciplina gli effetti del fallimento sulla vendita a consegne ripartite e sul contratto di somministrazione pendenti al momento della dichiarazione di fallimento, attribuendo rilevanza alle scelte del curatore circa l’esito di tali contratti:
A)in caso di fallimento del somministrato, l’esecuzione del contratto rimane sospesa, il curatore potrà scegliere e quindi dichiarare di subentrare nel contratto al posto del fallito, in maniera tale che il contratto rimanga in vita o altrimenti dichiarare di sciogliersi dal contratto. Il somministrante, se la risposta del curatore tarda ad arrivare, potrà ricorrere al giudice affinché questo assegni un termine al curatore di otto giorni, per decidere se subentrare o sciogliere il contratto. Decorsi gli otto giorni, in mancanza di una scelta da parte del curatore il contratto si intenderà sciolto.
b)in caso di fallimento del somministrante, se il contratto ha avuto esecuzione, il contratto non si scioglie. Nel caso in cui il contratto non abbia avuto ancora esecuzione, il curatore dovrà scegliere tra l’ esecuzione o lo scioglimento del contratto
Lo scioglimento del contratto avrà efficacia ex nunc, cioè non retroattiva,a differenza che nella vendita a consegne ripartite.

Differenze tra assistenza e consulenza giuridica

a cura del dott. Domenico CIRASOLE

Le attività di assistenza e consulenza giuridica costituiscono due attività distinte ma troppo spesso confuse tra loro.
Nella prassi infatti è molto frequente assistere a una sovrapposizione delle due funzioni tanto che spesso esse vengono esercitate dalla stessa persona.
Le differenze tra le due funzioni restano però evidenti e indiscutibili.
L’attività di assistenza infatti consiste nell’attività attraverso la quale l’avvocato “assiste” il cliente che gli ha conferito l’ incarico, utilizzando le proprie competenze e conoscenze per svolgere tutte le deduzioni e cognizioni utili alla difesa della parte in giudizio.
Nettamente distinta da essa è invece l’attività di consulenza giuridica che compete normalmente al procuratore legale e che consiste nel rappresentare la parte nel processo, e che a differenza della prima non può essere eserciate mediante semplice incarico informale della parte, ma necessita di una procura, ovvero di un atto formale di nomina.
La differenza tra le 2 funzioni, assistenza e consulenza giuridica, permette dunque anche di tracciare una netta differenza tra il diverso ruolo dell’avvocato che proprio perchè assiste la parte è anche denominato “ difensore assistente” e quello del procuratore legale che invece rappresentando la parte in giudizio è definito “difensore ministro”.
E’ però anche vero che nella prassi la distinzione tra avvocato e procuratore legale finisce per diventare assai labile se si pensa che l’ordinamento professionale prevede la possibilità di esercizio cumulativo di entrambe le professioni da parte della stessa persona, pur rimanendo l’attività del procuratore legale territorialmente limitata(artt. 2, 27, 28 r.d.l. 27-11-1933, n. 1578).
Ne consegue quindi che il procuratore legale può sia assistere che rappresentare la parte davanti a tutti gli uffici giudiziari della corte d’appello di sua competenza territoriale, e anche davanti al TAR, purchè iscritto nel distretto territorialmente competente; l’avvocato invece può assistere la parte davanti a tutti gli organi giudiziari della Repubblica ma non può rappresentarla salvo che egli non sia anche un procuratore legalmente esercente in loco.
La distinzione tra le due funzioni non ha invece alcun rilievo nei giudizi davanti alle magistrature superiori e alla Corte costituzionale, in quanto in tali giudizi il patrocinio è riservato agli avvocati iscritti nell’albo speciale tenuto dal Consiglio Nazionale Forense.
E’ opportuno anche ricordare che, le funzioni di rappresentanza e di assistenza davanti alle preture possono essere esercitate, alle condizioni previste dall’art. 1 della l. 24-7-1985, n. 406, anche dai laureati in giurisprudenza, dopo un anno dall’iscrizione nel registro dei praticanti procuratori, per un periodo non superiore a quattro anni.
Un ultimo ma non trascurabile aspetto del rapporto tra le funzioni di assistenza e consulenza giuridica riguarda infine l’aspetto della prevalenza.
E’ bene infatti ricordare che l’attività di assistenza è facoltativa ad eccezione del giudizio davanti al pretore in cui a norma dell’art. 822 c.p.c., è alternativa a quella del procuratore, mentre l’attività di consulenza giuridica, nel processo civile, è quasi sempre necessaria (art. 82, 3° co., c.p.c.)
Dunque nel processo civile la parte deve di norma essere sempre rappresentata,mentre l’assistenza giuridica è facoltativa,percui prevale la figura del procuratore legale(difensore ministro) su quella dell’avvocato(difensore assistente).
Diversamente nel processo penale accade esattamente il contrario, cioè è la figura del “difensore assistente”(che può anche essere nominato d’ufficio) a prevalere e sostituire quella del difensore ministro, pur non mancando ipotesi in cui il codice di procedura penale consente all’imputato di farsi rappresentare dal difensore ministro, munito di mandato speciale (si vedano, ad esempio, gli artt. 125 2° co., 136, 170 3° co., 192 1° co., 206)
L’attività di assistenza e consulenza stragiudiziale non può però essere analizzata esclusivamente nell’ambito del nostro ordinamento interno, ma va bensì inquadrata all’interno di un più ampio raggio che tenga conto anche del diritto internazionale.
In particolare l’espansione e internazionalizzazione dei rapporti economici rendono indispensabile la conoscenza e il rapido accesso a informazioni tecniche e giuridiche, non più solo sul diritto interno, ma sempre più spesso sul diritto dei paesi stranieri.
Questa esigenza di specializzazione ha inevitabilmente portato a soppiantare la tradizionale e provinciale figura dell’avvocato “generico-individualista” con quella più aperta e polivalente degli studi associati di assistenza e consulenza.
Per realizzare una vera apertura all’educazione giuridica,all’informazione e all’analisi del diritto straniero,è però necessario partire dalla formazione universitaria, ma qualche passo in questa direzione è già stato
fatto ,con l’introduzione dei c.d. giuristi d’impresa, cui è dedicato uno specifico piano di studi che tiene conto anche delle esperienze degli altri paesi.
Conoscere e confrontare queste diverse esperienze è indispensabile per poter risolvere le dispute nazionali che coinvolgono beni e persone di paesi diversi,ma costituisce anche un ottima opportunità di crescita e apertura per ciascun paese.
Ad esempio l’attività di assistenza e di rappresentanza in giudizio è di regola monopolio della classe forense in ogni paese, lo stesso non può invece dirsi per l’attività di consulenza.
Solo in Germania, infatti, esiste il monopolio sulla consulenza legale, mentre nel resto d’Europa prevale il diverso principio della concorrenza fra avvocati e altre categorie professionali.
In Italia ad esempio, l’attività di consulenza legale stragiudiziale è comunemente ritenuta libera, e pertanto può essere legittimamente esercitata, anche dietro compenso, sia da persone non iscritte negli albi professionali, purchè si tratti di attività sporadiche, sia da tecnici e periti come i dottori commercialisti,i ragionieri, i consulenti fiscali, i consulenti del lavoro, e i notai.
Una grave lacuna invece esistente nel nostro sistema invece riguarda l’accessibilità alla giustizia da parte dei meno abbienti , che spesso sono costretti a rinunciare al loro diritto all’assistenza e consulenza stragiudiziale perché troppo costoso.
L’attuale sistema di gratuito patrocinio italiano regolato dal r.d. 30-12-1923, n. 3282, infatti a differenza degli altri paesi europei ed extraeuropei.
non prevede un sistema di consulenza stragiudiziale a favore dei non abbienti a carico totale o parziale dello Stato.
Si tratta di una lacuna e una arretratezza del nostro sistema che appare ancora più grave se si tiene conto che la stragrande maggioranza degli altri paesi europei ed extraeuropei ha invece da tempo compreso l’importanza di assicurare ai ceti meno abbienti il diritto di accedere più agevolmente alla giustizia, istituendo a tal fine appositi uffici pubblici di consulenza e assistenza a costi decisamente più convenienti della consulenza tradizionale degli avvocati.
Tra queste nuove forme di assistenza e consulenza legale, un attenzione particolare meritano i c.d. «paralegals», persone fornite di un certo livello di preparazione giuridica, che soprattutto in cause di modeste entità consentono un notevole risparmio economico offrendo un servizio di consulenza e assistenza pari a quello di avvocati o tecnici altamente specializzati.

