Tribunale Regionale di Giustizia Amministrativa Sezione Autonoma per la Provincia di Bolzano N.175/2009

costituito dai magistrati:

Anton WIDMAIR – Presidente f.f.

Marina ROSSI DORDI – Consigliere

Hans ZELGER – Consigliere, relatore

Terenzio DEL GAUDIO – Consigliere

ha pronunziato la seguente

S E N T E N Z A

sul ricorso iscritto al n. 112 del registro ricorsi 2008

presentato da

AGRI S.p.a., in persona del legale rappresentante p.t., dott. Giovanni Podini, rappresentata e difesa dagli avv.ti Dieter Schramm e Nausicaa Mall, con domicilio eletto presso lo studio legale Volgger & Grüner, in Bolzano, Via Carducci, n. 8, come da mandato speciale a margine del ricorso;

– ricorrente –

c o n t r o

COMUNE di BOLZANO, in persona del Sindaco pro tempore, che sta in giudizio in forza della deliberazione della Giunta municipale n. 287 dd. 29.4.2008, rappresentato e difeso dagli avv.ti Marco Cappello, Bianca Maria Giudiceandrea e Alessandra Merini, con elezione di domicilio presso l’Avvocatura del Comune, Vicolo Gumer, n. 7, giusta delega a margine dell’atto di costituzione; – resistente –

e nei confronti di

UNIONE COMMERCIO TURISMO E SERVIZI della PROVINCIA AUTONOMA DI BOLZANO, in persona del suo Presidente pro tempore, sig. Walter Amorth, rappresentata e difesa dall’avv. Siegfried Brugger, con domicilio eletto presso il proprio studio, in Bolzano, Via Cappuccini, n. 5, giusta delega in calce all’atto di intervento; – interveniente ad opponendum –

per l’annullamento

del provvedimento del Sindaco di Bolzano prot. n. 6952 dd. 25.1.2008, notificato in data 28.1.2008, avente ad oggetto l’annullamento in via di autotutela dell’autorizzazione amministrativa per l’esercizio del commercio al dettaglio per il settore merceologico “alimentare” n. 10144/13700 dd. 14.11.2006, mq 495, nonché dell’autorizzazione amministrativa per l’esercizio del commercio al dettaglio per il settore merceologico “non alimentare” n. 10148/13675 dd. 15.12.2006, mq 490, entrambe in via Galilei, n. 20 di Bolzano, rilasciate alla ditta Agri S.p.a.

Visto il ricorso notificato il 31.3.2008 e depositato in segreteria il 14.4.2008 con i relativi allegati;

Visto l’atto di costituzione in giudizio del Comune di Bolzano depositato il 3.9.2008;

Visto l’atto di intervento ad opponendum dell’Unione Commercio Turismo e Servizi della Provincia autonoma di Bolzano, notificato il 25.9.2008 e depositato il 26.9.2008;

Vista l’ordinanza collegiale n. 42/08, depositata in data 15.10.2008, con cui è stata ordinata l’esibizione di documentazione da parte dell’Amministrazione comunale e disposto il rinvio all’udienza di merito del 14.1.2009;

Vista l’ordinanza collegiale n. 5/09, depositata in data 20.1.2009, con cui sono state ordinate ulteriori incombenze istruttorie e disposto il rinvio dell’udienza di merito all’1 aprile 2009;

Viste le memorie prodotte;

Visti gli atti tutti della causa;

Designato relatore per la pubblica udienza dell’1.4.2009 il consigliere Hans Zelger ed ivi sentiti l’avv. N. Mall e D. Schramm per la società ricorrente, l’avv. M. Cappello per il Comune di Bolzano e l’avv. C. Perathoner, in sostituzione dell’avv. S. Brugger, per l’Unione Commercio Turismo e Servizi della Provincia autonoma di Bolzano;

Ritenuto e considerato in fatto e in diritto quanto segue:

F A T T O

La società ricorrente presentava al Comune di Bolzano, in data 31 luglio 2006, una domanda di autorizzazione per medie strutture di vendita al dettaglio, per l’apertura di un “nuovo esercizio”, di mq 490, in via Galilei, n. 20, settore merceologico non alimentare. In relazione a tale domanda il Comune rilasciava a favore della Agri Spa, in data 15 dicembre 2006, l’autorizzazione amministrativa n. 10148/13675 (doc.ti 9 e 10 del Comune).

La stessa società presentava al Comune di Bolzano, in data 25 ottobre 2006, un’ulteriore domanda di autorizzazione per medie strutture di vendita al dettaglio, per l’apertura di un “nuovo esercizio”, di mq 495, in via Galilei n. 20, settore merceologico alimentare. In relazione a tale domanda il Comune rilasciava alla Agri Spa, in data 14 novembre 2006, l’autorizzazione amministrativa n. 10144/13700 (doc.ti 3 e 5 del Comune).

Con nota del 7 novembre 2007 l’Amministrazione comunale comunicava alla società ricorrente l’avvio del procedimento di annullamento, in via di autotutela, delle due sopraccitate autorizzazioni amministrative per l’esercizio del commercio al dettaglio (doc. 13 del Comune).

La società Agri Spa presentava al Comune di Bolzano le proprie controdeduzioni con nota del 15 novembre 2007 (doc. n. 14 del Comune).

Con l’impugnato provvedimento sindacale del 25 gennaio 2008 veniva disposto l’annullamento, in via di autotutela, delle autorizzazioni amministrative per l’esercizio del commercio al dettaglio n. 10144/13700 del 14 novembre 2006 e n. 10148/13675 del 15 dicembre 2006 (doc. 2 del Comune).

A fondamento del gravame proposto la società ricorrente ha dedotto i seguenti motivi:

1. “Violazione ed errata applicazione dell’art. 8, comma 2, DPGP 39/2000; anche in relazione al mancato invito dell’amministrazione a produrre i documenti necessari di cui al comma 2 dello stesso articolo e alla mancanza di motivazione sul punto”;
2. “Eccesso di potere per inosservanza / violazione di giudicato, rispettivamente per travisamento / errata interpretazione di sentenza. Conseguente errata classificazione della zona de qua come “zona produttiva”, invece che come c.d. “zona mista” di Bolzano”;
3. “Violazione ed erronea applicazione dell’(abrogato) art. 48/quinquies e/o dell’(attuale) art. 44/ter L.P. n. 13/1997 (legge urbanistica provinciale). Eccesso di potere per insufficiente, rispettivamente contraddittoria motivazione sul punto”;
4. “Eccesso di potere per annullamento in autotutela in assenza di interesse pubblico concreto. Travisamento dei fatti per comparazione con casi del tutto diversi. Insufficiente motivazione sul punto”.

Si è formalmente costituito in giudizio il Comune di Bolzano, con atto depositato il 3 settembre 2008, riservandosi di controdedurre nel prosieguo e chiedendo il rigetto del ricorso, siccome infondato.

Con atto notificato alle parti il 25 novembre 2008 è intervenuta in giudizio, ad opponendum, l’Unione Commercio Turismo e Servizi della Provincia autonoma di Bolzano, chiedendo il rigetto del ricorso, in quanto infondato.

Con memoria depositata il 27 settembre 2008 il Comune di Bolzano ha esposto le proprie controdeduzioni, insistendo per il rigetto del ricorso.

All’udienza pubblica dell’8 ottobre 2008 il procuratore della ricorrente ha rinunciato ai termini di difesa in relazione all’intervento ad opponendum dell’Unione Commercio Turismo e Servizi della Provincia autonoma di Bolzano, contestandone, però, la legittimazione ad intervenire e chiedendone l’estromissione dal giudizio, in quanto nessuno degli associati dell’Unione è parte in causa. Il procuratore dell’Unione Commercio Turismo e Servizi si è opposto all’eccezione in quanto, essendo un ente esponenziale della categoria mercantile in provincia di Bolzano, ha un preciso interesse ad un’inequivocabile interpretazione delle norme applicate nella vicenda controversa. Sentite le parti, il ricorso veniva poi trattenuto in decisione.

Con ordinanza collegiale n. 42/08, depositata il 15 ottobre 2008, il Tribunale ha disposto l’acquisizione in giudizio dei seguenti documenti:

* “planimetrie relative a ciascun piano dell’esistente edificio ex Famila (poi Eurospar + Sorelle Ramonda), in via Galilei, le quali pongano in rilievo i limiti delle singole superfici in relazione alle quali sono state rilasciate autorizzazioni commerciali e indichino, per ciascuna delle dette superfici, gli estremi della rispettiva autorizzazione commerciale o della comunicazione fatta ai sensi dell’art. 4 della legge provinciale 17.2.2000, n. 7; nelle planimetrie richieste dovranno risultare anche le superfici libere;
* copia delle relazioni tecniche relative alla concessione edilizia n. 41/2005 e alle successive varianti.

Inoltre, ha chiesto di conoscere “i numeri delle particelle edificali e i numeri civici dell’edificio ex Famila, nonché dei demoliti edifici ex Maxi C+C e Officine Salzburger”.

In data 21 novembre 2008 l’Amministrazione ottemperava alla suddetta richiesta, esibendo copia delle planimetrie relative a ciascun piano dell’esistente edificio denominato “ex Famila” e precisando che “da una verifica eseguita presso l’Ufficio Attività economiche e concessioni, non risulta tuttavia che alle singole licenze commerciali sia mai stata allegata la planimetria di riferimento di cui alla specifica concessione edilizia, e per tale ragione risulta concretamente impossibile indicare, per ciascuna delle superfici, gli estremi delle rispettive autorizzazioni commerciali o delle comunicazioni fatte ai sensi dell’art. 4 della L.P. 7/00”. Venivano inoltre prodotte in giudizio le relazioni tecniche relative alla concessione edilizia n. 41/2005 e indicati i numeri civici e le particelle edificiali, come richiesto.

