Tribunale Amministrativo Regionale per il Veneto Sent.n. 972/09

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

Avviso di Deposito

del

a norma dell’art. 55

della L. 27 aprile

1982 n. 186

Il Direttore di Sezione

Il Tribunale Amministrativo Regionale per il Veneto, terza sezione, con l’intervento dei magistrati:

Angelo De Zotti Presidente

Stefano Mielli Primo Referendario

Marina Perrelli Referendario, relatore

ha pronunciato, nella forma semplificata di cui agli artt. 21 e 26 della legge 6 dicembre 1971, n. 1034, la seguente

SENTENZA

nel giudizio introdotto con il ricorso n. 582/2009 proposto da Chammari Samir, rappresentato e difeso dall’avv.to Claudia Pedrini, con domicilio presso la Segreteria del T.A.R., ai sensi dell’art. 35 R.D. 26.6.1924 n. 1054;

CONTRO

L’Amministrazione dell’Interno, in persona del Ministro pro tempore, rappresentata e difesa dall’Avvocatura distrettuale dello Stato di Venezia, domiciliataria per legge;

per l’annullamento del provvedimento di rigetto dell’istanza di rinnovo del permesso di soggiorno notificato in data 26.11.2008;

visto il ricorso, notificato il 29 gennaio 2009 e depositato presso la Segreteria il 26 febbraio 2009, con i relativi allegati;

visto l’atto di costituzione in giudizio dell’Amministrazione dell’Interno;

visti gli atti tutti di causa;

uditi all’udienza camerale dell’11 marzo 2009 (relatore il Referendario Marina Perrelli), l’avv. Pedrini per la parte ricorrente e l’avv. dello Stato Gasparini per la P.A. resistente;

considerato

che, nel corso dell’udienza camerale fissata nel giudizio in epigrafe, il Presidente del Collegio ha comunicato alle parti come, all’esito, avrebbe potuto essere emessa decisione in forma semplificata, ex artt. 21, XI comma, e 26, IV e V comma, della l. 6 dicembre 1971, n. 1034, e queste non hanno espresso rilievi o riserve;

che sussistono effettivamente i presupposti per pronunciare tale sentenza nei termini come di seguito esposti:

FATTO E DIRITTO

Con il provvedimento impugnato il Questore di Verona ha rigettato l’istanza di rinnovo del permesso di soggiorno per lavoro subordinato con scadenza l’8 marzo 2006, presentata dal ricorrente.

A fondamento del diniego di rinnovo il Questore ha posto la sentenza di condanna, emessa dalla Corte di Appello di Venezia il 13 gennaio 2003, divenuta irrevocabile il 28 febbraio 2003, a due anni e otto mesi di reclusione ed euro 4.000,00 di multa per il reato inerente la detenzione di sostanze stupefacenti di cui all’art. 73 del D.P.R. n. 309/1990.

Il ricorrente deduce l’illegittimità del diniego impugnato sotto un duplice profilo: 1) per violazione e falsa applicazione dell’art. 4, comma 3, del D. Lgs. n. 286/1998, come modificato dall’art. 4, comma 1, lettera b), della legge n. 189/2002, giacché il reato per il quale il ricorrente è stato condannato nel 2003 è stato commesso nel giugno 2002, e, cioè, in epoca anteriore all’entrata in vigore della disposizione normativa che prevede l’automatismo tra sentenza di condanna e diniego del permesso di soggiorno, con conseguente inapplicabilità della stessa alla fattispecie in esame; 2) per violazione e falsa applicazione dell’art. 12, comma 1, della direttiva 2003/109/CE e dell’art. 9 del D. Lgs. n. 286/1998, come modificato dal D.Lgs. n. 3/2007, poiché la Questura non avrebbe tenuto nel debito conto che il ricorrente ha ottenuto il primo permesso di soggiorno nel 1990, che è titolare dal 2003 di un’impresa individuale di costruzioni edili, che ha un reddito idoneo a consentirgli i mezzi di sussistenza e che, trattandosi di lungo soggiornante, non potrebbe trovare applicazione nessun automatismo, essendo sempre necessario un giudizio di attuale pericolosità sociale; 3) per eccesso di potere per insufficiente motivazione e carenza di istruttoria poiché il diniego impugnato si fonda esclusivamente sulla sentenza di condanna emessa nei confronti del ricorrente, in assenza di qualsiasi attività istruttoria e di ogni valutazione circa la sua pericolosità sociale.

L’Amministrazione dell’Interno, ritualmente costituitasi in giudizio, ha concluso per la reiezione del ricorso.

Il ricorso è infondato e va respinto per le seguenti ragioni.

Con riguardo al primo motivo di censura con il quale il ricorrente si duole dell’applicazione asseritamente retroattiva dell’automatismo tra sentenza di condanna per determinati reati e diniego di rinnovo del permesso di soggiorno, introdotto con la legge n. 189/2002, il Collegio ritiene che ciò che rileva, ai fini della valutazione dell’elemento ostativo al rinnovo del titolo di soggiorno, è il momento dell’accertamento della responsabilità penale e non il momento della commissione del fatto (cfr. Cons. Stato, 26.12.2007, n. 7974).

Ne discende, quindi, che nel caso di specie l’accertamento della responsabilità penale del ricorrente per il reato di detenzione di sostanze stupefacenti è avvenuto il 13 gennaio 2003, cioè con l’emissione della sentenza di condanna, e, quindi, in epoca successiva all’entrata in vigore della legge n. 189/2002.

Il Collegio ritiene, inoltre, opportuno evidenziare, in merito al suddetto pregiudizio penale, che il ricorrente è stato condannato con sentenza emessa a seguito di dibattimento, e non in seguito a patteggiamento: distinzione di particolare rilevanza poiché il Consiglio di Stato, in una pronuncia recentissima, ha affermato che in sede di rinnovo del permesso di soggiorno, la disciplina di cui all’art. 4, comma 1, lettera b), della legge n. 189/2002 – che equipara, agli effetti della preclusione dell’ingresso e della permanenza nello Stato italiano, la sentenza che irroga la pena a seguito di patteggiamento a quella di condanna con rito ordinario – non può trovare applicazione per il passato perché altrimenti verrebbe meno il presupposto su cui si fonda l’istituto del patteggiamento che richiede che l’imputato sia consapevole della pena (che richiede ed accetta) e delle sue conseguenze penali e non (cfr. Cons. Stato 9 marzo 2009, n. 1340).

Dalle predette argomentazioni discende, pertanto, che la condanna della Corte di Appello di Venezia, irrogata con sentenza emessa il 13 gennaio 2003 e divenuta irrevocabile il 28 febbraio 2003, in quanto relativa ad uno dei reati previsti dall’art. 4, comma 3, del D.Lgs. n. 286/1998, costituisce motivo di per sé ostativo al rinnovo del permesso di soggiorno, con la conseguenza che l’Amministrazione legittimamente si può limitare a richiamare tale condanna per negare il richiesto rinnovo, essendo stata già operata una scelta in tal senso da parte del legislatore (cfr. da ultimo Cons. Stato n. 1803/2008; n. 114/2008).

Con il secondo motivo di censura, che conserva interesse nonostante il rigetto del primo, il ricorrente lamenta la mancata applicazione delle disposizioni del T.U. sull’Immigrazione relative ai lungo soggiornanti, in considerazione della sua presenza in Italia con regolare permesso di soggiorno a far data dal 1990.

Invero, ai sensi dell’art. 9, comma 4, del D. Lgs. n. 286/1998, così come novellato dal D. Lgs. n. 3/2007, emesso in attuazione della direttiva n. 2003/109/CE, “il permesso di soggiorno CE per soggiornanti di lungo periodo non può essere rilasciato agli stranieri pericolosi per l’ordine pubblico o la sicurezza dello Stato. Nel valutare la pericolosità si tiene conto anche dell’appartenenza dello straniero ad una delle categorie indicate nell’articolo 1 della legge 27 dicembre 1956, n. 1423, come sostituito dall’articolo 2 della legge 3 agosto 1988, n. 327, o nell’articolo 1 della legge 31 maggio 1965, n. 575, come sostituito dall’articolo 13 della legge 13 settembre 1982, n. 646, ovvero di eventuali condanne anche non definitive, per i reati previsti dall’articolo 380 del codice di procedura penale, nonché, limitatamente ai delitti non colposi, dall’articolo 381 del medesimo codice. Ai fini dell’adozione di un provvedimento di diniego di rilascio del permesso di soggiorno di cui al presente comma il questore tiene conto altresì della durata del soggiorno nel territorio nazionale e dell’inserimento sociale, familiare e lavorativo dello straniero”.

Senonchè, nel caso di specie, il ricorrente ha chiesto il rinnovo del permesso di soggiorno e non il rilascio del permesso di soggiorno CE per soggiornanti di lungo periodo, con la conseguenza che trova applicazione la disciplina prevista dagli artt. 4 e 5 del D.Lgs. n. 286/1998 e non quella di cui al citato art. 9. Qualora, infatti, si accedesse alla tesi del ricorrente, per cui la durata del soggiorno nel territorio nazionale implicherebbe l’applicazione della disciplina prevista per i soggiornanti di lungo periodo a prescindere dal titolo di soggiorno richiesto, ne conseguirebbe, di fatto, tale essendo l’effetto riflesso, l’abrogazione tacita dell’automatismo previsto dall’art. 4, comma 3, del D.Lgs. n. 286/1998 per tutti gli stranieri che, presenti in Italia da più di cinque anni, chiedessero il rinnovo del permesso di soggiorno.

Conseguenza che il Collegio non ritiene di poter ammettere e fare propria .

Sulla scorta delle predette argomentazioni va disatteso anche il secondo motivo di censura e, quindi, il ricorso deve essere respinto.

In considerazione del comportamento processuale delle parti sussistono giustificati motivi per compensare integralmente le spese di lite tra le stesse parti.

P.Q.M.

il Tribunale amministrativo regionale per il Veneto, terza Sezione, definitivamente pronunciando sul ricorso in epigrafe, lo rigetta.

Spese compensate.

Ordina che la presente sentenza sia eseguita dall’Autorità amministrativa.

Così deciso in Venezia, nella Camera di consiglio addì 11 marzo 2009.

Il Presidente l’Estensore

Il Segretario

SENTENZA DEPOSITATA IN SEGRETERIA

il……………..…n.………

(Art. 55, L. 27/4/1982, n. 186)

Il Direttore della Terza Sezione

T.A.R. per il Veneto – III Sezione n.r.g. 582/09

Fonte: www.giustizia-amministrativa.it

Tribunale Amministrativo Regionale per il Veneto Sent.n. 969/09

Avviso di Deposito

del

a norma dell’art. 55

della L. 27 aprile

1982 n. 186

Il Direttore di Sezione

Il Tribunale Amministrativo Regionale per il Veneto, terza Sezione, con l’intervento dei signori magistrati:

Angelo De Zotti Presidente

Stefano Mielli Primo Referendario

Marina Perrelli Referendario, relatore

ha pronunciato, nella forma semplificata di cui agli artt. 21 e 26 della legge 6 dicembre 1971, n. 1034, la seguente

SENTENZA

nel giudizio introdotto con il ricorso n. 337/2009, proposto da KURTI ARBEN, rappresentato e difeso dagli avv.ti Enrico Cappato e Daniela Omizzolo con domicilio presso la Segreteria del T.A.R., ai sensi dell’art. 35 R.D. 26.6.1924 n. 1054;

CONTRO

l’Amministrazione dell’Interno, in persona del Ministro pro tempore, rappresentato e difeso dall’Avvocatura distrettuale dello Stato di Venezia, domiciliataria per legge;

PER L’ANNULLAMENTO

del decreto del Questore di Rovigo del 21.10.2008 Cat. A.12/Imm. n. 61/08 Ps, notificato il 6.11.2008, con il quale è stata rigettata l’istanza di rinnovo del permesso di soggiorno;

Visto il ricorso, notificato il 5 gennaio 2009 e depositato presso la Segreteria il 3 febbraio 2009, con i relativi allegati;

visto l’atto di costituzione in giudizio dell’Amministrazione dell’Interno;

visti gli atti tutti di causa;

uditi all’udienza camerale dell’11 marzo 2009 (relatore il Referendario M. Perrelli), l’avv. Cappato per la parte ricorrente e l’avv.to dello Stato Gasparini per la P.A.,

considerato che, nel corso dell’udienza camerale fissata nel giudizio in epigrafe, il Presidente del Collegio ha comunicato alle parti ricorrente come, all’esito, avrebbe potuto essere emessa decisione in forma semplificata, ex artt. 21, XI comma, e 26, IV e V comma, della l. 6 dicembre 1971, n. 1034, e queste non hanno espresso rilievi o riserve;

ritenuto che sussistono effettivamente i presupposti per pronunciare tale sentenza nei termini come di seguito esposti:

FATTO E DIRITTO

Con il provvedimento impugnato il Questore di Rovigo ha rigettato l’istanza di rinnovo del permesso di soggiorno per lavoro autonomo, presentata dal ricorrente.

