È, oltre al dolo, l’elemento soggettivo che integra la fattispecie dell’atto illecito.
Essa deriva dalla violazione dei doveri di diligenza, perizia o prudenza ovvero dall’inosservanza di leggi, regolamenti, ordini o discipline nell’esercizio di una attività.
La (—) si sostanzia nella non volontarietà dell’evento, che è cagionato da un comportamento negligente, imprudente o imperito.
In relazione al grado di diligenza richiesto si distingue tra (—):
— lieve, determinata dalla violazione della diligenza media (art. 1176 c.c.);
— grave, che deriva dalla inosservanza di quel minimo di diligenza che tutti dovrebbero avere;
— lievissima, che si ha quando, per legge o per accordo, si pretenda una diligenza superiore alla media.
Il danno cagionato da un comportamento colposo è fonte di responsabilità.
Tali distinzioni non hanno, generalmente, alcuna rilevanza ai fini della sussistenza dell’illecito, salvo quando l’ordinamento non richieda una maggiore intensità della (—) ai fini della rilevanza giuridica del fatto (art. 2236 c.c.).
(—) come elemento soggettivo del reato (d. pen.)
Per l’art. 43 c.p. il delitto è colposo, o contro l’intenzione, quando l’evento, anche se preveduto, non è voluto dall’agente e si verifica a causa di negligenza o imprudenza o imperizia, ovvero, per inosservanza di leggi, regolamenti, ordini o discipline.
Da tale definizione risulta che per la sussistenza del reato colposo occorre: che la condotta sia attribuibile alla coscienza e volontà del soggetto (art. 421); che manchi la volontà dell’evento, in quanto tale volontà caratterizza il dolo; che il fatto sia dovuto ad imprudenza, negligenza, imperizia o inosservanza di leggi, regolamenti, ordini o discipline, cioè sia in contrasto con determinate regole di condotta richiamate dalle qualifiche contemplate dall’art. 43, le quali costituiscono elementi oggettivi della imputazione soggettiva.
La negligenza consiste nella mancata adozione di regole cautelari, e viene identificata con la trascuratezza, mancanza di attenzione e di sollecitudine.
La imprudenza si sostanzia nel porre in essere un comportamento là dove regole cautelari lo sconsigliano; è avventatezza, scarsa considerazione degli interessi altrui.
La imperizia consiste nella inosservanza di regole tecniche (cd. leges artis) per ignoranza, incapacità o semplice inapplicazione e quindi è un’imprudenza o negligenza qualificata a seconda che le regole violate prescrivano un facere o un non facere.
Nell’ambito della colpa occorre distinguere la (—) cosciente o con previsione dell’evento, dalla (—) incosciente o senza previsione dell’evento. La prima ricorre quando l’agente ha previsto l’evento, senza averlo voluto; questa specie di colpa è ai confini con il dolo eventuale [Dolo], ma se ne distingue perché il reo agisce con la sicura fiducia che l’evento previsto come possibile non si avvererà.
La previsione rappresenta una circostanza aggravante del delitto colposo e importa un aggravamento di pena (art. 61 n. 3 c.p.).
La seconda si ha quando l’agente agisce con imprudenza o negligenza o imperizia o violando norme cautelari, ma non prevede di causare con la sua condotta un evento antigiuridico. È questa la specie di (—) più ricorrente nei delitti colposi.
Ulteriore distinzione effettuata in dottrina è fra (—) propria ed impropria: la prima comprende le ipotesi tipiche di colpa, accomunate dal fatto che l’evento dannoso non è voluto dall’agente; la seconda comprende quelle ipotesi eccezionali in cui, pur essendo l’evento voluto dall’agente, questi risponde di reato colposo. Ci si riferisce alle ipotesi di eccesso colposo nelle contravvenzioni, di cui all’art. 55 c.p., di erronea supposizione (dovuta a colpa dell’agente) della sussistenza di cause di giustificazione, di cui all’art. 59 u.c., di errore di fatto sul fatto costituente reato, determinato da colpa, di cui all’art. 47.
Si distingue tra previsione dell’evento (è il caso della (—) cosciente) e prevedibilità, la quale ultima è presente nella struttura stessa della (—). Si ha prevedibilità quando un evento poteva prevedersi e non si è previsto; si ha invece previsione quando l’agente ha previsto il verificarsi dell’evento, pur reputando o sperando che l’evento non si verificasse.
(—) professionale (d. civ.)
È quella in cui può incorrere il professionista (es. medico) nell’esercizio della sua attività. Ci si chiede se in tal caso debba farsi riferimento alle regole generali dettate in materia di colpa ovvero, come previsto dall’art. 2236 c.c., il professionista debba rispondere solo per colpa grave, con esclusione, quindi, di responsabilità per fatti commessi con colpa media o lieve. Secondo la giurisprudenza dominante l’operatività della norma civilistica deve essere limitata all’ambito risarcitorio, mentre in campo penale la valutazione della colpa professionale va fatta secondo gli ordinari criteri, sebbene con una certa comprensione, in considerazione dell’incidenza del rischio spesso immanente nell’attività professionale (ad es. del medico).
Autore: Admin
Colonia agricola e casa di lavoro (assegnazione ad una) (d. pen.) (Cologne, agricultural and household work (an assignment))
È una misura di sicurezza detentiva che si applica a soggetti determinati dalla legge.