SICUREZZA DELLA NAVIGAZIONE (DELITTI CONTRO LA)

1. Premesse generali.

Tratto comune di tutte le fattispecie contenute nella Parte Terza, libro I, titolo II, capo IV, è la tutela de «l’interesse statale alla sicurezza della navigazione comprensiva anche dell’incolumità dell’equipaggio e dei passeggeri» con una sostanziale corrispondenza voluta dal legislatore con i delitti contro l’incolumità pubblica previsti dal Codice penale(1).

È però di immediata evidenza come questa collocazione all’interno del sistema penale risulti ormai insoddisfacente.

Il Capo riguardante i delitti contro la sicurezza della navigazione da un lato non contempla tutte le fattispecie che tutelano quel bene giuridico per la presenza di norme contravvenzionali (2) e disciplinari (3) distribuite in altra parte del codice(4).

D’altro lato, ciò che ha fatto ritenere come la disciplina dei reati contro la sicurezza della navigazione richieda in termini sempre più pressanti una riconsiderazione in forma organica della materia (5) è che le fattispecie si trovano ad essere distribuite, senza che a ciò presieda un particolare criterio, non solo fra il codice penale ordinario (artt. 423 e 424 rispettivamente «incendio» e «danneggiamento seguito da incendio» in relazione all’art. 425 n. 3); 428 «naufragio, sommersione o disastro aviatorio», 429 «danneggiamento seguito da naufragio»; 432 «attentati alla sicurezza dei trasporti»; 436 «sottrazione occultamento o guasto di apparecchi a pubblica difesa da infortuni»; 449 «delitti colposi di danno»; 450 «delitti colposi di pericolo ») ed il codice della navigazione, ma anche, come si vedrà, in leggi speciali di più o meno recente promulgazione(6).

La sovrapposizione di queste norme è spesso evidente e risulterebbe assai auspicabile una revisione dell’intera materia in un corpus con un minimo di organicità.

Dovendo operare una collocazione sistematica dei delitti contro la sicurezza della navigazione contemplati dal codice della navigazione e dalle leggi speciali, diversi sono i criteri di classificazione che possono essere adottati.

Anzitutto alcune fra le fattispecie penali che vengono in considerazione sono strutturate come reati proprii (7) altre come reati comuni, a seconda del fatto che autore del reato possa essere esclusivamente il comandante o altro membro dell’equipaggio o, comunque, un soggetto qualificato, ovvero «chiunque». La diversa configurazione delle varie fattispecie in relazione al soggetto attivo del reato trova la sua ragion d’essere nel fatto, quanto a quelle costituenti reato proprio, che o la condotta fonte del pericolo per la sicurezza della navigazione può essere posta in essere solamente da chi rivesta quella particolare qualifica oppure che il rivestirla ne accentua significativamente il connotato di pericolosità.

La seconda distinzione che si può operare è fra fattispecie di danno, fattispecie di pericolo concreto e fattispecie di pericolo presunto. La distinzione ha importanza per il rilievo — con riferimento alla lesione del bene giuridico tutelato e, quindi, della configurabilità dell’elemento oggettivo — che eventualmente può assumere la possibilità di provare in concreto che la condotta posta in essere non ha suscitato pericolo di sorta.

La terza, più consueta, è quella fra ipotesi dolose ed ipotesi colpose. L’art. 1124 c. nav. contempla, infatti, una serie di ipotesi colpose esattamente corrispondenti a quelle dolose contemplate dagli artt. da 1112 a 1115 c. nav.

È opportuno ancora notare che alcune fra le previsioni sono di applicazione generalizzata, altre vedono la loro applicabilità circoscritta alle «navi» o ai «galleggianti» nella nozione che si ricava dagli artt. 136 c. nav. e dalla legge 11-2-1971, n. 50(8).

