Tribunale Amministrativo Regionale per la Puglia – Lecce 119/2009

Composto dai Signori Magistrati:

Aldo Ravalli Presidente

Ettore Manca Primo Referendario

Massimo Santini Referendario est.

Ha pronunziato la seguente

SENTENZA

Sul ricorso n. 1096/2008 presentato dalla SAIM s.r.l., in personale del legale rappresentante sig. Santo Masilla, rappresentata e difesa dall’Avv. Luca Vergine, presso il cui studio in Lecce al viale Otranto n. 117 è elettivamente domiciliata;

contro

il Comune di Manduria, in persona del Sindaco pro tempore, rappresentato e difeso dall’Avv. Arcangelo Maurizio Passiatore ed elettivamente domiciliato in Lecce alla via Zanardelli n. 7 presso lo studio dell’Avv. Angelo Vantaggiato;

per l’annullamento

1. della nota n. 15219 in data 27 maggio 2008 del Comune di Manduria con cui si ordina di non effettuare l’intervento diretto alla realizzazione di un impianto fotovoltaico di potenza inferiore ad 1 MW;
2. della nota di indirizzo assessorile n. 13910 del 14 maggio 2008;
3. di ogni altro atto connesso, presupposto e consequenziale.

Visto il ricorso con i relativi allegati;

Visto l’atto di costituzione in giudizio dell’Amministrazione comunale, resistente;

Viste le memorie rispettivamente prodotte dalla parti a sostegno delle proprie difese;

Visti tutti gli atti di causa;

Designato alla pubblica udienza del 17 dicembre 2008 il relatore Massimo Santini, referendario, uditi altresì l’Avv. Vergine per il ricorrente e l’Avv. Passiatore per l’amministrazione resistente;

Ritenuto e considerato in fatto e in diritto quanto segue.

FATTO

La società ricorrente ha presentato in data 31 marzo 2008 denuncia di inizio attività, ai sensi dell’art. 12 del decreto legislativo n. 387 del 2003 e della legge Regione Puglia n. 1 del 2008, per la realizzazione di un impianto fotovoltaico di potenza pari a 0,99 MW.

L’intervento sarebbe da localizzare in area agricola non sottoposta a vincoli di natura paesaggistica, anche ai sensi del PUTT.

Con nota n. 15219 in data 27 maggio 2008 il Comune di Manduria ordinava di non effettuare l’intervento, attesa la carenza della seguente documentazione:

1. Copia titolo reale del richiedente in ordine all’immobile e copia documento identità del proprietario a fini di assenso alla realizzazione dell’intervento;
2. DURC (documento unico di regolarità contributiva);
3. Relazione tecnica attestante la localizzazione in area agricola;
4. Relazione geologica e geotecnica sottoscritta da tecnico abilitato;
5. Relazione tecnica concernente la produzione del materiale di risulta;
6. Diritti di segreteria

Con la stessa nota si faceva altresì presente che, essendo in corso di predisposizione il regolamento comunale per la disciplina dei suddetti impianti di energia rinnovabile, tutte le relative pratiche sarebbero state temporaneamente sospese (ossia per 60 gg.) in applicazione della nota assessorile n. 13910 del 14 maggio 2008. Ciò anche in attuazione della delibera regionale n. 35 del 2007.

La società interponeva dunque ricorso giurisdizionale per i seguenti motivi:

1. Violazione e falsa applicazione dell’art. 23 del DPR n. 380 del 2001 (Testo Unico Edilizia), in quanto il provvedimento inibitorio è stato adottato oltre il termine perentorio di trenta giorni previsto dalla indicata disposizione affinché si formi validamente il titolo edilizio. Né è stato adottato al riguardo un qualsivoglia provvedimento di autotutela, mancando in tale direzione sia la comunicazione di avvio del procedimento, sia la valutazione dell’interesse pubblico all’annullamento;
2. Violazione di legge nella parte in cui l’atto di indirizzo assessorile determina in concreto la sospensione (atipica) di un titolo edilizio già validamente formatosi. Il richiamo alla delibera n. 35 del 2007 è peraltro erroneo, in quanto essa si riferisce ai macro impianti. Dunque non era necessaria una autorizzazione espressa ma una semplice DIA;
3. Eccesso di potere per errore nei presupposti di fatto e di diritto, atteso che dalla documentazione prodotta in allegato alla DIA si poteva ben evincere il possesso di ogni attestazione e certificazione di cui il Comune eccepisce la mancanza. Il DURC deve inoltre essere presentato prima dell’inizio dei lavori;

La ricorrente chiedeva inoltre il risarcimento dei danni patiti per effetto dei provvedimenti illegittimamente adottati.

Si è costituito in giudizio il Comune di Manduria, il quale ha eccepito tra l’altro che:

1. Anche dopo lo spirare dei trenta giorni il Comune può sempre intervenire con provvedimenti repressivi, in virtù di propri poteri di autotutela, di vigilanza e sanzionatori;
2. l’atto di sospensione assessorile è dettato da esigenze di tutela del patrimonio agricolo e paesaggistico. Inoltre non è stato impugnato l’atto adottato “a valle”, ossia la delibera n. 158 del 12 giugno 2008: dunque per tale parte il ricorso sarebbe inammissibile;
3. in ogni caso, la carenza documentale è tanto grave da non aver fatto nemmeno scattare il termine legalmente previsto.

Con memoria di udienza depositata in data 26 novembre 2008, la stessa difesa dell’amministrazione comunale ha altresì fatto presente che:

4. il termine di trenta giorni non poteva in ogni caso scattare in assenza di autorizzazione paesaggistica, trattandosi di area soggetta a vincolo;
5. il contratto di locazione non è stato registrato;
6. secondo quanto previsto dalla circolare regionale in data 1° agosto 2008, nel caso di specie non sono stati prodotti: gli elaborati progettuali previsti dal DPR n. 554 del 1999; il nulla osta sull’assenza di interferenze con le linee di comunicazioni elettroniche di cui al d.lgs. n. 259 del 2003; l’assegnazione del punto di connessione da parte dell’ENEL; l’asseverazione del tecnico progettista circa l’assenza di una serie di vincoli (paesaggistico, archeologico, idrogeologici, etc.);
7. Difetta il requisito dell’integrazione dell’impianto con altre strutture a carattere commerciale, industriale o di servizi, così come sarebbe previsto dall’art. 27 della legge regionale n. 1 del 2008;
8. Non risulta rispettato il requisito stabilito dall’art. 2 della legge Regione Puglia n. 31 del 2008, nella parte in cui esclude la realizzazione di siffatti impianti negli ambiti territoriali estesi C e D del PUTT, né quello fissato dal successivo art. 3 della stessa legge regionale, laddove è prescritto che l’area asservita all’intervento sia estesa almeno due volte la superficie radiante.

Alla udienza del 17 dicembre 2008 le parti rassegnavano le proprie rispettive conclusioni ed il ricorso veniva trattenuto in decisione.

DIRITTO

01. Il ricorso è fondato per le ragioni di seguito evidenziate.

1. Giova premettere che le eccezioni sollevate dall’amministrazione resistente, con la memoria in data 26 novembre 2008, in ordine a registrazione del contratto di locazione, elaborati progettuali, nulla osta interferenze, punto di connessione ENEL ed asseverazione circa la assenza di vincoli territoriali, non possono trovare ingresso in questa sede giacché rappresentano profili non altrimenti evidenziati nel provvedimento gravato, configurandosi in tal modo come inammissibile integrazione postuma della motivazione.

