Tribunale Regionale di Giustizia Amministrativa Sezione Autonoma per la Provincia di Bolzano N.176/2009

costituito dai magistrati:

Anton WIDMAIR – Presidente f.f.

Marina ROSSI DORDI – Consigliere

Hans ZELGER – Consigliere, relatore

Terenzio DEL GAUDIO – Consigliere

ha pronunziato la seguente

S E N T E N Z A

sul ricorso iscritto al n. 113 del registro ricorsi 2008

presentato da

AGRI S.p.a., in persona del legale rappresentante p.t., dott. Giovanni Podini, rappresentata e difesa dagli avv.ti Dieter Schramm e Nausicaa Mall, con domicilio eletto presso lo studio legale Volgger & Grüner, in Bolzano, Via Carducci, n. 8, come da mandato speciale a margine del ricorso;

– ricorrente –

c o n t r o

COMUNE di BOLZANO, in persona del Sindaco pro tempore, che sta in giudizio in forza della deliberazione della Giunta municipale n. 288 dd. 29.4.2008, rappresentato e difeso dagli avv.ti Marco Cappello, Bianca Maria Giudiceandrea e Alessandra Merini, con elezione di domicilio presso l’Avvocatura del Comune, Vicolo Gumer, n. 7, giusta delega a margine dell’atto di costituzione; – resistente –

e nei confronti di

UNIONE COMMERCIO TURISMO E SERVIZI della PROVINCIA AUTONOMA DI BOLZANO, in persona del suo Presidente pro tempore, sig. Walter Amorth, rappresentata e difesa dall’avv. Siegfried Brugger, con domicilio eletto presso il proprio studio, in Bolzano, Via Cappuccini, n. 5, giusta delega in calce all’atto di intervento; – interveniente ad opponendum –

per l’annullamento

del provvedimento del Sindaco di Bolzano prot. n. 6943 dd. 25.1.2008, notificato in data 28.1.2008, avente ad oggetto l’annullamento in via di autotutela dell’autorizzazione amministrativa per l’esercizio del commercio al dettaglio per il settore merceologico “non alimentare” n. 10058//13005 dd. 12.5.2004, mq 150, e della comunicazione per apertura di nuovo esercizio – piccole strutture di vendita al dettaglio per il settore merceologico “non alimentare” n. 23657 dd. 6.7.2006, mq 150, entrambe in via Galilei 20 di Bolzano;

Visto il ricorso notificato il 31.3.2008 e depositato in segreteria il 14.4.2008 con i relativi allegati;

Visto l’atto di costituzione in giudizio del Comune di Bolzano depositato il 3.9.2008;

Visto l’atto di intervento ad opponendum dell’Unione Commercio Turismo e Servizi della Provincia autonoma di Bolzano, notificato il 25.9.2008 e depositato il 26.9.2008;

Vista l’ordinanza collegiale istruttoria n. 43/08, depositata in data 15.10.2008, con cui con cui è stata ordinata l’esibizione di documentazione da parte dell’Amministrazione comunale e disposto il rinvio all’udienza di merito del 14.1.2009;

Vista l’ordinanza collegiale n. 5/09, depositata in data 20.1.2009, con cui sono state ordinate ulteriori incombenze istruttorie e disposto il rinvio dell’udienza di merito all’1.4.2009;

Viste le memorie prodotte;

Visti gli atti tutti della causa;

Designato relatore per la pubblica udienza dell’1.4.2009 il consigliere Hans Zelger ed ivi sentiti l’avv. N. Mall e D. Schramm per la società ricorrente, l’avv. M. Cappello per il Comune di Bolzano e l’avv. C. Perathoner, in sostituzione dell’avv. S. Brugger, per l’Unione Commercio Turismo e Servizi della Provincia autonoma di Bolzano;

Ritenuto e considerato in fatto e in diritto quanto segue:

F A T T O

La società ricorrente presentava al Comune di Bolzano, in data 10 ottobre 2000, domanda di autorizzazione per l’apertura di una piccola struttura di vendita al dettaglio, di mq 150, in via Galilei, n. 20 (settore merceologico non alimentare). In relazione a tale domanda il Comune rilasciava a favore della Agri Spa, in data 12 maggio 2004, l’autorizzazione amministrativa n. 10058/13005 (doc.ti da 3 a 7 del Comune).

La stessa società inoltrava al Comune di Bolzano, in data 6 luglio 2006, una comunicazione di apertura di una piccola struttura di vendita (“nuovo esercizio”), di mq 150, in via Galilei n. 20, settore merceologico non alimentare (comunicazione n. 13657 – doc. n. 8 del Comune).

Con nota del 7 novembre 2007 l’Amministrazione comunale comunicava alla società ricorrente l’avvio del procedimento di annullamento, in via di autotutela, delle sopraccitate autorizzazioni amministrative per l’esercizio del commercio al dettaglio (doc. 14 del Comune).

