Tribunale Amministrativo Regionale per la Puglia Lecce 155/2009

composto dai Signori:

Aldo RAVALLI Presidente, relatore

Luigi VIOLA Consigliere

Ettore MANCA Primo Referendario

ha pronunciato la seguente
SENTENZA

sul ricorso n. 2341/1994 proposto da:

BIANCO PIETRO

rappresentato e difeso da:

MASSA FEDERICO

con domicilio eletto in LECCE

VIA ZANARDELLI, 60

presso

MASSA FEDERICO
contro

COMUNE DI CISTERNINO, non costituitosi;

per l’annullamento

dell’ordinanza del Sindaco di Cisternino n. 19 del 6 maggio 1994 di riduzione in pristino della destinazione d’uso di manufatto edilizio;

Visto il ricorso con i relativi allegati;

Visti gli atti tutti della causa;

Udito alla pubblica udienza del 19 Novembre 2008 il relatore Pres. Aldo Ravalli ed udito, altresì, per la parte ricorrente l’Avv. Adriano Tolomeo in sostituzione dell’Avv. Federico Massa;

Ritenuto e considerato in fatto e in diritto quanto segue:
FATTO E DIRITTO

I – Il sig. Bianco Pietro è stato autorizzato nel 1981 (licenza n. 97 del 7 aprile 1981) all’esercizio di una pensione (“Pensione Villa Cenci”) in località Semeraro, nei fabbricati della Masseria Semeraro, all’epoca in contratto di fitto. Tale licenza è stata successivamente rinnovata, e nel rinnovo del 3/11/1986 viene precisato che vale per l’esercizio di n. 10 camere per n. 33 posti letto.

In effetti, il 27/4/1981 il sig. Bianco aveva altresì presentato domanda per realizzare nella Masseria Semeraro “opere di ristrutturazione per rinnovare, sostituire, dotare dei necessari servizi…” consistenti in: a) piano terra: quattro case coloniche complete di servizi, due piccole case coloniche con servizi, vano uffici, mensa con relativa cucina e dispensa e piccola sala riunioni (“per necessità anche sindacali, dei lavoratori avventizi”, due vani per ricovero trattore e attrezzi e per deposito derrate; b) primo piano: una abitazione per il direttore dell’azienda.

In relazione a tale richiesta, il Comune di Cisternino ha rilasciato l’autorizzazione 29 maggio 1982 n. 4008/81 “per l’esecuzione di intervento di manutenzione ordinaria”.

Il 28 agosto 1992 il predetto ha presentato istanza di concessione in deroga ex art. 30 L. reg. n. 56 del 1980 per “ampliamento di insediamento alberghiero con recupero ricostruttivo, ristrutturazioni funzionali, opere complementari e di servizio della Villa Cenci” nel complesso della predetta Masseria.

Il Consiglio Comunale di Cisternino con deliberazione n. 58 del 27 ottobre 1992 esprimeva parere favorevole, ma la Regione, con atto dell’Assessorato all’Urbanistica n. 2462 del 18 febbraio 1994 esprimeva avviso contrario alla deroga, in quanto non poteva essere concessa “per mutamenti di destinazione di zona”, con contestuale invito al Comune di “procedere ad una puntuale verifica degli atti amministrativi autorizzativi, attesa la utilizzazione del complesso non conforme a quanto autorizzato, adottando di conseguenza, ove si ravvisino aspetti di illegittimità e/o irregolarità, provvedimenti di autotutela”.

In effetti, come appare dai documenti versati in giudizio, la Pensione Villa Cenci (ormai, “Hotel Villa Cenci”) disponeva nella stagione 1994 di n. 22 stanze per un totale di n. 72 letti.

Il Comune, quindi, richiamata la predetta nota della Regione, ritenuta la incompatibilità dell’uso dell’immobile con la destinazione a “zona agricola” dell’area in cui essa ricade, accertato che la Masseria Cenci non ha mai ottenuto la concessione edilizia tesa alla modifica della sua destinazione d’uso da fabbricato adibito all’agricoltura ad attività ricettiva, con ordinanza n. 19 del 6 maggio 1994, ingiunge al sig. Bianco Pietro “la riduzione in pristino stato della destinazione d’uso del manufatto edilizio di cui trattasi, in maniera da eliminare ogni forma di incompatibilità tra questa e la destinazione agricola conferita dal vigente piano di fabbricazione alle aree su cui tale complesso ricade”.

Contro tale ordinanza è stato proposto l’attuale ricorso notificato l’11 luglio 1994 ed alla camera di consiglio del 27 luglio 1994 è stata accolta la domanda cautelare (ordinanza n. 822).

II – Occorre definire il contenuto dell’ordinanza impugnata.

Essa, evidentemente, non costituisce revoca né della licenza di esercizio della Pensione Cenci del 1981, rinnovata come detto, né dell’autorizzazione n. 4008 del 1982 di interventi di manutenzione, e neppure afferma come abusivi per modificazione d’uso non consentita i locali (n. 10 stanze per n. 33 posti letto) precisati nella licenza di esercizio insieme con mq. 60 di superficie utile per la somministrazione di cibi e bevande agli ospiti.

A tale conclusione si deve pervenire per il semplice fatto che i relativi provvedimenti non vengono citati né formalmente, né nella sostanza.

Si potrebbe, allora, immaginare che l’ingiunzione si riferisca all’uso di locali asseritivamente destinati alla conduzione agricola dell’azienda agricola (in effetti esistente estesa per 46 ettari), ma di fatto utilizzati quali strutture recettive.

Se così fosse, l’ordinanza impugnata avrebbe un oggetto indeterminato, con riferimento alle strutture della masseria che avrebbero subito una supposta illegittima modificazione d’uso, sconosciuta alla stessa Amministrazione comunale che non le individua, anche al fine di distinguere quelle consentite da quelle non.