A fondamento del diniego di rinnovo il Questore ha posto i molteplici procedimenti penali pendenti a carico di Kurti Arben e le condanne emesse nei di lui confronti, sebbene non relative a reati ostativi ex art. 4, comma 3, del D.Lgs. n. 286/1998, elementi tutti sintomatici della sua attuale pericolosità sociale, nonché l’assenza di documentazione atta a dimostrare, a partire dall’anno 2004 sino alla data di emissione del diniego, l’esistenza di leciti mezzi di sostentamento.

Il ricorrente deduce l’illegittimità del diniego impugnato in relazione alla motivazione della pericolosità sociale: 1) per eccesso di potere per sviamento, per errata individuazione dei presupposti di fatto e di diritto e per travisamento dei fatti poiché, dalla definizione riportata, accanto ai deferimenti all’autorità giudiziaria richiamati nel provvedimento impugnato non sarebbe possibile desumere le fattispecie di reato esattamente ascritte al Kurti Arben; 2) per eccesso di potere per contraddittorietà del comportamento dell’amministrazione e per violazione del principio del giusto affidamento giacché alla data del 29 settembre 2005 già sussistevano i deferimenti e le condanne indicate nel diniego impugnato; 3) per eccesso di potere per assenza dei presupposti e per carenza di istruttoria perché i deferimenti all’autorità giudiziaria indicati nel provvedimento impugnato sarebbero irrilevanti ai fini del diniego, atteso che non rappresentano neanche indizi di colpevolezza e che le condanne irrogate sono tutte relative a reati bagatellari. Il ricorrente ha, inoltre, lamentato l’illegittimità del diniego impugnato anche con riguardo alla dedotta insussistenza di fonti lecite di sostentamento per eccesso di potere per travisamento ed erronea valutazione dei fatti, per erroneità dei presupposti di fatto e di diritto e per violazione e falsa applicazione del combinato disposto degli artt. 1 della legge n. 1423/1956 e 4, comma 3, e 5, comma 5, del D.Lgs. n. 286/1998 poiché l’omessa presentazione della dichiarazione dei redditi a partire dal 2004 non sarebbe sintomatica dell’assenza di reddito proveniente da fonti lecite.

L’Amministrazione dell’Interno, ritualmente costituitasi in giudizio, ha concluso per la reiezione del ricorso.

Con ricorso per motivi aggiunti il ricorrente ha dedotto l’inammissibilità della relazione della Questura e dei relativi allegati poiché le motivazioni del provvedimento impugnato non possono essere integrate da successive considerazioni svolte dall’amministrazione in sede giurisdizionale, specificando che il deferimento del 14 febbraio 2007 non risulta iscritto presso il registro delle notizie di reato della competente Procura della Repubblica, il deferimento del 16 maggio 2007 per detenzione e traffico illecito di sostanze stupefacenti non si è ancora concretizzato in alcuna pronuncia di condanna da parte del giudice penale e che la condanna della Corte di Appello di Venezia del 14 febbraio 2008 per evasione concerne un reato bagatellare.

Il ricorso è infondato e va respinto per le seguenti motivazioni.

Secondo il consolidato orientamento della giurisprudenza il rilascio e il rinnovo del permesso di soggiorno richiedono la verificabile ricorrenza di precisi presupposti, deducibili dagli articoli 4, 5, comma 5, e 13, comma 2, del D.Lgs. n. 286/1998: tali presupposti coincidono con la disponibilità di mezzi leciti di sussistenza (implicanti il possesso di un alloggio), la regolare attività lavorativa e la condotta di vita corretta, tali da far escludere, in via prognostica, ogni possibile pericolosità sociale (cfr. Cons. Stato, sez. VI, 17.5.2006, n. 2852; Cons. Stato, sez. VI, 10.10.2006, n. 6018).

Tanto premesso, il Collegio ritiene che la decisione della fattispecie oggetto di ricorso possa fondarsi sul predetto consolidato orientamento dal quale non si rinvengono valide ragioni per discostarsi.

Nello specifico il Collegio osserva, innanzitutto, che se è pur vero che la maggior parte dei precedenti penali a carico del ricorrente è antecedente al 2005, non è revocabile in dubbio che nel 2007 Kurti Arben sia stato deferito all’Autorità Giudiziaria per il reato di detenzione e traffico di sostanze stupefacenti e per quello di guida in stato di alterazione psico – fisica per sostanze stupefacenti, nonché la condanna riportata nel 2008 per il reato di evasione da misure alternative alla detenzione.

Orbene, tali condanne, ancorchè riferite a reati non ostativi all’ingresso ed al soggiorno nel territorio dello Stato (comma 3 dell’art. 4 del d.lgs. n. 286/19989, unitamente ai molteplici recenti deferimenti all’autorità giudiziaria legati alla detenzione e al traffico delle sostanze stupefacenti (2003 e 2007), appaiono non solo significative del mancato inserimento sociale del ricorrente, ma altresì sintomatiche di una condotta idonea a suscitare un particolare allarme sociale.
Né siffatta valutazione di pericolosità sociale del ricorrente (resa attuale dagli ultimi deferimenti all’autorità giudiziaria presi in considerazione dall’amministrazione procedente) appare inficiata, come si sostiene nel ricorso, dalla mancata specificazione del fatto reato ascritto di volta in volta al Kurti Arben ovvero dalla declaratoria di estinzione per prescrizione di alcune delle denunce sporte nei di lui confronti. Tali censure, infatti, avrebbero avuto rilievo laddove l’amministrazione si fosse limitata a richiamare le condanne inflitte al ricorrente come cause ostative al rinnovo del titolo di soggiorno, e non invece se, come è avvenuto nel caso in esame, tutti i detti comportamenti risultano evidenziati come sintomi evidenti del mancato inserimento sociale e di una condotta di vita non conforme alle regole sociali e giuridiche vigenti nel territorio nazionale.

Né appare, infine, meritevole di accoglimento il motivo di doglianza fondato sulla mancata corretta valutazione della sussistenza dei mezzi leciti di sostentamento.
Anche sotto tale aspetto, infatti, il giudizio espresso dal Questore sembra avere tenuto in adeguata e motivata considerazione non solo l’assenza di qualsiasi documentazione comprovante l’esistenza di fonti lecite di sostentamento (quali le dichiarazioni fiscali ovvero i bilanci dell’impresa), ma anche la mancata dimostrazione dello svolgimento di qualsiasi occupazione lavorativa ( non potendosi a tal fine reputare sufficiente l’iscrizione al registro delle imprese della Camera di Commercio). Tali considerazioni risultano ulteriormente rafforzate dal fatto che avendo il Kurti Arben sostenuto di esercitare l’attività di commercio all’ingrosso di autoveicoli, tale attività sarebbe stata, mentre ciò è mancato, facilmente dimostrabile attraverso idonea documentazione.

Appare, infine, del tutto irrilevante ai fini del rinnovo del permesso di soggiorno per motivi di lavoro il fatto che il ricorrente sia coniugato con una cittadina italiana.
Sulla scorta delle predette argomentazioni il Tribunale ritiene, quindi, che nell’adottare il provvedimento di diniego impugnato, la Questura abbia tenuto in adeguata considerazione la previsione di cui al comma 5 dell’art. 5, d.lgs. n. 286/1998, a tenore del quale

Tribunale Regionale di Giustizia Amministrativa Sezione Autonoma per la Provincia di Bolzano N. 226/2009

costituito dai magistrati:

Margit FALK EBNER – Presidente

Hugo DEMATTIO – Consigliere

Marina ROSSI DORDI – Consigliere

Lorenza PANTOZZI LERJEFORS – Consigliere, relatrice

ha pronunziato la seguente

S E N T E N Z A

sul ricorso iscritto al n. 94 del registro ricorsi 2007

presentato da

AIR LIQUIDE SANITÁ SERVICE S.p.a., in persona del Direttore generale e legale rappresentante p.t., signor Christophe Tardieu, rappresentata e difesa dagli avv.ti Mario Bucello, Simona Viola e Luciano Andrea Miori, con domicilio eletto presso lo studio di quest’ultimo, in Bolzano, via Duca d’Aosta n. 51, giusta delega a margine del ricorso; – ricorrente –

c o n t r o

AZIENDA SANITARIA della PROVINCIA AUTONOMA di BOLZANO, in persona del Direttore generale e legale rappresentante p.t., dott. Andreas Fabi, rappresentata e difesa dagli avv.ti Francesco Paolucci, Rolando Roffi, Sonia Gasparri e Jutta Hueber, con elezione di domicilio presso l’Ufficio Legale dell’Azienda medesima, in Bolzano, via Orazio n. 49, giusta delega in calce all’atto di costituzione; – resistente –

e nei confronti di

SAPIO LIFE S.r.l., in persona del Direttore generale e legale rappresentante p.t., ing. Dario Moriniello, rappresentata e difesa dagli avv.ti Maria Rosaria Ambrosini e Peter Paul Brugger, con elezione di domicilio presso lo studio del secondo, in Bolzano, via Cappuccini n. 5, giusta delega a margine dell’atto di costituzione; – controinteressata –

per l’annullamento,

previa emanazione di misure cautelari,

1) della determinazione n. 298 del 26.2.2007 (sconosciuta alla ricorrente), con cui il Direttore del Comprensorio Sanitario di Bolzano dell’Azienda Sanitaria dell’Alto Adige – Azienda Sanitaria di Bolzano, ha disposto l’aggiudicazione definitiva dell’appalto per la fornitura triennale di gas medicali, gestione e manutenzione degli afferenti impianti alla Sapio Life S.r.l.;

2) del bando di gara, pubblicato nella Gazzetta Ufficiale CE n. S194/2006 dell’11 ottobre 2006;

3) del disciplinare di gara;

3) della nota del Direttore del Comprensorio Sanitario di Bolzano – Azienda Sanitaria di Bolzano, prot. n. 5652 dd. 26.2.2007, con la quale è stato comunicato alla ricorrente l’esito della gara.

Visto il ricorso notificato il 29.3.2007 e depositato in segreteria il 4.4.2007 con i relativi allegati;

Visto l’atto di costituzione in giudizio dell’Azienda Sanitaria della Provincia autonoma di Bolzano (già Azienda Sanitaria di Bolzano), depositato il 6.4.2007;

Vista l’ordinanza di questo Tribunale n. 64/2007, depositata l’11.4.2007, con la quale è stata respinta la domanda di sospensione dell’esecuzione dei provvedimenti impugnati, presentata in via incidentale dalla ricorrente;

Visto l’atto di costituzione in giudizio della Sapo Life S.r.l., depositato il 26.4.2007;

Viste le memorie prodotte;

Visti gli atti tutti della causa;

Relatrice designata: consigliere Lorenza Pantozzi Lerjefors;

Sentiti, nella pubblica udienza del 27.5.2009, l’avv. A. Cheneri, in sostituzione dell’avv. L.A. Miori, per la ricorrente, l’avv. S. Gasparri, per l’Azienda Sanitaria di Bolzano e l’avv. A. Prantl, in sostituzione dell’avv. P.P. Brugger, per la Sapio Life S.r.l.;

Ritenuto e considerato in fatto e in diritto quanto segue:

F A T T O

Con deliberazione n. 2114 del 6 ottobre 2006 e bando ritualmente pubblicato in sede comunitaria, l’allora esistente Azienda Sanitaria di Bolzano (ora Azienda Sanitaria della Provincia autonoma di Bolzano) indiceva una gara, mediante procedura aperta, per la fornitura di gas medicinali e per la gestione e la manutenzione degli afferenti impianti presso l’Ospedale di Bolzano per il periodo 1° marzo 2007 – 31 dicembre 2009 e per un importo a base di gara pari ad Euro 1.375.000,00 (doc. n. 1 dell’Azienda).