Nei termini di rito le difese della ricorrente e dell’Amministrazione producevano memorie a sostegno delle rispettive difese.

All’udienza pubblica del 14 gennaio 2009, sentite le parti, il ricorso veniva nuovamente trattenuto in decisione.

Con ordinanza collegiale n. 5/09, depositata il 20.1.2009, ritenuto necessario, ai fini della decisione, di completare l’istruttoria, il Tribunale ha chiesto all’Amministrazione di:

* “indicare la superficie complessiva dell’edificio denominato ex Famila (p.ed. 2926, via Galilei 14, 16, 18, 20, 20A e 20B), con l’indicazione, all’interno di essa, della superficie destinata al commercio al dettaglio;
* elencare le autorizzazioni amministrative per il commercio al dettaglio rilasciate in via Galilei 14, 16, 18, 20, 20A e 20B, indicando per ciascuna di esse a quale numero civico corrisponda e la superficie di vendita autorizzata (nel caso in cui ciò non risulti agli atti del competente ufficio, si chiede di verificare, attraverso apposite misurazioni, la superficie effettivamente destinata al commercio al dettaglio);
* indicare quali delle suddette autorizzazioni sono oggi attive;
* ricostruire il quadro storico delle diverse destinazioni urbanistiche dell’area interessata, con l’indicazione dei relativi provvedimenti adottati nel tempo;
* esibire in giudizio copia della planimetria allegata alla domanda di autorizzazione per medie strutture di vendita al dettaglio presentata dalla ricorrente al Comune in data 24 ottobre 2006 (se esistente)”.

In data 19 febbraio 2009 l’Amministrazione ottemperava alla suddetta richiesta, rispondendo a tutti i quesiti posti ed esibendo documentazione a supporto dei chiarimenti forniti.

All’udienza pubblica dell’1 aprile 2009, sentite le parti, il ricorso veniva nuovamente trattenuto in decisione.

D I R I T T O

1) In primis deve essere esaminata l’eccezione sollevata dalla difesa della ricorrente in relazione alla legittimazione dell’Unione Commercio Turismo e Servizi ad intervenire ad opponendum nella presente vertenza, chiedendone l’estromissione dal giudizio, in quanto nessuno degli associati dell’Unione sarebbe parte in causa.

1a) L’eccezione non è fondata

1b) Le associazioni di settore sono legittimate a difendere in sede giurisdizionale gli interessi di categoria dei soggetti di cui hanno la rappresentanza istituzionale o di fatto, non solo quando si tratti della violazione di norme poste a tutela della categoria stessa, ma anche ogniqualvolta si tratti di perseguire comunque il conseguimento di vantaggi, sia pure di carattere puramente strumentale, giuridicamente riferibili alla sfera della categoria, con l’unico limite derivante dal divieto di occuparsi di questioni concernenti i singoli iscritti ovvero capaci di dividere la categoria in posizione disomogenee. Tali principi sono a loro volta la proiezione dell’altro principio secondo cui l’interesse collettivo deve identificarsi con l’interesse di tutti gli appartenenti alla categoria unitariamente considerata e non con interessi di singoli associati o di gruppi di associati atteso che un’associazione di categoria è legittimata a proporre ricorso a tutela della totalità dei suoi iscritti, non anche per la salvaguardia di posizioni proprie di una parte sola degli stessi. Nella presente vertenza l’Unione ha un inequivocabile interesse all’interpretazione e all’applicazione delle norme che riguardano l’esercizio del commercio al dettaglio nelle zone destinate all’attività produttiva e, anche, nelle zone cosiddette miste, al fine di garantire il principio di parità di trattamento di tutta la categoria in situazioni simili ed al fine prevenire eventuali rischi che potrebbero falsare la concorrenza nel commercio al dettaglio in Provincia di Bolzano (vedasi anche Consiglio Stato, sez. V, 07 settembre 2007, n. 4692).

2) Nel merito il ricorso è infondato.

3) Per una migliore economia processuale questo Collegio ritiene di non dover seguire l’ordine dei motivi proposti nel ricorso. Infatti, il giudice amministrativo non è vincolato all’ordine impresso dalla parte ricorrente alla trattazione dei motivi di invalidità, in quanto, pur spettando al ricorrente determinare l’ambito e i limiti della cognizione sulla legittimità del provvedimento amministrativo definendo, attraverso i motivi e le loro argomentazioni, le ragioni per le quali ne chiede l’ annullamento, tuttavia è il giudice, sulla base della valutazione delle priorità logiche, a dover individuare l’ordine secondo cui le censure vanno esaminate, tenendo conto della loro consistenza oggettiva e della relazione fra le stesse esistente, indipendentemente dalla richiesta delle parti.

4) Con i motivi dedotti in giudizio, che per connessione logico-giuridica possono essere esaminati congiuntamente, la ricorrente deduce che l’ampia motivazione del provvedimento impugnato, avente per oggetto l’annullamento di autorizzazioni amministrative per l’apertura di due nuovi esercizi in via G. Galilei n. 20 per il commercio al dettaglio, da un punto di vista logico-sistematico, potrebbe essere suddivisa in:

* motivi di rigetto tratti dalla disciplina del commercio;
* motivi di rigetto desunti dalla disciplina urbanistica;
* motivi di interesse pubblico e di parità di trattamento.

a) Per quanto riguarderebbe i primi, classificati dallo stesso Comune come preminenti, il Comune lamenterebbe l’illegittimità delle autorizzazioni rilasciate per contrasto con l’art. 8, comma 2, D.P.G.P. n. 39/2000 (regolamento di esecuzione dell’ordinamento del commercio), per mancata produzione, da parte della ricorrente, prima del materiale rilascio delle autorizzazioni, di planimetria approvata dei locali in questione riportante la destinazione d’uso di commercio al dettaglio.

b) In ordine alla disciplina urbanistica, il Comune di Bolzano – sul presupposto della classificazione della zona in cui si troverebbe l’immobile di via Galilei 20 come “zona produttiva”– in sostanza eccepirebbe che le uniche attività commerciali al minuto ivi consentite sarebbero quelle previste dalla restrittiva normativa urbanistica in materia (vecchio art. 48/quinquies, ora art. 44/ter, comma 3, legge urbanistica provinciale n. 13/1997), nonché le preesistenze e loro ampliamenti con esclusione quindi del commercio al dettaglio di prodotti “alimentari” e “non alimentari”.

c) Con il terzo gruppo di motivi il Comune asserirebbe che con il provvedimento impugnato esso avrebbe inteso salvaguardare l’interesse pubblico e la parità di trattamento, segnatamente in riferimento ai noti casi “Trony” e “Electronia”.

4a) Il nocciolo della questione dedotta in giudizio riguarda, quindi, il problema se la ricorrente può vantare il diritto al rilascio di autorizzazioni per l’apertura nello stabile di cui al civico n. 20 di Via G. Galilei di nuovi esercizi di commercio al dettaglio e se l’annullamento delle autorizzazioni, in epigrafe meglio specificati, disposto dal Comune di Bolzano in sede di autotutela ed impugnato con la presente vertenza, sia legittimo o meno.

4b) A tale fine la ricorrente deduce che il Comune sarebbe incorso in eccesso di potere per inosservanza/violazione di giudicato rispettivamente per travisamento/errata interpretazione della sentenza del Consiglio di Stato n. 5205 del 19.7.2005, cioè, per errata classificazione della zona de qua, in cui è situato l’immobile, come “zona produttiva” invece che come c.d. “zona mista”.

Il Comune, quindi, avrebbe del tutto travisato il significato della sentenza del Consiglio di Stato n. 5205/04 citata, che si riferisce proprio all’immobile sito in via Galilei 20, non osservando il relativo giudicato, sia per quanto riguarda la classificazione urbanistica dell’area in questione, sia (di conseguenza) per quanto riguarda i limiti entro i quali sarebbe ivi esercitabile il commercio al dettaglio.

Il Comune nel provvedimento impugnato – asserendo addirittura che questo sarebbe il motivo di diniego principale, su cui il rigetto si fonderebbe in primis – eccepirebbe che la ricorrente, con le domande dd. 25.10.2006 e 31.07.2006 volte ad ottenere le due autorizzazioni, annullate in via di autotutela con il provvedimento qui impugnato, non avrebbe prodotto, in violazione dell’art. 8, comma 2, D.P.G.P. 39/2000, la planimetria dei locali di vendita approvata e riportante la destinazione d’uso di commercio al dettaglio, risp. che comunque tale planimetria non sarebbe esistita al momento dell‘emanazione, da parte del Comune, delle autorizzazioni annullate, e che anzi ciò, nel caso di specie, non sarebbe nemmeno possibile in quanto l’edificio si troverebbe in fase di ristrutturazione.