Sotto diverso profilo si tratterebbe comunque – almeno per quanto attiene alla menzionata circolare regionale – di normativa inapplicabile al caso di specie, posto che, in ossequio al principio tempus regit actum, alla data di emanazione di detti atti generali il titolo – come si dimostrerà più avanti – si era ormai validamente formato.

Parimenti da respingere è l’eccezione relativa all’esistenza di un vincolo paesaggistico, posto che tale circostanza (esclusa in radice dalla società ricorrente), oltre ad essere stata rilevata per la prima volta in memoria di udienza e dunque inammissibile per i motivi anzidetti, non è stata altrimenti allegata attraverso elementi di seria consistenza.

2. Ancora in via preliminare si affronta la questione relativa al regime autorizzatorio applicabile, ossia se per la realizzazione dell’impianto in questione (impianto fotovoltaico di potenza pari a 0,99 MW) si possa ricorrere alla DIA oppure sia necessario un procedimento di autorizzazione espressa.

Tale statuizione assume carattere pregiudiziale per stabilire se si possano ritenere o meno trascorsi, dalla presentazione della DIA, i trenta giorni legalmente previsti per la formazione del titolo edilizio.

La questione è risolvibile non solo in base ad una mera lettura della delibera regionale n. 35 del 2007, la quale prevede la DIA per gli impianti fotovoltaici di potenza sino ad 1 MW se ricompresi – come quello in esame – in aree classificate come agricole dai vigenti strumenti urbanistici (par. 1.2.), ma anche in applicazione della legge regionale n. 1 del 2008 (art. 27), ratione temporis applicabile, che ai sensi dell’art. 27, comma 2 – come si vedrà più avanti – ammette pacificamente i suddetti impianti, per potenza e localizzazione, tra quelli da abilitare mediante DIA.

Deve conseguentemente concludersi che, per tali profili, correttamente la società ricorrente ha ritenuto di applicare l’istituto della DIA e non quello dell’autorizzazione espressa.

3. Parimenti da respingere è l’eccezione relativa alla necessaria integrazione dell’impianto con altre strutture di carattere commerciale, industriale o servizi, al fine di poter legittimamente ricorrere all’istituto della DIA. In assenza di tale integrazione, secondo la tesi comunale si dovrebbe infatti applicare il procedimento della autorizzazione espressa.

Per quanto attiene all’ambito di applicazione dell’art. 27 della legge regionale n. 1 del 2008, ratione temporis applicabile (ossia prima della sua abrogazione da parte della legge regionale n. 31 del 2008, che ha ridisciplinato tali aspetti), essa prevede, al comma 1, che “per gli impianti di produzione di energia elettrica da fonti rinnovabili di cui all’articolo 2, comma 1, del decreto legislativo 29 dicembre 2003, n. 387 … con potenza elettrica nominale fino a 1 MWe da realizzare nella Regione Puglia, fatte salve le norme in materia di valutazione di impatto ambientale e di valutazione di incidenza, si applica la disciplina della denuncia di inizio attività (DIA), di cui agli articoli 22 e 23 del decreto del Presidente della Repubblica 6 giugno 2001, n. 380 … nei seguenti casi:

a) impianti fotovoltaici posti su edifici industriali, commerciali e servizi, e/o collocati a terra internamente a complessi industriali, commerciali e servizi esistenti o da costruire … ”.

Il successivo comma 2 prevede poi che “gli impianti di cui al comma 1 possono anche essere realizzati in zone classificate agricole dai vigenti piani urbanistici, tenuto, peraltro, conto di quanto specificato dall’articolo 12, comma 7, del d.lgs. 387/2003”.

Secondo l’interpretazione data dall’amministrazione comunale, il riferimento al comma 1 operato dal comma 2 sarebbe da intendere nel senso che gli impianti fotovoltaici, pur se collocati in zona agricola, dovrebbero comunque risultare integrati con altre strutture commerciali, industriali e terziarie.

Ad avviso di questo collegio, invece, il richiamo agli impianti di cui al comma 1 deve intendersi come riferito a tutte le strutture genericamente enucleate nell’art. 2, comma 1, del d.lgs. n. 387 del 2003 (disposizione questa a sua volta riportata, non a caso, dallo stesso comma 1 della norma regionale), ossia con esclusivo riguardo a tipologia, dimensioni e potenza delle medesime e non anche alla loro particolare conformazione (o meglio integrazione) strutturale.

La disposizione sembra dunque prevedere la possibilità di realizzare gli interventi de quibus anche in zona agricola (comma 2), a prescindere dalla loro integrazione strutturale con altri impianti a carattere industriale, commerciale o di servizi (comma 1).

D’altra parte, nella prospettiva indicata dalla difesa comunale la legge regionale, oltre che ad introdurre una ultronea specificazione, avrebbe altrimenti giustificato, in questo modo, la presenza di talune strutture (per l’appunto industriali, commerciali, etc.) all’interno di aree (agricole) con esse incompatibili sotto il profilo urbanistico.

L’interpretazione cui il collegio ritiene invece di aderire è peraltro l’unica a consentire una lettura costituzionalmente compatibile della disposizione in parola, considerato che la possibilità giuridica di installare tali impianti anche in zone agricole rappresenta un principio fondamentale della legislazione statale in materia di energia (art. 12, comma 7, d.lgs. n. 387 del 2003).

Concludendo sul punto, si conferma ulteriormente che per siffatte strutture deve osservarsi il procedimento DIA e non quello dell’autorizzazione espressa.

4. Appurato che nell’ipotesi in contestazione trovava applicazione l’istituto della DIA, si affrontano per connessione logico-sistematica i primi due motivi di ricorso, concernenti in particolare l’ordine di non effettuare l’intervento in data 27 maggio 2008 e la sospensione delle pratiche DIA, come determinata con atto di indirizzo assessorile in data 14 maggio 2008.

4.1. In primo luogo si rileva che il predetto ordine è stato adottato a seguito della scadenza del termine previsto per la formazione del titolo edilizio, che la legge fissa in trenta giorni dalla presentazione della DIA.

Quest’ultima è stata infatti presentata in data 31 marzo 2008.

Da tale data il termine di trenta giorni è dunque venuto a scadenza il successivo 30 aprile 2008. Anche a voler considerare l’integrazione documentale (preliminare di locazione attestante la disponibilità dell’area) avvenuta in data 18 aprile 2008, gli ulteriori trenta giorni da quella data decorrenti sarebbero venuti a scadenza il successivo 18 maggio 2008.

L’ordine di non effettuare i lavori è invece intervenuto il 27 maggio 2008, dunque ben oltre i trenta giorni previsti dall’art. 23 del testo unico edilizia.

A tale riguardo, è ius receptum che la DIA prevista dal testo unico edilizia (TUEd) rappresenti autocertificazione della sussistenza delle condizioni stabilite dalla legge per la realizzazione dell’intervento: in merito ad essa la PA svolge una eventuale attività di controllo – nel termine di trenta giorni dalla presentazione della DIA stessa – che è prodromica e funzionale al formarsi (a seguito del mero decorso del tempo) del titolo legittimante l’inizio dei lavori.