La società Agri Spa presentava al Comune di Bolzano le proprie controdeduzioni con nota del 15 novembre 2007 (doc. n. 15 del Comune).

Con l’impugnato provvedimento sindacale del 25 gennaio 2008 veniva disposto l’annullamento, in via di autotutela, dell’autorizzazione amministrativa per l’esercizio del commercio al dettaglio n. 10058/13005 del 12 maggio 2004 e della comunicazione n. 13657 del 6 luglio 2006 (doc. 2 del Comune).

A fondamento del gravame proposto la società ricorrente ha dedotto i seguenti motivi:

1. “Violazione ed errata applicazione dell’art. 4, comma 2, L.P. n. 7/2000 (ordinamento del commercio); validità dell’autorizzazione, in subordine la domanda di autorizzazione vale come comunicazione”;
2. “Violazione ed errata applicazione dell’art. 8, comma 2, DPGP 39/2000; anche in relazione al mancato invito dell’amministrazione a produrre i documenti necessari di cui al comma 2 dello stesso articolo e alla mancanza di motivazione sul punto”;
3. “Eccesso di potere per inosservanza / violazione di giudicato, rispettivamente per travisamento / errata interpretazione di sentenza. Conseguente errata classificazione della zona de qua come “zona produttiva”, invece che come c.d. “zona mista” di Bolzano”;
4. “Violazione ed erronea applicazione dell’(abrogato) art. 48/quinquies e/o dell’(attuale) art. 44/ter L.P. n. 13/1997 (legge urbanistica provinciale). Eccesso di potere per insufficiente, rispettivamente contraddittoria motivazione sul punto”;
5. “Eccesso di potere per annullamento in autotutela in assenza di interesse pubblico concreto. Travisamento dei fatti per comparazione con casi del tutto diversi. Insufficiente motivazione sul punto”.

Si è formalmente costituito in giudizio il Comune di Bolzano, con atto depositato il 3 settembre 2008, riservandosi di controdedurre nel prosieguo e chiedendo il rigetto del ricorso, siccome infondato.

Con atto notificato alle parti il 25 settembre 2008 è intervenuta in giudizio, ad opponendum, l’Unione Commercio Turismo e Servizi della Provincia autonoma di Bolzano, chiedendo il rigetto del ricorso, in quanto infondato.

Con memoria depositata il 27 settembre 2008 il Comune di Bolzano ha esposto le proprie controdeduzioni, insistendo per il rigetto del ricorso.

All’udienza pubblica dell’8 ottobre 2008 il procuratore della ricorrente ha rinunciato ai termini di difesa in relazione all’intervento ad opponendum dell’Unione Commercio Turismo e Servizi della Provincia autonoma di Bolzano, contestandone, però, la legittimazione ad intervenire e chiedendone l’estromissione dal giudizio, in quanto nessuno degli associati dell’Unione è parte in causa. Il procuratore dell’Unione Commercio Turismo e Servizi si è opposto all’eccezione in quanto, essendo un ente esponenziale della categoria mercantile in provincia di Bolzano, ha un preciso interesse ad un’ inequivocabile interpretazione delle norme applicate nella vicenda controversa.

Sentite le parti, il ricorso veniva poi trattenuto in decisione.

Con ordinanza collegiale n. 43/08, depositata il 15 ottobre 2008, il Tribunale ha disposto l’acquisizione in giudizio dei seguenti documenti:

* “planimetrie relative a ciascun piano dell’esistente edificio ex Famila (poi Eurospar + Sorelle Ramonda), in via Galilei, le quali pongano in rilievo i limiti delle singole superfici in relazione alle quali sono state rilasciate autorizzazioni commerciali e indichino, per ciascuna delle dette superfici, gli estremi della rispettiva autorizzazione commerciale o della comunicazione fatta ai sensi dell’art. 4 della legge provinciale 17.2.2000, n. 7; nelle planimetrie richieste dovranno risultare anche le superfici libere;
* copia delle relazioni tecniche relative alla concessione edilizia n. 41/2005 e alle successive varianti.

Inoltre, ha chiesto di conoscere “i numeri delle particelle edificali e i numeri civici dell’edificio ex Famila, nonché dei demoliti edifici ex Maxi C+C e Officine Salzburger”.