4c) La ricorrente deduce, inoltre, le seguenti ulteriori censure:

* l’art. 8, comma 2, D.P.G.P. in questione dispone quanto segue: “Le domande di rilascio dell’autorizzazione debbono essere esaminate secondo l’ordine cronologico di presentazione. Prima del rilascio materiale dell’autorizzazione, l’autorità competente richiede all’interessato tutti i documenti non già in suo possesso e ritenuti necessari … ed in particolare la planimetria dei locali di vendita, approvata dall’organo competente e riportante la destinazione d’uso di commercio al dettaglio”;
* la norma prescriverebbe quindi il seguente iter: l’interessato inoltra domanda di autorizzazione, che l’amministrazione esamina e accoglie o rigetta; solo in caso di provvedimento di accoglimento – che, si badi bene, non è ancora l’autorizzazione commerciale in sè – e solo in caso di esplicita richiesta da parte dell’amministrazione, se ed in quanto la stessa lo reputa necessario, l’interessato sarebbe poi tenuto a fornire all’amministrazione, prima del materiale rilascio della licenza stessa, i documenti richiesti tra cui la planimetria con la destinazione d’uso.

Pertanto, la norma in questione non prescriverebbe ex lege la necessità di produzione della planimetria in questione, ma prevedrebbe l’onere di produzione della stessa da parte dell’interessato solo se espressamente richiesto dall’amministrazione prima del rilascio materiale dell’autorizzazione in quanto ritenuta dalla stessa necessaria.

Evidentemente, nel caso in esame, l’amministrazione non avrebbe ritenuto necessario richiedere la produzione del documento de quo prima del rilascio delle autorizzazioni, per cui le stesse non potrebbero ora essere annullate in via di autotutela adducendo una tale motivazione.

Alla luce dei criteri interpretativi letterali e logici, e anche alla luce della prassi ormai consolidatasi nella Provincia di Bolzano, (cioè, dell’inoltro delle planimetria alle amministrazioni solo su espressa richiesta) sarebbe evidente l’erroneità dell’interpretazione data dal Comune alla norma in esame e la conseguente violazione delle stesse.

4d) Le censure della ricorrente non sono convincenti.

4e) Giova all’uopo riportare l’art. 8, comma 2, del Regolamento di esecuzione della legge provinciale 17 febbraio 2000 n. 7, approvato con D.P.G.P. 30.10.2000 n. 39 che dispone: “2. Le domande di rilascio dell’autorizzazione debbono essere esaminate secondo l’ordine cronologico di presentazione. Prima del rilascio materiale dell’autorizzazione, l’autorità competente richiede all’interessato tutti i documenti non già in suo possesso e ritenuti necessari a certificare i fatti e i dati dichiarati all’atto della domanda, salvo quelli per i quali è sufficiente ed è stata resa l’autocertificazione, ed in particolare la planimetria dei locali di vendita, approvata dall’organo competente, e riportante la destinazione d’uso di commercio al dettaglio.”

Dal predetto disposto si evince, senza ombra di dubbio, che la produzione della planimetria dei locali di vendita è presupposto indispensabile per il rilascio di un’autorizzazione all’apertura di un esercizio di commercio al dettaglio.

Non giova alla ricorrente addurre che sarebbe ormai prassi consolidata nella Provincia di Bolzano che la planimetria sarebbe da produrre solo su espressa richiesta del Comune. Tale prassi, peraltro, solo dichiarata e non provata dalla ricorrente, non esonererebbe la Pubblica Amministrazione dall’applicazione della norma positiva in vigore (cioè l’art. 8 del regolamento sopra specificato), atteso che la consuetudine può avere efficacia solo in quanto richiamata da una legge, secondo il principio di gerarchia delle fonti di cui all’art. 8 disp. prel.c.c.

Parimenti infondata è l’asserzione della ricorrente che, nel caso di specie, si sarebbe trattato solo della comunicazione del Comune dell’avvenuto accoglimento della domanda per l’apertura di un nuovo esercizio e che tale comunicazione non sarebbe ancora da classificare “autorizzazione commerciale” in sè. La lettura del provvedimento impugnato e dei provvedimenti con esso annullati (doc. n. 1 e 2 ricorso) danno la conferma incontestabile che il Comune di Bolzano aveva rilasciato due autorizzazioni amministrative per la vendita al dettaglio in sede fissa, da attivarsi in via G. Galilei n. 20. Tale fatto viene, inoltre, affermato dalla stessa ricorrente in sede di esposizione del fatto del ricorso.

4f) In sede di esame della presente vertenza è emersa la necessità di disporre l’acquisizione in giudizio di diversa documentazione, dettagliatamente elencata in “fatto”. Il Comune di Bolzano ha ottemperato alle ordinanze di questo Tribunale n. 42/2008 e n. 5/2009 fornendo i chiarimenti in relazione alla posizione degli stabili contrassegnati con i relativi numeri civici ed in relazione alla superficie disponibile per l’esercizio del commercio al dettaglio.

Tali chiarimenti si erano resi necessari affinché questo Collegio potesse avere certezza che per ogni autorizzazione rilasciata risp. richiesta corrisponda risp. siano disponibili, anche in concreto, le superfici risultanti ed indicate nelle domande di autorizzazione risp. nelle autorizzazioni stesse, ciò in applicazione del disposto dell’art. 8 della l.p. n. 7/2000 nonché dell’art. 8 del rispettivo regolamento di esecuzione approvato con D.P.G.P. n. 39/2000.

4g) In relazione alla numerazione civica l’Amministrazione comunale di Bolzano ha chiarito con la dichiarazione sotto riportata che risultano attribuiti i seguenti numeri civici ai rispettivi edifici, d’interesse ai fini della decisione della presente vertenza, situati lungo la Via G. Galilei e precisamente:

“Per quanto concerne infine la richiesta indicazione dei numeri delle particelle edificali e dei numeri civici dell’edificio ex Famila, nonché dei demoliti edifici ex Maxi C+C ed Officine Salzburger, si fornisce apposita tavola del SIT, Sistema Informativo Territoriale e si fa presente quanto segue:

– Numeri delle particelle edificali e dei numeri civici dell’edificio ex Famila: p. ed. n. 2926 cui sono attribuiti i civici n. 14 – 16 – 18 – 20 – 20A – 20B;

– Particella edificale dell’edificio Maxi C+C: p.ed. n. 1196/1: Attualmente, non essendoci alcuna edificazione, alla p.ed in questione non è attribuito nessun numero civico, in passato era attribuito il n. 22;

– Particella edificale dell’edificio ex Officine Salzburger: p.ed n. 1193 – 1194 e 1195. Attualmente, non essendoci alcuna edificazione, alle p.ed in questione non è attribuito nessun numero civico, in passato era attribuito il n. 24.”

4g) Il Comune di Bolzano, inoltre, ottemperando alle precise richieste di questo Tribunale, formulate con l’ordinanza n. 5/2009, ha depositato in data 19 febbraio 2009 una relazione chiarendo che:

– la superficie complessiva attualmente utilizzabile nello stabile situato in via G. Galilei su p.ed. 2926 C.C. Dodiciville, al quale sono assegnati i numeri civici 14, 16, 18, 20, 20° e 20B, tolti 937 m² adibiti a spazi accessori (quali scale, uffici, magazzini ecc.) è di m² 2671 (3.608 m² – 937).

I calcoli delle superfici attualmente disponibili per il commercio al dettaglio non vengono significatamente contestati dalla ricorrente, anzi dalla memoria conclusiva può essere desunto che, a seguito delle visure catastali, lo stabile in questione risulterebbe avere una superficie complessiva di m² 3.831, di cui però solo 2.000 m² coperti (solo questi ultimi quindi utilizzabili ai fini del commercio al dettaglio – vedasi anche regolamento di esecuzione n. 39/2000, art. 1 e seguenti).

A questa superficie sarebbero da aggiungere, tolti 306 m² destinati ad uffici, 1.492 m² (1798 m² – 306 m²) in fase di realizzazione.

A tale superficie, utilizzabile a scopi di commercio al dettaglio, fanno capo le seguenti autorizzazioni:

– autorizzazioni attive che occupano una superficie di m² 3.122 (32 + 1.500 + 1.590 m²);

– autorizzazioni sospese in attesa del certificato di abitabilità 960 m² (360 + 280 + 290 m²);

– autorizzazioni annullate con il provvedimento impugnato 985 m² (495 + 490 m²).

Dai conteggi sopra esposti e forniti dal Comune può essere desunto che le superfici delle autorizzazione attive superano gli spazi attualmente disponibili (2.671 m²) ai fini dell’esercizio del commercio al dettaglio.

Invece, le superfici complessivamente utilizzabili dopo l’ultimazione dei lavori (di ampliamento dell’edificio al civ. n. 20) saranno di m² 4.163 m² (2.671 + 1492 m²) che faranno capo a m² 4.082 di autorizzazioni attive o sospese in attesa del certificato di agibilità. Per cui, dopo l’agibilità delle superfici sopra riportate la ricorrente disporrà di m² 81 (4.163 – 4082), sfruttabili per l’ampliamento delle autorizzazioni in atto ovvero per l’apertura di nuovi esercizi.

Quindi, dai calcoli sopra riportati questo Collegio trae la conclusione che tutte le superfici dello stabile su p.ed. 2926, che corrisponde al n. civico 20 (ivi inclusi i numeri civici 14, 16, 18, 20 A e 20B), utilizzabili a fini di commercio al dettaglio sono interessate ed occupate dalle autorizzazioni attive o sospese in attesa del certificato di agibilità: la differenza disponibile di m² 81 non raggiunge minimamente l’estensione per giustificare neanche una delle autorizzazioni annullate (495 + 490 m²).