Ora, il termine di 30 giorni entro il quale l’amministrazione comunale può esercitare il potere inibitorio in relazione alla denuncia di inizio attività ex art. 23 del D.P.R. n. 380 del 2001 è da ritenersi perentorio, sia per la certezza dei rapporti giuridici, sia perché la norma introduce nella peculiare fattispecie normativa (realizzazione di impianti di energia rinnovabile) una duplice limitazione temporanea: da un lato, allo jus aedificandi, che è facoltà attinente al diritto di proprietà; dall’altro lato, alla libera iniziativa privata in materia di attività energetica (art. 1, comma 2, legge n. 239 del 2004). Pertanto, detta limitazione temporanea non può che avere carattere perentorio, non potendo lasciarsi al mero arbitrio dell’amministrazione la disponibilità dei diritti sopra indicati, costituzionalmente garantito. Ove, pertanto, dopo la presentazione della denuncia di inizio attività decorra infruttuosamente il termine di 30 giorni previsto, la conseguenza che da ciò deriva è la formazione dell’autorizzazione edilizia implicita (cfr., in termini, T.A.R. Abruzzo L’Aquila, 8 giugno 2005, n. 433).

Prima la giurisprudenza e poi il legislatore (legge n. 80 del 2005) hanno inoltre stabilito che, una volta decorsi i termini previsti dall’art. 23 TUED, all’amministrazione residua unicamente l’attivazione del procedimento di autotutela secondo i criteri ed i parametri stabiliti al riguardo dagli artt. 21-quinquies e 21-nonies della legge n. 241 del 1990. E ciò in quanto con il decorso del termine fissato dal legislatore si forma una autorizzazione implicita di natura provvedimentale.

Circa l’esercizio di siffatto potere non v’è tuttavia traccia nel caso di specie: contrariamente a quanto sostenuto dalla difesa dell’amministrazione, infatti, non solo manca la comunicazione di avvio del procedimento (dovuta per quieta giurisprudenza anche in caso di autotutela), ma è stata altresì omessa ogni adeguata valutazione: da un lato, delle ragioni di interesse pubblico da riconnettere alla rimozione dell’atto; dall’altro lato, degli interessi dei destinatari e della sussistenza o meno di posizioni eventualmente consolidatesi nel tempo (cfr. art. 21-nonies della legge n. 241 del 1990).

Avuto riguardo allo specifico contenuto del provvedimento impugnato, in sostanza, emerge inequivocabilmente che il Comune ha tardivamente esercitato proprio quel controllo sul progetto che l’ordinamento colloca – come già detto – perentoriamente in una fase precedente alla formazione del titolo edilizio. In altre parole, la rappresentazione delle cause ostative (sulla cui legittimità in sé, peraltro, ci si soffermerà più avanti) è stata intempestivamente posta in essere solo dopo la chiusura per silentium della fase istruttoria, ossia allorquando il tiolo edilizio doveva ritenersi già positivamente assentito.

4.2. Conseguentemente non può trovare applicazione, nel procedimento de quo, la legge regionale n. 31 del 2008, atteso che al momento della sua entrata in vigore il titolo – come ampiamente dimostrato nei punti che precedono – si era già validamente formato (cfr. art. 7, comma 1, della legge regionale n. 31 del 2008, il quale esclude espressamente dal proprio raggio di azione le autorizzazioni già validamente formatesi alla data di entrata in vigore della legge stessa, ossia l’8 novembre 2008).

4.3. In secondo luogo – e ferma restando la già rilevata scadenza del termine perentorio – secondo lo schema delineato dall’art. 23 TUED non è consentita la inibitoria dell’intervento che si intende realizzare se non per la riscontrata assenza di una o più delle condizioni stabilite dalla normativa vigente al momento della scadenza dei termini previsti per la formazione del titolo edilizio, senza poter mai invocare al medesimo fine atti regolamentari che allo stato risultano solo in corso di predisposizione.

4.4. Peraltro, un simile potere soprassessorio (sospensione di tutte le pratiche DIA in attesa della adozione del regolamento di settore) non appare altrimenti contemplato dalla normativa di riferimento (d.lgs. n. 387 del 2003 e DPR n. 380 del 2001). Infatti, in applicazione del principio di legalità dell’azione amministrativa ciascuna amministrazione può esercitare soltanto i poteri espressamente previsti dalla legge e secondo le modalità da questa previste. E ciò tanto più ove si tratti – come nella specie – di incidere su attività economiche: a) in via di principio soggette a (parziale) liberalizzazione (citato art. 1 della legge n. 239 del 2004); b) ritenute fondamentali per il raggiungimento di obiettivi di politica ambientale fissati a livello comunitario (direttiva 2001/77/CE, la quale prevede inoltre la riduzione di qualsivoglia ostacolo normativo) e ancor prima a livello internazionale (v. Protocollo di Kyoto).

In questa prospettiva, il provvedimento inibitorio si appalesa anzi oltremodo posto in violazione di principi fondamentali di semplificazione stabiliti dalla legislazione statale in materia di energia (d.lgs. n. 387 del 2003), la quale prevede termini come visto perentori (in particolare, 180 gg. per gli impianti superiori ad 1 MW e 30 gg. per quelli di potenza inferiore) per la conclusione dei relativi procedimenti amministrativi, sì da non tollerare una loro sospensione, quand’anche ad tempus e non sine die (cfr. Corte cost., sent. n. 364 del 2006).

Si tratta in conclusione, come correttamente evidenziato dalla difesa di parte ricorrente, di una inammissibile sospensione atipica della funzione amministrativa.

4.5. Né può trovare ingresso, a tale riguardo, l’eccezione di inammissibilità introdotta dalla difesa dell’amministrazione comunale per mancata impugnazione della delibera attuativa dell’indirizzo assessorile n. 158 del 12 giugno 2008, giacché la censura sollevata dalla società ricorrente non riguarda il potere – senza’altro sussistente ai sensi dell’art. 12, comma 7, del decreto legislativo n. 387 del 2003 – di individuare le aree idonee all’installazione di siffatti impianti, bensì il diverso – e insussistente, come visto – potere di sospendere le procedure in atto.

4.6. Le censure qui complessivamente affrontate debbono dunque essere accolte.

5. Per quanto attiene alla asserita carenza documentale, tale secondo la tesi dell’amministrazione da non aver potuto consentire neppure il decorso del termine legale, ciò è peraltro smentito in fatto sulla base della documentazione versata in atti.

5.1. Documentazione dalla quale si evince che la società ricorrente:

1. Ha sufficientemente attestato, a mente dell’art. 20 del DPR n. 380 del 2001, la legittimazione a disporre dell’area: ad integrazione della DIA del 31 marzo 2008 è stato infatti prodotto, in data 18 aprile 2008 (dunque pur sempre più di trenta giorni prima del provvedimento inibitorio, quand’anche si volesse far decorrere il termine da tale data), il preliminare di locazione dell’area de qua, sottoscritto il 14 marzo 2008, il quale all’art. 12 autorizza espressamente il titolare dell’iniziativa – e da subito (diversamente da quanto asserito dalla difesa dell’amministrazione comunale) – ad inoltrare ogni istanza presso la pubblica amministrazione per la realizzazione dell’intervento. Per altro verso, qualora l’amministrazione comunale avesse ritenuto insufficienti, ai fini dell’accertamento circa la legittimazione del richiedente, gli elementi sino ad allora prodotti, avrebbe dovuto disporre le necessarie verifiche (riguardanti in particolare il titolo di proprietà ed il relativo atto di assenso), anche d’ufficio mediante il responsabile del procedimento (art. 6 della legge n. 241 del 1990) ma pur sempre entro il termine perentorio di trenta giorni dalla presentazione della DIA, o al più tardi della integrazione documentale (salvo naturalmente l’esercizio del potere di autotutela, qui comunque assente);
2. L’asseveramento circa la natura agricola dell’area risulta espressamente alla pag. 4 della DIA in data 31 marzo 2008;
3. La relazione geologica e geotecnica versata in atti risulta senz’altro sottoscritta da tecnico abilitato;
4. la asseverazione tecnica circa la produzione o meno di rifiuti appare altrettanto idonea ai fini richiesti (cfr. punto n. 12 della DIA). In ogni caso, pur prescindendo dalla possibilità che l’installazione di pannelli solari possa dare luogo ad ingenti quantità di rifiuti, è ben possibile addivenire alla dichiarazione successiva, ai sensi del regolamento regionale n,. 16 del 2006, per le quantità di terra e rocce da scavo che non vengono avviate a riutilizzo diretto;
5. In merito al mancato versamento dei diritti di segreteria, e in disparte ogni considerazione circa il tenore dilatorio di siffatta richiesta, appare ad ogni modo sufficiente quanto affermato in sede di presentazione della DIA da parte della società ricorrente, nella parte in cui si impegna a corrispondere, a tale titolo, quanto richiesto dall’amministrazione comunale. Condivisibile è poi la tesi della ricorrente secondo cui in caso di inadempimento a tale obbligo il rimedio sarebbe costituito, piuttosto, da forme legali di recupero coattivo e giammai dall’inibizione del realizzando intervento.