Il bando di gara e il disciplinare condizioni prevedevano che l’aggiudicazione della fornitura dovesse avvenire in base al criterio dell’offerta economicamente più vantaggiosa, ai sensi dell’art. 53, comma 1, lett. a, della Dir. 2004/18/CE (art. 83 del nuovo codice dei contratti pubblici – D. Lgs. 12 aprile 2006, n. 163 e s.m.), determinata in base ai seguenti criteri:

* qualità delle prestazioni (per la determinazione della quale erano riservati fino a 70 punti);
* prezzo più basso (per la quale componente erano riservati fino a 30 punti).

Dal punto di vista della capacità tecnica e professionale dei partecipanti, il disciplinare si limitava a richiedere, a pena di esclusione, che alla domanda di partecipazione fosse allegata una “dichiarazione di aver eseguito tre contratti di fornitura di gas medicali e manutenzione ordinaria degli impianti di gas medicali (global service) nel triennio precedente 2003/2005, di importo non inferiore a Euro 450.000,00 ciascuno” (doc. ti 2 e 4 dell’Azienda).

Nella seduta del 20 dicembre 2006 l’Autorità di Gara, verificata la regolarità della documentazione amministrativa contenuta nella busta A, ammetteva alla gara due imprese: l’odierna ricorrente Air Liquide Sanità Service S.p.a., di Milano e la Sapio Life S.r.l., di Monza. Quindi, l’Autorità di gara avvertiva le concorrenti che la Commissione tecnica avrebbe proceduto all’esame della documentazione tecnica contenuta nella busta chiusa B (doc. n. 5 dell’Azienda).

Dopo che la Commissione tecnica aveva effettuato la sua valutazione, la gara riprendeva il giorno 14 febbraio 2007. Il Presidente procedeva alla lettura dei risultati della valutazione tecnica: alla Sapio Life S.r.l. erano stati attribuiti, per la qualità, 70 punti su 70 e alla Air Liquide Service S.p.a. 68 punti su 70.

L’Autorità di gara procedeva quindi all’apertura dei plichi contenenti l’offerta economica e alla lettura dei prezzi offerti: Sapio Life S.r.l.: Euro 1.045.000,00 (punti 30 su 30) e Air Liquide Sanità Service S.p.a.: Euro 1.306.064,00 (punti 24 su 30).

Sommando il punteggio riferito alla qualità a quello riferito al prezzo, la Air Liquide Sanità Service S.p.a. otteneva un totale di 92 punti su 100 e la Sapio Life S.r.l. un totale di 100 punti su 100 (doc.ti n. 6 e 7 dell’Azienda).

Con successiva deliberazione n. 298 del 26 febbraio 2007 il Direttore del Comprensorio sanitario di Bolzano dell’Azienda Sanitaria aggiudicava l’appalto di fornitura alla Sapio Life S.r.l. (doc. n. 8 dell’Azienda).

Con nota del 26 febbraio 2007 l’esito della gara veniva formalmente comunicato alla Air Liquide Sanità S.p.a. (doc. 3 della ricorrente).

A fondamento del gravame proposto la società ricorrente ha dedotto il seguente articolato motivo:

1. “Violazione dell’art. 6 del decreto legislativo 24 aprile 2006, n. 219. Violazione dell’art. 2, comma 2, del decreto legislativo 24 aprile 2006, n. 219. Violazione dell’art. 6 della direttiva 2001/83/CE”.

Si è costituita in giudizio l’Azienda Sanitaria della Provincia autonoma di Bolzano e ha chiesto che il ricorso sia dichiarato inammissibile (per difetto di interesse, per acquiescenza al bando e per difetto di notifica) e in ogni caso rigettato, in quanto infondato.

Con ordinanza n. 64/2007, depositata l’11 aprile 2007, il Tribunale ha rigettato l’istanza cautelare presentata dalla ricorrente, rilevando che, “ad un primo sommario esame, sussistono perplessità in relazione all’interesse al ricorso della Società Air Liquide Service S.p.a., in considerazione del fatto che la stessa ricorrente non è in possesso dell’autorizzazione per l’immissione in commercio dei gas medicinali (A.I.C.), prevista dall’art. 6 del D. Lgs. 24.4.2006, n. 219…”.

Con atto depositato il 26 aprile 2007 si è costituita in giudizio anche la controinteressata Sapio Life S.r.l., la quale ha chiesto che il ricorso sia dichiarato inammissibile (per difetto di legittimazione ad causam e per difetto di interesse ad agire) e comunque rigettato, siccome infondato.

Nei termini di rito le parti hanno depositato memorie a sostegno delle rispettive difese.

All’udienza pubblica del 27 maggio 2009, il ricorso è stato trattenuto in decisione.

In data 29 maggio 2009 il dispositivo della sentenza è stato depositato presso la segreteria di questo Tribunale, ai sensi dell’art. 23bis della legge 6 dicembre 1971, n. 1034 e s.m.

D I R I T T O

Ai fini del corretto inquadramento del thema decidendum va premesso che la società Air Liquide Sanità Service S.p.a. – già fornitrice all’Ospedale di Bolzano di gas medicinali, con annessa gestione e manutenzione degli afferenti impianti, sulla base del contratto stipulato il 31 dicembre 1997, con scadenza 31 dicembre 2000 e successivamente più volte prorogato fino al 16 aprile 2007 – ha partecipato alla procedura, indetta dall’Azienda Sanitaria di Bolzano con deliberazione del 6 ottobre 2006, per il nuovo contratto di fornitura.

La società ricorrente, con un unico articolato motivo, lamenta la mancata previsione, nel bando di gara, del requisito relativo al possesso dell’autorizzazione per l’immissione in commercio (A.I.C.), divenuto obbligatorio, per il commercio dei gas medicinali, a seguito dell’entrata in vigore dell’art. 6 del D. Lgs. 24 aprile 2006, n. 219, il quale non prevedeva disposizioni transitorie.

La difesa dell’Azienda giustifica la mancata previsione del requisito del possesso dell’A.I.C., con la circostanza che nessun produttore italiano di gas medicinali (quindi neppure l’odierna ricorrente) era in possesso di tale autorizzazione nel momento in cui è stata avviata la procedura di gara, né avrebbe potuto esserlo, considerato che l’Autorità competente non aveva provveduto a rendere effettiva la possibilità di conseguimento di tale autorizzazione.

Per completezza va detto che il legislatore, nelle more del presente giudizio, è intervenuto per rendere graduale l’applicazione dell’obbligo di autorizzazione per l’immissione in commercio dei gas medicinali (cfr. l’art. 2, comma 2, del D. Lgs. 29 dicembre 2007, n. 274, che ha aggiunto al citato art. 6 del D. Lgs. n. 219 del 2006 un ulteriore comma 4bis; cfr. anche il D.M. 29 febbraio 2008, entrato in vigore il 19 marzo 2008). In base a tali disposizioni è ora consentita, per un periodo transitorio e in deroga alla disciplina sopra citata, la commercializzazione dei gas medicinali privi della citata autorizzazione (in particolare, per i medicinali composti da solo ossigeno, fino al 31 dicembre 2009).

Ciò chiarito, prima di vagliare il merito del ricorso, vanno esaminate le eccezioni di inammissibilità del ricorso, sollevate dalle difese dell’Azienda resistente e della società controinteressata.

Sotto un primo profilo, viene eccepito il difetto di interesse a ricorrere della società Air Liquide Sanità Service S.p.a. In particolare, viene contestato che alla ricorrente possa derivare alcun utile risultato dall’annullamento della procedura di gara, non possedendo essa stessa il requisito che, a suo avviso, sarebbe stato necessario per aspirare all’aggiudicazione. Non sussisterebbe, in capo alla ricorrente, un interesse ad agire riconducibile alla mera verifica della legittimità delle operazioni di gara; né sarebbe meritevole di tutela l’interesse alla prosecuzione, in proroga, del rapporto contrattuale di fornitura preesistente, con la pretesa di riservarsi un’ulteriore chance di aggiudicazione in un futuro confronto concorrenziale, da attuarsi in tempi non determinati e attualmente non determinabili.

La censura è fondata.

Va rilevato, anzitutto, che in materia di valutazione dell’interesse a ricorrere in relazione a controversie aventi ad oggetto selezioni pubbliche per la scelta del contraente dell’Amministrazione, in via di principio, non si può prescindere dalla verifica della c.d. prova di resistenza, con riferimento alla posizione della parte ricorrente rispetto alla procedura selettiva le cui operazioni sono prospettate come illegittime. Ne consegue che va dichiarato inammissibile, per carenza di interesse, l’impugnazione dell’aggiudicazione di una gara pubblica quando – in esito ad una verifica a priori – non emerga che l’impresa ricorrente risulterebbe aggiudicataria in caso di accoglimento del ricorso (cfr., ex multis, Consiglio di Stato, Sez. IV, 24 aprile 2009, n. 2638 e Sez. VI, 10 settembre 2008, n. 4326).

Detto principio trova un’eccezione nella sola ipotesi della sussistenza di un interesse c.d. strumentale alla ripetizione dell’intera procedura concorsuale che si assuma inficiata da un vizio che la renda illegittima: “L’interesse ad agire in tema di impugnazione di atti di gara deve riconoscersi non solo quando dall’annullamento derivi un vantaggio diretto e immediato, ma anche quando…il vantaggio sia successivo ed eventuale, ossia nel caso in cui il chiesto annullamento sia meramente strumentale ad un’ulteriore e rinnovatoria attività della stazione appaltante, in esito alla quale non possa escludersi che il ricorrente resti aggiudicatario” (cfr. Consiglio di Stato, Sez. V, 9 giugno 2008, n. 2878; id. TAR Lombardia, Sez. III, 27 dicembre 2006, n. 3106 e TRGA Bolzano 17 febbraio 2004, n. 69).

Orbene, è pacifico che l’odierna controinteressata non era e non è in possesso dell’autorizzazione all’immissione in commercio dei gas medicinali prevista dall’art. 6 del D. Lgs. n. 219 del 2006; di conseguenza, non può far valere alcun interesse a ricorrere, neppure strumentale.

Invero, in caso di eventuale ripetizione della procedura di gara, con previsione del requisito contestato, l’impresa ricorrente non potrebbe mai risultare aggiudicataria.

Un siffatto interesse, semmai, avrebbe potuto essere fatto valere da imprese titolari di un’autorizzazione comunitaria all’immissione in commercio dei gas medicinali, che avessero partecipato alla gara.

Va aggiunto che l’interesse strumentale alla rinnovazione della gara sussiste solo quando non vi siano motivi per escludere che la società ricorrente possa risultare aggiudicataria della nuova gara, mentre non sussiste quando non vi è neppure la certezza che, a seguito dell’accoglimento del ricorso, la gara sarà nuovamente esperita (cfr. Consiglio di Stato, Sez, V, 14 gennaio 2009, n. 102). E nel caso di specie è la stessa Air Liquide Sanità Service S.p.a. a porre in dubbio la possibilità di indire una nuova gara nel rispetto della normativa vigente.

In ogni caso, la ricorrente non fornisce la dimostrazione dell’esistenza di concrete aspettative acché sia rimessa in gioco, con l’intera procedura, anche la possibilità di concorrere al conferimento del bene della vita cui essa aspira.