2. Le norme contenute nelle l. 342/76 e 422/89.

Il novero dei delitti contro la sicurezza della navigazione marittima ed aerea non è, come già accennato, esaurito da quelli contemplati nel codice della navigazione.

In particolare a seguito della ratifica da parte dell’Italia della convenzione dell’Aja di data 16-12-1970 sulla repressione della cattura illecita di aeromobili e di Montreal del 23-9-1971 sulla repressione degli atti illeciti a bordo di aeromobili, è stata promulgata la legge 10-5-1976, n. 342 (Repressione dei delitti contro la sicurezza della navigazione aerea). Questa legge prevede alcune fattispecie penali che si aggiungono alle previsioni contenute nel codice della navigazione, altre che possono porsi in apparente conflitto con quelle in esso contemplate.

In particolare, l’art. 1 sanziona con la reclusione da 7 a 21 anni chiunque… con violenza, minaccia o frode commette un fatto diretto… alla distruzione di un aereo. La pena risulta poi aumentata ove il colpevole consegua l’intento e non può essere inferiore ad anni

12 se dal fatto derivano lesioni personali ai passeggeri ovvero ai membri dell’equipaggio. Se dal fatto deriva la morte di una o più persone s’applica la pena della reclusione da 24 a 30 anni.

L’art. 2 sanziona con le pene previste dall’art. 1 chiunque al fine di dirottare o distruggere un aereo danneggia le installazioni a terra relative alla navigazione aerea o ne altera le modalità d’uso. La norma di sovrappone — per una parte almeno — a quella contenuta nel 1° co. dell’art. 1112 nella parte in cui questa sanziona la rimozione dei segnali… prescritti per la navigazione aerea. Il rapporto di specialità fra le due norme è, peraltro, scolpito dal dolo specifico contemplato dalla prima, che, se ravvisabile, ne comporta l’applicazione con assorbimento della seconda, a contenuto più generale.

L’art. 3 amplia l’ambito della punibilità dei fatti previsti negli articoli precedenti anche a) quando l’aeromobile sia immatricolato in Italia (ovunque sia commesso il fatto: quindi anche se commesso nello spazio aereo straniero) o sia stato dato in locazione o noleggio ad enti o persone fisiche italiani o domiciliati in Italia, b) se, in ogni altro caso, atterri in Italia avendo ancora a bordo l’autore del delitto, c) quando l’autore si trovi comunque nel territorio dello Stato ed il Ministro formuli richiesta di punizione. Con legge 28-12-1989, n. 422 è stata ratificata la Convenzione per la repressione dei reati diretti contro la sicurezza della navigazione marittima, con protocollo per la repressione dei reati diretti contro la sicurezza delle installazioni fisse sulla piattaforma continentale firmata a Roma il 10-3-1988.

L’art. 3, 2° co., sanziona con la reclusione da 8 a 24 anni — per la parte che qui interessa — se il fatto è tale da porre in pericolo la sicurezza della navigazione di una nave ovvero la sicurezza di un’installazione fissa… chiunque… a) distrugge o danneggia la nave o il suo carico ovvero l’installazione b) distrugge o danneggia gravemente attrezzature o servizi di navigazione marittima o ne altera gravemente il funzionamento c) comunica intenzionalmente false informazioni attinenti alla navigazione …

Il 3° co. della stessa norma sanziona con la reclusione da 1 a 3 anni chiunque minaccia di commettere uno dei fatti di cui alle lettere a) e b).

Il 4° co. commina la pena dell’ergastolo per chi cagiona la morte di una persona nel commettere alcuno dei fatti di cui al 2° co., mentre ove siano cagionate lesioni personali è previsto un aggravamento di pena rispetto al reato di lesioni di diritto comune. Infine, è prevista una riduzione di pena da un terzo a due terzi ove, per le modalità dell’azione e per la tenuità del danno o del pericolo, il fatto sia da ritenersi di lieve entità ipotesi che risulta difficilmente compatibile proprio con una delle condizioni di punibilità della norma e, vale a dire, il fatto che sia suscitato un pericolo concreto per la sicurezza della navigazione o dell’installazione fissa.

Il 7° co. subordina l’applicabilità della norma alla condizione che il fatto non sia previsto come più grave reato da altra disposizione di legge.

Da ultimo, si deve rammentare che l’art. 4 della convenzione, in deroga alle regole generali in termini di punibilità del reato commesso all’estero, estende la punibilità, rispettivamente, del cittadino e dello straniero, subordinandola al verificarsi di determinate condizioni, che abbia commesso alcuno dei fatti di cui all’art. 3 all’estero.

3. Art. 1112 c. nav. Esecuzione o rimozione arbitraria e omissione di segnali.

Soggetto attivo di questo reato è chiunque.

La condotta penalmente sanzionata è distribuita fra il 1° e il 2° co.

Quanto al primo è costituita dal a) ordinare o b) fare taluna delle segnalazioni prescritte per la navigazione marittima o aerea c) ovvero rimuovere i segnali per la detta navigazione, il tutto arbitrariamente. Sembrerebbe pacifico che la condotta consistente nell’ordinare — del senso di «dare disposizioni al fine di …» — possa essere riferita anche a chi non svolga un particolare ruolo nell’ambito della navigazione e non abbia un potere di supremazia gerarchica riconosciuto normativamente.

Quanto alle segnalazioni prescritte per la navigazione marittima il rinvio deve intendersi effettuato oltre che alle norme contenute nei regolamenti relativi anche in ogni altra disposizione integrativa, financo quelle dettate dall’autorità marittima senza alcuna precisazione in proposito (in particolare non è specificato debba trattarsi di segnalazioni prescritte per la sicurezza della navigazione)(9).

Va segnalato come la norma non preveda l’omessa effettuazione dei segnali, bensì solamente la rimozione degli stessi, lasciando così scoperta una serie di condotte del pari pericolose senza che si comprenda se ciò corrisponda all’effettiva volontà del legislatore.

La condotta deve essere illustrata da un connotato di illiceità speciale costituito dall’arbitrariamente.

