Separazione dei poteri (Separation of powers)

La separazione dei poteri è fondamentale per la costituzione di uno Stato liberal-democratico.
Grazie ad essa ogni funzione statale (legislativa, amministrativa e giudiziaria) deve essere esercitata da organi diversi (parlamento, governo, magistratura), ciascuno con un proprio potere di decisione, senza interferenze tra l’uno e l’altro.
La teorizzazione di tale principio è già presente nell’opera di Montesquieu intitolata Lo spirito delle leggi (1748). In realtà la separazione tra i poteri prefigurata da Montesquieu non era così netta da escludere la collaborazione tra essi;
Nel 1791, in Francia, l’art 16 della dichiarazione dei diritti dell’uomo e del cittadino presente nella costituzione accolse tale principio. Esso attribuì il potere legislativo ad un’unica camera e quello esecutivo al sovrano ognuno con competenze specialistiche e autonome.
Nell’Ottocento la dottrina tedesca di diritto pubblico stabilisce che alla base di uno Stato unitario e sovrano vi sono sempre e comunque tre funzioni affidate ad organi diversi.
Kelsen al contrario, distingueva tra potere di fare le leggi e potere di applicarle, ma sosteneva che tale distinzione aveva un carattere quantitativo che qualitativo.
La produzione di norme giuridiche doveva essere una funzione appartenente a tutti gli organi dello Stato e non solo a quello legislativo.

Semiotica giuridica (Legal Semiotics)

Si tratta dello studio del diritto attraverso la semiotica, cioè l’ insieme di segni linguistici del linguaggio ed i discorsi;
L’insieme di segni rappresenta un sistema governato da regole, responsabili di determinati comportamenti.
In tal modo nel linguaggio giuridico, essenzialmente prescrittivo o normativo, ad ogni norma sono correlati determinati comportamenti.
In realtà il discorso giuridico non sempre contiene prescrizioni, cioè espressioni deontiche (come il verbo «dovere» o il sostantivo «obbligo»), pertanto è indispensabile interpretare le norme, per conosscere il loro contenuto prescrittivo.
Quindi in realtà la norma giuridica non è altro che l’interpretazione dei testi linguistici delle disposizioni giuridiche.
Le regole semiotiche sono distinte in tre livelli: sintattico, semantico e pragmatico.
I primi due sono usati quando ci si occupa di definizioni, concetti giuridici e norme sull’interpretazione; il terzo quando vengono utilizzati argomenti interpretativi.

Scienza del diritto (Science of Law)

La (—) è la descrizione del diritto positivo attuata con metodo scientifico. Secondo alcuni teorici del diritto essa si identifica con la giurisprudenza.
Si discute se esiste una (—) dotata di un metodo ad essa peculiare e diverso da quello utilizzato dalle altre scienze che si occupano del diritto (es. storia del diritto e sociologia del diritto).
La diversità di soluzione fornita a tale problema distingue tra loro due delle principali concezioni contemporanee del diritto: il giuspositivismo ed il realismo giuridico.
Secondo i giuspositivisti la (—) utilizza un metodo diverso da quello delle altre scienze, in quanto si disinteressa della effettività delle norme, occupandosi solo della loro validità, ossia della loro esistenza specifica nell’ordinamento.
Essa sarebbe, quindi, una scienza normativa che, procedendo alla costruzione di sistemi [vedi Sistema] concettuali, viene definita anche sistematica e che, inoltre, ponendo alla base delle proprie descrizioni le norme giuridiche considerate come indiscutibili, è detta anche dogmatica giuridica.
Secondo i giusrealisti, invece, la (—) non è affatto una scienza empirica, anzi è una falsa scienza (un’ideologia) che, pur guardando alla realtà delle norme, ha il solo compito di convincere all’obbedienza del diritto effettivo dello Stato.
Per trasformarsi in vera scienza empirica la (—), secondo i giusrealisti, dovrebbe proporsi lo scopo di prevedere i comportamenti giuridicamente rilevanti, in primis quelli dei tribunali.
Le problematiche intorno alla (—) ed al carattere scientifico della giurisprudenza hanno inevitabilmente indotto i filosofi del diritto a proporre alla giurisprudenza stessa un valido modello di scienza da seguire. Naturalmente, i modelli proposti variavano in funzione dei mutamenti attuati in filosofia della scienza. È stato così proposto il modello positivistico, quello neopositivistico e, attualmente, quello del post-positivismo. In più, dato il carattere di fenomeno sociale del diritto, inevitabilmente si presenterà anche il problema di adottare un metodo tra quelli forniti dalle scienze sociali.