La ricorrente afferma di avere un interesse indiretto alla pronuncia di annullamento, derivante dalla sua qualità di “contraente uscente”, che le consentirebbe di aspirare alla proroga del contratto di fornitura preesistente.

Osserva a tal riguardo il Collegio che la proroga di un contratto non è mai un obbligo per l’Amministrazione, ma una mera facoltà, oltretutto legittimamente esercitabile, previo svolgimento di un apprezzamento altamente discrezionale, esclusivamente per il tempo necessario alla stipulazione del nuovo contratto a seguito dell’espletamento di nuova gara ad evidenza pubblica (cfr. Consiglio di Stato, Sez. V, 8 luglio 2008, n. 3391 e Sez. IV, 31 ottobre 2006, n. 6461).

Va aggiunto poi che, essendo la ricorrente priva della prescritta autorizzazione all’immissione al commercio dei gas medicinali, l’Azienda non avrebbe comunque potuto prorogare il contratto preesistente.

Ad abundantiam, va ricordato che, in base allo ius superveniens, è ora consentito, in via transitoria (nel caso di specie fino al 31 dicembre 2009), il commercio dei gas medicinali anche in assenza dell’autorizzazione, a condizione che sia stata presentata la domanda di autorizzazione all’Autorità competente, “considerata la espressa necessità di assicurare, nell’interesse della salute pubblica, l’assenza di soluzioni di continuità nella fornitura di gas medicinali alle strutture pubbliche e private” (cfr. il preambolo del D.M. 29 febbraio 2008 e gli artt. 2 e 3 dello stesso decreto).

Ne consegue che, anche volendo considerarsi esistente, al momento della presentazione del ricorso, un interesse strumentale della società ricorrente all’annullamento degli atti di gara, la norma sopravvenuta priverebbe comunque la ricorrente dell’utilità ritraibile dall’eventuale accoglimento del ricorso, determinandone l’improcedibilità.

Invero, l’Azienda non avrebbe alcuna necessità di prorogare il rapporto contrattuale preesistente con la società ricorrente, potendo legittimamente indire una nuova gara, senza, però, essere tenuta a richiedere il requisito del possesso dell’autorizzazione al commercio dei gas medicinali, di cui la ricorrente lamenta la mancata previsione nel bando impugnato.

Per tutte le considerazioni espresse, assorbita ogni altra eccezione preliminare, il ricorso va dichiarato inammissibile, per difetto di interesse a ricorrere.

Sussistono giusti motivi per disporre la compensazione delle spese di giudizio, in considerazione della particolarità della fattispecie esaminata.

Il contributo unificato resta a carico della parte ricorrente.

P.Q.M.

Il Tribunale Regionale di Giustizia Amministrativa – Sezione Autonoma di Bolzano – disattesa ogni contraria istanza ed eccezione, definitivamente pronunciando, dichiara il ricorso inammissibile.

Spese compensate.

Il contributo unificato resta a carico della parte ricorrente.

Ordina che la presente sentenza venga eseguita dall’Autorità amministrativa.

Così deciso in Bolzano, nella camera di consiglio del 27 maggio 2009.

LA PRESIDENTE L’ESTENSORE

Margit FALK EBNER Lorenza PANTOZZI LERJEFORS

/awr

N. R.G. 94/2007

Fonte: www.giustizia-amministrativa.it

Tribunale Regionale di Giustizia Amministrativa Sezione Autonoma per la Provincia di Bolzano N. 177/2009

costituito dai magistrati:

Anton WIDMAIR – Presidente f.f.

Marina ROSSI DORDI – Consigliere

Hans ZELGER – Consigliere, relatore

Terenzio DEL GAUDIO – Consigliere

ha pronunziato la seguente

S E N T E N Z A

sul ricorso iscritto al n. 114 del registro ricorsi 2008

presentato da

AGRI S.p.a., in persona del legale rappresentante p.t. dott. Giovanni Podini, rappresentata e difesa dagli avv.ti Dieter Schramm e Nausicaa Mall con domicilio eletto presso lo studio legale Volgger & Grüner in Bolzano, Via Carducci n. 8, giusta mandato speciale a margine del ricorso, – ricorrente –

c o n t r o

COMUNE di BOLZANO, in persona del Sindaco pro tempore, che sta in giudizio in forza della deliberazione della Giunta Municipale n. 286 dd. 29.4.2008 rappresentato e difeso dagli avv.ti Marco Cappello, Bianca Maria Giudiceandrea e Alessandra Merini, con elezione di domicilio presso l’Ufficio Legale del Comune, Vicolo Gumer 7, giusta delega a margine dell’atto di costituzione, – resistente –

e nei confronti di

UNIONE COMMERCIO TURISMO E SERVIZI della PROVINCIA AUTONOMA DI BOLZANO, in persona del suo Presidente pro tempore, sig. Walter Amorth, rappresentata e difesa dall’avv.to Siegfried Brugger, con domicilio eletto presso lo studio di dello stesso, in Bolzano, Via Cappuccini n. 5, giusta delega in calce all’atto di intervento; – interveniente ad opponendum –

per l’annullamento

del provvedimento del Sindaco di Bolzano prot. n. 6927 dd. 25.1.2008, notificato in data 28.1.2008, avente ad oggetto: “Comunicazioni/domande presentate dalla Agri Spa per rilascio/inizio attività per punti di vendita in Via Galilei n. 20 di Bolzano – rigetto delle istanze dovute a cause varie”;

Visto il ricorso notificato il 31.3.2008 e depositato in segreteria il 14.4.2008 con i relativi allegati;

Visto l’atto di costituzione in giudizio del Comune di Bolzano depositato il 3.9.2008;

Visto l’atto di intervento ad opponendum dell’Unione Commercio Turismo e Servizi della Provincia autonoma di Bolzano notificato il 25.9.2008 e depositato il 26.9.2008;

Vista l’ordinanza collegiale istruttoria n. 44/08, depositata in data 15.10.2008, con cui è stata ordinata l’esibizione di documentazione da parte dell’Amministrazione comunale e disposto il rinvio all’udienza di merito del 14.1.2009;

Vista l’ordinanza collegiale n. 7/09, depositata in data 20.1.2009, con cui sono state ordinate ulteriori incombenze istruttorie e disposto il rinvio dell’udienza di merito all’l aprile 2009;

Vista le memorie prodotte;

Visti gli atti tutti della causa;

Designato relatore per la pubblica udienza dell’1.4.2009 il consigliere Hans Zelger ed ivi sentiti l’avv. N. Mall e D. Schramm per la società ricorrente, l’avv. M. Cappello per il Comune di Bolzano e l’avv. C. Perathoner, in sostituzione dell’avv. S. Brugger, per l’Unione Commercio Turismo e Servizi della Provincia autonoma di Bolzano;

Ritenuto e considerato in fatto e in diritto quanto segue:

F A T T O

La società ricorrente presentava al Comune di Bolzano le seguenti comunicazioni e domande di autorizzazione, relative all’apertura di nuovi esercizi di commercio al dettaglio, in via Galilei, n. 20:

1. n. 13827, comunicazione del 22.03.2007 sub prot. n. 23128, settore “alimentare”, mq 150;
2. n. 13828, comunicazione del 22.03.2007 sub prot. n. 23132, settore “non alimentare”, mq 150;
3. n. 13829, comunicazione del 22.03.2007 sub prot.n. 23133, settore “non alimentare”, mq 150;
4. n. 13830, comunicazione del 27.03.2007 sub prot. n. 23917, settore “non alimentare”, mq 150;
5. n. 13849, domanda di autorizzazione del 04.05.2007 sub prot. n. 33214, settore “non alimentare”, mq 485;
6. n. 13850, domanda di autorizzazione del 04.05.2007 sub prot. n. 33220, settore “non alimentare”, mq 490;
7. n. 13851, domanda di autorizzazione del 04.05.2007 sub prot. n. 33219, settore “non alimentare”, mq 480;
8. n. 13852, domanda di autorizzazione del 04.05.2007 sub prot. n. 33224, settore “non alimentare”, mq 470 (doc.ti da 3 a 10 del Comune).

Con nota del 7 novembre 2007 l’Amministrazione comunale comunicava alla società ricorrente l’intenzione di rigettare, per irricevibilità e insanabile contrasto con la vigente normativa in materia, le otto sopraccitate domande / comunicazioni (doc. 13 del Comune).

La società Agri Spa presentava al Comune di Bolzano le proprie controdeduzioni con nota del 15 novembre 2007 (doc. n. 14 del Comune).

Con l’impugnato provvedimento sindacale del 25 gennaio 2008 veniva disposto il rigetto delle otto istanze sopraccitate (doc. 2 del Comune).

A fondamento del gravame proposto la società ricorrente ha dedotto i seguenti motivi:

1. “Violazione e falsa applicazione degli artt. 4, comma 2 e 5, comma 3, L.P. n. 7/2000 (ordinamento del commercio). Piena validità ed effettività delle comunicazioni e silenzio – assenso formato in relazione alle autorizzazioni per decorso dei termini. Insufficiente ed illogica motivazione sul punto”;
2. “Violazione ed errata applicazione degli artt. 7 e 8, comma 1, lettera c), D.P.G.P. 39/2000; anche in relazione al mancato invito dell’amministrazione a fornire gli elementi / documenti necessari di cui al comma 2 degli stessi articoli”;
3. “Violazione ed errata applicazione dell’art. 8, comma 2, D.P.G.P. 39/2000; anche in relazione al mancato invito dell’amministrazione a produrre i documenti necessari di cui al comma 2 dello stesso articolo”;
4. “Eccesso di potere per inosservanza / violazione di giudicato, rispettivamente per travisamento / errata interpretazione di sentenza. Conseguente errata classificazione della zona de qua come “zona produttiva”, invece che come c.d. “zona mista” di Bolzano”;
5. “Violazione ed erronea applicazione dell’(abrogato) art. 48/quinquies e/o dell’(attuale) art. 44/ter L.P. n. 13/1997 (legge urbanistica provinciale). Eccesso di potere per insufficiente, rispettivamente contraddittoria motivazione sul punto”;
6. “Eccesso di potere per annullamento in autotutela in assenza di interesse pubblico concreto. Travisamento dei fatti per comparazione con casi del tutto diversi. Insufficiente motivazione sul punto”.

Si è formalmente costituito in giudizio il Comune di Bolzano, con atto depositato il 3 settembre 2008, riservandosi di controdedurre nel prosieguo e chiedendo il rigetto del ricorso, siccome infondato.

Con atto notificato alle parti il 25 settembre 2008 è intervenuta in giudizio, ad opponendum, l’Unione Commercio Turismo e Servizi della Provincia autonoma di Bolzano, chiedendo il rigetto del ricorso, in quanto infondato.

Con memoria depositata il 27 settembre 2008 il Comune di Bolzano ha esposto le proprie controdeduzioni, insistendo per il rigetto del ricorso.

All’udienza pubblica dell’8 ottobre 2008 il procuratore della ricorrente ha rinunciato ai termini di difesa in relazione all’intervento ad opponendum dell’Unione Commercio Turismo e Servizi della Provincia autonoma di Bolzano, contestandone, però, la legittimazione ad intervenire e chiedendone l’estromissione dal giudizio, in quanto nessuno degli associati dell’Unione è parte in causa. Il procuratore dell’Unione Commercio Turismo e Servizi si è opposto all’eccezione in quanto, essendo un ente esponenziale della categoria mercantile in provincia di Bolzano, ha un preciso interesse ad un’inequivocabile interpretazione delle norme applicate nella vicenda controversa.

Sentite le parti, il ricorso veniva poi trattenuto in decisione.

Con ordinanza collegiale n. 44/08, depositata il 15 ottobre 2008, il Tribunale ha disposto l’acquisizione in giudizio dei seguenti documenti:

* “planimetrie relative a ciascun piano dell’esistente edificio ex Famila (poi Eurospar + Sorelle Ramonda), in via Galilei, le quali pongano in rilievo i limiti delle singole superfici in relazione alle quali sono state rilasciate autorizzazioni commerciali e indichino, per ciascuna delle dette superfici, gli estremi della rispettiva autorizzazione commerciale o della comunicazione fatta ai sensi dell’art. 4 della legge provinciale 17.2.2000, n. 7; nelle planimetrie richieste dovranno risultare anche le superfici libere;
* copia delle relazioni tecniche relative alla concessione edilizia n. 41/2005 e alle successive varianti.