Tale conclusione trova conferma nello stesso provvedimento impugnato che dà atto che la Commissione edilizia, chiamata ad esprimere il parere obbligatorio previsto dall’art. 41 L.r. n. 56 del 1980, nella tornata del 5/5/1994 (cioè, di tre giorni precedenti la data dell’ingiunzione), “ha ritenuto di non dover esprimere in tale sede, per meglio approfondire la problematica de qua, il parere di competenza”. Il che, tradotto in termini più espliciti, non può non significare che il Comune sia addivenuto ad un provvedimento sanzionatorio senza previo congruo accertamento della situazione in fatto.

Il che porta a ritenere fondato il profilo di censura (al n. 4 pag. 8 del ricorso), ad aspetto formale ma a contenuto sostanziale, che sulla base del mancato parere favorevole della C.E.C., ritiene viziato l’atto sia in quanto immotivatamente non è stato assegnato un termine alla Commissione per esprimere, cognita re, il proprio parere, sia in quanto immotivatamente il Comune ha ritenuto di poter fare a meno del detto parere senza indicare le ragioni per il superamento di quella che per la C.E.C. era una situazione di difetto di istruttoria e di accertamento.

Il ricorso va, in conclusione, accolto.

Le spese di giudizio vanno dichiarate irripetibili.

P.Q.M.

Il Tribunale Amministrativo Regionale per la Puglia – Lecce, Prima Sezione, definitivamente pronunciando sul ricorso n. 2341/94, lo accoglie e per l’effetto annulla l’ordinanza del Sindaco di Cisternino n. 19 del 6 maggio 1994.

Spese irripetibili.

Ordina che la presente sentenza sia eseguita dall’Autorità Amministrativa.

Così deciso in Lecce, in camera di consiglio il 19 novembre 2008.

Aldo RAVALLI – Presidente, estensore

Pubblicata mediante deposito

in Segreteria il 30 gennaio 2009

N.R.G. 2341/1994

Fonte: www.giustizia-amministrativa.it

Tribunale Amministrativo Regionale per la Puglia Lecce 157/2009

composto dai Signori:

Aldo RAVALLI Presidente, relatore

Ettore MANCA Primo Referendario

Carlo DIBELLO Referendario

ha pronunciato la seguente
SENTENZA

sul ricorso n. 97/1994 proposto da:

DIMITRI BRIZIO DONATO

rappresentato e difeso da:

STICCHI DAMIANI ERNESTO

con domicilio eletto in LECCE

VIA 95 RGT FANTERIA, 9

presso

STICCHI DAMIANI ERNESTO
contro

COMUNE DI MELENDUGNO, non costituitosi;

REGIONE PUGLIA – BARI

rappresentata e difesa da:

CARULLI LOREDANA

con domicilio eletto in LECCE

VIALE DE PIETRO N. 11

presso SERGI ANTONIO

ASSESSORATO REGIONALE ALL’URBANISTICA – BARI, non costituitosi;

per l’annullamento

– della nota n. 2377/04 del 15 settembre 1992 a firma dell’Assessore all’urbanistica della Regione Puglia;

– del diniego di sanatoria edilizia n. 0343 del 28 ottobre 1993 a firma del Sindaco di Melendugno;

Visto il ricorso con i relativi allegati;

Visto l’atto di costituzione in giudizio della Regione Puglia;

Vista la memoria presentata dal ricorrente;

Visti gli atti tutti della causa;

Udito alla pubblica udienza del 5 Novembre 2008 il relatore Pres. Aldo Ravalli ed udito, altresì, per la parte ricorrente l’Avv. Tondi in sostituzione dell’Avv. Sticchi Damiani;

Ritenuto e considerato in fatto e in diritto quanto segue:
FATTO E DIRITTO

Con provvedimento n. 0343 del 28 ottobre 1993 il Sindaco di Melendugno ha respinto la domanda di concessione in sanatoria presentata da Dimitri Brizio Donato relativa ad un fabbricato costituito da due abitazioni unifamiliari, realizzato senza concessione edilizia in San Foca, località Sapone.

In tale provvedimento si fa riferimento, qualificandolo “parere contrario”, alla nota dell’Assessore regionale all’urbanistica n. 7235 del 15/9/1992, nella quale si esprime l’avviso che la domanda di sanatoria fosse “improponibile” in quanto l’abuso era stato realizzato entro la fascia costiera sulla quale la L.r. n. 56 del 1980 vieta qualsiasi opera ed edificazione nei limiti dei 300 metri.

Il diniego e la nota riferita sono stati impugnati con ricorso depositato il 12 gennaio 1994.

Al di là delle espressioni impropriamente adoperate, va escluso che la nota regionale del 1992 abbia la natura di espressione di parere reso dalla Amministrazione preposta alla tutela del vincolo, secondo quanto prevede l’art. 32 L. 28 febbraio 1985 n. 47. Tale nota, infatti, dà avviso al Comune che, poiché la costruzione abusiva è stata realizzata nei 300 metri dal confine del demanio marittimo, era insuscettibile di sanatoria ai sensi dell’art. 33 L. n. 47 del 1985 e conclude richiamando i poteri di competenza dell’Ente territoriale.

In effetti, nella descritta situazione, la Regione non poteva né doveva esprimere alcun parere ai fini della sanabilità dell’abuso, salvo –ripetesi- il mero richiamo a norme che direttamente vincolavano il Comune al rigetto del richiesto condono edilizio.

Tale essendo la sostanza giuridica della nota della Regione, appaiono fuori misura le censure (prima e seconda) che ad essa si riferiscono come se fosse un vero e proprio parere reso ex art. 32 L. cit., e cioè come se fosse un atto necessario del procedimento di sanatoria.

Resta, peraltro, da precisare un aspetto contenuto nelle predette censure e, cioè, che non fossero applicabili le norme impeditive della sanatoria (art. 32 per i vincoli relativi ed art. 33 L. cit. per i vincoli assoluti) in quanto l’opera sarebbe stata realizzata anteriormente alla imposizione dei vincoli stessi.