Inutile dire come, per la molteplicità delle segnalazioni prescritte dalle più varie norme — anche spesso non di decisiva importanza — l’applicazione della norma risulti particolarmente afflittiva — tenuto conto del non lieve trattamento sanzionatorio — ove di essa ne sia data un’interpretazione rigorosa che la colleghi cioè ad ogni effettuazione di segnalazioni, sic et simpliciter, fuori dei casi previsti.

Il 2° co. prevede altre due possibili espressioni della condotta: a) l’omessa collocazione di segnali predisposti per la sicurezza della navigazione da parte di chi vi sia obbligato b) ovvero l’omissione nel provvedere alle misure imposte a tale scopo. La distinzione fra le due ipotesi, scolpita dal «comunque» che le collega, è data dal fatto che la nozione di «misure», più ampia che non quella di «segnali», conferisce una chiusura alla norma, intendendosi così ricomprendere ogni altra attività — la terminologia non è delle più felici — cui si sia tenuti (per legge, regolamento o disposizione dell’Autorità) a tutela della sicurezza della navigazione quali, ad esempio, l’effettuazione di segnalazioni visive, acustiche o radioelettriche. Ove, pertanto, la segnalazione non attenga la sicurezza della navigazione si renderà applicabile, quando ne ricorrano i presupposti soggettivi, solamente la contravvenzione di cui all’art. 1218.

Il 3° co. prevede un’aggravante ad effetto speciale — nessun dubbio dovrebbe esservi in ordine al trattarsi di aggravante e non di ipotesi autonoma di reato — ove dal fatto derivi pericolo d’incendio, naufragio o sommersione di una nave o di un galleggiante ovvero di incendio, caduta o perdita di un aeromobile. Anche se la norma non lo esplicita, pare evidente che rispettivamente la nave e l’aeromobile contemplati possano essere anche, eventualmente, quelli stessi a bordo dei quali si è dato origine alla condotta sanzionata. Configurare, invece, la fattispecie come un delitto aggravato dall’evento ripropone il problema costituito dalla necessità o meno che l’elemento cognitivo del dolo dell’autore del reato investa, almeno in termini di accettazione della possibilità di insorgenza del pericolo, l’evento ulteriore prospettato dalla norma.

È stata, infine, prevista una clausola di chiusura: le previsioni cui si è fatto cenno non si applicano «se il fatto è previsto come più grave reato» da altra disposizione di legge. Ciò esclude la configurabilità di un concorso formale di reati ove le condotte sopra descritte costituiscano le modalità di esecuzione di altro reato(10). La semplice inosservanza delle norme sulle segnalazioni da parte del comandante integra invece la contravvenzione dell’art. 1218 c. nav.

Il dolo è generico sicché non rileva assolutamente se l’autore del reato abbia tenuto il comportamento addebitatogli per intenzionale sottovalutazione della necessità di effettuare le segnalazioni ovvero per altro motivo.

Proprio il dolo richiesto dalla norma sembra costituire la differenza più significativa fra la fattispecie di cui alla seconda parte del 1° co. — ipotesi di rimozione e con riferimento alla sola navigazione aerea — e quella prevista dall’art. 2 della legge 10-5-1976, n. 342 («Repressione dei delitti contro la sicurezza della navigazione aerea»). Quest’ultima previsione, integrata dal danneggiamento di installazioni a terra relative alla navigazione aerea ovvero nell’alterazione delle modalità d’uso (e la «rimozione» a fortiori la comprende) si connota proprio per il dolo specifico di «dirottare o distruggere un aereo». Quando ricorra il dolo specifico quest’ultima fattispecie dovrebbe, pertanto, assorbire quella più generale.

La norma in questione rientra fra quelle per le quali è prevista anche l’ipotesi colposa dall’art. 1124 c. nav.

4. Art. 1113 c. nav. Omissione di soccorso.

Soggetto attivo del reato può essere chiunque con l’ulteriore specificazione costituita dal fatto che si deve versare in una delle condizioni di cui agli artt. 70 (nave che si trova nel porto o nelle vicinanze di altra in pericolo o prossima al naufragio o ad altro sinistro e comandata dall’autorità marittima di collaborare nell’opera di soccorso), 107 (rimorchiatore richiesto dall’Autorità portuale per un servizio necessario all’ordine o alla sicurezza), 726 (aereo richiesto dal direttore dell’aeroporto per urgente necessità di servizio) — si tratta, dunque, di un chiunque qualificato — e che il soccorso deve essere richiesto dall’Autorità competente. Ancorché le ipotesi normative sopracitate presuppongano tutte già di per sé una richiesta proveniente dall’Autorità marittima o aeronautica l’ulteriore precisazione non è pleonastica. Infatti, il secondo presupposto è costituito da una richiesta di cooperare con i mezzi dei quali dispone al soccorso di una nave, di un galleggiante, di un aeromobile o di una persona in pericolo ovvero all’estinzione di un incendio.

In sostanza mentre i presupposti costituiti dagli artt. 70, 107 e 726 sono del tutto generici (la collaborazione della nave può essere richiesta, ad esempio, anche soltanto per effettuare assistenza logistica nelle operazioni di soccorso) perché sia integrata la fattispecie penalmente sanzionata sembra sia richiesta la mancanza di collaborazione ad una concreta e comandata operazione di soccorso. In difetto di tali presupposti potrebbe configurarsi la fattispecie di cui all’art. 1158 c. nav. — applicabile solamente, però, al comandante — la cui configurabilità è, a sua volta, subordinata al ricorrere dei presupposti integranti gli obblighi di assistenza e salvataggio di cui agli artt., rispettivamente, 489 e 490 c. nav. per la navigazione e 981 e 982 c. nav. per la navigazione aerea.

La norma presuppone, a nostro avviso, dunque, l’individuazione di volta in volta in concreto da parte dell’autorità marittima o aeronautica del tipo di collaborazione richiesto alla nave od all’aeromobile che presta soccorso senza di che, fra l’altro, la condotta — il cooperare con i mezzi dei quali dispone — sarebbe talmente generica da essere sospetta di violazione del principio di tipicità del precetto penale.