Inoltre, ha chiesto di conoscere “i numeri delle particelle edificali e i numeri civici dell’edificio ex Famila, nonché dei demoliti edifici ex Maxi C+C e Officine Salzburger”.

In data 21 novembre 2008 l’Amministrazione ottemperava alla suddetta richiesta, esibendo copia delle planimetrie relative a ciascun piano dell’esistente edificio denominato “ex Famila” e precisando che “da una verifica eseguita presso l’Ufficio Attività economiche e concessioni, non risulta tuttavia che alle singole licenze commerciali sia mai stata allegata la planimetria di riferimento di cui alla specifica concessione edilizia, e per tale ragione risulta concretamente impossibile indicare, per ciascuna delle superfici, gli estremi delle rispettive autorizzazioni commerciali o delle comunicazioni fatte ai sensi dell’art. 4 della L.P. 7/00”. Venivano inoltre prodotte in giudizio le relazioni tecniche relative alla concessione edilizia n. 41/2005 e indicati i numeri civici e le particelle edificiali, come richiesto.

Nei termini di rito le difese della ricorrente e dell’Amministrazione producevano memorie a sostegno delle rispettive difese.

All’udienza pubblica del 14 gennaio 2009, sentite le parti, il ricorso veniva nuovamente trattenuto in decisione.

Con ordinanza collegiale n. 7/09, depositata il 20.1.2009, ritenuto necessario, ai fini della decisione, di completare l’istruttoria, il Tribunale ha chiesto all’Amministrazione di:

* “indicare la superficie complessiva dell’edificio denominato ex Famila (p.ed. 2926, via Galilei 14, 16, 18, 20, 20A e 20B), con l’indicazione, all’interno di essa, della superficie destinata al commercio al dettaglio;
* elencare le autorizzazioni amministrative per il commercio al dettaglio rilasciate in via Galilei 14, 16, 18, 20, 20A e 20B, indicando per ciascuna di esse a quale numero civico corrisponda e la superficie di vendita autorizzata (nel caso in cui ciò non risulti agli atti del competente ufficio, si chiede di verificare, attraverso apposite misurazioni, la superficie effettivamente destinata al commercio al dettaglio);
* indicare quali delle suddette autorizzazioni sono oggi attive;
* ricostruire il quadro storico delle diverse destinazioni urbanistiche dell’area interessata, con l’indicazione dei relativi provvedimenti adottati nel tempo”.

In data 19 febbraio 2009 l’Amministrazione ottemperava alla suddetta richiesta, rispondendo ai quesiti posti ed esibendo documentazione a supporto dei chiarimenti forniti.

All’udienza pubblica dell’1 aprile 2009, sentite le parti, il ricorso veniva nuovamente trattenuto in decisione.

D I R I T T O

1) In primis deve essere esaminata l’eccezione sollevata dalla difesa della ricorrente in relazione alla legittimazione dell’Unione Commercio Turismo e Servizi ad intervenire ad opponendum nella presente vertenza, chiedendone l’estromissione dal giudizio, in quanto nessuno degli associati dell’Unione sarebbe parte in causa.

1a) L’eccezione non è fondata

1b) Le associazioni di settore sono legittimate a difendere in sede giurisdizionale gli interessi di categoria dei soggetti di cui hanno la rappresentanza istituzionale o di fatto, non solo quando si tratti della violazione di norme poste a tutela della categoria stessa, ma anche ogniqualvolta si tratti di perseguire comunque il conseguimento di vantaggi, sia pure di carattere puramente strumentale, giuridicamente riferibili alla sfera della categoria, con l’unico limite derivante dal divieto di occuparsi di questioni concernenti i singoli iscritti ovvero capaci di dividere la categoria in posizione disomogenee. Tali principi sono a loro volta la proiezione dell’altro principio secondo cui l’interesse collettivo deve identificarsi con l’interesse di tutti gli appartenenti alla categoria unitariamente considerata e non con interessi di singoli associati o di gruppi di associati atteso che un’associazione di categoria è legittimata a proporre ricorso a tutela della totalità dei suoi iscritti, non anche per la salvaguardia di posizioni proprie di una parte sola degli stessi. Nella presente vertenza l’Unione ha un inequivocabile interesse all’interpretazione e all’applicazione delle norme che riguardano l’esercizio del commercio al dettaglio nelle zone destinate all’attività produttiva e, anche, nelle zone cosiddette miste, al fine di garantire il principio di parità di trattamento di tutta la categoria in situazioni simili ed al fine prevenire eventuali rischi che potrebbero falsare la concorrenza nel commercio al dettaglio in Provincia di Bolzano (vedasi anche Consiglio Stato, sez. V, 07 settembre 2007, n. 4692).

2) Nel merito il ricorso è infondato.

3) Per una migliore economia processuale questo Collegio ritiene di non dover seguire l’ordine dei motivi proposti nel ricorso. Infatti, il giudice amministrativo non è vincolato all’ordine impresso dalla parte ricorrente alla trattazione dei motivi di invalidità, in quanto, pur spettando al ricorrente determinare l’ambito e i limiti della cognizione sulla legittimità del provvedimento amministrativo definendo, attraverso i motivi e le loro argomentazioni, le ragioni per le quali ne chiede l’ annullamento, tuttavia è il giudice, sulla base della valutazione delle priorità logiche, a dover individuare l’ordine secondo cui le censure vanno esaminate, tenendo conto della loro consistenza oggettiva e della relazione fra le stesse esistente, indipendentemente dalla richiesta delle parti.

4) Con i motivi dedotti in giudizio, che per connessione logico-giuridica possono essere esaminati congiuntamente, la ricorrente deduce che l’ampia motivazione del provvedimento impugnato, avente per oggetto il rigetto per irricevibilitá ed insanabile contrasto con la vigente normativa in materia delle quattro sopraccitate istanze per il rilascio di altrettante autorizzazioni e delle quattro comunicazioni di cui all’art. 4, comma 2, della legge provinciale n. 7 del 17 febbraio 2000 per l’apertura di 4 nuovi esercizi per il commercio al dettaglio (doc. 2 del Comune) in Via G. Galilei n. 20, da un punto di vista logico-sistematico, potrebbe essere suddivisa in:

* motivi di rigetto tratti dalla disciplina del commercio;
* motivi di rigetto desunti dalla disciplina urbanistica;
* motivi di interesse pubblico e di parità di trattamento.

a) Per quanto riguarda i primi, classificati dallo stesso Comune come preminenti, il Comune, premettendo che non si sarebbe potuto formare alcun silenzio-assenso in relazione alle comunicazioni / domande in esame in quanto l’immobile è ancora in fase di costruzione e quindi l’attuale esercizio del commercio comunque non sarebbe possibile, lamenterebbe il contrasto delle comunicazioni / domande con gli artt. 7 e 8, comma 1, lettera c), D.P.G.P. n. 39/2000 (regolamento di esecuzione della legge provinciale del commercio n. 7/2000) per mancata produzione della ivi prevista indicazione “urbanistica”, nonché con l’art. 8, comma 2, stesso D.P.G.P., per mancata produzione (limitatamente alle richieste di autorizzazione) di planimetria approvata dei locali in questione riportante la destinazione d’uso di commercio al dettaglio.

b) In ordine alla disciplina urbanistica, il Comune di Bolzano – sul presupposto della classificazione della zona in cui si troverebbe l’immobile di Via Galilei 20 come “zona produttiva” – in sostanza eccepirebbe che le uniche attività commerciali al minuto ivi consentite sarebbero quelle previste dalla restrittiva normativa urbanistica in materia (vecchio art. 48/quinquies, ora art. 44/ter, comma 3, legge urbanistica provinciale n. 13/1997), nonché le preesistenze e loro ampliamenti (ciò asseritamente in base alla giurisprudenza creatasi sul punto, in particolare sentenze TRGA di Bolzano n. 40/03 e CdS n. 5205/04), con esclusione quindi del commercio al dettaglio di prodotti “alimentari” e “non alimentari”.

c) Con il terzo gruppo di motivi il Comune asserirebbe che con il provvedimento impugnato esso avrebbe inteso salvaguardare l’interesse pubblico e la parità di trattamento, segnatamente in riferimento ai noti casi “Trony” e “Electronia”.

5) Il nocciolo della questione dedotta in giudizio riguarda il problema se la ricorrente può vantare il diritto al rilascio di autorizzazioni per l’apertura nello stabile di cui al civico n. 20 di Via G. Galilei di nuovi esercizi di commercio al dettaglio, rispettivamente se, il rigetto, per irricevibilitá ed insanabile contrasto con la vigente normativa in materia delle autorizzazioni e delle comunicazioni per l’apertura di nuovi esercizi di cui all’art. 4, comma 2, della l.p. n. 7/2000 (nuovo ordinamento del Commercio), in epigrafe meglio specificati, disposto dal Comune di Bolzano in sede di autotutela ed impugnato con la presente vertenza, sia legittimo o meno.

6) Con una prima censura la ricorrente deduce la violazione e falsa applicazione dell’art. 4, comma 2, e dell’art. 5, comma 3, L.P. n. 7/2000 (ordinamento del commercio), in quanto, al contrario di quanto dichiarato dal Comune con il provvedimento impugnato, sussisterebbe la piena validità ed effettività delle comunicazioni ed il silenzio-assenso formatosi in relazione alle comunicazioni / domande in esame per decorso dei termini, non avendo il Comune decretato il rigetto delle richieste in parola entro i termini sopra riportati (30 gg. per le comunicazioni e 60 giorni per le autorizzazioni all’apertura dei nuovi esercizi).

Il Comune però – in assenza di una qualsiasi norma che sospenda i suddetti termini fino al momento di ultimata costruzione dell’edificio in cui si intende esercitare il commercio – avrebbe deliberato in un momento in cui tutti i termini (per il formarsi dell’effettività delle comunicazioni e del silenzio-assenso per le autorizzazioni per medie strutture) sarebbero ampiamente scaduti con la conseguenza che le comunicazioni, le quali non conterrebbero errori o lacune e non violerebbero la normativa vigente in materia, dovrebbero ritenersi a tutti gli effetti esecutive e le autorizzazioni per le medie strutture richieste accordate per silenzio-assenso.

La motivazione del Comune sul punto, cioè, che non si sarebbe potuto formare nessun silenzio-assenso in assenza di edificio pronto all’uso sarebbe contraria alla lettera della legge e del tutto illogica, nonché insufficiente in quanto si limiterebbe a statuire quanto sopra senza indicazione di una norma o prassi di riferimento.

6a) Tale censura non ha pregio; inoltre non incide per la decisione della presente vertenza.

6b) Infatti, l’art. 4, comma 2, della legge provinciale n. 7/2000 (nuovo ordinamento del commercio) dispone che l’apertura, il trasferimento di sede e l’ampliamento della superficie di vendita fino al limite di cui al comma 1 (cioè 150 m²) di una piccola struttura di vendita sono soggetti a previa comunicazione al comune competente per territorio e possono essere effettuati decorsi 30 giorni dal ricevimento della comunicazione, a meno che la richiesta contenga errori o lacune o violi la normativa vigente in materia.

L’art. 5 della stessa legge provinciale a sua volta dispone che: “Per medie strutture di vendita si intendono gli esercizi aventi superficie superiore ai limiti di cui all’articolo 4, comma 1, e fino a 500 metri quadrati.

L’apertura, il trasferimento di sede e l’ampliamento della superficie di vendita fino al limite massimo di cui al comma 1 di una media struttura di vendita sono soggetti ad autorizzazione rilasciata dal sindaco del comune competente per territorio, nel rispetto degli indirizzi e criteri programmatori provinciali, degli strumenti di pianificazione comunale adottati sulla base degli indirizzi e dei criteri provinciali, nonché degli strumenti urbanistici comunali.