5.2. Per quanto riguarda poi la regolarità contributiva, come effettivamente messo in evidenza dalla difesa della società ricorrente – e al di là delle attestazioni già presentate e relative a periodi piuttosto recenti rispetto alla DIA (3 gennaio 2008 e 31 marzo 2008) – questa va attestata prima dell’inizio dei lavori, ai sensi dell’art. 3, comma 8, lett. b-ter), del decreto legislativo n. 494 del 1996, e non necessariamente al momento della formazione del titolo edilizio. La circostanza che, in caso di assenza di tale documentazione, il titolo abilitativo viene sospeso, sta proprio a dimostrare che quest’ultimo può essere rilasciato, nelle more, anche senza il DURC.

5.3. Le censure qui complessivamente affrontate meritano dunque accoglimento.

6.1. Per tutte le considerazioni esposte il ricorso è fondato e deve essere pertanto accolto. Per l’effetto va annullata la nota n. 15219 in data 27 maggio 2008 del Comune di Manduria e, con esclusivo riferimento alla sospensione delle pratiche DIA, la nota di indirizzo assessorile n. 13910 del 14 maggio 2008 (annullamento parziale peraltro già disposto con sentenza n. 5809 del 15 gennaio 2009 di questa stessa sezione).

6.2. Deve invece essere respinta l’istanza risarcitoria, stante la sua genericità.

6.3. Sussistono in ogni caso giusti motivi, attesa la novità delle questioni affrontate, per compensare tra le parti le spese e le competenze del presente giudizio.

P.Q.M.

Il Tribunale Amministrativo Regionale per la Puglia – Lecce, Prima Sezione, definitivamente pronunciando sul ricorso n. 1096/2008, lo accoglie e per l’effetto annulla:

1. la nota n. 15219 in data 27 maggio 2008;
2. nei sensi e nei limiti indicati in motivazione, la nota di indirizzo assessorile n. 13910 del 14 maggio 2008.

Spese compensate.

Ordina che la presente sentenza sia eseguita dall’Autorità Amministrativa.

Così deciso in Lecce, nella camera di consiglio del 17 dicembre 2008.

Aldo Ravalli – Presidente

Massimo Santini – Estensore

Pubblicata mediante deposito

in Segreteria il 29 gennaio 2009

Fonte: www.giustizia-amministrativa.it

Tribunale Amministrativo Regionale per la Puglia – Sezione di Lecce nr. 193/09

Composto dai Sigg.ri Magistrati:

Luigi Costantini Presidente

Enrico d’Arpe Consigliere

Giuseppe Esposito Referendario, estensore

ha pronunciato la seguente
SENTENZA

sul ricorso iscritto al R.G. n. 2348/1994 proposto dai Sigg.ri AMMIRABILE NICOLA e FANIZZA ANGELO, rappresentati e difesi dall’avv. Francesco Trane e domiciliati presso la Segreteria T.A.R.,

contro

– il Comune di Fasano, in persona del legale rappresentante Sindaco p.t., rappresentato e difeso dall’avv. Ottavio Carparelli ed elettivamente domiciliato in Lecce alla Via Zanardelli n. 7, presso l’avv. Angelo Vantaggiato;

per l’annullamento

della deliberazione della Giunta Municipale del Comune di Fasano n. 422 dell’11/5/1994, ad oggetto la rideterminazione delle modalità di recupero delle somme percepite a seguito dell’inquadramento nell’VIII qualifica funzionale;

nonché per l’annullamento delle deliberazioni di G.M. n. 991 del 17/12/1993 e n. 42 del 26/1/1994 (già impugnate con ricorso R.G. 964/94) e di ogni altro atto presupposto, connesso o consequenziale, nella parte in cui risultasse lesivo dei diritti dei ricorrenti,

e per la declaratoria

del diritto dei ricorrenti alla restituzione delle somme trattenute, oltre interessi e rivalutazione monetaria.

Visto il ricorso, con i relativi allegati;

Visto l’atto di costituzione in giudizio del Comune di Fasano, in persona del legale rappresentante Sindaco p.t., e la documentazione esibita;

Vista l’ordinanza n. 1483 del 3 agosto 1994, con la quale è stata respinta l’istanza cautelare;

Visti gli atti tutti della causa;

Udito il relatore Ref. Giuseppe Esposito e uditi altresì, all’udienza pubblica del 18 dicembre 2008, per i ricorrenti l’avv. Antonio Astuto, in sostituzione dell’avv. Francesco Trane, e per il Comune di Fasano l’avv. Angelo Vantaggiato, in sostituzione dell’avv. Ottavio Carparelli.

Ritenuto e considerato in fatto e in diritto quanto segue:

FATTO

I ricorrenti, dipendenti del Comune di Fasano con la qualifica di “Collaboratore Direttivo Tecnico” e già inquadrati nella VII qualifica funzionale, impugnano la deliberazione della Giunta Municipale del Comune di Fasano n. 422 dell’11/5/1994, ad oggetto la rideterminazione delle modalità di recupero delle somme percepite a seguito dell’inquadramento nell’VIII qualifica funzionale, chiedendo altresì che sia dichiarato il loro diritto a ottenere la restituzione delle somme trattenute, oltre interessi e rivalutazione monetaria.

Premettono che l’inquadramento nell’ottava qualifica funzionale, disposto in loro favore ai sensi del D.L. 22 settembre 1990, n. 264, veniva annullato dalla Commissione Centrale per gli organici degli Enti Locali, stante la mancata conversione del D.L. citato e atteso che il successivo D.L. 24 novembre 1990, n. 344 (convertito con legge 23 gennaio 1991, n. 21) riservava espressamente il beneficio dell’inquadramento nella qualifica superiore al personale del comparto universitario.

Aggiungono che, con ordinanza n. 665/94, questo Tribunale aveva sospeso le deliberazioni della G.M. n. 991 del 17/12/1993 e n. 42 del 26/1/1994 (con cui il Comune di Fasano aveva stabilito il recupero delle somme corrisposte, e impugnate con ricorso R.G. 964/94), mentre con l’attuale deliberazione sono state rideterminate le modalità di recupero (da 48 a 96 rate), computandovi però gli interessi al tasso legale.

A sostegno della presente impugnativa è stata dedotta la violazione di legge e l’eccesso di potere, per elusione ed inottemperanza di provvedimento giurisdizionale, falsa applicazione dell’art. 2033 cod. civ. ed erroneità nei presupposti.