Innanzi tutto, la tesi non ha sostegno in fatto in quanto, in contrasto con il principio dell’onere della prova, è sfornita di un qualsiasi indizio nel senso affermato. Ma la tesi stessa non supera neppure rilievi in diritto, atteso che nulla dice in relazione al vincolo imposto con il D.P.R. 24 luglio 1977 n. 616, all’art. 82 quinto comma lett. a) (vincolo paesaggistico ex L. n. 1497 del 1939 sulla fascia di 300 metri dalla linea di battigia).

Infondati i successivi motivi (“2” e “3” ma recte 3 e 4).

Infatti, per giurisprudenza consolidata (richiamata fra le tante nella sentenza di questo T.A.R. n. 3867 del 7/7/2006), il divieto di edificazione di qualsiasi opera entro la fascia di 300 metri dal confine del demanio marittimo, o dal ciglio più elevato dal mare, posto dall’art. 51 lett. f) L.r. Puglia 31 maggio 1980 n. 56 costituisce un vincolo assoluto di inedificabilità, il che è di ostacolo alla sanatoria dell’abuso ai sensi dell’art. 33 L. n. 47 del 1985. Né l’essere l’area compromessa da altre opere, come afferma il ricorrente, potrebbe costituire di per sé evento per il rilascio della sanatoria edilizia dell’abuso, potendo venir meno la operatività della tutela assoluta dell’area de qua solo con la eventuale approvazione del piano di recupero ex art. 29 L. n. 47 del 1985 (cfr. T.A.R. Lecce, I, 4/4/2007 n. 1529).

Ugualmente l’essere l’area interessata da edificazione “spontanea” diffusa non rende inapplicabile l’art. 51 lett. f) L.r. cit., ma, al contrario, come più volte affermato dalla giurisprudenza, più forte la necessità di puntuale applicazione, con le sanzioni demolitorie conseguenti.

Resta l’ultima censura, in cui si prospetta la incostituzionalità dell’art. 51 lett. f) L.r. n. 56 del 1980 per contrasto con gli artt, 42, 117 e 3 Cost..

La prospettata incostituzionalità è manifestamente infondata.

Come già osservato da questo T.A.R. (sent. n. 3401 del 28/9/2007), il parametro di costituzionalità va valutato in relazione al contenuto della norma e non in relazione ai ritardi nel completamento delle sue previsioni. L’art. 51 cit. ha evidente carattere temporaneo quanto alla prescrizione del vincolo di inedificabilità, essendone previsto un termine seppure incerto: “sino all’entrata in vigore dei piani territoriali”. Questi, poi, oltre che a poter essere oggetto di ricorso contro l’inerzia (v’é quindi possibilità di difesa in giudizio), ben possono porre sull’area ancora una previsione di inedificabilità, ove si dovesse ritenere prevalente la tutela da dare all’ambiente costiero, con previsione che comunque non comporterebbe indennizzo, perché di natura conformativa e non ablativa della proprietà.

Il ricorso va, in conclusione, respinto.

Quanto alle spese di giudizio, nulla va disposto per le Amministrazioni non costituitesi in giudizio e compensate nei confronti della Regione Puglia.

P.Q.M.

Il Tribunale Amministrativo Regionale per la Puglia – Lecce, Prima Sezione, definitivamente pronunciando sul ricorso n. 97/94, lo respinge.

Spese come in motivazione, in parte nulla ed in parte compensate.

Così deciso in Lecce, il 5 novembre 2008, in camera di consiglio.

Aldo RAVALLI – Presidente, estensore

Pubblicata mediante deposito

in Segreteria il 30 gennaio 2009

N.R.G. 97/1994

Fonte: www.giustizia-amministrativa.it

Tribunale Amministrativo Regionale per la Puglia Lecce 17/2009

nelle persone dei Signori:

ANTONIO CAVALLARI Presidente

TOMMASO CAPITANIO Primo Ref. , relatore

SILVIA CATTANEO Referendario

ha pronunciato la seguente

SENTENZA

nell’Udienza Pubblica del 11 Dicembre 2008

Visto il ricorso 583/2006 proposto da:

SERRA FRANCO

rappresentato e difeso da:

COLLORIDI FRANCESCO

con domicilio eletto in LECCE

PIAZZA L. ARIOSTO N. 17

presso

PIRO LUIGI
Contro

COMUNE DI GALLIPOLI

per l’annullamento, previa sospensione dell’esecuzione, dell’ordinanza n. 43 del 18.1.2006, comunicata il successivo 24.1.2006 a firma del Dirigente dell’area delle politiche territoriali ed infrastrutturali – unità operativa n. 10 – sportello unico per l’edilizia e le attività produttive del Comune di Gallipoli; nonché di ogni altro atto e/o provvedimento presupposto, connesso e conseguenziale;

Visti gli atti e i documenti depositati con il ricorso;

Udito il relatore Presidente ANTONIO CAVALLARI e udito, altresì, per la parte ricorrente l’avv. F. Colloridi;

Considerato in fatto e in diritto quanto segue:

FATTO

In data 9.12.2004, il ricorrente chiedeva all’Amministrazione comunale di Gallipoli la sanatoria, ai sensi ex art. 32, 25° comma del d.l. 30 settembre 2003 n. 269 (conv. in l. 24 novembre 2003 n. 326), delle opere abusivamente realizzate su un’area ubicata in Gallipoli,località “Calamate”,riportata in catasto al fg. 7, p.lla 8,consistenti nell’ampliamento di un fabbricato per mq.50 , in opere di risanamento conservativo di un antico deposito,nella realizzazione di una struttura rimovibile in legno poggiata su pilastri in muratura,nella sistemazione di pavimentazione esterna in piastrelle di circa mq.150 .

Con provvedimento 17.05.2005 prot. n. 0021849 il Dirigente dell’Area delle Politiche territoriali ed infrastrutturali-Sportello unico per l’edilizia e le attività produttive del Comune di Gallipoli dichiarava non ricevibile la domanda di sanatoria edilizia.