Giustamente, pertanto, il Comune ha annullato, in via di autotutela, le autorizzazioni, oggetto della presente vertenza, in quanto, ai sensi della legge provinciale n. 7 del 17.2.2000 (Nuovo ordinamento del Commercio) e del regolamento di esecuzione approvato con D.P.G.P. 30.10.2000 n. 39 mancava un presupposto essenziale, cioè una superficie concretamente utilizzabile per l’esercizio del commercio al dettaglio, visto che in base alle norme appena citate (art. 7) è vietato esercitare il commercio al dettaglio in base ad autorizzazioni diverse nello stesso locale.

Per queste considerazioni, quindi, giustamente il Comune di Bolzano ha annullato le autorizzazioni, oggetto della presente vertenza, perché al rilascio ostavano ab initio i presupposti urbanistici, cioè, mancavano in concreto le superfici su cui esercitare il commercio al dettaglio. Inoltre, l’art. 8 della legge provinciale n. 7/2000 (Nuovo ordinamento del commercio) vieta l’esercizio del commercio al dettaglio in base ad autorizzazioni diverse nello stesso locale, cioè, sulle superfici già occupate da altre autorizzazioni. Quindi, mancavano ab initio i presupposti richiesti dal “Nuovo ordinamento del commercio” per il rilascio delle autorizzazioni. Il Comune di Bolzano, giustamente, ha rivalutato in sede di annullamento, l’esistenza di tali presupposti, visto anche che lo stesso Consiglio di Stato affermava nella sentenza n. 5205 del 19.7.2004 che “resta in ogni caso salva ed impregiudicata ogni ulteriore valutazione dell’Amministrazione in ordine alla compatibilità delle richieste autorizzazioni con la vigente normativa, statale e provinciale, in materia di commercio”.

4h) Non giova alla ricorrente il tentativo di far considerare facenti parte del civico n. 20 di Via G. Galilei anche gli erigendi edifici sulle pp.ed. 1196/1, 1193, 1194, e 1995, già n. civici 22 rispettivamente 24.

A tal fine il Collegio concorda con il Comune di Bolzano che, giusta i disposti della legge n. 1228 del 24.12.1954 e del regolamento di esecuzione, approvato con D.P.R. n. 223 del 30.5.1989, la numerazione civica è assegnata dai comuni (art. 10 legge) unicamente per edifici esistenti e che un apposito numero civico deve essere assegnato a tutti gli accessi esterni ed anche interi (art. 42 regolamento). L’assegnazione del numero civico è di competenza esclusiva del Comune che può sostituirsi al proprietario dell’edificio qualora tale numerazione civica non viene applicata dallo stesso secondo le indicazioni impartite (art. 43 regolamento).

Incontestabile è il fatto che il numero civico 20 (ivi compresi i vari numeri indicanti le singole entrate esterne e interne) di via G. Galilei fa capo unicamente allo stabile di cui all’edificio su p.ed. 2926.

È fuori luogo qualsiasi richiamo, da parte della ricorrente, a situazioni esistenti nei decenni pregressi, in quanto, i Comuni sono tenuti, in applicazione del disposto dell’art. 47 del citato regolamento n. 223/1989, in sede di ogni censimento generale della popolazione, alla revisione dell’onomastica e della numerazione civica per adeguarle alla situazione esistente, avendo all’uopo particolare riguardo anche a nuove costruzioni ed a demolizioni. L’art. 47 del regolamento n. 223/89 determina che la predetta revisione deve essere effettuata d’ufficio, indipendentemente dalla richiesta dei proprietari dei fabbricati di cui all’art. 43 ed a prescindere dall’eventuale carattere abusivo di nuove costruzioni.

Essendo l’ultimo censimento generale della popolazione stato effettuato nell’anno 2001 è da considerare, quindi, unicamente la situazione della numerazione civica attribuita ai vari edifici a partire da tale data.

Infine, spetterà al Comune, in applicazione della normativa sopra citata, assegnare agli erigendi edifici sulle pp.ff. 1196/1, 1193, 1194, 1995, già numeri civici 22 e 24, i numeri civici per i vari accessi esterni ed anche interni prima del rilascio del certificato di agibilità. In altre parole, non spetta al proprietario degli edifici scegliere il numero civico degli accessi esterni ed interni, cioè, scegliere quali accessi fanno capo a numeri civici gia assegnati (nel caso di specie il numero 20 di via G. Galilei).

Il Comune di Bolzano ha chiarito, in ottemperanza delle ordinanze n. 42/2008 e 5/2009, per quanto è d’interesse per la decisione della presente vertenza, la situazione della numerazione civica attribuita ai vari edifici in Via Galilei all’atto del rilascio delle autorizzazioni, oggetto della presente vertenza, e ciò indipendentemente dell’attuale posizione ove le targhe, ed in specifico la targa n. 20, è stata applicata.

4i) Ai fini della decisione della presente vertenza, questo Collegio ritiene, pertanto, non necessario disporre, come richiesto dal difensore del Comune di Bolzano in sede di discussione in pubblica udienza, la formale acquisizione del verbale di constatazione del Servizio controllo costruzioni del Comune di Bolzano n. 484 dd. 23.7.1998 e del verbale di constatazione dello stesso Servizio n. 104 dd. 31.3.2009. Con tali verbali sarebbe stato accertato che la targa con il numero civico 20 sarebbe stata rimossa dallo stabile su p.ed. 2926 ed applicata su una parete di un edificio in costruzione.

Sarà, comunque, cura della Segreteria di questo Tribunale trasmettere per competenza, in applicazione del disposto dell’art. 331 c.p.p., copia del verbale di udienza dell’1.4.2009 e di questa sentenza alla Procura della Repubblica di Bolzano, per le valutazioni di competenza.

4h) A completamento delle considerazioni che precedono è da aggiungere che la stessa ricorrente, presentando le varie richieste di concessione edilizia per la realizzazione, rectius demoricostruzione, degli edifici sulle pp.ed 1196/1, 1193, 1194, 1995, già numeri civici 22 e 24, non aveva indicato per tali immobili qualsiasi numero civico come può essere rilevato dai documenti nn. 16, 18, 20, 21, 22, 23 depositati dal Comune. Ciò anche in rispetto delle indicazioni dell’art. 43 del regolamento DPR n. 223/1989, in base al quale l’assegnazione del numero civico è prevista non appena ultimata la costruzione del fabbricato e prima del rilascio del certificato di agibilità.

5) Si rivelano insussistenti anche le censure rivolte avverso le motivazioni contenute nel provvedimento impugnato per mancata esposizione dell’interesse pubblico concreto nonché per travisamento dei fatti per comparazione con casi del tutto diversi e per insufficiente motivazione sul punto.

La ricorrente espone che tra le domande di autorizzazione dd. 25.10.2006 e 31.07.2006 e il provvedimento di annullamento in autotutela impugnato dd. 25.01.2008, sarebbe trascorso un considerevole lasso di tempo, sicuramente sufficiente ad ingenerare nella ricorrente il concreto affidamento circa la legittimità delle autorizzazioni rilasciate, anche in mancanza di attuale apertura dei relativi esercizi in quanto l’edificio si trova ancora in fase di costruzione.

Ne discenderebbe che, secondo consolidata giurisprudenza, il Comune nella motivazione del provvedimento impugnato, oltre ai motivi di presunta illegittimità, avrebbe dovuto addurre anche un interesse pubblico concreto per il quale intendeva annullare gli atti, comparando lo stesso all’interesse privato sacrificato.

5a) Ritiene il Collegio che nel caso di specie non possa essere lamentato che sarebbe trascorso un considerevole lasso di tempo sufficiente ad ingenerare nella ricorrente il concreto affidamento circa la legittimità delle autorizzazioni rilasciate, semplicemente per il fatto che le autorizzazioni non erano state attivate entro l’anno dalla data di rilascio, per cui, visto che non risulta agli atti una richiesta di proroga, per comprovata necessità, le stesse sarebbero state comunque oggetto di revoca ai sensi dell’art. 23 della legge provinciale n. 7 del 17.2.2000.

Inoltre, dal provvedimento stesso possono essere desunti sufficienti motivi di interesse pubblico tali da giustificare l’annullamento. Infatti, dal documento impugnato risulta: “considerato l’interesse pubblico al pedissequo rispetto delle norme vigenti ed alla disciplina del settore del commercio secondo criteri di trasparenza ed imparzialità, ravvisata la necessità di impedire il rilascio di autorizzazioni commerciali in contrasto con le vigenti prescrizioni urbanistiche e di evitare inaccettabili situazioni di disparità di trattamento (vedasi caso Trony e caso Electronia).” Ritiene, quindi, questo Collegio che l’interesse pubblico sia stato sufficientemente motivato, visto che, nel caso contrario, ovvero nel caso del mancato annullamento delle autorizzazioni sarebbero state create disparità, le quali il Comune di Bolzano classifica inaccettabili; per casi esattamente analoghi a quelli per cui è causa, come sottolinea l’Amministrazione resistente nelle memorie difensive.

Inoltre, nel caso di specie si trattava, all’atto dell’annullamento del provvedimento impugnato, non solo dell’accertamento di meri vizi formali, ma di vizi sostanziali, facilmente conoscibili anche dalla ricorrente stessa (mancanza totale delle superfici necessari per l’apertura di nuovi esercizi del commercio al dettaglio), che non fanno nascere in capo alla ricorrente stessa un affidamento apprezzabile sulla regolarità della sua posizione.

6) Per queste considerazioni e poiché per consolidata giurisprudenza é sufficiente la legittimità di un unico motivo per rendere legittimo l’intero provvedimento, ancorché gli altri non lo siano, il Collegio ritiene legittimo il provvedimento impugnato.

