L’art. 628 c.p. stabilisce che il termine Rapina comprenda due diverse ipotesi criminose, il cui elemento comune è dato dall’impossessamento di cose mobili altrui e dall’uso di violenza o minaccia alla persona.
Si parla quindi di Rapina propria e impropria:
1) commette il reato di Rapina propria chi si impossessa della cosa mobile altrui, per procurare a sé o ad altri un ingiusto profitto, e la sottrae a chi la detiene con violenza alla persona o minaccia;
2) commette il reato di Rapina impropria chi usa violenza o minaccia dopo la sottrazione, per assicurare a sé o ad altri il possesso della cosa sottratta o per procurare a sé o ad altri l’impunità.
Si parla di reato appartenente alla categoria dei delitti contro il patrimonio.
Non vi è nessun dubbio sulla configurabilità del tentativo per entrambe le fattispecie.
la pena è la reclusione da 3 a 10 anni e multa da euro 516 a euro 2.065.
Autore: Admin
Raid (d. internaz.)
Intervento non autorizzato di agenti di uno Stato nel territorio di un altro Stato, nell’intento di proteggere persone che si trovano in grave pericolo.
Si tratta di un illecito internazionale, con conseguente emersione della responsabilità internazionale dello Stato a cui è imputabile tale condotta.
Tuttavia a giustificazione della penetrazione non autorizzata sono stati più volte invocati nella prassi la forza maggiore e la legittima difesa, nonché i cd. (—) umanitari, effettuati allo scopo di proteggere le vittime di comportamenti generalmente condannati dalla società internazionale, quali il dirottamento aereo e la presa di ostaggi (israeliani a Entebbe nel 1976 e statunitensi a Teheran nel 1980).
Ragionevolezza delle leggi (principio di) (d. cost.) (Reasonableness of the law (principle of))
Esso è stato elaborato dalla Corte Costituzonale come il principio di uguaglianza, prendendo spunto da un analogo principio della giurisprudenza anglosassone.
Il principio di ragionevolezza delle leggi prevede che le disposizioni normative presenti in atti aventi valore di legge siano adeguate o congruenti riguardo al fine perseguito dal legislatore.
Si parla di violazione della stessa, quando si riscontri una contraddizione all’interno di una disposizione legislativa, oppure tra questa ed il pubblico interesse perseguito.
Il principio in esame è un limite al potere discrezionale del legislatore, ed impedisce un esercizio arbitrario.
La verifica della ragionevolezza di una legge si fa attraverso un’indagine sui suoi presupposti di fatto, la valutazione della congruenza tra mezzi e fini, l’accertamento degli stessi fini.
Pertanto si ricorre spesso ai lavori preparatori della legge, alle circolari ministeriali esplicative, ai precedenti storici dell’istituto.
Se la legge è irragionevole, essa sarà affetta dal vizio dell’eccesso di potere legislativo, e, potrà essere ritenuta costituzionalmente illegittima dalla Corte costituzionale.
Ragionevole durata del processo (d. pubbl.) (Reasonable duration of the process)
La L. 24-3-2001, n. 89 (c.d. legge Pinto) ha stabilito che se viene violato il principio della ragionevole durata del processo si può ottenere un’equa riparazione per eventuali danni patiti.
Ai sensi dell’art. 2 della citata legge, chi subisce un danno patrimoniale e non patrimoniale per effetto della violazione della Convenzione per la salvaguardia dei diritti dell’uomo e delle libertà fondamentali, ha diritto ad una equa riparazione.
Il giudice deve accertare la violazione considerando la complessità del caso, il comportamento delle parti, del giudice e di ogni altra autorità intervenuta.
Secondo l’art. 2056 c.c. (danno emergente e lucro cessante) viene stabilito un risarcimento comprendente anche la riparazione anche per il danno morale.
La domanda di equa riparazione viene fatta mediante ricorso sottoscritto da un difensore munito con procura speciale.
L’istanza viene avanzata innanzi alla Corte di Appello del distretto dove è posto il giudice competente, e secondo i criteri di cui all’art. 11 c.p.p.; a pena di decadenza.
La domanda deve essere proposta durante il corso del processo cioè entro sei mesi dal momento in cui la decisione diventa definitiva.
Il provvedimento viene dunque comunicato al Procuratore Generale della Corte dei Conti se avviene l’ accoglimento della domanda, per un’eventuale azione di ristoro del danno erariale.
Esso viene anche comunicato ai titolari dell’azione disciplinare nei confronti dei dipendenti pubblici responsabili del ritardo.
Il decreto della Corte di Appello dopo la decisione sul ricorso può essere impugnato in Cassazione.