La fattispecie dell’art. 1113 c. nav. si trova poi — almeno per una parte della condotta penalmente sanzionata: il soccorso a persona in pericolo — in conflitto apparente di norme con la fattispecie comune dell’art. 593 c.p. Il conflitto non può che essere risolto in favore della sola applicazione della fattispecie dell’art. 1113, che assorbe, ove applicabile, quella più generale.

Anche in relazione a questa fattispecie l’art. 1124 contempla una parallela ipotesi colposa che si configurerà nel caso di cui la collaborazione pure in astratto fornita sia, per negligenza, imperizia ecc, tale da concretare, di fatto, un omessa cooperazione.

5. Art. 1114 c. nav. Rifiuto di servizio da parte del pilota.

Si tratta, come pure è da dire della successiva norma, di reato proprio che può essere commesso esclusivamente da chi rivesta la qualifica di pilota ex art. 86 ss. c. nav.

La condotta penalmente sanzionata è costituita dal a) non rispondere al segnale di chiamata b) ovvero dal rifiutare di prestare l’opera sua. L’ultima ipotesi riguarda il disattendere la richiesta di indicazioni sulla rotta e l’assistenza richiestagli dal comandante nella determinazione delle manovre per seguirla (art. 92) dovendosi circoscrivere, com’è ovvio, l’ambito dei comportamenti penalmente sanzionati a quelli costituenti obbligo cui il pilota sia tenuto per legge.

Il 2° co. contempla l’ipotesi in cui la condotta sia tenuta se la nave è in pericolo. Si ripropone a questo proposito la possibilità di configurare tale condotta come aggravante ovvero come reato autonomo con le rilevanti conseguenze in tema concorso di circostanze. La questione è di particolare rilievo per il significativo diverso trattamento sanzionatorio del 1° co. (pena alternativa) e di questo 2° co. (la pena prevista è nel minimo pari alla massima pena contemplata dall’ipotesi precedente). Proprio questo, oltre al carattere qualificante che conferisce alla gravità della condotta la situazione di pericolo, fa propendere per trovarsi in presenza di un’ipotesi autonoma. In ogni caso, quale che sia la soluzione, la situazione di pericolo dovrà essere conosciuta dal pilota (alt. 59, 2° co., c.p.). La norma non pare distinguere fra la situazione di pericolo per le persone o anche soltanto per le cose (nave compresa).

Anche questa è una delle fattispecie per le quali (ovviamente, non nel caso di rifiuto) l’art. 1124 c. nav. prevede la punibilità anche a titolo di colpa.

6. Art. 1115 c. nav. Abbandono di pilotaggio.

Con scelta sistematica opinabile l’art. 1115 c. nav. sanziona (con le stesse pene del 1° co. dell’articolo precedente) una condotta che ben poteva essere sussunta nella precedente fattispecie: l’abbandono di pilotaggio (prima dell’ormeggio della nave ovvero prima che la stessa abbia lasciato l’area in cui vige l’obbligatorietà) nei casi in cui lo stesso è reso obbligatorio dall’art. 87 del codice.

La fattispecie è identica a quella precedente: trattasi di reato proprio che può porre in essere soltanto il pilota (e non chi solo ne svolga di fatto le funzioni); di fattispecie dolosa o colposa (è prevista dall’art. 1124 c. nav.)(11).

L’opinabilità della scelta del legislatore deriva dal fatto che l’aver previsto la fattispecie in una norma separata rende inapplicabile l’aggravamento di pena previsto dal 2° co. dell’articolo precedente senza che ciò, quando se ne verifichino i presupposti, risponda ad un qualche criterio di ragionevolezza.

7. Art. 1116 c. nav. Abbandono abusivo di comando.

Il reato può essere commesso solamente da chi rivesta la qualifica giuridica di comandante (art. 292 c. nav.). La condotta penalmente sanzionata consiste nel lasciare la direzione nautica della nave o dell’aeromobile in condizioni tali che la direzione venga assunta da persona che non ha i requisiti per sostituirlo. Dunque, non si richiede che il comando sia lasciato ad un soggetto ben precisato essendo sufficiente ad integrare la condotta il lasciare nave o aeromobile in una situazione tale da rendere anche solo probabile che la direzione sia assunta da persona sfornita dei requisiti (ovviamente, quando ciò poi avvenga).

La norma non specifica se per requisiti si intendano i requisiti sostanziali o anche solo quelli legali anche se quest’ultima sembra la soluzione preferibile (così Cass., 9-7-1959, FI, 1960, II, 117).

Le maggiori questioni possono insorgere con riferimento all’interpretazione che si debba dare alla nozione di: lasciare la direzione nautica e ciò specialmente, com’è evidente, nel caso di navigazione protraentesi per lungo tempo in cui è esclusa una presenza fisica costante del comandante nei locali destinati al pilotaggio. Sembra di poter affermare che lasciare la direzione non si ha ogni qual volta il comandante lascia disposizioni sufficientemente precise — sulla rotta, a personale abilitato alla conduzione del mezzo — da consentire allo stesso di non dovervi supplire esulando dalle proprie competenze istituzionali e, del pari, che non sia sufficiente ad integrare la fattispecie un’eventuale carenza di disposizioni in presenza di eventi aventi connotati di assoluta improbabilità.

Ulteriore presupposto per la configurabilità della fattispecie è che l’abbandono avvenga senza necessità, elemento che assurge così a presupposto della condotta che deve essere oggetto della rappresentazione dell’autore del reato(12).

Il dolo è generico, sicché non rileva minimamente il fine che il comandante si sia riproposto con la propria condotta.

È prevista un’aggravante speciale nel caso in cui la condotta sia posta in essere nei casi in cui il comandante deve dirigere personalmente la manovra (art. 298 c. nav.).

La norma si pone in apparente conflitto con altre fattispecie cosicché, anche in questo caso, un maggiore coordinamento, quantomeno sotto il profilo sistematico, si renderebbe opportuno.

Rispetto alla fattispecie dell’art. 1097 (abbandono di nave o di aeromobile in pericolo da parte del comandante) la differenza risiede nel presupposto materiale costituito dal caso di abbandono della nave richiesto per la configurabilità di quella e non della fattispecie in esame.