Per i ricorrenti, la rideterminazione delle modalità di recupero delle retribuzioni è illegittima (sostanziandosi nella elusione dell’ordine di sospensione del recupero, impartito da questo TAR) ed ingiusta, nella parte in cui cumula alla sorte capitale l’ammontare degli interessi.

Inoltre, i ricorrenti ripropongono il motivo formulato nel ricorso R.G. 964/94, sostenendo che le retribuzioni non sono state erroneamente corrisposte, costituendo il corrispettivo dell’attività prestata, con mansioni corrispondenti alla qualifica posseduta.

Si è costituito in giudizio il Comune di Fasano, eccependo l’irricevibilità del ricorso per tardività (in quanto la delibera impugnata è consequenziale al provvedimento della Commissione Centrale per gli organici degli Enti Locali del 6/4/1993, di mancata approvazione della modifica della pianta organica, portato a conoscenza dei ricorrenti in data 23/6/1993 e non tempestivamente impugnato), contrastando nel merito le deduzioni dei ricorrenti e concludendo per la reiezione del ricorso.

Con ordinanza n. 1483 del 3 agosto 1994 è stata respinta l’istanza cautelare.

All’udienza pubblica del 18 dicembre 2008 il ricorso è stato assegnato in decisione.

DIRITTO

1.- La controversia promossa dai ricorrenti è stata a più riprese già esaminata da questa Sezione, con riferimento al ricorso proposto dai ricorrenti avverso i provvedimenti di determinazione della retribuzione prevista per la VII qualifica funzionale e di inquadramento in tale qualifica, nonché al ricorso (in questa sede richiamato) avverso i precedenti atti di recupero.

1.1.- Per quanto riguarda il motivo con cui i ricorrenti ripropongono che ad essi spetta l’inquadramento in questione, è sufficiente riportarsi alle precedenti decisioni, con cui è stato statuito:

* che l’inquadramento dei ricorrenti nella VIII qualifica funzionale non è mai divenuto esecutivo, poiché gli atti di modifica della pianta organica non sono stati approvati in sede tutoria dalla Commissione Centrale per gli organici degli Enti Locali (sentenza n. 2033/08, pubblicata il 1° luglio 2008), per cui i ricorrenti andavano inquadrati nella VII qualifica funzionale (sentenza n. 7/09, pubblicata il 7 gennaio 2009);
* che, comunque, il beneficio dell’inquadramento nell’VIII q.f. era applicabile unicamente ai dipendenti non docenti del comparto universitario (sentenza n. 2/09, pubblicata il 7 gennaio 2009).

1.2.- Con riferimento al motivo con cui viene censurate la delibera che stabilisce di procedere al recupero delle somme, va innanzitutto osservato che non è rinvenibile alcuna elusione dell’ordine impartito con l’ordinanza di sospensione del precedente atto di recupero, poiché essa non comportava che la P.A. non potesse adottare un atto dal diverso contenuto, stante il disposto dell’art. 26 l. TAR, che fa salvi gli ulteriori provvedimenti dell’Amministrazione.

Per quanto attiene alla doverosità del recupero, il Collegio condivide la costante giurisprudenza in tema di emolumenti indebitamente percepiti, la quale ha ravvisato sempre sussistente l’interesse pubblico alla ripetizione delle somme, purché attuata con modalità tali da non incidere significativamente sulle esigenze di vita del lavoratore (per tutte, TAR Lazio – Sez. I, 1° aprile 2008 n. 2764).

In ordine alla circostanza che siano stati calcolati gli interessi legali sulle somme da ripetere, va osservato che tale determinazione è legittima, in applicazione del principio per cui il recupero delle somme si estende all’obbligazione accessoria degli interessi maturati (cfr. Cons. Stato – Sez. VI, 25 settembre 2007 n. 4929: “in materia di crediti derivanti da rapporti di pubblico impiego, l’Amministrazione è obbligata, in caso di emolumenti già erogati al dipendente al recupero della somma relativa, con estensione alle obbligazioni accessorie di interessi legali e rivalutazione monetaria”).

Per le suesposte ragioni, il ricorso va respinto.

2.- Sussistono giusti motivi per disporre l’integrale compensazione tra le parti delle spese del presente giudizio.

P.Q.M.

Il Tribunale Amministrativo Regionale per la Puglia – Seconda Sezione di Lecce, definitivamente pronunciando sul ricorso in epigrafe, lo respinge.

Spese compensate.

Ordina che la presente sentenza sia eseguita dall’Autorità amministrativa.

Così deciso in Lecce, nella Camera di Consiglio del 18 dicembre 2008.

Luigi Costantini – Presidente

Giuseppe Esposito – Estensore

Pubblicata il 31 gennaio 2009

Fonte: www.giustizia-amministrativa.it

Tribunale Amministrativo Regionale per la Puglia Lecce 83/2009

Registro Dec.: 83/2009

Registro Generale: 1870/2008

Il Tribunale Amministrativo Regionale per la Puglia, Terza Sezione di Lecce, nelle persone dei signori Magistrati:

ANTONIO CAVALLARI Presidente

TOMMASO CAPITANIO Primo Referendario, relatore

SILVIA CATTANEO Referendario

ha pronunciato la seguente

SENTENZA

nella Camera di Consiglio del 22 Gennaio 2009

Visto il ricorso n. 1870/2008, proposto da:

ANNA NACCI URSO

rappresentata e difesa dall’avvocato

LORENZO DURANO

con domicilio eletto in LECCE

VIA AUGUSTO IMPERATORE, 16

presso lo studio dell’avvocato

GIOVANNI PELLEGRINO
contro

COMUNE DI CEGLIE MESSAPICA

rappresentato e difeso dall’avvocato

GRAZIA VITALE

con domicilio eletto in LECCE

VIA SCHIPA, 35

presso lo studio dell’avvocato DANIELA ANNA PONZO

per l’annullamento, previa sospensione dell’esecuzione,

della nota prot. n. 0024080 del 30.9.2008, pervenuta alla ricorrente in data 3.10.2008; di qualsiasi atto presupposto. Connesso e/o consequenziale ed in particolare della nota prot. n. 0022386 dell’11.9.2008.

Visti gli atti e i documenti depositati con il ricorso;

Vista la domanda di sospensione della esecuzione del provvedimento impugnato, presentata in via incidentale dalla ricorrente;

Visto l’atto di costituzione in giudizio del Comune di Ceglie Messapica;

Udito il relatore, Primo Referendario Tommaso Capitanio, e uditi, altresì, per le parti gli avv.ti Durano e Vitale.

Considerato che:

* il ricorso va accolto in parte, per le ragioni che si vanno ad esporre.

La sig.ra Nacci Urso impugna il diniego di condono edilizio (ex D.L. n. 269/2003 e L.R. n. 28/2003), che il Comune intimato ha frapposto alla relativa istanza, presentata dalla ricorrente nel dicembre 2004.

Il diniego si fonda sul presupposto che la sig.ra Nacci Urso non ha provato che le opere da sanare fossero state ultimate alla data indicata nella domanda di condono (ossia, al 30 ottobre 2000), il che il civico ente ha ritenuto di desumere dalle seguenti considerazioni e circostanze:

a) alcune delle opere de quibus non risultano dai rilievi aereofotogrammetrici dell’agosto 2003, in possesso del Comune;

b) le opere medesime non compaiono comunque negli elaborati allegati a due denunce di inizio attività presentate dalla ricorrente nel 2001 e nel 2005 e relative sempre al medesimo complesso edilizio;

c) non hanno, infine, valore probatorio tre fatture prodotte dalla sig.ra Nacci Urso in sede di chiarimenti (risalenti all’anno 2000), in quanto dalle stesse non si evince in maniera inequivocabile che i lavori indicati si riferiscono alle opere oggetto della domanda di condono;

* il provvedimento di diniego è censurato per i seguenti motivi:
+ difetto di motivazione, anche per quanto concerne il disconosciuto valore probatorio delle fatture esibite in sede procedimentale dalla ricorrente;
+ irrilevanza del fatto che le opere in argomento non comparivano nelle suddette denunce di inizio attività;
+ errore nei presupposti (in quanto alcune opere comparivano comunque nei rilievi aereofotogrammetrici dell’agosto 2003, mentre altre non erano visibili nei rilievi a cause delle loro ridottissime dimensioni);
* ciò premesso, il Collegio ritiene che il ricorso meriti parziale accoglimento.