Sono infatti assegnati alla (—):
— i delinquenti abituali, professionali e per tendenza;
— coloro che, essendo stati dichiarati delinquenti abituali, professionali o per tendenza e non essendo più sottoposti a misura di sicurezza, commettono un nuovo delitto non colposo che sia manifestazione dell’abitualità, professionalità o tendenza a delinquere;
— i condannati o prosciolti nei casi espressamente previsti dalla legge, e cioè nelle ipotesi previste dagli artt. 2123, 2154, 2232, 2261 e 2312, c.p.
La scelta fra (—) è rimessa al giudice che la applica o al giudice di sorveglianza i quali terranno conto delle condizioni e delle attitudini della persona a cui il provvedimento si riferisce.
Collocamento (d. lav.) (Placing)
Insieme di strutture pubbliche e di procedure amministrative avente ad oggetto la costituzione di rapporti di lavoro subordinato.
L’istituto del (—) trova il suo fondamento negli artt. 41 e 351 Cost.:
— il primo sancisce il dovere, per lo Stato, di promuovere le condizioni che rendano effettivo il diritto al lavoro riconosciuto a tutti i cittadini (politica dell’impiego);
— il secondo affida allo Stato il compito di tutelare il lavoro in tutte le sue forme e applicazioni.
Originariamente, il (—) costituiva una pubblica funzione esercitata direttamente e esclusivamente dallo Stato.
Il sistema era basato sulla formazione di graduatorie di avviamento (cd. liste) di prestatori di lavoro in relazione alla loro qualificazione professionale, tenute presso gli uffici pubblici di (—), e sul meccanismo della richiesta numerica delle figure professionali da assumere, successivamente trasformata in richiesta nominativa, inoltrata dai datori di lavoro a cui faceva seguito il nulla-osta all’assunzione da parte dell’ufficio di (—).
Solo dopo questo atto, poteva costituirsi regolarmente il rapporto di lavoro. Questo sistema di tipo pubblicistico, combinato con il divieto di intermediazione e interposizione nelle prestazioni di lavoro sancito dall’ordinamento con la L. 1369/1960, impediva qualsiasi attività privata nel campo della mediazione tra domanda e offerta di lavoro e determinava una situazione di monopolio delle strutture pubbliche accompagnata, però, da una palese inefficienza e inadeguatezza ai mutati contesti socio-economici.
Una prima svolta si è avuta con la L. 608/1996 che introducendo per la generalità dei lavoratori del settore privato il meccanismo dell’assunzione diretta, segna il definitivo passaggio del (—) da una funzione di intermediazione preventiva ad una funzione prevalentemente di controllo posteriore alla costituzione del rapporto.
Successivamente con la L. 196/1997 si è operata una prima parziale apertura del (—) a soggetti privati, consentendosi l’intermediazione tra domanda e offerta di lavoro ad apposite agenzie private, di fornitura di lavoro temporaneo [Lavoro (interinale)].
Con il D.Lgs. 469/1997 si è provveduto:
— da un lato, a decentrare a Regioni e enti locali le funzioni relative al (—) dei lavoratori e alle politiche attive del lavoro;
— dall’altro, ad aprire il sistema a imprese o gruppi d’imprese private in possesso di appositi requisiti.
L’organizzazione del (—) è quindi demandata a ciascuna Regione che deve provvedere mediante la definizione, con propria legge (regionale), degli organismi preposti al (—).
A livello provinciale le funzioni e i compiti relativi al (—) sono svolti mediante strutture denominate centri per l’impiego e attraverso la commissione per le politiche del lavoro (organo tripartito permanente di concertazione e di consultazione delle parti sociali).
Con la piena operatività della riforma del D.Lgs. 276/2003 ha cessato di esistere l’istituto del (—) così come tradizionalmente concepito.
In suo luogo si svolgono una serie di attività sul mercato del lavoro, solo in parte qualificabili come interventi di natura pubblica e gestiti dagli enti locali (Regioni e Province) secondo il modello prefigurato dal D.Lgs. 469/1997.
La mediazione nei rapporti di lavoro viena svolta in concorrenza dalle strutture pubbliche e da quelle private, mentre lo Stato svolge un’attività di coordinamento tra i vari mercati del lavoro territoriali [Borsa (continua nazionale del lavoro)] e di garanzia dell’osservanza della disciplina di legge.
Collettivizzazioni (d. pubbl.) (Collectivization)
Sono tutte quelle operazioni che, per fini di utilità sociale, possono riservare originariamente o trasferire, tramite espropriazione e salvo indennizzo, allo Stato, a enti pubblici o a comunità di lavoratori o di utenti, imprese attive nel campo dei servizi pubblici essenziali, delle fonti di energia, ovvero operanti in situazioni di monopolio e che abbiano carattere di preminente interesse generale. È possibile operare una classificazione di tali operazioni a seconda che il pubblico potere che le pone in essere sia:
— l’ente territoriale rappresentativo della collettività (statizzazioni, regionalizzazioni, municipalizzazioni etc.);
— un organismo centrale diverso dallo Stato, di solito un ente pubblico (nazionalizzazione). Tale ipotesi si è verificata nel settore dell’energia elettrica;
— una collettività di settore organizzata che si esprime mediante suoi uffici (socializzazioni).
Oggetto dei provvedimenti di collettivizzazione devono essere imprese, cioè solo attività economiche svolte secondo criteri di economicità (che hanno, cioè, come obiettivo, il pareggio tra costi e ricavi).