Le domande si intendono accolte se entro 60 giorni dalla data di ricevimento non viene adottato il provvedimento di diniego. Tale termine è sospeso per la durata di 20 giorni, nel caso di richiesta di ulteriore documentazione da parte del comune, il quale ha comunque dieci giorni di tempo dal ricevimento della documentazione per adottare il provvedimento finale”.

6c) Il Collegio concorda con la ricorrente che in base alla predetta normativa si forma il silenzio assenso qualora il Comune non intervenga entro il termine di 30 giorni per le comunicazioni di cui al sopraccitato art. 4, comma 2, rispettivamente entro il termine di 60 giorni dalla presentazione della domanda di autorizzazione; quest’ultimo termine può essere sospeso per la durata di 20 giorni, nel caso di richiesta di ulteriore documentazione da parte del comune, il quale ha in seguito dieci giorni di tempo dal ricevimento della documentazione per adottare il provvedimento finale.

Ora, nel caso di specie le comunicazioni di cui al citato art. 4, comma 2, rispettivamente le domande di autorizzazione per l’apertura di strutture medie sono state presentate al Comune di Bolzano in data 22 marzo 2007 rispettivamente in data 4 maggio 2007.

Non risulta dagli atti depositati a corredo del ricorso rispettivamente a corredo delle costituzioni delle parti resistenti che tali termini siano stati sospesi o interrotti a seguito di provvedimenti ovvero di richieste di ulteriore documentazione.

Infatti, la nota della Direttrice dell’Ufficio attività economiche e concessioni dd. 10.5.2007 non poteva produrre tale effetto, in quanto contiene unicamente la comunicazione di rito che “questo ufficio sta valutando gli aspetti urbanistici in considerazione che l’immobile è in corso di ristrutturazione” (doc. n. 12 Comune); il termine può essere sospeso unicamente per richiesta di ulteriore documentazione da parte del comune.

Il Comune di Bolzano, quindi, è rimasto inerte fino all’avviso di avvio del procedimento dd. 7.11.2007 per il rigetto, oggetto della presente vertenza, ragione per cui a tale data si sarebbero già formati i silenzi assensi sia in relazione alle comunicazioni di cui all’art. 4, comma 2, sia in relazione alle richieste autorizzazioni per l’apertura di nuovi esercizi.

6d) È, però, da sottolineare che a monte delle norme appena citate, in base alle quali si forma il silenzio assenso, rilevano anche i disposti che sia l’autorizzazione al commercio al dettaglio sia la comunicazione di cui all’art. 4, comma 2, non devono contenere né errori o lacune e non devono violare la normativa vigente in materia. Nel caso di specie le comunicazioni e le richieste sono state rigettate con il provvedimento impugnato perché viziati da illegittimità, non solo sotto profili formali ma anche sostanziali, come rilevato in prosieguo.

6e) È ben vero che la formazione del silenzio assenso comporta, in base al principio del ne bis in idem, la consumazione del potere di amministrazione attiva in ordine alla decisione sull’istanza. Però è altrettanto vero, come è stato più volte affermato in giurisprudenza (Consiglio di stato, sez. VI, 21 aprile 1999, n. 494, Consiglio Stato , sez. V, 17 marzo 2003, n. 1381, TAR Lombardia 7 giugno 2006 n. 1321 nonché 17 maggio 2006 n. 1216, TAR Lazio 20 gennaio 2006 n. 460), che la maturazione del silenzio non comporta la consumazione tout court del potere amministrativo di regolare in un lasso di tempo successivo la fattispecie tacitamente assentita. Al pari dei provvedimenti espressi, anche la determinazione tacita che maturi con il congegno della finzione di cui all’art. 20 della legge n. 241/1990 risp. di cui all’art. 22 della legge provinciale n. 17 del 22.10.1993 è, infatti, suscettibile di incisione, mercé l’esercizio degli ordinari poteri di autotutela, per effetto di una rinnovata valutazione dell’assetto di interessi e dei profili normativi.

Significativa, in proposito, è la decisione della Sezione VI, 21 aprile 1999, n. 494, che ammette la possibilità, per l’Amministrazione, di assumere un provvedimento di diniego espresso pur dopo la formazione del silenzio-assenso, ma ciò nei soli limiti in cui detto provvedimento possa valere quale sostanziale esercizio dei poteri di autotutela; permane, cioè, il potere in capo alla P.A. di esprimersi con un provvedimento di diniego, allorché questo abbia le caratteristiche di un provvedimento di rimozione, in sede di autotutela, del provvedimento di consenso tacito.

Nel caso di specie il provvedimento impugnato, nonostante sia formalmente qualificato di rigetto, ha, invero, tutte le caratteristiche di un provvedimento di annullamento, in via di autotutela, del silenzio assenso formatosi, in quanto risulta avviato il procedimento (doc. n. 3 ricorso), risultano presentate le osservazioni della ricorrente (senza elevare, fra l’altro la questione del silenzio assenso intervenuto – doc. n. 4 ricorso) ed il provvedimento stesso contiene le motivazioni necessarie, ivi inclusa quella in relazione al pubblico interesse concreto alla rimozione degli atti da annullare (vedasi anche TAR Lombardia Milano n. 1321 del 7.6.2006).

Posto che nell’impugnato provvedimento viene dedotta l’assenza dei presupposti di sostanza (come verrà meglio specificato in seguito) che legittimano la rimozione dell’autorizzazione occorre verificare se la formazione del silenzio-assenso paralizza il potere della Pubblica Amministrazione di esprimersi attraverso un formale diniego, se e in quanto esso implichi la volontà di rimuovere lo stesso provvedimento tacito.

In conclusione, quindi, il Comune poteva assumere un provvedimento di diniego espresso pur dopo la formazione del silenzio – assenso, permanendo il potere in capo alla Pubblica Amministrazione di esprimersi con un provvedimento di diniego, allorché questo abbia le caratteristiche di un provvedimento di rimozione, in sede di autotutela, del provvedimento di consenso tacito (vedasi anche Consiglio Stato, sez. V, 17 marzo 2003, n. 1381).

6f) Per queste considerazioni la censura non ha pregio, atteso che le autorizzazioni richieste e le comunicazioni sopra meglio specificate, oggetto della presente vertenza, sono state rigettate/annullate con il provvedimento impugnato perché viziate da illegittimità, non solo formali ma anche sostanziali, che verranno esaminati in prosieguo.

7) Con un altro mezzo di censura la ricorrente deduce che il Comune sarebbe incorso in eccesso di potere per inosservanza / violazione di giudicato rispettivamente per travisamento / errata interpretazione della sentenza del Consiglio di Stato n. 5205 del 19.7.2005, cioè, per errata classificazione della zona de qua, in cui è situato l’immobile, come “zona produttiva” invece che come c.d. “zona mista”.

Il Comune, quindi, avrebbe del tutto travisato il significato della sentenza del Consiglio di Stato n. 5205/04 citata, che si riferisce proprio all’immobile sito in Via Galilei 20, non osservando il relativo giudicato, sia per quanto riguarda la classificazione urbanistica dell’area in questione, sia (di conseguenza) per quanto riguarda i limiti entro i quali sarebbe ivi esercitabile il commercio al dettaglio.

Il Comune nel provvedimento impugnato – asserendo addirittura che questo sarebbe il motivo di diniego principale, su cui il rigetto si fonderebbe in primis – eccepirebbe che la ricorrente, con le domande dd. 4.5.2007, volte ad ottenere l’autorizzazione di cui in epigrafe, e con le comunicazioni di cui all’art. 4, comma 2, l.p. n. 7/2000, dd. 27.3.2007, rigettate, in via di autotutela, con il provvedimento qui impugnato, non avrebbe prodotto, in violazione dell’art. 8, comma 2, D.P.G.P. 39/2000, la planimetria, approvata e riportante la destinazione d’uso di commercio al dettaglio, dei locali di vendita effettivamente ed in concreto esistenti, risp. che comunque tale planimetria non sarebbe sussistita al momento dell’emanazione, da parte del Comune, del rigetto delle autorizzazioni, e che anzi ciò, nel caso di specie, non sarebbe nemmeno possibile in quanto l’edificio si troverebbe in fase di costruzione/ristrutturazione.

7a) La ricorrente deduce, inoltre, le seguenti ulteriori censure:

* l’art. 8, comma 2, D.P.G.P. n. 39/2000 sarebbe applicabile solo in relazione alle autorizzazioni per medie e grandi strutture di vendita, mentre i quattro esercizi, oggetto del provvedimento di autotutela impugnato, avrebbero una superficie di 150 mq e sarebbero quindi da classificarsi come piccoli esercizi; il richiamo a tale articolo sarebbe pertanto del tutto errato.
* In stretto subordine, comunque, l’art. 8, comma 2, del D.P.G.P. in questione disporrebe quanto segue: “Le domande di rilascio dell’autorizzazione debbono essere esaminate secondo l’ordine cronologico di presentazione. Prima del rilascio materiale dell’autorizzazione, l’autorità competente richiede all’interessato tutti i documenti non già in suo possesso e ritenuti necessari … ed in particolare la planimetria dei locali di vendita, approvata dall’organo competente e riportante la destinazione d’uso di commercio al dettaglio”;
* la norma prescriverebbe quindi il seguente iter: l’interessato inoltra domanda di autorizzazione, che l’amministrazione esamina e accoglie o rigetta; solo in caso di provvedimento di accoglimento – che, si badi bene, non è ancora l’autorizzazione commerciale in sè – e solo in caso di esplicita richiesta da parte dell’amministrazione, se ed in quanto la stessa lo reputa necessario, l’interessato sarebbe poi tenuto a fornire all’amministrazione, prima del materiale rilascio della licenza stessa, i documenti richiesti tra cui la planimetria con la destinazione d’uso.

Pertanto, la norma in questione non prescriverebbe ex lege la necessità di produzione della planimetria in questione, ma prevedrebbe l’onere di produzione della stessa da parte dell’interessato solo se espressamente richiesto dall’amministrazione prima del rilascio materiale dell’autorizzazione in quanto ritenuta dalla stessa necessaria.

Evidentemente, nel caso in esame, l’amministrazione non avrebbe ritenuto necessario richiedere la produzione del documento de quo prima del rilascio delle autorizzazioni (che si sarebbe perfezionato a seguito del silenzio assenso), per cui le stesse non potrebbero ora essere rigettate in via di autotutela, adducendo una tale motivazione.

Alla luce dei criteri interpretativi letterali e logici, e anche alla luce della prassi ormai consolidatasi nella Provincia di Bolzano, (cioè, dell’inoltro delle planimetria alle amministrazioni solo su espressa richiesta) sarebbe evidente l’erroneità dell’interpretazione data dal Comune alla norma in esame e la conseguente violazione delle stesse.

7b) Le censure della ricorrente non sono convincenti.

7c) Necessita, dapprima, puntualizzare che la ricorrente aveva inoltrato, in data 27.3.2007 quattro comunicazioni di cui all’art. 4, comma 2, della legge provinciale n. 7/2000 ed in data 4.5.2007 quattro domande per il rilascio di autorizzazioni per l’apertura di complessivamente 8 nuovi esercizi per il commercio al dettaglio nello stabile in Via G. Galilei, civico n. 20. Tale fatto (apertura degli esercizi in Via G. Galilei n. 20) risulta dalla documentazione depositata sia dalla ricorrente (doc. n. 2) sia dal Comune (doc. nn. da 3 a 10) e viene in seguito esplicitamente confermata dalla ricorrente con la memoria depositata in data 2.2.2009.

Nelle predette domande di autorizzazione all’apertura degli esercizi, però, risultano anche indicate le pp.ed. 1193, 2619, 1196/1 sulle quali dovrebbero essere esercitate le attività di commercio al dettaglio in questione.