In particolare, in base alla documentazione versata in atti dalle parti, appare evidente che le opere contrassegnate con la lettera B1 negli elaborati progettuali allegati alla domanda di condono (si tratta dell’ampliamento del locale di cui alla concessione edilizia in sanatoria n. 418/1996 e della realizzazione del locale destinato a ristorante) compaiono nelle aerofotogrammetrie del 2003 (il che è ammesso dallo stesso Comune).

A questo inequivoco dato fattuale si deve aggiungere il valore probatorio delle fatture commerciali versate in atti dalla ricorrente, le quali, seppure non contengono un riferimento esplicito alle opere in questione, non possono che riferirsi ai locali indicati con la lettera B1. In effetti, tenuto conto della consistenza complessiva dell’esercizio commerciale di cui è titolare la ricorrente (costituito da una fabbricato ad uso turistico-ricettivo, a cui sono annessi due campi da calcetto e una piscina), l’unica collocazione plausibile per il gazebo in legno (fattura n. 07 del 30.1.2000), per i blocchi di cemento, per i tirafondi e per il forno a legna (fattura n. 10 del 28.2.2000) appare essere il locale adibito a bar-ristorante, il quale, come si evince dalla documentazione fotografica allegata al ricorso, presenta una veranda coperta, che in origine doveva essere aperta sui tre lati e che è stata poi chiusa, in modo da ricavarne un ulteriore locale (vedasi anche la concessione edilizia n. 418/1996, depositata dal Comune). A quest’ultimo intervento di riferisce evidentemente la fattura n. 10 del 28.2.2000.

Infine, si deve considerare che la ricorrente, oltre all’autodichiarazione ed alla produzione delle citate fatture, non aveva altri strumenti per comprovare la data di ultimazione delle opere in questione. Né si può annettere valore decisivo al fatto che le opere stesse non erano presenti nelle denunce di inizio attività presentate nel 2001 e nel 2005. Al riguardo, il Comune non poteva escludere a priori che ciò fosse dipeso da una scelta consapevole del tecnico di fiducia della ricorrente, il quale temeva di “confessare” l’esistenza di abusi non ancora sanati. In ogni caso, l’eventuale infedele descrizione dei luoghi operata nelle citate denunce poteva, al massimo, comportare l’annullamento degli atti di assenso formatisi per silentium, ma non anche rifluire su una pratica edilizia diversa.

Pertanto, in parte qua il ricorso va accolto;

* la ricorrente, per converso, non ha provato in maniera sufficiente l’ultimazione delle restanti opere abusive, le quali, in effetti, non compaiono nelle aerofotogrammetrie del 2003. A questo proposito, inoltre, non sono stati forniti al Comune altri elementi probatori che potessero confermare le asserzioni di parte ricorrente, per cui legittimamente il civico ente ha concluso per la reiezione, in parte qua, della domanda di condono.
* in conclusione, il ricorso va accolto in parte, dal che discende la compensazione delle spese di giudizio fra le parti.

Sentiti i difensori delle parti costituite in ordine alla possibilità di definire nel merito il presente giudizio con sentenza in forma semplificata, ai sensi degli artt. 3 e 9 della L. 21.7.2000, n. 205.

P.Q.M.

Il Tribunale Amministrativo Regionale per la Puglia, Terza Sezione di Lecce, accoglie in parte il ricorso indicato in epigrafe.

Spese compensate.

Ordina che la presente sentenza sia eseguita dall’Autorità Amministrativa.

Così deciso in Lecce, nella Camera di Consiglio del 22 gennaio 2009.

Dott. Antonio Cavallari – Presidente

Dott. Tommaso Capitanio – Estensore

Pubblicato mediante deposito

in Segreteria il 26.01.2009

N.R.G. «1870/2008»

Fonte: www.giustizia-amministrativa.it

Tribunale Amministrativo Regionale per la Puglia Sezione Prima di Lecce N.111/2009

Composto dai Signori Magistrati:

Aldo Ravalli Presidente

Ettore Manca Componente – relatore

Massimo Santini Componente

ha pronunziato la seguente:

SENTENZA

sul ricorso n. 1171/07 presentato dalla:

– CO.GE.IN Conglomerati S.r.l., in persona del l.r. pro tempore, rappresentata e difesa dall’Avv. Natalia Pinto ed elettivamente domiciliata in Lecce, presso lo studio dell’Avv. Valeria Pellegrino, alla via Augusto Imperatore 16;

contro

– l’ANAS S.p.a., in persona del l.r. pro tempore, rappresentata e difesa dall’Avvocatura Distrettuale dello Stato di Lecce e presso la medesima domiciliata;

per l’annullamento

– del provvedimento prot. n. CBA-0021227-P del 12.7.07 con cui l’ANAS S.p.a., Compartimento per la Viabilità per la Puglia, escludeva la ricorrente dalla gara n. 12/07 ed escuteva la relativa cauzione provvisoria;

– della nota di trasmissione dello stesso;

– di ogni altro atto presupposto, connesso e/o consequenziale, compresi: il fax del 29.6.07 di richiesta di chiarimenti; il Disciplinare di gara -ove occorra e quanto al motivo di gravame sub 2.3-, nella parte in cui si prescrive di attestare la regolarità contributiva attraverso il D.U.R.C. “di data non anteriore a 30 giorni al termine di scadenza di presentazione dell’offerta” e poi, contraddittoriamente, “in data non anteriore a 30 giorni dalla data della comunicazione di aggiudicazione provvisoria”, nonché nella parte in cui esclude la validità di detto documento laddove attesti la regolarità contributiva successivamente alla predetta data;

– del Bando n. 44/07 del 25.7.07 con cui l’ANAS indiceva nuovamente la gara in oggetto e degli atti di questa nuova gara;

– del provvedimento prot. n. CBA-0005236-P del 12.2.08 con cui l’ANAS S.p.a., Compartimento per la Viabilità per la Puglia, confermava l’esclusione della ricorrente dalla gara n. 12/07 e la conseguente revoca dell’aggiudicazione provvisoria;

e per l’accertamento

– del diritto della società ricorrente a vedersi aggiudicata la gara n. 12/07;

e per la condanna

– della p.a. al risarcimento dei danni.

Visto il ricorso con i relativi allegati.

Visti i proposti motivi aggiunti.

Visto l’atto di costituzione in giudizio dell’ANAS S.p.a..

Visti gli atti della causa.

Designato alla pubblica udienza del 22 ottobre 2008 il relatore Dr. Ettore Manca ed uditi gli Avv.ti Pinto e Pedone -per l’Avvocatura dello Stato.

Osservato quanto segue:

fatto e diritto

1.- Nel ricorso e nei successivi motivi aggiunti si esponeva che:

1.1 la Cogein S.r.l. partecipava alla gara indetta dall’Anas S.p.a. con bando n. 12/07 del 23.4.07 ed avente il seguente oggetto: “SS.SS. 16-101-274-275-695 – Servizio di manutenzione di competenza del Compartimento Anas di Bari consistente in pronto intervento, sgombroneve e antigelo, manutenzione varia […]”.