Altro apparente conflitto si pone rispetto alla fattispecie contravvenzionale dell’art. 1222 che sanziona il comandante che non dirige personalmente la manovra nei casi in cui ne ha l’obbligo. Il conflitto è però appunto solo apparente giacché quest’ultima ipotesi è più specifica ed è configurabile anche ove il comandante abbia lasciato al personale adeguate disposizioni — e, pertanto, non si possa ritenere abbia lasciato la direzione nautica — ma, cionondimeno, pur avendone l’obbligo non abbia, appunto, diretto personalmente la manovra. Deve anche escludersi il concorso delle due fattispecie perché la seconda è assorbita dalla circostanza aggravante dell’art. 1116.

8. Art. 1117 c. nav. Usurpazione del comando di nave o di aeromobile.

Soggetto attivo può essere chiunque. Il reato consiste nell’indebita assunzione o ritenzione del comando di una nave o di un aeromobile. Nella nozione di indebita assunzione o ritenzione deve comprendersi sia l’assenza di requisiti formali — mancanza di titolo abilitante — sia l’assenza di presupposto sostanziale — mancanza di un conferimento di incarico in tal senso, mancanza dei presupposti giustificanti l’assunzione o la ritenzione del comando.

La fattispecie sanziona, come si è visto, solamente l’usurpazione delle funzioni di comando e non, dunque, le altre funzioni ancorché direttive attinenti la navigazione.

Il dolo è generico, ma l’elemento cognitivo deve investire com’è ovvio anche la consapevolezza che l’assunzione o la ritenzione è indebita.

Ancorché il codice preveda una più grave fattispecie all’art. 1138 (Impossessamento della nave o dell’aeromobile) in cui la condotta può essere comprensiva di quella della norma in oggetto, la diversità dei beni giuridici tutelati lascia ritenere che le due fattispecie possano concorrere.

La norma in questione si pone anche in apparente conflitto con l’art. 1220 c. nav. che sanziona a titolo contravvenzionale chi assume o ritiene il comando di una nave o di un aeromobile oltre i limiti della sua abilitazione. Inutile dire che la norma assume un connotato di specialità rispetto a quella in considerazione — com’è pure da dire del 2° co. dell’art. 1117 che sanziona con minore gravità chi commette il reato essendo però provvisto di un titolo per i servizi tecnici della nave o dell’aeromobile — nel senso che sanziona meno gravemente un’ipotesi specifica di indebita assunzione o ritenzione di comando, fermo restando che questa minore ipotesi si applica purché la natura di indebita assunzione o ritenzione non sia riconducibile anche ad altra causa.

Va, infine, precisato che la norma trova un limite per la sua applicazione nel fatto che deve avere per oggetto una nave — od un aeromobile — sicché non troverà applicazione ove sia assunto o ritenuto abusivamente il comando di un’imbarcazione da diporto (cfr. Cass., 9-3-1982, DM, 1984, 258).

9. Art. 1118 c. nav.: abbandono del posto; art. 1119 c. nav.: componente dell’equipaggio che s’addormenta.

Le due fattispecie di cui agli artt. 1118 e 1119 c. nav. presentano aspetti comuni tranne che per il trattamento sanzionatorio — meno grave nella seconda — e nella condotta penalmente sanzionatoria.

Per entrambe soggetto attivo del reato è il componente dell’equipaggio della nave (art. 316 ss. c. nav.), del galleggiante o dell’aeromobile (art. 895 ss. nav.). Parimenti in entrambe è contemplato il presupposto costituito dal fatto che la condotta deve verificarsi durante un servizio attinente la sicurezza della navigazione.

Quanto alla prima la condotta sanzionata è costituita dall’abbandono (13)del posto. Già il fatto che la norma richieda come elemento psicologico il dolo lascia intendere come nel concetto di abbandono sia sotteso un comportamento significativamente più grave che non il semplice allontanamento momentaneo. Una specifica attenzione al fatto che la norma è inserita nel capo dedicato ai delitti contro la sicurezza della navigazione dovrebbe suggerire una particolare attenzione al rispetto del principio di offensività nella sua applicazione concreta. Quanto alla seconda, la condotta è costituita dall’addormentarsi. L’assenza di ogni specificazione se, da un lato, rende punibile anche il fatto addebitabile a colpa dall’altro impone all’interprete di accertare caso per caso quantomeno la sussistenza di una colpa (14) non potendosi escludere a priori un fatto incolpevole e come tale esente da pena.

10. Art. 1120 c. nav. Ubriachezza.

La posizione di responsabilità nella navigazione rivestita da determinati soggetti giustifica una previsione specifica rispetto a quella ordinaria del codice penale quanto all’ipotesi di ubriachezza cui è parificato dal 3° co. l’uso di sostanze stupefacenti.

La norma prevede due ipotesi.

Al 1° co. è sanzionato il trovarsi in stato di ubriachezza … da escludere o menomare la … capacità al comando o pilotaggio. Di tale reato può rispondere solamente Il comandante della nave del galleggiante o dell’aeromobile ovvero il pilota dell’aeromobile. Presupposto ulteriore per la configurabilità della fattispecie è che l’ubriachezza non sia dovuta a caso fortuito o a forza maggiore, precisazione che è riproduttiva del principio dell’art. 45 c.p. e, dunque, pleonastica. Semmai la precisazione vale a far rilevare l’intenzione del legislatore di punire la condotta anche nel caso di riferibilità a colpa dello stato in questione(15).

Più significativo è il fatto che la norma presuppone implicitamente che il soggetto attivo del reato si trovi in servizio non potendosi in astratto escludere un’interpretazione talmente lata da ricomprendere sino all’esclusione o menomazione anche solo di una capacità il cui esercizio potesse essere richiesto in un momento successivo.

Il 2° co. riguarda la stessa condotta — riferita ovviamente alla capacità di prestare servizio — ma riferita questa volta al componente dell’equipaggio della nave, del galleggiante o dell’aeromobile ovvero al pilota marittimo. Presupposto per la configurabilità della fattispecie è che il tutto avvenga durante un servizio attinente la sicurezza della navigazione o nel momento in cui deve assumerlo e, pertanto, non nello svolgimento di una qualunque attività.

Le limitazioni anzidette sono poi quelle che tracciano il confine fra la fattispecie in questione e quella di diritto comune norme fra cui pare indiscutibile intercorra un rapporto di specialità.