Schmitt, Carl (1888-1985)

Fu filosofo del diritto e teorico della politica tedesco.
Laureatosi in giurisprudenza, iniziò la sua carriera come insegnante, inseguito, divenne consigliere dello Stato prussiano e presidente dell’associazione dei giuristi nazionalsocialisti. Aderì al partito nazista e successivamente fu dimesso dall’insegnamento e arrestato.
Dopo essere stato assolto, si ritirò a vita privata.
Le sue opere più importanti sono:
– La dittatura;
-Teologia politica;
-Il concetto del politico;
– Il Custode della Costituzione;
– Legalità e legittimità;
– Il Leviatano nella dottrina dello Stato;
– Il problema della legalità,
– Il compimento della Riforma;
– Le categorie del politico.

Filosofo del diritto e teorico della politica tedesco. Fu allievo di Weber. Laureatosi in giurisprudenza nel 1910, insegnò diritto pubblico in varie università tedesche (Greisfwald, Bonn, Colonia e Berlino). Nel 1933 aderì al partito nazista; fu consigliere dello Stato prussiano e presidente dell’associazione dei giuristi nazionalsocialisti. Per le sue compromissioni col nazismo, nel 1945 fu dimesso dall’insegnamento e arrestato. Assolto successivamente, si ritirò a vita privata.
Tra i suoi principali scritti: La dittatura (1921); Teologia politica (1922, riscritto nel 1934); Il concetto del politico (1927, ristampato nel 1928); Il Custode della Costituzione (1931); Legalità e legittimità (1932); Il Leviatano nella dottrina dello Stato (1938); Il problema della legalità (1950), Il compimento della Riforma (1965); Le categorie del politico (1972; si tratta di una raccolta italiana di sei saggi curata da Pierangelo Schiera e Gianfranco Miglio).
Il suo pensiero fu fortemente influenzato da Hobbes, Hegel, Kierkegaard, Sorel, oltreché Weber e Benjamin.
Partendo dalla constatazione che nello Stato moderno non esiste più una legittimità tradizionale (come avveniva invece per le monarchie ereditarie), (—) si dedicò all’analisi dei fondamenti della sovranità dello Stato nel XX secolo. In costante polemica col normativismo di Kelsen, che identificava lo Stato con l’oggettiva impersonalità della norma, (—) sostenne che la sovranità si fonda non sulla norma [vedi Norma giuridica] ma su una decisione politica. Più precisamente, prima che si determini un ordine stabilito, entro il quale la norma possa efficacemente operare, esiste uno stato di eccezione, caratterizzato dall’assenza di norme. Sovrano è allora chi nello stato di eccezione riesce ad imporre la propria decisione, dando origine all’ordinamento giuridico. Sovrano è colui che a partire dall’eccezione, ossia dall’assenza di norme, decide instaurando un ordine. Il problema della decisione venne poi compiutamente analizzato ne Il Custode della Costituzione, ove il decisionismo è considerato un atto realizzato storicamente da quel complesso unitario che è il popolo.
In Dottrina della Costituzione il popolo, esercitando il potere costituente, crea la propria struttura politica attraverso una «decisione fondamentale».
Dal concreto stato di eccezione e dalla decisione che da esso prende le mosse e fonda un ordine, ha origine la politica. Questa origine è definita da (—) il «politico», ossia il legame, la relazione antitetica tra amico e nemico e si può determinare in qualsiasi ambito della vita associata. Laddove vi è relazione, in rapporto polemico, tra amico e nemico vi è politica. Il nemico è sempre nemico pubblico (hostis) e non l’avversario privato (inimicus) e può essere moralmente buono o esteticamente bello o economicamente vantaggioso ma è pur sempre l’«altro» dal punto di vista esistenziale, con cui è possibile la radicalizzazione di un conflitto non risolvibile attraverso il ricorso ad un sistema prestabilito di norme. La naturale conseguenza di tale contrapposizione è la guerra tra le nazioni. La guerra è il mezzo estremo della vera politica, che deve sapere individuare con certezza il nemico da neutralizzare.
A differenza di Hobbes e di quanti come lui avevano ritenuto possibile il superamento dei conflitti sociali nello Stato e nella sua legge astratta, (—) ritiene che la conflittualità, il «politico» appunto, resti pur sempre all’interno dell’ordine costituito e si frapponga alla sua supposta stabilità. Per essere pienamente efficace, dunque, il diritto pubblico non può negare la «politicità» della propria origine.