Tale provvedimento è stato poi revocato con l’atto 22 luglio 2005 n.31483;con lo stesso atto l’Amministrazione comunale di Gallipoli ha comunicato i motivi che impedivano l’accoglimento dell’istanza di condono (“l’immobile è ubicato in zona sottoposta ai vincoli di cui (all’art.) 32 comma 43,del D.L. n.269/03,convertito in Legge n.326/03” )ed ha invitato l’interessato a presentare le proprie osservazioni, ai sensi dell’art. 10 bis della l. 7 agosto 1990 n. 241 (aggiunto dall’art. 6 della legge 11 febbraio 2005, n. 15).

Con successiva ordinanza 18.01.2006 n. 43, il Dirigente dell’Area delle Politiche territoriali ed infrastrutturali-Sportello unico per l’edilizia e le attività produttive del Comune di Gallipoli ha dichiarato la non ricevibilità della domanda di sanatoria edilizia ex art. 32, 25° comma del d.l. 30 settembre 2003 n. 269 (conv. in l. 24 novembre 2003 n. 326) presentata in data 9.12.2004 ed ha ordinato la demolizione delle opere abusivamente realizzate ed oggetto della domanda di condono; il provvedimento di diniego è fondato sulla seguente motivazione: <>.

Serra Franco impugna tale atto e quelli connessi per i seguenti motivi:: 1) violazione e falsa applicazione della l. 241 del 1990, violazione del principio del giusto procedimento, difetto di motivazione; 2) eccesso di potere – violazione ed errata applicazione dell’art.32,comma 27 lett.D) della legge n.326/03 – violazione ed erronea applicazione della l.r. 23.12.2003 n. 28 come modificata dalla L.R. n.19/2004 – violazione ed errata applicazione della legge n.47/1985 – violazione ed errata applicazione della legge 15 dicembre 2004 n.308 – illogicità manifesta ed erroneità del presupposto; 3) violazione ed errata applicazione dell’art.32 del d.l. 269 del 2003 con riferimento ai commi 14 e 17 dello stesso articolo – illogicità manifesta ed erroneità del presupposto – incostituzionalità della norma; 4) violazione e mancata applicazione dell’art.1 comma 37 della legge n.308 del 2004.

Conclude per l’annullamento,previa sospensione,degli atti impugnati.

Alla camera di Consiglio del 20.4.2006, la Sezione ha respinto, con l’ordinanza n. 443/2006, l’istanza cautelare presentata dal ricorrente.

All’udienza dell’11 dicembre 2008 il ricorso è stato ritenuto per la decisione.

DIRITTO

I – Il primo motivo di ricorso è infondato atteso che l’ordinanza impugnata dichiara irricevibile la domanda relativa al condono delle opere abusive richiamando le norme specificamente applicate nella fattispecie;ciò costituisce una sintetica,ma non per questo non intellegibile,motivazione dell’atto

II – I successivi motivi di ricorso n. 2, 3, 4 sono fondati su una costruzione dell’istituto del condono degli abusi commessi su immobili assoggettati a vincoli che impone una trattazione unitaria.

A – Le norme che disciplinano il condono degli abusi in questione sono i commi 26 e 27 lett. D) dell’art.32 del D.L. n.269 del 2003,della seguente formulazione:

“26. Sono suscettibili di sanatoria edilizia le tipologie di illecito di cui all’ allegato 1:

a) numeri da 1 a 3, nell’ambito dell’intero territorio nazionale, fermo restando quanto previsto alla lettera e) del comma 27 del presente articolo, nonché 4,5 e 6 nell’ambito degli immobili soggetti a vincolo di cui all’articolo 32 della legge 28 febbraio 1985, n.47 ;

b) numeri 4, 5 e 6, nelle aree non soggette ai vincoli di cui all’articolo 32 della legge 28 febbraio 1985, n. 47, in attuazione di legge regionale, da emanarsi entro sessanta giorni dalla data di entrata in vigore del presente decreto, con la quale è determinata la possibilità, le condizioni e le modalità per l’ammissibilità a sanatoria di tali tipologie di abuso edilizio .

27. Fermo restando quanto previsto dagli articoli 32 e 33 della legge 28 febbraio 1985, n.47, le opere abusive non sono comunque suscettibili di sanatoria, qualora:

d) siano state realizzate su immobili soggetti a vincoli imposti sulla base di leggi statali e regionali a tutela degli interessi idrogeologici e delle falde acquifere, dei beni ambientali e paesistici, nonché dei parchi e delle aree protette nazionali, regionali e provinciali qualora istituiti prima della esecuzione di dette opere, in assenza o in difformità del titolo abilitativo edilizio e non conformi alle norme urbanistiche e alle prescrizioni degli strumenti urbanistici;”.

La Corte costituzionale, con sentenza 28 giugno 2004, n. 196 ha dichiarato l’illegittimità del comma 26, nel testo originario e in quello risultante dalla legge di conversione n. 326 del 2003, nella parte in cui non prevede che la legge regionale possa determinare la possibilità, le condizioni e le modalità per l’ammissibilità a sanatoria di tutte le tipologie di abuso edilizio di cui all’allegato 1.

L’art.2 comma 1 della legge della Regione Puglia n.28 del 2003,così come modificata dall’art.4 della legge n.19 del 2004,ha disposto nel modo seguente : “Fermo restando il disposto dell’articolo 32, comma 26, del d.lgs. 269/2003, per i numeri da 1 a 3 dell’allegato 1 e purchè gli abusi abbiano i requisiti previsti dall’articolo 31, comma 2, della legge 28 febbraio 1985, n. 47, nella Regione Puglia sono suscettibili di sanatoria le tipologie di illecito di cui ai n. 4, 5 e 6 dell’allegato 1 al d.lgs. 269/2003.”

La legislazione regionale non si è quindi discostata minimamente dalle previsioni della legge nazionale.

B – Oltre agli abusi maggiori (nn.da 1 a 3 dell’Allegato 1 al D.L. n.269 del 2003) anche gli abusi minori (nn.da 4 a 6 dell’allegato) sono sanabili nella Regione Puglia.

A questa generale sanabilità (nei limiti generali previsti dal comma 25 dell’art.32) il comma 27 lett D) prevede delle eccezioni quanto agli abusi commessi su immobili vincolati.