Il Collegio ritiene, quindi, che possa prescindersi dall’esame degli altri motivi di impugnazione, visto anche che, nel tempo intercorso dall’annullamento ad oggi sono state emanate nuove norme (l.p. n. 3 del 2.7.2007) in materia di attività commerciale nelle zone per insediamenti produttivi (comprese quelle classificate nei piani urbanistici zone di completamento) e che nel caso di riavvio del procedimento per il rilascio di autorizzazioni troverà applicazione il principio “tempus regit actum”; considerato, in aggiunta, che nella sentenza n. 5205/2004 risulta: “Ciò, si badi, non perché non sia consentito, nella Provincia Autonoma di Bolzano, il diniego di un’autorizzazione commerciale per ragioni di ordine urbanistico (ché anzi occorre sottolineare come in detta Provincia l’attività di commercio risulti condizionata all’osservanza della disciplina urbanistica dalla legge provinciale n. 68/1978 e, in particolare, dall’art. 16, quarto comma, che impone il rispetto delle concessioni edilizie relative alla destinazione ed all’uso dei vari edifici nelle zone urbane, nonché dall’art. 19, primo comma, che esige il rispetto delle norme relative alla destinazione d’uso di tali edificii: v. Consiglio Stato, sez. V, 4 gennaio 1993, n. 22 ), ma in forza della insufficienza ed intrinseca contraddittorietà delle cennate considerazioni di carattere urbanistico, sulle quali il Comune di Bolzano ha fondato gli impugnati dinieghi e la Provincia Autonoma di Bolzano il rigetto dei ricorsi gerarchici avverso gli stessi proposti.”

Nel caso di specie il Collegio ritiene, altresì, di poter prescindere dall’esame della questione se per lo stabile in Via Galilei n. 20 dovesse tenersi conto delle statuizioni di cui alla sentenza del Consiglio di Stato, Sezione IV, n. 4205 del 19.4.2004, visto che il presente ricorso va respinto per la mancanza di superfici sufficienti all’apertura di nuovi esercizi nello stabile di cui al civico n. 20 e non per il fatto che nello stabile su p. ed. 2926, contrassegnato con il numero civico 20, non sia ammesso il commercio al dettaglio.

Sussistono sufficienti motivi per la compensazione delle spese di giudizio, vista la complessità della materia che ha richiesto ben due procedimenti istruttori.

P.Q.M.

Il Tribunale Regionale di Giustizia Amministrativa – Sezione Autonoma di Bolzano – disattesa ogni contraria istanza ed eccezione, definitivamente pronunciando, rigetta il ricorso.

Spese compensate.

Il contributo unificato va posto per metà a carico della ricorrente e per metà a carico del Comune di Bolzano.

Ordina la trasmissione degli atti alla competente Procura della Repubblica.

Ordina che la presente sentenza venga eseguita dall’Autorità amministrativa. Così deciso in Bolzano, nella camera di consiglio dell’1.4.2009.

IL PRESIDENTE f.f. L’ESTENSORE

Anton WIDMAIR Hans ZELGER

/mg

N. R.G. 112/2008

Fonte: www.giustizia-amministrativa.it

Tribunale Amministrativo Regionale per il Veneto n. 692/2009

Avviso di Deposito

del

a norma dell’art. 55

della L. 27 aprile

1982 n. 186

Il Direttore di Sezione

Giuseppe Di Nunzio Presidente

Angelo Gabbricci Consigliere, relatore

Marco Morgantini Primo Referendario

ha pronunciato, nella forma semplificata di cui agli artt. 21 e 26 della legge 6 dicembre 1971, n. 1034, la seguente

SENTENZA

sul ricorso n. 692/2009, proposto da Enzo ed Ines Ranzato, rappresentati e difesi dall’avv. M. Aprile, con domicilio presso la segreteria del T.A.R., ai sensi dell’art. 35 del R.D. 26.6.1924 n. 1054;

contro

il Comune di Chioggia in persona del sindaco pro tempore, rappresentato e difeso dagli avv. ti Papa e Perini, con domicilio presso la segreteria del T.A.R., ai sensi dell’art. 35 del R.D. 26.6.1924 n. 1054;

e nei confronti

di Valeria Sambo, rappresentata e difesa dagli avv. ti Di Blasi e Cazzagon, con domicilio eletto presso lo studio del secondo in Mestre, Piazza Ferretto 22;

per l’annullamento del permesso di costruire 14 ottobre 2008, n. 365, rilasciato a Valeria Sambo dal Comune di Chioggia.

Visto il ricorso, notificato il 17 febbraio 2009 e depositato presso la Segreteria il 12 marzo 2009, con i relativi allegati;

Visti gli atti di costituzione in giudizio del Comune di Chioggia e controinteressata;

visti gli atti tutti di causa;

uditi nell’udienza camerale del 1 aprile 2009 (relatore il consigliere avv. A. Gabbricci), l’avv. Aprile per i ricorrenti, l’avv. Papa per l’Amministrazione resistente e gli avv. ti Di Blasi e Cazzagon per la controinteressata;

considerato

che, nel corso dell’udienza camerale fissata nel giudizio in epigrafe, il Presidente del Collegio ha comunicato alle parti presenti come, all’esito, avrebbe potuto essere emessa decisione in forma semplificata, ex artt. 21, XI comma, e 26, IV e V comma, della l. 6 dicembre 1971, n. 1034, e queste non hanno espresso rilievi o riserve;

che sussistono effettivamente i presupposti per pronunciare tale sentenza nei termini come di seguito esposti.

Ritenuto in fatto e considerato in diritto quanto segue.

1.1. Secondo il rogito notarile d’acquisto, i ricorrenti Ranzato sono proprietari dei “piani terra e primo … vani 2,5… Il tutto con la comproprietà di quanto comune per legge” d’un edificio di quattro piani in Chioggia (Venezia), calle Doro 650.

1.2. Valeria Sambo, a sua volta, dal 2005 è proprietaria nello stesso stabile dell’appartamento “al piano terzo, composto da 2,5 vani catastali, con annessa soffitta al piano quarto, confinante a nord e a ovest con vano scale e proprietà di terzi, a sud con calle Doro”.

1.3. Il quarto piano, assai prima di quest’ultima cessione, era composto, anzitutto, da una stanza indipendente con finestra, cui si perveniva attraverso una ripida scaletta, posta sull’ultimo pianerottolo della scala condominiale; la stessa scala condominiale , con un’ultima rampa, conduceva al sottotetto, il quale occupava la parte restante dello stesso quarto piano, d’altezza variabile, ma non comunicante con la detta stanza indipendente, posta allo stesso livello.

1.3. Per quanto si desume dalla documentazione in atti, prima della vendita alla Sambo, la scala condominiale tra terzo e quarto piano fu demolita e coperto il vano scale; nell’appartamento al terzo piano fu realizzata una scala a chiocciola di collegamento con il quarto, dove, sulla superficie realizzata con la chiusura del vano scale, venne creato un passaggio alla stanza autonoma, che fu trasformata in w.c.: tutti interventi, questi, assolutamente abusivi.

2.1. La Sambo, nel marzo 2006 presentò al Comune una domanda diretta ad ottenere un permesso per opere di manutenzione straordinaria e sanatoria per opere interne: era prevista l’eliminazione della scala a chiocciola, il ripristino del vano scale e del relativo accesso al quarto piano, dove sarebbe stato abbattuto il muro che separava il sottotetto dalla stanza, di cui veniva meno l’utilizzo per w.c..

2.2. Il Comune approvò il progetto, rilasciando la licenza di costruire 14 ottobre 2008, n. 365, che è stata però impugnata dai Ranzato con il ricorso in esame.

2.3. Essi muovono invero dal presupposto che la stanza indipendente avrebbe costituito, in origine, parte comune del fabbricato, cui sarebbe stata data “unilateralmente e contro la volontà dei ricorrenti” destinazione a servizio.

Con il nuovo intervento, e l’abbattimento delle pareti, lo spazio de quo verrebbe incorporato nella proprietà esclusiva Sambo, con evidente pregiudizio per i condomini Ranzato.

2.4. La richiamata situazione si ripercuoterebbe “sulla legittimità del provvedimento impugnato”, asseritamente viziato per violazione di legge (non individuata) ed eccesso di potere.

Il Comune di Chioggia “avrebbe dovuto verificare l’esistenza della legittimazione della ricorrente il P.d.C. [permesso di costruzione] a compiere gli interventi”: e se “le verifiche si fossero compiute si sarebbe verificato che la sig. ra Sambo non aveva titolo per chiedere l’esecuzione di interventi che coinvolgono beni di cui gli odierni ricorrenti sono comproprietari”, e per i quali i Ranzano non avevano prestato il loro consenso.

2.5. Si sono costituiti in giudizio sia il Comune che la controinteressata, concludendo entrambi per la reiezione.

3.1. È indubbio che, in generale, la modificazione di una parte comune di un edificio e della sua destinazione, ad opera di taluno dei condomini, sottraendo la cosa alla sua specifica funzione, legittimi gli altri condomini ad agire per la tutela di tale parte comune, anche impugnando la relativa licenza di costruire.

Peraltro, l’esame nel merito della relativa domanda d’accoglimento non presuppone soltanto che il ricorrente fornisca una prova adeguata della sua qualità di condomino, ma altresì che la parte comune asseritamente usurpata sia effettivamente tale, e cioè riconducibile ad una delle categorie di cui all’art. 1117 c.c..