È prevista un’aggravante se ubriachezza od uso di sostanze stupefacenti sono abituali.

11. Art. 1123. Danneggiamento con pericolo colposo di naufragio o di disastro aviatorio.

Il capo IV del Titolo II dedicato ai delitti contro la sicurezza della navigazione si chiude con la previsione enunciata dall’art. 1123.

La fattispecie risulta di discutibile collocazione sistematica dal momento che prevede due condotte molto diverse fra loro: la prima, costituita da una sorta di danneggiamento colposo — comunque posto in essere (16) — subordinato al verificarsi di una condizione obiettiva di punibilità; la seconda, ad una specifica ipotesi di danneggiamento doloso — lo slegare o il tagliare gomene o ormeggi — collegata con un ovvero non del tutto comprensibile in chiave logica ad ogni altra azione od omissione colposa.

L’unico tratto unificatore fra le varie ipotesi — a rispondere del reato è chiamato chiunque — è costituito dall’essere la punibilità subordinata alla condizione che dalla condotta derivi pericolo di incendio, naufragio, sommersione o urto della nave o del galleggiante ovvero di incendio caduta perdita o urto dell’aeromobile. La previsione normativa, come si è visto amplissima, trova il suo temperamento solamente nella condizione di punibilità.

Anche a proposito di questa fattispecie si è dibattuto in ordine alla risoluzione del conflitto apparente di norme con l’art. 450 c.p. ritenendosi che la prima sia un reato di danno e quella del codice comune reato di pericolo configurabile solamente, pertanto, ove un danno non si sia verificato(17).

Va precisato che, in particolare, la collisione deve essere necessariamente successiva alla condotta o meglio che la fattispecie non è integrata ove la collisione verificatasi non sia stata preceduta da una delle condotte descritte dalla norma ovvero quando non foriera di un ulteriore pericolo di collisione.

12. Art. 1121: condizioni di maggiore punibilità. Art. 1122: aggravante per l’incendio, il naufragio, il disastro aviatorio.

L’art. 1121 prevede a) significativi aggravamenti di pena quando da taluno fra i reati contemplati dagli artt. da 1112 a 1120 deriva l’incendio il naufragio o la sommersione di una nave o di un galleggiante ovvero l’incendio la caduta o la perdita di un aeromobile b) un ulteriore aggravamento di pena se nel caso previsto nel numero precedente la nave o l’aeromobile sono adibiti al trasporto di persone.

Si tratta, con ogni probabilità, della norma che sottolinea in misura più marcata il mancato coordinamento fra la disciplina speciale e quella di diritto comune. L’art. 1121 delinea infatti situazioni largamente assimilabili a quelle previste rispettivamente dagli artt. 423 in relazione all’art. 425, n. 3 c.p. (incendio di nave o di aeromobile) e 428 c.p. (naufragio sommersione o disastro aviatorio). La differenziazione può rinvenirsi nel fatto che l’evento in questi ultimi casi deve essere oggetto della volizione dell’autore del reato, mentre nelle ipotesi contemplate dal codice della navigazione si pone come condizione di maggiore punibilità (in cui, pertanto, secondo la prevalente dottrina, l’evento può anche non essere investito dal dolo dell’autore del reato).

L’unica precisazione che merita la norma in questione riguarda il fatto che l’incendio ecc. devono derivare dalla condotta commissiva del reato e, pertanto, deve sussistere un nesso di causalità fra la condotta e l’evento e non un mero rapporto di occasionalità. L’art. 1122 prevede, invece, un aumento di pena nel caso della commissione di uno dei reati di cui agli artt. 423 c.p. (incendio) o 424 c.p. (danneggiamento seguito da incendio) se aventi per oggetto una nave (art. 425, n. 3, c.p.) ovvero 428 c.p. (naufragio, sommersione, caduta di aeromobile) nel caso che autore del reato sia il componente dell’equipaggio di nave galleggiante o aeromobile nazionale o straniera o una persona comunque addetta ai servizi della navigazione marittima o aerea.

Risulta, peraltro, evidente come tale ipotesi riguardi solamente quella del 1° co. dell’art. 428 c.p. potendosi ravvisare un rapporto di specialità fra l’ipotesi specifica dell’art. 1112 già esaminata e quella del 2° co. dell’art. 428 (realizzazione del reato distruggendo, rimuovendo o facendo mancare le lanterne o altri segnali, ovvero adoperando falsi segnali o altri mezzi fraudolenti).

Un ulteriore aumento di pena è previsto quando i fatti sopra ricordati siano commessi dal comandante di nave, galleggiante o aeromobile da lui stesso comandato.

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(1) Così la Relazione al Re, sul Codice della Navigazione, n. 718.

(2) Si tratta delle fattispecie degli artt. da 1215 a 1232.

(3) V. art. 1251.

(4) La disciplina delle fattispecie a tutela della sicurezza della navigazione aerea poi, più di ogni altra, assume connotati obsoleti rispetto agli sviluppi che tale tipo di navigazione ha seguito negli ultimi decenni. Basti pensare che le fattispecie del codice riguardano preminentemente comportamenti che si verificano a bordo dell’aeromobile, mentre risultano prive di rilievo in ambito penale molte condotte ascrivibili ai dipendenti degli enti controllori del traffico aereo o degli aeroporti, ai tempi del codice, comprensibilmente, di minore incidenza sul bene giuridico in questione. Sul punto in generale v. Tempesta, «Sicurezza della navigazione aerea», in NN.D.I., XVII, 1970, 285 ss.

(5) Cfr. sull’illogicità di considerare alcuni eventi come il naufragio ora come ipotesi base di alcune fattispecie del codice penale — con aggravante nel codice della navigazione (art. 1122) ora come condizione maggiore punibilità di fattispecie propria del codice della navigazione (art. 1121), per tutti De Vincentiis, «Sicurezza», cit., 280.