L’ambito di tali eccezioni va inteso alla luce della affermata validità (ad opera del comma 27,primo alinea,dell’art.32) di quanto previsto dagli artt. 32 e 33 della legge n.47 del 1985.

Le disposizioni dei citati artt. 32 e 33,da un lato,e dell’art. 32 comma 27 lett. D) del D.L. n.269 del 2003,dall’altro, devono essere correlate tenendo presente che gli uni contemplano le condizioni che consentono il condono di un abuso,l’altro contempla invece condizioni nelle quali l’abuso non può essere condonato.

Il combinato disposto dell’art. 32 della legge n.47 del 1985 e dell’art. 32 comma 27 lett. D) del d.l. n.269 del 2003 comporta quindi che un abuso commesso su un bene vincolato può essere condonato,a meno che non ricorrano ,insieme, l’imposizione del vincolo di inedificabilità relativa prima della esecuzione delle opere,la realizzazione delle stesse in assenza o difformità dal titolo edilizio,la non conformità alle norme urbanistiche e alle prescrizioni degli strumenti urbanistici.

Se una di tali condizioni non ricorre (ad esempio la difformità dalle norme urbanistiche o dalle prescrizioni degli strumenti urbanistici),l’abuso realizzato su un immobile soggetto ad un vincolo di inedificabilità relativa sfuggirà alla disciplina dell’eccezione regolata dall’art.32 comma 27 lett.D) citato (cioè alla non condonabilità) e sarà invece assoggettato alla disciplina generale dell’art.32 della legge n.47 del 1985,sicchè sarà condonabile anche (ad esempio) l’abuso realizzato dopo la imposizione del vincolo (sempre in presenza delle condizioni previste dal citato art.32 della legge n.47 del 1985).

Più semplice è il coordinamento fra l’art.33 della legge n.47 del 1985 e l’art.32 comma 27 lett. D) del D.L. n.269 del 2003,dato che la realizzazione di un abuso in area sottoposta a vincolo di inedificabilità assoluta,dopo l’imposizione del vincolo stesso,importa la non condonabilità dello stesso,ai sensi dell’art.33.E’ pertanto irrilevante la sussistenza o meno delle altre condizioni contemplate dall’art.32 comma 27 lett.D) citato.

Così definito il rapporto fra i due complessi normativi illustrati,è evidente che i commi 14 (condonabilità degli abusi commessi su aree di proprietà dello Stato subordinatamente alla disponibilità dell’area) e 17 ( condonabilità degli abusi commessi su aree appartenenti al patrimonio disponibile o indisponibile o al demanio dello Stato subordinatamente al parere favorevole alla disponibilità dell’area stessa, rilasciato dall’autorità preposta alla tutela del vincolo ) dell’art.32 del D.L. n.269 del 2003 attengono a profili del condono del tutto irrilevanti quanto alla individuazione dei confini del condono medesimo con riferimento agli abusi commessi su immobili assoggettati a vincoli.

C – Un ‘ulteriore riflessione merita,poi, il termine “immobili”;si assume,infatti,che questo sostantivo individua le costruzioni e non le aree sicchè l’esclusione dal condono disciplinata dall’art. 32 comma 27 lett. D) del D.L. n.269 del 2003 disciplinerebbe solo gli abusi commessi su opera dell’uomo vincolate specificamente,non su aree assoggettate a vincoli.

La riferibilità del sostantivo in questione ad ampie aree , in quanto “immobili”, risulta (oltre che dall’utilizzazione dello stesso con riferimento sia alle opere dell’uomo che a quelle della natura nell’art.1 della legge n.1497 del 1939,nell’art.1 della legge n.1089 del 1939,negli artt.2 – beni culturali – e 139 – beni ambientali – del D.Lgs. n.490 del 1999, negli artt. 2 – beni culturali – e 136 – beni ambientali – del D. Lgs. N.42 del 2004) dalla lettera della disposizione ,che richiama i vincoli imposti sulla base di leggi statali e regionali a tutela degli interessi idrogeologici e delle falde acquifere, dei beni ambientali e paesistici, nonché dei parchi e delle aree protette nazionali, regionali e provinciali.

Se poi sussistessero ancora dubbi,va rilevato che la formulazione originaria dell’art.32 della legge n.47 del 1985 parla di opere eseguite su aree sottoposte a vincoli,mentre la formulazione attuale (contenuta nel testo dettato dall’art.32 comma 43 del D.L. n.269 del 2003) parla di opere eseguite su immobili sottoposti a vincolo.

E’appena il caso di osservare che l’art. 32 della legge n.47 del 1985 ,nella attuale formulazione,concorre a formare il quadro normativo insieme con l’art. 32 comma 27 del D.L. n.269 del 2003.

E’ dunque chiaro l’ampio significato attribuito dal legislatore al termine “immobili”.

D – Va infine indagato se il quadro normativo delineato abbia subito nel tempo modifiche a seguito di norme sopravvenute.

L’art.1 comma 37 della legge n.308 del 2004 prevede che :” Per i lavori compiuti su beni paesaggistici entro e non oltre il 30 settembre 2004 senza la prescritta autorizzazione o in difformità da essa, l’accertamento di compatibilità paesaggistica dei lavori effettivamente eseguiti, anche rispetto all’autorizzazione eventualmente rilasciata, comporta l’estinzione del reato di cui all’articolo 181 del decreto legislativo n. 42 del 2004, e di ogni altro reato in materia paesaggistica alle seguenti condizioni:

a) che le tipologie edilizie realizzate e i materiali utilizzati, anche se diversi da quelli indicati nell’eventuale autorizzazione, rientrino fra quelli previsti e assentiti dagli strumenti di pianificazione paesaggistica, ove vigenti, o, altrimenti, siano giudicati compatibili con il contesto paesaggistico;

b) che i trasgressori abbiano previamente pagato:

1) la sanzione pecuniaria di cui all’articolo 167 del decreto legislativo n. 42 del 2004, maggiorata da un terzo alla metà;

2) una sanzione pecuniaria aggiuntiva determinata, dall’autorità amministrativa competente all’applicazione della sanzione di cui al precedente numero 1), tra un minimo di tremila euro ed un massimo di cinquantamila euro .”