A seguito dell’esame della documentazione prodotta dalla difesa del Comune (doc. n. 15, 16, 17, 18, 21) rispettivamente dalla documentazione prodotta dal Direttore dell’ufficio Gestione del Territorio in ottemperanza dell’ordinanza di questo Tribunale n. 44/2008 può essere desunto che agli edifici gia esistenti sulle pp. ed. Officine Salzburger) e 1196/1 (ex edificio Maxi C + C), dove sorgerà un nuovo edificio (non ancora esistente all’atto dell’emissione del provvedimento impugnato dd. 25.1.2008), erano attribuiti in passato i numeri civici n. 22 per il demolito edificio Maxi C + C e n. 24 per il demolito edificio ex Officina Salzburger.

Il civico n. 20 di Via Galilei (con i vari accessi contrassegnati con i n. civ. 14, 16, 18, 20°, 20 B), invece era ed è tuttora attribuito, come verrà accertato da questo Collegio in seguito allo stabile insistente sulla p.ed. 2926.

La p.ed. 2619 risultante anch’essa (come sopra annoverato) nelle varie domande di autorizzazioni, oggetto della presente vertenza, non fa capo né allo stabile contrassegnato con il numero civico 20 (ed numeri dei vari accessi) né agli edifici demoliti ai quali erano attribuiti in passato i numeri civici 22 e 24.

7e) Per inquadrare meglio la questione necessita riportare l’art. 8, comma 2, del Regolamento di esecuzione della legge provinciale 17 febbraio 2000 n. 7, approvato con D.P.G.P. 30.10.2000 n. 39 che dispone: “2. Le domande di rilascio dell’autorizzazione debbono essere esaminate secondo l’ordine cronologico di presentazione. Prima del rilascio materiale dell’autorizzazione, l’autorità competente richiede all’interessato tutti i documenti non già in suo possesso e ritenuti necessari a certificare i fatti e i dati dichiarati all’atto della domanda, salvo quelli per i quali è sufficiente ed è stata resa l’autocertificazione, ed in particolare la planimetria dei locali di vendita, approvata dall’organo competente, e riportante la destinazione d’uso di commercio al dettaglio.”

Dal predetto disposto si evince, senza ombra di dubbio, che la produzione della planimetria dei locali di vendita è presupposto indispensabile per il rilascio di un’autorizzazione all’apertura di un esercizio di commercio al dettaglio.

Tale obbligo vale sia per la richiesta delle autorizzazioni per medie e grandi strutture di vendita, sia per i piccoli esercizi, in quanto l’art. 4, comma 2, della l.p. n. 7/2000 dispone che l’apertura di una piccola struttura di vendita è soggetta a previa comunicazione al comune competente per territorio, a meno che la richiesta contenga errori o lacune o violi la normativa vigente in materia.

Prescrivendo la normativa, vigente in materia, all’art. 8, comma 1, della l.p. n. 7/2000 ed all’art. 8, comma 2, del D.P.G.P. n. 39/2000 che l’esercizio del commercio al dettaglio è strettamente legato alla superficie concretamente disponibile, non rimane spazio interpretativo per esentare i piccoli esercizi (fino a 150 m²) dall’obbligo di dimostrare tale disponibilità; ciò già in sede di deposito della comunicazione presso il comune competente per territorio.

Non giova alla ricorrente addurre che sarebbe ormai prassi consolidata nella Provincia di Bolzano che la planimetria sarebbe da produrre solo su espressa richiesta del Comune. Tale prassi, peraltro, solo dichiarata e non provata dalla ricorrente, non esonererebbe la Pubblica Amministrazione dall’applicazione della norma positiva in vigore (cioè l’art. 8 del regolamento sopra specificato), atteso che la consuetudine (rispettivamente la prassi) può avere efficacia solo in quanto richiamata da una legge, secondo il principio di gerarchia delle fonti di cui all’art. 8 disp. prel.c.c.

7f) Parimenti infondata è l’asserzione della ricorrente che, nel caso di specie, alla luce dei criteri interpretativi letterali e logici, e anche alla luce della prassi ormai consolidatasi nella Provincia di Bolzano (cioè dell’inoltro delle comunicazioni / domande per l’esercizio del commercio al dettaglio già in fase di costruzione degli immobili, appunto per sapere come costruire, e produzione della planimetria solo se richiesta) sarebbe evidente l’erroneità dell’interpretazione data dal Comune alla norma in esame e la conseguente violazione delle stesse.

Anche in questo caso è applicabile il principio che la prassi può avere efficacia solo in quanto sia stata richiamata da una legge, secondo il principio di gerarchia delle fonti di cui all’art. 8 disp. prel.c.c.

8) In sede di esame della presente vertenza è emersa la necessità di disporre l’acquisizione in giudizio di diversa documentazione, dettagliatamente elencata in “fatto”. Il Comune di Bolzano ha ottemperato alle ordinanze di questo Tribunale n. 44/2008 e n.7/2009 fornendo i chiarimenti in relazione alla posizione degli stabili contrassegnati con i relativi numeri civici ed in relazione alla superficie disponibile per l’esercizio del commercio al dettaglio.

Tali chiarimenti si erano resi necessari affinché questo Collegio potesse avere certezza che per ogni autorizzazione richiesta risp. per ogni comunicazione depositata presso il Comune di Bolzano corrisponda risp. siano disponibili, anche in concreto, le superfici risultanti ed indicate nelle comunicazioni risp. nelle richieste di autorizzazione, ciò in applicazione del disposto dell’art. 8 della l.p. n. 7/2000 nonché dell’art. 8 del rispettivo regolamento di esecuzione approvato con D.P.G.P. n. 39/2000.

8a) In relazione alla numerazione civica l’Amministrazione comunale di Bolzano ha chiarito con la dichiarazione sotto riportata che risultano attribuiti i seguenti numeri civici ai rispettivi edifici, d’interesse ai fini della decisione della presente vertenza, situati lungo la Via G. Galilei e precisamente:

“Per quanto concerne infine la richiesta indicazione dei numeri delle particelle edificiali e dei numeri civici dell’edificio ex Famila, nonché dei demoliti edifici ex Maxi C+C ed Officine Salzburger, si fornisce apposita tavola del SIT, Sistema Informativo Territoriale e si fa presente quanto segue:

– Numeri delle particelle edificiali e dei numeri civici dell’edificio ex Famila: p. ed. n. 2926 cui sono attribuiti i civici n. 14 – 16 – 18 – 20 – 20A – 20B;

– Particella edificale dell’edificio Maxi C+C: p.ed. n. 1196/1: Attualmente, non essendoci alcuna edificazione, alla p.ed in questione non è attribuito nessun numero civico, in passato era attribuito il n. 22;

– Particella edificale dell’edificio ex Officine Salzburger: p.ed n. 1193 – 1194 e 1195. Attualmente, non essendoci alcuna edificazione, alle p.ed in questione non è attribuito nessun numero civico, in passato era attribuito il n. 24.”

Il Comune di Bolzano, inoltre, ottemperando alle precise richieste di questo Tribunale, formulate con l’ordinanza n. 7/2009, ha depositato in data 19 febbraio 2009 una relazione chiarendo che:

– la superficie complessiva ed attualmente utilizzabile nello stabile situato in via G. Galilei su p.ed. 2926 C.C. Dodiciville, al quale sono assegnati i numeri civici 14, 16, 18, 20, 20° e 20B, tolti 937 m² adibiti a spazi accessori (quali scale, uffici, magazzini ecc.), è di m² 2671 (3.608 m² – 937).

I calcoli delle superfici attualmente disponibili per il commercio al dettaglio non vengono significatamente contestati dalla ricorrente, anzi dalla memoria conclusiva può essere desunto che, a seguito delle visure catastali, lo stabile in questione risulterebbe avere una superficie complessiva di m² 3.831, di cui però solo 2.000 m² coperti (solo questi ultimi quindi utilizzabili ai fini del commercio al dettaglio – vedasi anche regolamento di esecuzione n. 39/2000, art. 1 e seguenti).

A questa superficie sarebbero da aggiungere, tolti 306 m² destinati ad uffici, 1.492 m² (1798 m² – 306 m²) in fase di realizzazione.

A tale superficie, utilizzabile a scopi di commercio al dettaglio, fanno capo le seguenti autorizzazioni:

– autorizzazioni attive che occupano una superficie di m² 3.122 (32 + 1.500 + 1.590 m²);

– autorizzazioni sospese in attesa del certificato di abitabilità 960 m² (360 + 280 + 290 m²);

Dai conteggi sopra esposti e forniti dal Comune può essere desunto che le superfici delle autorizzazione attive superano gli spazi attualmente disponibili (2.671 m²) ai fini dell’esercizio del commercio al dettaglio.

Invece, le superfici complessivamente utilizzabili dopo l’ultimazione dei lavori (di ampliamento dell’edificio al civ. n. 20) saranno di m² 4.163 m² (2.671 + 1492 m²) che faranno capo a m² 4.082 di autorizzazioni attive o sospese in attesa del certificato di agibilità. Per cui, dopo l’agibilità delle superfici sopra riportate la ricorrente disporrà di m² 81 (4.163 – 4082), sfruttabili per l’ampliamento delle autorizzazioni in atto ovvero per l’apertura di nuovi esercizi.

Quindi, dai calcoli sopra riportati questo Collegio trae la conclusione che tutte le superfici dello stabile su p.ed. 2926, che corrisponde al n. civico 20 (ivi inclusi i numeri civici 14, 16, 18, 20 A e 20B), utilizzabili a fini di commercio al dettaglio sono interessate ed occupate dalle autorizzazioni attive o sospese in attesa del certificato di agibilità: la differenza disponibile di m² 81 non raggiunge minimamente l’estensione per giustificare neanche una delle autorizzazioni annullate con il provvedimento impugnato (2.525 m²).

8b) Giustamente, pertanto, il Comune ha rigettato/annullato, in via di autotutela, le autorizzazioni rispettivamente le comunicazioni di cui all’art. 4, comma 2, oggetto della presente vertenza, in quanto, ai sensi della legge provinciale n. 7 del 17.2.2000 (Nuovo ordinamento del Commercio) e del regolamento di esecuzione approvato con D.P.G.P. 30.10.2000 n. 39 mancava un presupposto essenziale, cioè una superficie concretamente utilizzabile per l’esercizio del commercio al dettaglio, visto che in base alle norme appena citate (art. 7) è vietato esercitare il commercio al dettaglio in base ad autorizzazioni diverse nello stesso locale.

8c) Per queste considerazioni, quindi, legittimamente il Comune di Bolzano ha rigettate/annullate le autorizzazioni e le comunicazioni, oggetto della presente vertenza, perché al rilascio ostavano ab initio i presupposti urbanistici, cioè, mancavano in concreto le superfici su cui esercitare il commercio al dettaglio. Inoltre, l’art. 8 della legge provinciale n. 7/2000 (Nuovo ordinamento del commercio) vieta l’esercizio del commercio al dettaglio in base ad autorizzazioni diverse nello stesso locale, cioè, sulle superfici già occupate da altre autorizzazioni. Quindi, mancavano ab initio i presupposti richiesti dal “Nuovo ordinamento del commercio” per il rilascio delle autorizzazioni. Il Comune di Bolzano, giustamente, ha rivalutato in sede di rigetto/annullamento, l’esistenza di tali presupposti, visto anche che lo stesso Consiglio di Stato affermava nella sentenza n. 5205 del 19.7.2004 che “resta in ogni caso salva ed impregiudicata ogni ulteriore valutazione dell’Amministrazione in ordine alla compatibilità delle richieste autorizzazioni con la vigente normativa, statale e provinciale, in materia di commercio”.

9) Non giova alla ricorrente il tentativo di far considerare facenti parte del civico n. 20 di Via G. Galilei anche gli erigendi edifici sulle pp.ed. 1196/1, 1193, 1194, e 1995, già n. civici 22 rispettivamente 24.

A tal fine il Collegio concorda con il Comune di Bolzano che, giusta i disposti della legge n. 1228 del 24.12.1954 e del regolamento di esecuzione, approvato con D.P.R. n. 223 del 30.5.1989, la numerazione civica è assegnata dai comuni (art. 10 legge) unicamente per edifici esistenti e che un apposito numero civico deve essere assegnato a tutti gli accessi esterni ed anche interi (art. 42 regolamento). L’assegnazione del numero civico è di competenza esclusiva del Comune che può sostituirsi al proprietario dell’edificio qualora tale numerazione civica non viene applicata dallo stesso secondo le indicazioni impartite (art. 43 regolamento).