3.2. Orbene, nella fattispecie, la stanza indipendente al quarto piano non appare riconducibile ad alcuna di tali categorie, né i ricorrenti hanno saputo o potuto fornire sul punto argomenti di qualche rilievo.

Invero, il rogito d’acquisto Sambo non contiene dichiarazioni univoche sull’appartenenza della stanza (il richiamo ai confini si riferisce all’appartamento al terzo piano), mentre la mappa catastale allegata è risalente e non attendibile, poiché non rispecchia la situazione di fatto, che era all’epoca quella descritta sub 1.3.: e, comunque, per poter legittimamente impugnare il permesso di costruire de quo, non sarebbe ancora bastato aver dimostrato che la stanza non appartiene alla Sambo, poiché ciò non è di per sé sufficiente a farne una parte comune del fabbricato.

4.1. In ogni caso, è bensì vero che, ex art. 11, I comma, del d.P.R. 6 giugno 2001, n. 380, il permesso di costruire è rilasciato al proprietario dell’immobile o a chi abbia titolo per richiederlo, sicché l’interessato è tenuto a fornire al Comune prova del suo diritto, ma quest’ultimo non può e non deve svolgere sul punto verifiche eccedenti quelle richieste dalla ragionevolezza e dalla comune esperienza, in relazione alle concrete circostanze di fatto, tanto più che, come lo stesso art. 11 specifica, il permesso di costruire “non incide sulla titolarità della proprietà o di altri diritti reali relativi agli immobili realizzati per effetto del suo rilascio” (II comma) e “non comporta limitazione dei diritti dei terzi”.

4.2. Ora, come si è visto, in specie non vi sono elementi da cui potesse trarre il ragionevole dubbio che la stanza de qua è parte comune del fabbricato: al contrario, raffrontando la descrizione del bene venduto nell’atto di compravendita con lo stato attuale, descritto nel progetto (destinazione a w.c.), il Comune non poteva che considerarlo di proprietà esclusiva Sambo, senza contare l’interesse pubblico all’eliminazione degli abusi esistenti tramite l’intervento di manutenzione proposto.

3.4. Il permesso non può dunque essere annullato, ed il ricorso proposto va pertanto respinto.

Le spese di lite seguono la soccombenza e sono liquidate come da dispositivo.

P.Q.M.

Il Tribunale amministrativo regionale per il Veneto, terza Sezione, definitivamente pronunciando sul ricorso in epigrafe, lo respinge.

Condanna i ricorrenti alla rifusione delle spese di lite nei confronti dell’Amministrazione resistente e della controinteressata, liquidandole in favore di ciascuno di essi in € 200 ,00 quanto alle spese anticipate, nonché in € 1.800,00, per diritti, onorari e spese generali, oltre ad i.v.a. e c.p.a..

Ordina che la presente sentenza sia eseguita dall’Autorità amministrativa.

Così deciso in Venezia, nella Camera di consiglio addì 1 aprile 2009.

Il Presidente l’Estensore

Il Segretario

SENTENZA DEPOSITATA IN SEGRETERIA

il……………..…n.………

(Art. 55, L. 27/4/1982, n. 186)

Il Direttore della Terza Sezione

T.A.R. Veneto – II Sezione n.r.g. 692/2009

Fonte: www.giustizia-amministrativa.it

Tribunale Amministrativo Regionale per il Veneto Sent.n. 373/09

Avviso di Deposito

del

a norma dell’art. 55

della L. 27 aprile

1982 n. 186

Il Direttore di Sezione

Il Tribunale Amministrativo Regionale per il Veneto, terza sezione, con l’intervento dei magistrati:

Angelo De Zotti Presidente

Elvio Antonelli Consigliere

Marco Buricelli Consigliere, rel. ed est.

ha pronunciato, nella forma semplificata di cui agli articoli 21 e 26 della legge 6 dicembre 1971, n. 1034, la seguente

SENTENZA

nel giudizio introdotto con il ricorso n. 140/2009 proposto da MAHMOOD ANSAR, rappresentato e difeso dall’avv. Andrea Balbo, con domicilio presso la Segreteria del T.A.R. ai sensi dell’art. 35 del r. d. 26.6.1924, n. 1054;

CONTRO

L’Amministrazione dell’interno, in persona del Ministro pro tempore, rappresentata e difesa dall’Avvocatura distrettuale dello Stato di Venezia, domiciliataria per legge presso la sua sede in Piazza San Marco n. 63;

per l’annullamento

del provvedimento cat. A.12/2007/Imm n. 47 emesso il 3 febbraio 2007 e notificato al ricorrente il 5 gennaio 2009, con il quale il Questore di Vicenza ha, in maniera contestuale, revocato il permesso di soggiorno per motivi di lavoro subordinato accordato allo straniero nel 2006 con validità fino al 25 aprile 2008 e rifiutato il rinnovo del permesso di soggiorno richiesto dallo straniero medesimo;

visto il ricorso, notificato il 9 gennaio 2009 e depositato in segreteria il 19 gennaio 2009, con i relativi allegati;

visto il controricorso dell’Avvocatura dello Stato per l’Amministrazione dell’interno, con l’allegato;

visti gli atti tutti della causa;

uditi, nella camera di consiglio del 29 gennaio 2009. (relatore il consigliere Marco Buricelli), l’avv. Grofcich in sostituzione di Balbo per la parte ricorrente e l’avv. dello Stato Brunetti per la P.A.;

considerato che, nel corso dell’udienza camerale fissata nel giudizio in epigrafe il presidente del collegio ha comunicato alle parti come, all’esito, avrebbe potuto essere emessa decisione in forma semplificata, ex articoli 21 e 26 della l. 6 dicembre 1971, n. 1034, e queste non hanno espresso rilievi o riserve;

che sussistono effettivamente i presupposti per pronunciare tale sentenza nei termini come di seguito esposti:

1.- premesso in fatto che il ricorrente, cittadino del Pakistan, impugna il provvedimento in epigrafe con il quale il Questore di Vicenza ha, in sintesi, revocato il permesso di soggiorno accordato al Mahmood nel 2006 con scadenza nell’aprile del 2008 e rigettato l’istanza di rinnovo del permesso di soggiorno presentata dallo stesso Mahmood;

che, in particolare, nel decreto impugnato il Questore:

-premette che il Mahmood aveva a suo tempo chiesto alla Questura il rinnovo del permesso di soggiorno che in precedenza gli era stato rilasciato con validità fino all’aprile del 2005;

-sottolinea che la domanda di rinnovo presentata nel giugno del 2005 era corredata di: “-dichiarazione di assunzione rilasciata dalla ditta “Job Consul”… dalla quale risultava essere stato assunto in data 1.3.2005; -comunicazione di assunzione relativa alla ditta sopra citata riportante il timbro del Centro per l’impiego di Villafranca”; -“copia di quattro buste paga relative rispettivamente ai mesi di marzo, aprile, maggio e giugno 2005”;

-soggiunge che il 17 agosto 2005 veniva rilasciato allo straniero un permesso di soggiorno valido fino al 26 aprile 2006; che successivamente lo straniero si presentava in Questura per il rinnovo del permesso e che attualmente è in possesso di un permesso di soggiorno in corso di validità sino al 25 aprile 2008;

che il Questore rileva quindi che da verifiche eseguite presso l’INAIL di Verona è risultato che lo straniero non è mai stato dipendente della ditta Job Consul e inoltre che in seguito a specifici accertamenti della Polizia tributaria, eseguiti nel corso del 2006, è stata appurata la falsità della documentazione relativa al (fittizio) rapporto di lavoro alle dipendenze della ditta Job Consul;

che nella motivazione del decreto si soggiunge che lo straniero, in concorso con la legale rappresentante della ditta Job Consul, è responsabile del reato di cui all’art. 5, comma 8 bis, del t. u. n. 286 del 1998 in quanto, allo scopo di permanere indebitamente nel territorio nazionale, ha coscientemente fatto uso della documentazione attestante il falso approntata dalla responsabile medesima; e si rimarca poi che il permesso di soggiorno era stato rinnovato nonostante la inesistenza di un presupposto essenziale quale era, appunto, un rapporto di lavoro e che non sussistevano le condizioni per il rinnovo del permesso medesimo: di qui la revoca del permesso a suo tempo accordato e il contestuale rigetto della istanza di rinnovo del permesso medesimo;

che avverso il decreto in epigrafe il ricorrente ha formulato due articolati motivi, concernenti violazione di legge ed eccesso di potere sotto svariati profili;

che l’Avvocatura dello Stato ha prodotto in giudizio una nota dell’Ufficio Immigrazione della Questura di Vicenza con cui si comunica che “questo ufficio in via di autotutela provvederà a ritirare il provvedimento impugnato e procederà al rilascio del permesso di soggiorno”; ciò, “in conformità all’indirizzo giurisprudenziale fatto proprio dalla terza sezione del Tar per il Veneto, secondo il quale bisogna tener conto ai sensi dell’art. 5, comma 5, del t. u. n. 286/98 degli elementi sopraggiunti prima della decisione dell’autorità amministrativa”. La Questura di Vicenza conclude affermando che “può considerarsi cessata la materia del contendere”;

2.-considerato in diritto, in via preliminare, che la costante giurisprudenza subordina la cessazione della materia del contendere al pieno e integrale soddisfacimento dell’interesse del ricorrente, il che non risulta essere (ancora) accaduto nel caso di specie;

che il ricorso può essere dunque definito nel merito e che lo stesso è fondato e va accolto sotto il profilo della insufficienza della motivazione, puntualmente rilevata dalla difesa del Mahmood avendo riguardo al disposto di cui all’art. 5, comma 5, del t. u. n. 286 del 1998 secondo cui “il permesso di soggiorno o il suo rinnovo sono rifiutati e, se il permesso di soggiorno è stato rilasciato, esso è revocato, quando mancano o vengono a mancare i requisiti richiesti per l’ingresso e il soggiorno nel territorio dello Stato, … sempre che non siano sopraggiunti nuovi elementi che ne consentano il rilascio…”. Ciò supera e assorbe ogni altro rilievo mosso da ricorrente e resistente.