(6) Non secondaria considerazione merita, infine, la circostanza che il bene giuridico sicurezza della navigazione si trova ad essere maggiormente esposto al pericolo di essere compromesso da condotte che attengono, il caricamento della nave, la (non) prevenzione degli incendi e degli abbordi fra navi, l’esercizio di radiotelefonia e radiotelegrafia, la sottoposizione ai controlli di sicurezza molte delle quali non trovano considerazione o assistenza con adeguata sanzione pende nel codice della navigazione. Sull’argomento si veda Righetti, «Sicurezza della navigazione marittima», in NN.D.I., XVII, Torino, 1970, 291 ss.

(7) Cfr., sui reati proprii della navigazione e sui reati propri nel codice della navigazione, Padovani, op. cit., 1199.

(8) In particolare va ricordato l’art. 1 di detta legge che stabilisce «In materia di navigazione da diporto, per tutto ciò che non sia espressamente previsto dalla presente legge, si applicano le disposizioni contenute nel Codice della navigazione, nei relativi regolamenti di esecuzione e nelle altre leggi speciali». Norme speciali si rinvengono, ad esempio, in tema di abilitazione alla conduzione delle imbarcazioni da diporto il che si riverbera in termini di inoperatività, nel settore nella nautica da diporto, in questi ambiti della fattispecie dell’art. 1117 c. nav. Sul punto si veda Cass., 6-7-1982, GP, 1983, II, 578; Id., 5-10-1983, GP, 1984, Il, 425; Id., 8-6-1983, GP, 1984, II, 410. L’interpretazione dei rapporti fra le norme contenute nel codice della navigazione e quelle della legge speciale sulla navigazione da diporto non è però univoca. Molti autori (Gaeta, op. cit., 22; Rivello, op. cit., 296) ritengono, invece, che la norma dell’art. 39/I della l. 50/71 là ove afferma: salvo che il fatto non costituisca reato prevista dal codice penale o dalla parte terza del codice della navigazione, chiunque non osservi una disposizione della presente legge … debba interpretarsi nel senso di ricevere applicazione solamente quando il precetto posto dalla legge sulla navigazione da diporto non è sanzionato da una delle fonti citate. Così resterebbero sanzionate dalla norma dell’art. 1117 l’assunzione di comando di imbarcazione da diporto senza patente od oltre i limiti della patente, dall’art. 1216 la navigazione oltre i limiti dell’abilitazione ecc.

(9) Contra Testa, I delitti, cit., 689.

(10) Peraltro Manca, op. cit., 186, ritiene che la fattispecie in esame assorbe a sua volta la previsione dell’art. 450 c.p.

(11) Non si comprende perché, secondo Testa, I delitti, cit., 696, la fattispecie — come pure è da dire di quella dell’art. 1116 — non renda giuridicamente possibile il tentativo, che sembra invece configurabile ogni qual volta l’autore si ponga nelle condizioni per dover abbandonare l’ufficio richiestogli.

(12) Cfr. De Vincentis, «Sicurezza della navigazione», cit., 283.

(13) Diverso presupposto è quello richiesto dalla fattispecie dell’art. 1098 c. nav. (abbandono di nave o di aeromobile in pericolo da parte di componente dell’equipaggio), presupposto costituito dalla situazione di pericolo mentre l’abbandono, in quest’ultimo caso, non è solo del posto ma della nave. Come tale, ove configurabile, tale reato dovrebbe ritenersi assorbire la fattispecie dell’art. 1118.

(14) Ad avviso di Testa, I delitti, cit., 700 il reato può configurarsi solamente nell’ipotesi dolosa e, pertanto, costituisce una realizzazione dell’intento di addormentarsi. L’interpretazione che, invece, si suggerisce è, peraltro, coerente con quella correntemente adottata dalla giurisprudenza militare per distinguere le due ipotesi cui agli artt. 119 c.p.m.p.; (militare di sentinella, vedetta o scorta che s’addormenta) o 120 c.p.m.p. da quella dell’art. 118 c.p.m.p.: violata consegna.

(15) Contra, Testa, I delitti, cit., 700.

(16) Per T. Genova, 18-94956, TG, 1956, 458 il danneggiamento deve avere per oggetto lo scafo o le installazioni essenziali di bordo e non soltanto le cose mobili trasportate sulla nave.

(17) Così Cass. S.U., 17-1-1953, GP, 1953, II, 753. Contra, però Testa, I delitti, cit., 699.

Struttura ed elementi della norma di diritto internazionale privato

Una tipica norma di d.i.p. si articola in due elementi:
— l’ indicazione dei fatti che costituiscono il suo oggetto, cioe la fattispecie in maniera astratta, la categotia giuridica che consiste nell’insieme dei fatti e dei rapporti oggetto della norma di conflitto;
— indicazione delle circostanze (o elementi di estraneità ) di contatto, mediante i quali questi fatti sono collegati all’ordinamento giuridico (nazionale o straniero) che fornirà la regolamentazione del caso (criterio di collegamento), in altri termini la legge da applicare.
Il principale criterio di collegamento è rimasto, anche con la legge di riforma, quello della legge dello Stato cui appartiene il soggetto coinvolto nel rapporto (criterio della cittadinanza).
La norma prevede anche criteri: a)di fatto (ad esempio, il luogo in cui si è verificato l’evento da cui ha avuto origine l’obbligazione ex delicto; il luogo in cui la res oggetto del rapporto è situata, cd. locus rei sitae); b) giuridici (es. dominicilio); costanti (che fanno riferimento a circostanze destinate a rimanere immutate, ad esempio il luogo in cui è collocato un bene immobile); variabili (che fanno riferimento a circostanze suscettibili di mutare nel tempo, ad esempio, la cittadinanza ed il domicilio).
Non è infrequente che nell’ambito di una stessa norma di diritto internazionale privato siano indicati più criteri di collegamento.
In questi casi si parla di cumulo o concorso di criteri di collegamento che, a sua volta, può essere:
a) concorso successivo, ha luogo quando il rapporto tra i diversi criteri di collegamento è di sussidiarietà, per cui soltanto quando quello indicato per primo non può funzionare ci si rivolge al secondo (ad es., ex art. 28 della legge218/1995: la promessa di matrimonio è regolata dalla legge nazionale comune ai nubendi o, in mancanza, dalla legge italiana);
b) concorso alternativo, ha luogo quando i criteri di collegamento, posti sullo stesso piano, sono offerti a scelta.