9a) Incontestabile è il fatto che il numero civico 20 (ivi compresi i vari numeri indicanti le singole entrate esterne e interne) di via G. Galilei fa capo unicamente allo stabile di cui all’edificio su p.ed. 2926.

È fuori luogo qualsiasi richiamo, da parte della ricorrente, a situazioni esistenti nei decenni pregressi (negli anni settanta), in quanto, i Comuni sono tenuti, in applicazione del disposto dell’art. 47 del citato regolamento n. 223/1989, in sede di ogni censimento generale della popolazione, alla revisione dell’onomastica e della numerazione civica per adeguarle alla situazione esistente, avendo all’uopo particolare riguardo anche a nuove costruzioni ed a demolizioni. L’art. 47 del regolamento n. 223/89 determina che la predetta revisione deve essere effettuata d’ufficio, indipendentemente dalla richiesta dei proprietari dei fabbricati di cui all’art. 43 ed a prescindere dall’eventuale carattere abusivo di nuove costruzioni.

Essendo i censimenti generali della popolazione stati effettuati ogni decennio (vale a dire negli anni 1981, 1991, 2001) è da considerare, quindi, unicamente la situazione della numerazione civica effettivamente attribuita ai vari edifici in quelle occasioni.

Infine, spetterà al Comune, in applicazione della normativa sopra citata, assegnare agli erigendi edifici sulle pp.ff. 1196/1, 1193, 1194, 1995, già numeri civici 22 e 24, i numeri civici per i vari accessi esterni ed anche interni prima del rilascio del certificato di agibilità. In altre parole, non spetta al proprietario degli edifici scegliere il numero civico degli accessi esterni ed interni, cioè, scegliere quali accessi fanno capo a numeri civici gia assegnati (nel caso di specie il numero 20 di via G. Galilei).

9b) Il Comune di Bolzano ha chiarito, in ottemperanza delle ordinanze n. 44/2008 e 7/2009, per quanto è d’interesse per la decisione della presente vertenza, la situazione della numerazione civica attribuita ai vari edifici in via Galilei, all’atto dell’invio delle comunicazioni al Comune rispettivamente del rilascio delle autorizzazioni (però tale situazione esisteva già prima della demolizione degli edifici contrassegnati con i n. civici 22 e 24), oggetto della presente vertenza, e ciò indipendentemente dell’attuale posizione ove le targhe, ed in specifico la targa n. 20, è stata applicata.

Ai fini della decisione della presente vertenza, questo Collegio ritiene, pertanto, non necessario disporre, come richiesto dal difensore del Comune di Bolzano in sede di discussione in pubblica udienza, la formale acquisizione del verbale di constatazione del Servizio controllo costruzioni del Comune di Bolzano n. 484 dd. 23.7.1998 e del verbale di constatazione dello stesso Servizio n. 104 dd. 31.3.2009. Con tale documentazione sarebbe stato accertato che la targa con il numero civico 20 sarebbe stata rimossa dallo stabile su p.ed. 2926 ed applicata su una parete di un edificio in costruzione.

Sarà, comunque, cura della Segreteria di questo Tribunale trasmettere per competenza, in applicazione del disposto dell’art. 331 c.p.p., copia del verbale di udienza dell’1.4.2009 e di questa sentenza alla Procura della Repubblica di Bolzano, per le valutazioni di competenza.

10) Per le considerazioni che precedono emerge che nessuna autorizzazione per l’apertura dei quattro esercizi di strutture medie per l’esercizio del commercio al dettaglio e nessuna apertura dei quattro esercizi di piccole strutture per il commercio al dettaglio, a seguito di comunicazione di cui all’art. 4, comma 2, l.p.n. 7/2000, era ed è ammessa nello stabile al quale è attribuito il numero civico 20 in quanto tutte le superfici disponibili sono già occupate da autorizzazioni attive o sospese, come sopra esposto.

Tali aperture non sono neanche possibili, allo stato, negli erigendi stabili sulle pp. ed. 1193 e 1196/1, in quanto ivi non esisteva all’atto del rigetto delle domanda (25.1.2008) un’edificazione ed in quanto trattandosi di aree che non sono coperte dal giudicato di cui alla sentenza del Consiglio di Stato n. 5205/2004, la quale si riferisce unicamente allo stabile riportante il n. civico 20 di Via G. Galilei.

Inoltre, emerge dalla documentazione depositata (doc. n 17 Comune e n. 8 ricorso – concessione edilizia dd. 15.12.2008) che i piani dell’erigendo edificio, dove si vorrebbe esercitare il commercio al dettaglio, portano la destinazione urbanistica di commercio all’ingrosso.

11) A completamento delle considerazioni che precedono è da aggiungere che la stessa ricorrente, presentando le varie richieste di concessione edilizia per la realizzazione, rectius demoricostruzione, degli edifici sulle pp.ed 1196/1, 1193, 1194, 1995, già numeri civici 22 e 24, non aveva indicato per tali immobili qualsiasi numero civico come può essere rilevato dai documenti nn. 16, 18, 20, 21, 22, 23 depositati dal Comune. Ciò anche in rispetto delle indicazioni dell’art. 43 del regolamento DPR n. 223/1989, in base al quale l’assegnazione del numero civico è prevista non appena ultimata la costruzione del fabbricato e prima del rilascio del certificato di agibilità.

12) Si rivelano insussistenti anche le censure rivolte avverso le motivazioni contenute nel provvedimento impugnato per mancata esposizione dell’interesse pubblico concreto nonché per travisamento dei fatti per comparazione con casi del tutto diversi e per insufficiente motivazione sul punto.

La ricorrente espone che tra il formarsi del silenzio assenso in relazione alle domande di autorizzazione di medie strutture dd. 4.5.2007 rispettivamente della comunicazione di cui all’art. 4 della l.p. n. 7/2000 dd. 27. 3.2007 e il provvedimento di annullamento in autotutela impugnato dd. 25.01.2008, sarebbe trascorso un considerevole lasso di tempo, sicuramente sufficiente ad ingenerare nella ricorrente il concreto affidamento circa la legittimità delle autorizzazioni rilasciate, anche in mancanza di attuale apertura dei relativi esercizi in quanto l’edificio si trova ancora in fase di costruzione.

Ne discenderebbe che, secondo consolidata giurisprudenza, il Comune nella motivazione del provvedimento impugnato, oltre ai motivi di presunta illegittimità, avesse dovuto addurre anche un interesse pubblico concreto per il quale intendeva annullare gli atti, comparando lo stesso all’interesse privato sacrificato.

12a) Ritiene il Collegio che nel caso di specie non possa essere lamentato che sarebbe trascorso un significativo lasso di tempo sufficiente ad ingenerare nella ricorrente il concreto affidamento circa la legittimità delle autorizzazioni rilasciate, semplicemente anche per il fatto che le autorizzazioni non erano state attivate.

Inoltre, dal provvedimento stesso possono essere desunti sufficienti motivi di interesse pubblico tali da giustificare l’annullamento. Infatti, dal documento impugnato risulta: “considerato l’interesse pubblico al pedissequo rispetto delle norme vigenti ed alla disciplina del settore del commercio secondo criteri di trasparenza ed imparzialità, ravvisata la necessità di impedire il rilascio di autorizzazioni commerciali in contrasto con le vigenti prescrizioni urbanistiche e di evitare inaccettabili situazioni di disparità di trattamento (vedasi caso Trony e caso Electronia).”

Ritiene, quindi, questo Collegio che l’interesse pubblico sia stato sufficientemente motivato, visto che, nel caso contrario, ovvero nel caso del mancato annullamento/rigetto delle autorizzazioni sarebbero state create disparità, le quali il Comune di Bolzano classifica inaccettabili; per casi esattamente analoghi a quelli per cui è causa, come sottolinea l’Amministrazione resistente nelle memorie difensive.

Inoltre, nel caso di specie si trattava, all’atto dell’annullamento/rigetto del provvedimento impugnato, non solo dell’accertamento di meri vizi formali, ma di vizi sostanziali, facilmente conoscibili anche dalla ricorrente stessa (mancanza totale delle superfici necessari per l’apertura di nuovi esercizi del commercio al dettaglio), che non facevano nascere in capo alla ricorrente stessa un affidamento apprezzabile sulla regolarità della sua posizione.

13) Per queste considerazioni e poiché per consolidata giurisprudenza é sufficiente la legittimità di un unico motivo per rendere legittimo l’intero provvedimento, ancorché gli altri non lo siano, il Collegio ritiene legittimo il provvedimento impugnato.

Il Collegio ritiene, quindi, che possa prescindersi dall’esame degli altri motivi di impugnazione, visto anche che, nel tempo intercorso dal deposito delle comunicazioni e delle domande di autorizzazione ad oggi sono state emanate nuove norme (l.p. n. 3 del 2.7.2007) in materia di attività commerciale nelle zone per insediamenti produttivi (comprese quelle classificate nei piani urbanistici zone di completamento) e che nel caso di riavvio del procedimento per il rilascio di autorizzazioni, ovvero nel caso di invio delle comunicazioni di cui all’art. 4, comma 2, della l.p. n. 7/2000 troverà applicazione il principio “tempus regit actum”, considerato, in aggiunta, che nella sentenza del Consiglio di Stato n. 5205/2004, più volte richiamata dalla ricorrente a difese delle proprie ragioni, risulta: “Ciò, si badi, non perché non sia consentito, nella Provincia Autonoma di Bolzano, il diniego di un’autorizzazione commerciale per ragioni di ordine urbanistico (ché anzi occorre sottolineare come in detta Provincia l’attività di commercio risulti condizionata all’osservanza della disciplina urbanistica dalla legge provinciale n. 68/1978 e, in particolare, dall’art. 16, quarto comma, che impone il rispetto delle concessioni edilizie relative alla destinazione ed all’uso dei vari edifici nelle zone urbane, nonché dall’art. 19, primo comma, che esige il rispetto delle norme relative alla destinazione d’uso di tali edificii: v. Consiglio Stato, sez. V, 4 gennaio 1993, n. 22 ), ma in forza della insufficienza ed intrinseca contraddittorietà delle cennate considerazioni di carattere urbanistico, sulle quali il Comune di Bolzano ha fondato gli impugnati dinieghi e la Provincia Autonoma di Bolzano il rigetto dei ricorsi gerarchici avverso gli stessi proposti.”

14) Nel caso di specie il Collegio ritiene, altresì, di poter prescindere dall’esame della questione se per lo stabile in Via Galilei n. 20 dovesse tersi conto delle statuizioni di cui alla sentenza del Consiglio di Stato, Sezione IV, n. 4205 del 19.4.2004, visto che il presente ricorso va respinto per la mancanza di superfici sufficienti all’apertura di nuovi esercizi nello stabile di cui al civico n. 20 e non per il fatto che nello stabile su p. ed. 2926, contrassegnato con il numero civico 20, non sia ammesso il commercio al dettaglio.

Sussistono sufficienti motivi, vista la complessità della materia, per la compensazione delle spese di giudizio.

P.Q.M.

Il Tribunale Regionale di Giustizia Amministrativa – Sezione Autonoma di Bolzano – disattesa ogni contraria istanza ed eccezione, definitivamente pronunciando, rigetta il ricorso.

Spese compensate tra le parti.

Il contributo unificato va posto per metà a carico della ricorrente e per metà a carico del Comune di Bolzano.

Ordina la trasmissione degli atti alla competente Procura della Repubblica.

Ordina che la presente sentenza venga eseguita dall’Autorità amministrativa. Così deciso in Bolzano, nella camera di consiglio dell’1.4.2009.

IL PRESIDENTE f.f. L’ESTENSORE

Anton WIDMAIR Hans ZELGER

/mg

N. R.G. 114/2008

Fonte: www.giustizia-amministrativa.it