Detta gara doveva eseguirsi nella Provincia di Lecce ed aveva un importo complessivo pari a euro 210.000.

1.2 Nel bando si prevedeva che le offerte, da presentarsi entro il 17.5.07, sarebbero state rese pubbliche nella seduta del 18.5.07.

1.3 Con nota del 31.5.07 l’Anas comunicava quindi l’avvenuta aggiudicazione provvisoria dell’appalto alla ricorrente e la invitava a trasmettere varia documentazione, tra cui quella relativa alla sua posizione contributiva.

1.4 La richiesta veniva tempestivamente riscontrata dalla società, che trasmetteva una nota in data 14.6.07 con cui il Presidente del Consiglio di Amministrazione dichiarava la regolarità della Cogein sul piano contributivo e allegava copia dell’istanza di rilascio del DURC rivolta alla Cassa Edile della Provincia di Bari.

1.5 Il successivo 10 luglio, quindi, la Cassa Edile riscontrava l’istanza con l’invio del DURC.

1.6 Nel frattempo, tuttavia, Anas comunicava che dalla consultazione online dello Sportello Unico Previdenziale emergeva, alle date del 22.5.07 e del 7.6.07, l’irregolarità contributiva della società nei confronti della Cassa Edile di Bari.

Seguiva l’invito a rendere entro il 2.7.07 idonee giustificazioni.

1.8 Con nota del 29.6.07, dunque, la Cogein precisava che le irregolarità in parola erano state sanate in data 11.5.07 e in data 7.6.07 ed evidenziava come, verosimilmente, l’esito negativo della consultazione informatica dipendeva da un debito per sanzioni ed interessi -pari a euro 350 e comunque estinto il 14.6.07.

1.9 Ciononostante, però, con provvedimento del 12.7.07, l’Anas disponeva l’esclusione della ditta dalla gara, anche richiamando una nota del 6 luglio con cui lo Sportello Unico Previdenziale confermava l’irregolarità della posizione della Cogein al 22.5.07.

1.10 Pochi giorni dopo, quindi, con bando n. 43 del 25.7.07, l’Anas indiceva nuovamente la gara.

2.- La Cogein, pertanto, proponeva il ricorso in esame, per i seguenti motivi:

A) Violazione e falsa applicazione dell’art. 38, comma 1, lett. i), d.lgs. 163/06. Violazione dei principi di trasparenza, buon andamento, proporzionalità, ragionevolezza, efficienza ed economicità dell’azione amministrativa. Violazione del principio di affidamento del cittadino. Eccesso di potere per erronea presupposizione, difetto dei presupposti legali, travisamento ed erronea valutazione dei fatti. Violazione e vizi del procedimento. Illogicità, perplessità ed ingiustizia manifesta. Insufficienza della motivazione. Difetto di istruttoria. Slealtà. Sviamento.

B) Violazione e falsa applicazione dell’art. 38, comma 1, lett. i), d.lgs. 163/06 e della Direttiva del Consiglio 18.6.92 92/50/CEE. Violazione dei principi di trasparenza, buon andamento, proporzionalità, ragionevolezza, efficienza ed economicità dell’azione amministrativa. Eccesso di potere per erronea presupposizione, difetto dei presupposti legali, travisamento ed erronea valutazione dei fatti. Illogicità, perplessità ed ingiustizia manifesta. Inosservanza di Circolari (Circ. INPS n. 92 del 26.7.05). Difetto di istruttoria. Slealtà. Sviamento.

C) Violazione e mancata applicazione dell’art. 7 l. 241/90. Violazione dei principi di trasparenza e buon andamento dell’azione amministrativa. Violazione del principio di affidamento del cittadino. Eccesso di potere per violazione e vizi del procedimento. Carenza della motivazione. Difetto di istruttoria. Slealtà. Sviamento.

D) Illegittimità propria e derivata della nuova procedura di gara –indetta dalla p.. dopo l’esclusione della ricorrente.

3.- Alla proposizione del ricorso, accompagnato da istanza di tutela cautelare, seguivano il Decreto Presidenziale n. 753/07, le Ordinanze nn. 806/07 e 888/07 di questo T.a.r. e l’Ordinanza n. 6539/07 del Consiglio di Stato, provvedimenti tutti favorevoli alla Cogein Conglomerati -sul presupposto che “ad una prima delibazione, appa[rivano] condivisibili le censure formulate dalla Società ricorrente (aggiudicataria provvisoria) incentrate sull’errata applicazione dell’art. 38 lett. i) del Decreto L.gs. 12 aprile 2006 n. 163, in ragione dell’omissione, da parte della stazione appaltante intimata, della necessaria puntuale valutazione e verifica se la contestata violazione degli obblighi contributivi sia da ritenersi grave e definitivamente accertata, in quanto il semplice documento D.U.R.C. attestante l’irregolarità contributiva (ad una certa data) non può essere reputato sufficiente a cagionare l’esclusione dell’impresa provvisoriamente aggiudicataria”.

3.1 Nell’inottemperanza dell’Anas, quindi, il T.a.r. -sollecitato dalla ricorrente- adottava l’ordinanza n. 49 del 23.1.08, disponendo che la p.a. provvedesse, entro il 15.2.08, alle verifiche ritenute necessarie con le citate decisioni cautelari.

3.2 In esecuzione dell’ordinanza predetta, quindi, l’Anas adottava il provvedimento prot. n. CBA-0005236-P del 12.2.08, con cui si confermava peraltro l’esclusione della ricorrente dalla gara n. 12/07 e la conseguente revoca dell’aggiudicazione provvisoria.

4.- Lo stesso veniva dunque impugnato con motivi aggiunti, articolati nei termini che seguono:

E) Violazione dell’ordine del giudice. Violazione e falsa applicazione dell’art. 38, comma 1, lett. i), d.lgs. 163/06, della Direttiva del Consiglio 18.6.92 92/50/CEE e della legge 266/02. Violazione della lex specialis di cui al bando ed al disciplinare di gara. Violazione dei principi di trasparenza e buon andamento dell’azione amministrativa. Eccesso di potere per erronea presupposizione, difetto dei presupposti legali, travisamento ed erronea valutazione dei fatti. Violazione e vizi del procedimento. Illogicità, perplessità ed ingiustizia manifesta. Insufficienza della motivazione. Difetto di istruttoria. Slealtà. Sviamento.

F) Violazione degli artt. 48 e 75 d.lgs. 163/06.

Eccesso di potere per erronea presupposizione, difetto dei presupposti legali, travisamento ed erronea valutazione dei fatti. Violazione e vizi del procedimento. Illogicità, perplessità ed ingiustizia manifesta. Insufficienza della motivazione. Difetto di istruttoria. Slealtà. Sviamento.

G) Illegittimità propria e derivata.

5.- All’udienza del 22 ottobre 2008 la causa era introitata per la decisione.

6.- Tanto premesso in fatto, il Collegio rileva che il ricorso è infondato e va respinto per i motivi che di seguito si esporranno.

7.- Deve anzitutto ricordarsi come l’art. 38, comma 1, lett. i), d.lgs. 163/06 preveda che:

– “Sono esclusi dalla partecipazione alle procedure di affidamento delle concessioni e degli appalti di lavori, forniture e servizi, nè possono essere affidatari di subappalti, e non possono stipulare i relativi contratti i soggetti:

[…]

i) che hanno commesso violazioni gravi, definitivamente accertate, alle norme in materia di contributi previdenziali e assistenziali, secondo la legislazione italiana o dello Stato in cui sono stabiliti”.