La sanzione pecuniaria di cui all’articolo 167 del D.Lgs. n.42 del 2004 è una somma equivalente al maggiore importo tra il danno arrecato e il profitto conseguito mediante la trasgressione,sicchè la irrogazione della sanzione presuppone la determinazione della maggior somma con riferimento al profitto conseguito,cioè alla persistenza dell’opera; la demolizione di questa impedirebbe,infatti,la quantificazione della maggior somma corrispondente al profitto conseguito mediante la trasgressione.

La esigenza del coordinamento fra le varie disposizioni che sanzionano gli abusi o ne disciplinano il condono porterebbe a ritenere che la sanatoria delle violazioni delle norme poste a tutela del paesaggio ,cioè la sanatoria di lavori eseguiti in assenza della previa autorizzazione paesaggistica ma in conformità alla valutazione discrezionale formulata ex post dall’autorità competente,prevista per tutti i lavori compiuti su beni paesaggistici fino al 30 settembre 2004 incluso,ricomprenda anche i lavori che rientrano nello spazio temporale di operatività del D.L n.269 del 2003 e che la sopravvivenza dell’opera abusiva ai sensi del combinato disposto dell’art.1 comma 37 della legge n.308 del 2004 e dell’art. 167 del D.Lgs n.42 del 2004 sia inconciliabile con la incondonabilità ( e quindi la soggezione alla sanzione demolitoria ) degli abusi contemplati dall’art. 32 comma 27 lett.D del D.L. n.269 del 2003.

Tale incondonabilità ,infatti, è determinata dalla assenza o difformità rispetto al titolo edilizio e dal contrasto con le norme e previsioni urbanistiche,cioè dai presupposti ordinari del condono (situazioni senza le quali il condono non avrebbe ragion d’essere),nonché da un elemento ulteriore rispetto ai presupposti ineliminabili del condono e perciò qualificabile come la ragion d’essere della incondonabilità,cioè la realizzazione dell’abuso dopo l’imposizione del vincolo di inedificabilità relativa.

Una volta che tale ultima violazione è stata ritenuta sanabile,viene da riflettere sulla sopravvivenza della complessiva disciplina della incondonabilità prevista dall’art.32 comma 27 lett. D) del D.L. n.269 del 2003.

Questo processo interpretativo trova però un insormontabile ostacolo nella diversità degli interessi in gioco.

Come ha rilevato la Corte Costituzionale nella sentenza n.196 del 2004 il condono disciplinato dal D.L. n.269 del 2003 costituisce il risultato del bilanciamento di vari interessi: quelli della tutela delle esigenze pianificatorie,del paesaggio,della cultura,della salute,del diritto all’abitazione e al lavoro,dell’interesse finanziario dello Stato.

Se il condono di cui alla legge n.47 del 1985 comportava il sacrificio delle esigenze pianificatorie quanto alla applicazione delle sanzioni amministrative e delle sanzioni penali edilizie (previste dall’art.20 della legge n.47 del 1985) in base al disposto dell’art.38,il condono di cui al D.L. n.269 del 2003 ha comportato anche il sacrificio della tutela paesaggistica quanto alla applicazione delle sanzioni penali specifiche.

L’art.163 del D.Lgs. n.490 del 1999 aveva infatti sanzionato penalmente la esecuzione di lavori su immobili tutelati senza la previa acquisizione dello specifico titolo abilitativo (prevedendo un’ipotesi di reato prima non contemplate) ,sicchè il nuovo testo dell’art. 32 della legge n.47 del 1985 (introdotto dall’art. 32 comma 43 del D.L. n.269 del 2003) ha stabilito che “Il rilascio del titolo abilitativo edilizio estingue anche il reato per la violazione del vincolo”,estendendo la causa di estinzione al reato paesistico.

Il raccordo fra i due “condoni “ quanto alla estinzione dei reati edilizi è costituito dall’art. 32 comma 36 del D.L. n.269 del 2003,secondo il quale “ La presentazione nei termini della domanda di definizione dell’ illecito edilizio, l’oblazione interamente corrisposta nonché il decorso di trentasei mesi dalla data da cui risulta il suddetto pagamento, producono gli effetti di cui all’articolo 38, comma 2, della legge 28 febbraio 1985, n. 47”,cioè l’estinzione dei reati edilizi.

La produzione di effetti (amministrativi e penali) sotto il profilo edilizio e quello paesistico è,quindi,oggetto di separate previsioni.

L’art.1 comma 37 della legge n.308 del 2004 ricollega,invece ,al condono “ l’estinzione del reato di cui all’articolo 181 del decreto legislativo n. 42 del 2004, e di ogni altro reato in materia paesaggistica” non dei reati edilizi.

La mancanza di una espressa previsione in tal senso impedisce di estendere la causa di estinzione dai reati paesaggistici ai reati edilizi (in tal senso Cassazione penale,Sez.III,5 aprile 2006 n.15946;idem ,7 dicembre 2007 n.583).

La diversità dei due regimi è stata anche oggetto di esame da parte della Corte Costituzionale (sentenza 27 aprile 2007 n.144),che ha rilevato la diversità dell’oggetto fra i reati paesaggistici (volti alla tutela del bene materiale costituito dal paesaggio e dall’ambiente) e i reati edilizi (volti alla tutela del bene immateriale costituito dalla complessiva disciplina amministrativa dell’uso del territorio) e, per incidens,nella sentenza 5 maggio 2006 n.183 ha ritenuto l’irrilevanza della disciplina statuale relativa al condono paesaggistico rispetto al potere regionale attinente alla previsione di sanzioni edilizie per lo stesso fatto.

In conclusione,l’attinenza del condono previsto dall’ art.1 comma 37 della legge n.308 del 2004 alla tutela paesistica sotto il profilo penale,e quindi anche quello amministrativo specifico, e la diversità dei beni tutelati dalle norme paesistiche e da quelle che,bilanciando i vari interessi in gioco, disciplinano profili paesistici e profili edilizi del condono sotto l’aspetto amministrativo e quello penale impediscono di interpretare queste ultime alla luce delle altre (posto che le une e le altre sono norme eccezionali insuscettibili di interpretazione estensiva o analogica ).