Prima di tutto va però chiarito in fatto che, anche se il decreto impugnato pone l’accento, nelle premesse, sul fatto che lo straniero avrebbe commesso il reato di cui all’art. 5, comma 8 bis, del t. u. n. 286/98, da un esame dell’atto nel suo insieme emerge che la revoca e il contestuale rigetto del rinnovo del permesso di soggiorno, rinnovato allo straniero fino all’aprile del 2008, si basano essenzialmente sul fatto che l’odierno ricorrente, per ottenere il rinnovo del titolo, aveva presentato alla Questura documentazione relativa a un rapporto di lavoro rivelatosi fittizio: di qui la ritenuta insussistenza delle condizioni per il rinnovo, tenuto conto della indisponibilità di mezzi di sostentamento sufficienti.

Su questo argomento è appena il caso di richiamare le sentenze nn. 3734, 3733, 2001, 2000, 1940, 1254 e 626 del 2008 e nn. 3367, 3177 e 2588 del 2007, con le quali la sezione ha rammentato che la produzione di documentazione relativa a un rapporto di lavoro rivelatosi fittizio, se l’interessato è in grado di dimostrare di essere in possesso, al momento dell’adozione del provvedimento sfavorevole da parte della Questura, di adeguato e lecito reddito, non basta per negare il rinnovo del permesso di soggiorno.

Il diniego di rinnovo del permesso, infatti, non può farsi derivare direttamente dalla disposizione di cui all’art. 5, comma 8 bis, del t. u. n. 286 del 1998, che è norma penale incriminatrice priva di immediata valenza in sede amministrativa; né dall’art. 4, comma 2 del medesimo t. u. , il quale dispone che “la presentazione di documentazione falsa o contraffatta o di false attestazioni a sostegno della domanda di visto comporta automaticamente, oltre alle relative responsabilità penali, l’inammissibilità della domanda”, in quanto si tratta di norma speciale (a fattispecie esclusiva) riferita soltanto al visto di ingresso, alla quale non può attribuirsi portata generale, con conseguente applicabilità anche al permesso di soggiorno.

In mancanza di una condanna penale, pertanto –ha soggiunto Tar Veneto, III, con la sent. n. 1254/08- , l’unica conseguenza derivante dalla produzione di documentazione relativa a un rapporto di lavoro rivelatosi fittizio è la sua inutilizzabilità nel periodo di riferimento, con conseguente mancata dimostrazione del possesso del requisito concernente il reddito.

In base a un orientamento giurisprudenziale in via di consolidamento, fatto proprio anche da questa sezione (cfr. Tar Veneto, III, sentenze nn. 3734, 3733, 2001/08, 2000/08, 3177/07, 2588/07 e altre; Consiglio di Stato, sez. VI, sentenze nn. 1990/08, 2988/07 e 2594/07) bisogna tenere conto , ai sensi dell’art. 5, comma 5, del t. u. n. 286/98 , degli elementi sopraggiunti prima della decisione dell’autorità amministrativa, per verificare se sussistano le condizioni per consentire di concludere che requisiti originariamente mancanti risultino successivamente posseduti.

La valutazione sui requisiti richiesti va riferita al momento in cui l’autorità amministrativa si pronuncia, occorrendo considerare le condizioni attuali dello straniero (sul punto cfr. Cass. Civ., 3 febbraio 2006, n. 2417).

Nella materia dei permessi di soggiorno, infatti, è lo stesso legislatore che dà rilievo alle sopravvenienze (cfr. art. 5, comma 5, cit.).

Nel caso in esame il ricorrente, nello sviluppare la censura sub 1.3., relativa alla violazione del citato art. 5, comma 5, ha correttamente sottolineato di avere conseguito una stabile situazione lavorativa dal febbraio del 2006, come parrebbe comprovato dalla documentazione prodotta in giudizio. Ciò costituisce nuovo elemento sopraggiunto sulla rilevanza del quale la Questura di Vicenza dovrà pronunciarsi. In particolare, il ricorrente ha prodotto in giudizio lettera di assunzione e buste paga relative al periodo 2006 -2008 ( v. allegato 4 fasc. ric. ).; lettera e buste paga non contestate dalla difesa della P. A. . Il fatto che si tratti, in parte, di documentazione anche successiva alla emanazione del decreto impugnato non ne esclude la rilevanza ai fini del decidere, dal momento che si tratta di documenti anteriori alla comunicazione del diniego impugnato allo straniero.

In definitiva, il ricorso è fondato e, assorbito ogni profilo di censura ulteriore, non esplicitamente esaminato, va accolto con riferimento agli aspetti di violazione di legge e di difetto di motivazione che attengono alla omessa considerazione della sopraggiunta condizione lavorativa dello straniero al momento della adozione (e della comunicazione) del decreto “de quo”.

Da ciò consegue l’annullamento del decreto e la dichiarazione dell’obbligo, per la Questura di Vicenza, di rideterminarsi sulla domanda di rinnovo del permesso, entro 30 giorni, conformandosi alle statuizioni contenute nella presente sentenza con riferimento al vincolo di vagliare la sufficienza dei mezzi di sussistenza dello straniero.

In particolare l’Amministrazione, nell’eseguire la sentenza, dovrà valutare, alla luce della norma su citata, l’intensificarsi della attività lavorativa del ricorrente –stando almeno ai documenti prodotti in giudizio- a partire dal febbraio del 2006.

Nonostante l’esito del ricorso, le spese e gli onorari del giudizio possono essere compensati, in considerazione delle peculiarità della vicenda e dell’esistenza di oscillazioni giurisprudenziali, all’interno della sezione, sulla materia trattata, tra decisioni adottate in sede cautelare e sentenze pronunciate nel merito.

P.Q.M.

il Tribunale amministrativo regionale per il Veneto, terza sezione, definitivamente pronunciando sul ricorso in epigrafe lo accoglie e, per l’effetto, annulla il provvedimento impugnato, salvi gli ulteriori provvedimenti dell’autorità amministrativa.

Spese compensate.

Ordina che la presente sentenza sia eseguita dall’autorità amministrativa.

Così deciso in Venezia, nella camera di consiglio del 28 gennaio 2009.

Il Presidente l’Estensore

Il Segretario

SENTENZA DEPOSITATA IN SEGRETERIA

il……………..…n.………

(Art. 55, L. 27/4/1982, n. 186)

Il Direttore della Terza Sezione

T.A.R. per il Veneto – III Sezione n.r.g. 140/09

Fonte: www.giustizia-amministrativa.it

Tribunale Amministrativo Regionale per il Veneto Sent.n. 640/09

Avviso di Deposito

del

a norma dell’art. 55

della L. 27 aprile

1982 n. 186

Il Direttore di Sezione

Il Tribunale Amministrativo Regionale per il Veneto, terza Sezione, con l’intervento dei signori magistrati:

Angelo De Zotti Presidente

Marco Buricelli Consigliere

Stefano Mielli Primo Referendario, relatore

ha pronunciato, nella forma semplificata di cui agli artt. 21 e 26 della legge 6 dicembre 1971, n. 1034, la seguente

SENTENZA

nel giudizio introdotto con il ricorso n. 508/2009, proposto da Venetian Unipersonale S.R.L.,in persona del legale rappresentante pro tempore, rappresentata e difesa dall’avv. Andrea Bernardi, con domicilio presso la Segreteria del T.A.R., ai sensi dell’art. 35 R.D. 26.6.1924 n. 1054;

CONTRO

il Comune di Torri di Quartesolo, in persona del Sindaco pro tempore, rappresentato e difeso dall’avv. Dario Meneguzzo con domicilio eletto presso lo studio dell’avv. Marco Giacomini in Venezia – Mestre, Galleria Teatro Vecchio 15;

e nei confronti di

L’Amministrazione dell’Interno, in persona del Ministro pro tempore, rappresentato e difeso dall’Avvocatura distrettuale dello Stato di Venezia, domiciliataria per legge;

per l’annullamento:

del provvedimento prot. n. 22350/26638 del 04.12.2008, notificato alla ricorrente in data 09.12.2008, con il quale il Responsabile dell’Area 3 del Comune di Torri di Quartesolo ha comunicato “che la dichiarazione di inizio attività presentata in data 13.10.2008, prot. n. 22350 dal legale rappresentante di parte ricorrente per l’attività di somministrazione alimenti e bevande da svolgersi congiuntamente all’attività prevalente di intrattenimento e svago, nei locali siti in via Brescia n. 2, ai sensi dell’art.9, comma 1, lett. c) della L.R. 21.09.2007 n. 29 non può essere favorevolmente accolta;

del parere della Questura di Vicenza – Ufficio Licenze datato 12.11.2008 e acquisito al protocollo comunale n. 25228 del 17.11.2008, il quale è citato dal Comune nel provvedimento prot. n. 22350/26638 del 04.12.2008 ed è stato reso disponibile dal Comune solo in data 29 gennaio 2009 a seguito di istanza di accesso agli atti;

del parere della Amministrazione Autonoma dei Monopoli di Stato prot. n. 18758 del 30.10.2008 e acquisito al protocollo comunale n. 24619 del 10.11.2008, il quale è citato dal Comune nel provvedimento prot. n. 22350/26638 del 4 dicembre 2008 ed è stato reso disponibile dal Comune solo in data 29.01.2009 a seguito di istanza di accesso agli atti;

la comunicazione comunale prot. n. 22350/24295 del 05.11.2008 di sospensione del procedimento per l’acquisizione dei suddetti pareri della Questura e dell’Agenzia Autonoma dei Monopoli di Stato;