7.1 Successivamente all’aggiudicazione provvisoria della gara, dunque, l’Anas chiedeva allo Sportello Unico Previdenziale presso la Cassa Edile di Bari il D.U.R.C. relativo alla Cogein: tale Documento, peraltro, emesso il 20.6.07, attestava una posizione di irregolarità nel versamento dei contributi alla data del 22.5.07.

7.2 Seguiva, il 29.6.07, una richiesta di giustificazioni alla Cogein, da quest’ultima riscontrata, come già scritto, con nota in pari data nella quale si faceva presente di aver sanato la propria posizione con versamenti effettuati in data 11 maggio e 7 giugno (per euro 48.656 e 10.321, relativi ai contributi per i mesi di gennaio, febbraio, marzo ed aprile 2007).

7.3 Già in base a quanto dichiarato dalla ricorrente, dunque, deve rilevarsi come, alla data del 17.5.07, termine finale per la presentazione delle offerte, la stessa non avesse una posizione contributiva regolare -atteso che, appunto, essa affermava di aver effettuato il secondo versamento solo il 7 giugno successivo.

7.4 Sul punto deve quindi ricordarsi come secondo la prevalente interpretazione della giurisprudenza amministrativa “la regolarità contributiva deve riferirsi esclusivamente alla data di scadenza del termine di presentazione delle domande di partecipazione ad una pubblica gara, con esclusione di ogni successiva regolarizzazione” (cfr. T.a.r. Lazio Roma, III, 16 luglio 2008, n. 4607; ed ancora: “In tema di presentazione di offerte in gare per l’affidamento di appalti pubblici, la successiva regolarizzazione della posizione contributiva non assume rilevanza ai fini delle determinazioni che conseguono all’accertamento di irregolarità contributive esistenti al momento della gara”; T.a.r. Sicilia Palermo, III, 11 settembre 2007, n. 2009),

7.5 E d’altronde questo stesso Tribunale, con la sentenza n. 5465/06 del 24.11.06, motivava nei sensi che seguono:

“Ritenuto […] che la regolarità contributiva, nel senso che sarà esplicitato in seguito, è requisito indispensabile per la partecipazione alla gara, con la conseguenza che l’impresa deve essere in regola con i relativi obblighi fin dalla presentazione della domanda (cfr., tra le altre, T.a.r. Abruzzo, Pescara, 7 aprile 2005, n. 173; nonché Cons. Stato, V, 27 dicembre 2004, n. 8215 e IV, 20 settembre 2005, n. 4817, T.a.r. Lazio, II-ter, 14 febbraio 2005, n. 1259) e che sono irrilevanti eventuali adempimenti tardivi”.

7.6 Deve inoltre osservarsi come anche successivamente alla scadenza dei termini in parola l’Anas effettuasse una serie di verifiche sulla posizione della Cogein, riscontrando ancora reiterate situazioni di irregolarità contributiva, in alcune occasioni anche per somme estremamente significative (e così nei confronti dell’Inail di Monopoli, per euro 252.380,74 alla data del 21.8.07; ancora nei confronti dell’Inail di Monopoli, per euro 291.486,00 alla data del 17.9.07. Ed in ogni caso si vedano i Durc allegati al provvedimento del 12.2.08, dai quali emergevano situazioni di irregolarità contributiva alle seguenti date: 17.5.07; 22.5.07; 7.6.07; 19.6.07; 25.6.07; 17.7.07; 30.7.07; 21.8.07; 22.8.07; 13.9.07; 1.10.07; 24.10.07; 31.10.07; 20.11.07).

7.7 La situazione fin qui descritta, d’altronde, neppure perde di rilievo in ragione delle allegazioni effettuate dalla ricorrente, tese a dimostrare, a certe date, l’avvenuta regolarizzazione dei suoi rapporti con gli enti previdenziali: ciò che emerge, difatti, è un atteggiamento per così dire oscillante della impresa, la quale, alternando periodi di regolarità nei pagamenti con periodi di irregolarità, nella sostanza si trovava quasi sempre a rincorrere le proprie esposizioni debitorie. Atteggiamento sicuramente non conforme ai parametri normativi in materia, per i quali “la regolarità contributiva, come è reso palese dalle stesse parole impiegate, è […] un concetto ben più ampio, che comporta l’assenza di qualsiasi inadempienza agli obblighi previdenziali, iniziando dal mancato tempestivo pagamento delle somme dovute a seguito di dichiarazioni e denunce da parte del medesimo soggetto interessato.

Pertanto non si riferisce solo a quelle evenienze in cui, soprattutto a seguito di accertamenti o rettifiche da parte degli enti previdenziali, possano sorgere contenziosi di non agevole e pronta definizione, ovvero alle altrettanto non frequenti ipotesi in cui si tratta di verificare le condizioni per un condono o per una rateizzazione.

Il legislatore vuole invero escludere dalla contrattazione con le amministrazioni quelle imprese che non siano corrette (regolari) per quanto concerne gli obblighi previdenziali, anche, e forse soprattutto, con riferimento alle ipotesi in cui non si adempia ad obblighi rispetto ai quali non vi siano ragionevoli motivi per non effettuare o comunque per ritardare il pagamento.

Si può anzi affermare che quest’ultime ipotesi siano anch’esse gravi (indipendentemente dall’importo del contributo dovuto), proprio perché rivelano un atteggiamento di trascuratezza verso gli obblighi previdenziali, ritenuti probabilmente meno importanti rispetto ad altri obblighi” (Cons. St., V, 1.8.07, n. 4273).

7.8 Il carattere reiterato delle delineate situazioni di irregolarità, infine, evidenzia, oltre alla gravità delle medesime, anche la loro obiettiva incontestabilità, soddisfacendo così il requisito per cui deve ritenersi la rilevanza “non già di ogni irregolarità contributiva di qualsivoglia sorta, ma di una irregolarità che può definirsi qualificata dalle norme in questione, ossia una irregolarità grave e definitivamente accertata” (T.a.r. Lecce, sentenza n. 5465/06 citata).

In quest’ultimo senso, peraltro, depongono le stesse dichiarazioni della Cogein, la quale ammetteva di aver dovuto regolarizzare precedenti posizioni di irregolarità dapprima con la nota in data 29.6.07, nella quale si faceva riferimento ai versamenti dell’11 maggio e del 7 giugno 2007 (per euro 48.656 e 10.321), e quindi con nota del 4.12.07, relativa ad un’esposizione debitoria per complessivi euro 552.276.

8.- In ragione di quanto fin qui esposto l’esclusione della Cogein dalla gara in oggetto e gli atti conseguenti erano dunque legittimi: il ricorso va pertanto respinto e la domanda risarcitoria rigettata.

9.- Sussistono giusti motivi, attesa la complessità delle questioni trattate, per compensare integralmente fra le parti le spese di questo giudizio.

p.q.m.

Il Tribunale Amministrativo Regionale per la Puglia, Sezione Prima di Lecce, respinge il ricorso n. 1171/07 indicato in epigrafe.

Rigetta la domanda risarcitoria formulata.

Spese compensate.

Ordina che la presente sentenza sia eseguita dall’Autorità Amministrativa.

Così deciso in Lecce, nella camera di consiglio del 22 ottobre 2008.

Aldo Ravalli – Presidente

Ettore Manca – Relatore

Pubblicata mediante deposito

in Segreteria il 29 gennaio 2009

Fonte: www.giustizia-amministrativa.it