Il condono “paesistico” di cui all’art.1 comma 37 della legge n.308 del 2004 comporta dunque la sottrazione del fatto alla disciplina penale ed a quella amministrativa attinenti alla tutela paesistica,rimanendo ferma però la sanzionabilità del fatto edilizio sotto i profili amministrativo e penale.

La disciplina dell’art.1 comma 37 della legge n.308 del 2004 è pertanto inidonea ad incidere su una regola data ad una pluralità di interessi,che attua un bilanciamento degli stessi ed è quindi insuscettibile di contaminazioni ad opera di una regola che attiene ad uno solo degli interessi bilanciati.

E – Del pari limitati al profilo paesistico (amministrativo e penale ) sono gli accertamenti di compatibilità paesistica previsti dall’art.167 comma 4 e dall’art.181 comma 1 ter del D.Lgs. n.42 del 2004 (attinenti al rilascio in via ordinaria della autorizzazione paesaggistica per lavori già realizzati,di limitata entità e ritenuti compatibili con le esigenze di tutela del paesaggio) e dall’art.182 comma 3 bis del medesimo testo (relativi alla definizione dei procedimenti attivati con la presentazione, entro il 30 aprile 2004, di domande di autorizzazioni paesaggistiche in sanatoria);perciò irrilevanti ai fini della definizione di un fenomeno molto più complesso ( quanto agli interessi coinvolti e conseguentemente bilanciati) quale è il condono,insieme edilizio e paesaggistico, ex art. 32 commi 25,26 e 27 lett. D) del D. L. n.269 del 2003.

III – Alla luce di quando ritenuto le censure dedotte sono infondate atteso che l’intervento edilizio è stato eseguito in assenza di titolo edilizio (secondo le affermazioni formulate dallo stesso ricorrente alla pagina 2 punto 2 del ricorso), in contrasto con le norme urbanistiche e le prescrizioni degli strumenti urbanistici (dato che la tipologia dichiarata dell’abuso è quella di cui al n.1 dell’allegato al D.L. n.269 del 2003),in area sottoposta ai vincoli di cui all’art.32 comma 27 lett. D) del D.L. n.269 del 2003 e successivamente all’imposizione dei vincoli stessi.

A quanto sopra consegue la reiezione del gravame.

Nulla per le spese.

P.Q.M.

Il Tribunale Amministrativo Regionale per la Puglia, Terza Sezione di Lecce, respinge il ricorso indicato in epigrafe.

Nulla per le spese

Ordina che la presente sentenza sia eseguita dall’Autorità Amministrativa.

Così deciso in Lecce, nella Camera di Consiglio dell’11 dicembre 2008 e 8 gennaio 2009.

Dott. Antonio Cavallari – Presidente ed Est.

Pubblicato mediante deposito

in Segreteria il 10.01.2009

N.R.G. «RegGen»

Fonte: www.giustizia-amministrativa.it

Tribunale Amministrativo Regionale per il Lazio Roma N. 2793/2009

N /

Reg. Sent.

N. 2793/2009 Reg. Ric.

composto dai Magistrati:

– ELIA ORCIUOLO Presidente

– ELENA STANIZZI Consigliere Rel. Est.

– ROBERTO PROIETTI Consigliere

ha pronunciato la seguente

S E N T E N Z A

Sul ricorso N. 2793/2009 R.G. proposto da Giancarlo CIANCHETTA, rappresentato e difeso dall’Avv. Eugenio Riccio ed elettivamente domiciliato presso lo Studio dell’Avv. Alessandro Valletta sito in Roma, Viale XXI aprile n. 38/b;

CONTRO

– il MINISTERO DELLA DIFESA, in persona del legale rappresentante pro tempore, rappresentato e difeso dall’Avvocatura Generale dello Stato presso il cui Ufficio sito in Roma, Via dei Portoghesi n. 12 è, ope legis, domiciliato;

PER L’ANNULLAMENTO

– previa sospensiva, del provvedimento del Ministero della Difesa – Direzione Generale per il Personale Militare – I Reparto – 1^ Divisione, del 2 marzo 2009, prot. MD GMIL I 1 2 00110930, recante l’esclusione del ricorrente dalle procedure speciali di stabilizzazione di 45 + 50 ufficiali in ferma prefissata, ausiliari del ruolo speciale dell’Arma dei Carabinieri, di cui al decreto dirigenziale n. 14/09 del 12 gennaio 2009;

– del decreto dirigenziale n. 14/09 del 12 gennaio 2009 nella parte in cui esclude, all’art. 2, comma 6, lett. a), ai fini del raggiungimento dei 36 mesi di servizio utile nel quinquennio di riferimento, “eventuali servizi prestati ai fini dell’assolvimento dell’obbligo di leva, nonchè quello da allievo ufficiale e da ufficiale di complemento di 1^ nomina, da VFA, da VFP1, da VFP4, da VFB delle FF.AA., da carabiniere ausiliario, in ferma biennale, richiamato, o in ferma quadriennale”;

– di ogni altro atto connesso, presupposto e consequenziale;

Visto il ricorso con i relativi allegati;

Visto l’atto di costituzione in giudizio dell’Amministrazione intimata;

Vista l’istanza cautelare presentata dal ricorrente;

Visti gli atti tutti della causa;

Uditi alla camera di consiglio del 24 aprile 2009 l’Avv. Riccio per la parte ricorrente e l’Avv. dello Stato Agnese Soldani per l’Amministrazione resistente, cui è stata fatta presente la possibilità di definizione del giudizio con sentenza semplificata – Giudice relatore il Consigliere Elena Stanizzi;