Visto il ricorso, notificato il 9 febbraio 2009 e depositato presso la Segreteria il 16 febbraio 2009, con i relativi allegati;

visti gli atti di costituzione in giudizio del Comune e del Ministero dell’Interno;

visti gli atti tutti di causa;

uditi all’udienza camerale del 25 febbraio 2009 (relatore il Primo referendario Stefano Mielli), l’avv. Bernardi per la parte ricorrente, l’avv. Meneguzzo per il Comune e l’avv. dello Stato Greco per la P.A.;

considerato

che, nel corso dell’udienza camerale fissata nel giudizio in epigrafe, il Presidente del Collegio ha comunicato alle parti come, all’esito, avrebbe potuto essere emessa decisione in forma semplificata, ex artt. 21, XI comma, e 26, IV e V comma, della l. 6 dicembre 1971, n. 1034, e queste non hanno espresso rilievi o riserve;

che sussistono effettivamente i presupposti per pronunciare tale sentenza nei termini come di seguito esposti:

FATTO E DIRITTO

La Società ricorrente ha ottenuto dalla Questura di Vicenza un’autorizzazione per l’apertura di un esercizio, nel territorio del Comune di Torri Quartesolo, per la raccolta delle scommesse relative ai giochi pubblici ai sensi dell’art. 38, commi 2 e 4, del decreto legge 4 luglio 2006, n. 223, convertito con modificazioni in legge 4 agosto 2006, n. 248.

Successivamente ha presentato al Comune una denuncia di inizio attività, ai sensi dell’art. 9, comma 1, lett. c), della legge regionale 21 settembre 2007, n. 29, per l’apertura, all’interno del locale, di un esercizio di somministrazione di alimenti e bevande, avendo intenzione, nell’ambito dell’attività di raccolta delle scommesse che occupa una superficie di 290 mq, di adibire una superficie di 30 mq ad angolo bar a beneficio dei clienti della sala scommesse.

Il Comune, dopo aver in un primo tempo sospeso il decorso dei termini al fine di consultare, su propria iniziativa, la Questura e l’Amministrazione dei Monopoli di Stato, ha infine opposto un diniego.

Il diniego è motivato con riferimento alla non assimilabilità dell’attività di raccolta scommesse di giochi pubblici alle attività di intrattenimento e svago, desumendola dalla diversità delle autorizzazioni di polizia prescritte (rispettivamente, l’art. 86 del R.D. 18 giugno 1931, n. 773 per le sale scommesse, e l’art. 88 per i locali di intrattenimento e svago, nonché le sale gioco).

Il provvedimento in epigrafe, congiuntamente ai pareri espressi dalla Questura e dall’Amministrazione dei Monopoli di Stato, e al provvedimento di sospensione del decorso dei termini per la denuncia di inizio attività, sono impugnati per le seguenti censure:

I) violazione e falsa applicazione dell’art. 9, comma 1, lett. c), della legge regionale 21 settembre 2007, n. 29, dell’art. 19, della legge 7 agosto 1990, n. 241, e dell’art. 41 della Costituzione;

II) violazione degli artt. 3 e 6 della legge 7 agosto 1990, n. 241, difetto di motivazione e di istruttoria;

III) violazione degli artt. 1, comma 2, e 19 comma 3, della legge 7 agosto 1990, n. 241, nonché dell’art. 9 della legge regionale 21 settembre 2007, n. 29;

IV) violazione dell’art. 10 bis della legge 7 agosto 1990, n. 241;

V) violazione, sotto altro profilo, dell’art. 19 comma 3, della legge 7 agosto 1990, n. 241 e del principio di tipicità, e perplessità dell’azione amministrativa.

Si sono costituiti in giudizio il Comune di Torri di Quartesolo e l’Amministrazione dell’Interno concludendo per la reiezione delle censure proposte.

Il ricorso è fondato e merita accoglimento, per le assorbenti censure di difetto di motivazione e violazione dell’art. 9, comma 1, lett. c), della legge regionale 21 settembre 2007, n. 29, di cui al primo e secondo motivo.

L’autorizzazione all’apertura di esercizi di somministrazione di alimenti bevande in taluni casi è sottratta alla programmazione comunale.

Uno di questi è disciplinato dall’art. 9, comma 1, lett. c), della legge regionale 21 settembre 2007, n. 29, il quale dispone che sono soggette a dichiarazione di inizio attività, ai sensi dell’articolo 19 della legge n. 241 del 1990, le attività svolte “negli esercizi in cui la somministrazione di alimenti e bevande è effettuata congiuntamente ad attività prevalente di intrattenimento e svago, in sale da ballo, sale da gioco, locali notturni, stabilimenti balneari ed esercizi similari, sempreché la superficie utilizzata per l’intrattenimento sia pari ad almeno i tre quarti della superficie complessiva a disposizione, esclusi i magazzini, i depositi, gli uffici e i servizi; non costituisce attività di intrattenimento e svago la semplice musica di accompagnamento e compagnia”.

Si tratta di una deroga giustificata dalla circostanza che l’attività di somministrazione di alimenti e bevande in tali fattispecie non è svolta in modo indifferenziato in favore della generalità della popolazione, ma a beneficio dei fruitori dell’attività di intrattenimento e svago.

La Società ricorrente esercita in via principale l’attività di commercializzazione dei prodotti di gioco pubblici, ai sensi dell’art. 38, commi 2 e 4 del decreto legge 4 luglio 2006, n. 223, convertito con modificazioni in legge 4 agosto 2006, n. 248, che al comma 1 del medesimo articolo, qualifica come punti vendita “le agenzie di scommessa, le sale pubbliche da gioco, le sale destinate al gioco disciplinato dal regolamento di cui al decreto del Ministro delle finanze 31 gennaio 2000, n. 29, nonché gli ulteriori punti di vendita aventi come attività principale la commercializzazione dei prodotti di gioco pubblici di cui ai commi 2 e 4”.

L’art. 9, comma 1, lett. c), della legge regionale 21 settembre 2007, n. 29, contiene un’ampia definizione delle attività di intrattenimento e svago, menziona espressamente alcune tipologie in cui si esplica (sale da ballo, sale da gioco, locali notturni, stabilimenti balneari) ma attribuisce carattere esemplificativo e non tassativo all’elencazione, come è reso palese dall’espressione di chiusura utilizzata, secondo cui possono usufruire della deroga oltre alle attività espressamente menzionate, anche gli esercizi a queste similari.

Orbene, il Collegio ritiene non condivisibili le conclusioni cui è pervenuto il Comune in quanto la norma regionale, sotto il profilo testuale e sistematico, non è ostativa all’assimilabilità dell’attività svolta dalla Società ricorrente a quella di una sala giochi e detta assimilibilità non è preclusa dalla circostanza che sono previste diverse autorizzazioni di polizia, stante l’autonomia tra le autorizzazioni di pubblica sicurezza e la disciplina commerciale.

Pertanto, il diniego opposto dal Comune è illegittimo perché un’attività come quella svolta dalla Società ricorrente, che non si esaurisce nella mera accettazione delle giocate, ai fini commerciali ed avendone i requisiti di superficie, può beneficiare del regime derogatorio di cui all’art. 9, comma 1, lett. c), della legge regionale 21 settembre 2007, n. 29, per aprire al proprio interno un esercizio di somministrazione di alimenti e bevande a beneficio dei clienti dell’attività avente carattere principale.

In definitiva, il ricorso deve essere accolto con conseguente annullamento del provvedimento prot. n. 22350/26638 del 04.12.2008 del Comune di Torri di Quartesolo, mentre deve essere dichiarato inammissibile per carenza di interesse, data la loro valenza meramente endoprocedimentale, in relazione all’impugnazione dei pareri resi dall’Amministrazione dei Monopoli di Stato e della Questura, nonché del provvedimento con il quale il Comune aveva sospeso il decorso dei termini della denuncia di inizio di attività al fine di acquisire i predetti pareri.

La domanda di risarcimento, in assenza di qualsiasi allegazione, deve essere respinta.

Stante la novità delle questioni trattate le spese di giudizio possono essere compensate.

P.Q.M.

il Tribunale amministrativo regionale per il Veneto, terza Sezione, definitivamente pronunciando sul ricorso in epigrafe, lo dichiara in parte inammissibile e in parte lo accoglie e, per l’effetto, annulla il provvedimento prot. n. 22350/26638 del 04.12.2008 del Comune di Torri di Quartesolo.

Spese compensate.

Ordina che la presente sentenza sia eseguita dall’Autorità amministrativa.

Così deciso in Venezia, nella Camera di consiglio addì 25 febbraio 2009.

Il Presidente l’Estensore

Il Segretario

SENTENZA DEPOSITATA IN SEGRETERIA

il……………..…n.………

(Art. 55, L. 27/4/1982, n. 186)

Il Direttore della Terza Sezione

T.A.R. per il Veneto – III Sezione n.r.g. 508/09

Fonte: www.giustizia-amministrativa.it