FATTO E DIRITTO

Visto l’art. 9 della legge 21 luglio 2000 n. 205 che consente al Collegio di assumere, nella camera di consiglio fissata per l’esame dell’istanza cautelare, la decisione nel merito del ricorso con sentenza succintamente motivata, nelle ipotesi in cui ne ravvisi la manifesta fondatezza ovvero la manifesta irricevibilità, inammissibilità, improcedibilità o infondatezza;

Considerato che viene impugnato il provvedimento con il quale il ricorrente è stato escluso dalle procedure speciali di stabilizzazione di 45 + 50 ufficiali in ferma prefissata, ausiliari del ruolo speciale dell’Arma dei Carabinieri, di cui al decreto dirigenziale n. 14/09 del 12 gennaio 2009, per non avere egli prestato servizio per almeno tre anni anche non continuativi nel quinquennio 1 gennaio 2002 – 31 dicembre 2006 e nel quinquennio 1 gennaio 2003 – 31 dicembre 2007, non potendosi ritenere utile il servizio prestato quale ufficiale di complemento, in quanto non configura un rapporto di lavoro a tempo determinato;

Considerato che il gravato provvedimento di esclusione del ricorrente dalla procedura di stabilizzazione costituisce corretta e puntuale applicazione dell’art. 2, comma 6, lett. a) – anch’esso gravato da impugnazione – il quale esclude ai fini del raggiungimento dei 36 mesi di servizio utile nel quinquennio di riferimento, “eventuali servizi prestati ai fini dell’assolvimento dell’obbligo di leva, nonchè quello da allievo ufficiale e da ufficiale di complemento di 1^ nomina, da VFA, da VFP1, da VFP4, da VFB delle FF.AA., da carabiniere ausiliario, in ferma biennale, richiamato, o in ferma quadriennale”;

Considerato che la procedura di stabilizzazione in questione è stata avviata ai sensi dell’art. 1, comma 519, della legge n. 296 del 27 dicembre 2006 che destina il 20% del fondo di cui all’art. 1, comma 96, della legge n. 311 del 2004 alla stabilizzazione del personale precario, come ivi indicato “…in servizio a tempo determinato da almeno tre anni, anche non continuativi, o che consegua tale requisito in virtù di contratti stipulati anteriormente alla data del 29 settembre 2006 o che sia stato in servizio per almeno tre anni, anche non continuativi, nel quinquennio anteriore alla data di entrata in vigore della presente legge, che ne faccia istanza, purché sia stato assunto mediante procedure selettive di natura concorsuale o previste da norme di legge…”;

Considerato che il requisito dei tre anni di servizio va computato con esclusivo riferimento ai servizi prestati a titolo di rapporto di lavoro a tempo determinato, con esclusione di quelli che, non configurabili tali, integrano un mero rapporto dio servizio;

Ritenuta, pertanto, la legittimità della previsione di cui alla gravata disposizione recata dal decreto dirigenziale n. 14/09 che correttamente individua le tipologie di servizio non computabili ai fini del possesso del requisito dei tre anni di servizio nel quinquennio;

Rilevato che il servizio prestato in qualità di ufficiale di complemento è configurabile quale mero rapporto di servizio, e non di impiego, come tale dunque non utile ai fini del computo dei tre anni di servizio nel quinquennio;

Considerato, infatti, che il servizio prestato antecedentemente alla sospensione delle chiamate di leva (dal 1° gennaio 2005) in sostituzione del servizio di leva è da considerarsi sostitutivo del servizio di leva e dunque, non dando luogo ad un rapporto di impiego, lo stesso non può utilmente computarsi quale periodo di servizio utile ai fini del possesso del prescritto requisito inerente la durata di almeno tre anni del servizio prestato, anche in via non continuativa, alla data prevista, posto che laddove la norma in esame fa riferimento al ‘servizio a tempo determinato’, non può certamente riferirsi al servizio di leva, e quindi al servizio sostitutivo dello stesso, in quanto in alcun modo assimilabile ad un rapporto di impiego;

Considerato, pertanto, che – non essendo equiparabile il servizio svolto quale ufficiale di complemento in sostituzione del servizio obbligatorio di leva al servizio a tempo determinato, ai fini della applicazione del citato comma 519 della legge finanziaria per il 2007 – il ricorrente non risulta aver maturato, alla data di entrata in vigore della norma, il prescritto requisito del triennio di servizio nel quinquennio anteriore alla data di entrata in vigore della legge n. 296 del 2006, per cui lo stesso non può beneficiare della invocata procedura di stabilizzazione, dovendosi per l’effetto riscontrare la legittimità dei gravati provvedimenti;

Considerato, dunque, alla luce delle considerazioni che precedono, che il ricorso deve ritenersi infondato;

Ritenuto, pertanto – previa verifica della completezza del contraddittorio e sentite le parti sul punto – di poter definire il giudizio con sentenza succintamente motivata stante l’infondatezza del ricorso, che va pertanto rigettato;

Ritenuto, in ordine alle spese, che queste debbano essere liquidate secondo le regole della soccombenza, e poste a carico della parte ricorrente nella misura liquidata in dispositivo.

P.Q.M.

Il Tribunale Amministrativo Regionale per il Lazio

– Roma -Sezione Prima bis –

Definitivamente pronunciando sul ricorso N. 2793/2009 R.G., come in epigrafe proposto – immediatamente trattenuto per la decisione nel merito, ai sensi dell’ultimo comma dell’art. 26 della legge 6 dicembre 1971 n. 1034 (come sostituito dall’art. 9, comma 1, della legge 21 luglio 2000 n. 205) – lo rigetta.

Condanna parte ricorrente al pagamento delle spese di giudizio a favore dell’Amministrazione resistente, che liquida forfettariamente in euro 1.000 (mille).

Ordina che la presente sentenza sia eseguita dall’Autorità Amministrativa.

Così deciso in Roma, nella Camera di Consiglio del 24 aprile 2009.

IL PRESIDENTE IL GIUDICE ESTENSORE

(Elia ORCIUOLO) (Elena STANIZZI)

N. 2793/2009 R.G.

TAR –Lazio- Roma – Sez. I bis- sentenza su ric. n. .2793/2009 r.g.

Fonte: www.giustizia-amministrativa.it