In data 21 novembre 2008 l’Amministrazione ottemperava alla suddetta richiesta, esibendo copia delle planimetrie relative a ciascun piano dell’esistente edificio denominato “ex Famila” e precisando che “da una verifica eseguita presso l’Ufficio Attività economiche e concessioni, non risulta tuttavia che alle singole licenze commerciali sia mai stata allegata la planimetria di riferimento di cui alla specifica concessione edilizia, e per tale ragione risulta concretamente impossibile indicare, per ciascuna delle superfici, gli estremi delle rispettive autorizzazioni commerciali o delle comunicazioni fatte ai sensi dell’art. 4 della L.P. 7/00”. Venivano inoltre prodotte in giudizio le relazioni tecniche relative alla concessione edilizia n. 41/2005 e indicati i numeri civici e le particelle edificiali, come richiesto.

Nei termini di rito le difese della ricorrente e dell’Amministrazione producevano memorie a sostegno delle rispettive difese.

All’udienza pubblica del 14 gennaio 2009, sentite le parti, il ricorso veniva nuovamente trattenuto in decisione.

Con ordinanza collegiale n. 5/09, depositata il 20.1.2009, ritenuto necessario, ai fini della decisione, di completare l’istruttoria, il Tribunale ha chiesto all’Amministrazione di:

* “indicare la superficie complessiva dell’edificio denominato ex Famila (p.ed. 2926, via Galilei 14, 16, 18, 20, 20A e 20B), con l’indicazione, all’interno di essa, della superficie destinata al commercio al dettaglio;
* elencare le autorizzazioni amministrative per il commercio al dettaglio rilasciate in via Galilei 14, 16, 18, 20, 20A e 20B, indicando per ciascuna di esse a quale numero civico corrisponda e la superficie di vendita autorizzata (nel caso in cui ciò non risulti agli atti del competente ufficio, si chiede di verificare, attraverso apposite misurazioni, la superficie effettivamente destinata al commercio al dettaglio);
* indicare quali delle suddette autorizzazioni sono oggi attive;
* ricostruire il quadro storico delle diverse destinazioni urbanistiche dell’area interessata, con l’indicazione dei relativi provvedimenti adottati nel tempo”.

In data 19 febbraio 2009 l’Amministrazione ottemperava alla suddetta richiesta, rispondendo ai quesiti posti ed esibendo documentazione a supporto dei chiarimenti forniti.

All’udienza pubblica dell’1 aprile 2009, sentite le parti, il ricorso veniva nuovamente trattenuto in decisione.

D I R I T T O

1) In primis deve essere esaminata l’eccezione sollevata dalla difesa della ricorrente in relazione alla legittimazione dell’Unione Commercio Turismo e Servizi ad intervenire ad opponendum nella presente vertenza, chiedendone l’estromissione dal giudizio, in quanto nessuno degli associati dell’Unione sarebbe parte in causa.

1a) L’eccezione non è fondata

1b) Le associazioni di settore sono legittimate a difendere in sede giurisdizionale gli interessi di categoria dei soggetti di cui hanno la rappresentanza istituzionale o di fatto, non solo quando si tratti della violazione di norme poste a tutela della categoria stessa, ma anche ogniqualvolta si tratti di perseguire comunque il conseguimento di vantaggi, sia pure di carattere puramente strumentale, giuridicamente riferibili alla sfera della categoria, con l’unico limite derivante dal divieto di occuparsi di questioni concernenti i singoli iscritti ovvero capaci di dividere la categoria in posizione disomogenee. Tali principi sono a loro volta la proiezione dell’altro principio secondo cui l’interesse collettivo deve identificarsi con l’interesse di tutti gli appartenenti alla categoria unitariamente considerata e non con interessi di singoli associati o di gruppi di associati atteso che un’associazione di categoria è legittimata a proporre ricorso a tutela della totalità dei suoi iscritti, non anche per la salvaguardia di posizioni proprie di una parte sola degli stessi. Nella presente vertenza l’Unione ha un inequivocabile interesse all’interpretazione e all’applicazione delle norme che riguardano l’esercizio del commercio al dettaglio nelle zone destinate all’attività produttiva e, anche, nelle zone cosiddette miste, al fine di garantire il principio di parità di trattamento di tutta la categoria in situazioni simili ed al fine prevenire eventuali rischi che potrebbero falsare la concorrenza nel commercio al dettaglio in Provincia di Bolzano (vedasi anche Consiglio Stato, sez. V, 07 settembre 2007, n. 4692).

2) Nel merito il ricorso è infondato.

3) Per una migliore economia processuale questo Collegio ritiene di non dover seguire l’ordine dei motivi proposti nel ricorso. Infatti, il giudice amministrativo non è vincolato all’ordine impresso dalla parte ricorrente alla trattazione dei motivi di invalidità, in quanto, pur spettando al ricorrente determinare l’ambito e i limiti della cognizione sulla legittimità del provvedimento amministrativo definendo, attraverso i motivi e le loro argomentazioni, le ragioni per le quali ne chiede l’ annullamento, tuttavia è il giudice, sulla base della valutazione delle priorità logiche, a dover individuare l’ordine secondo cui le censure vanno esaminate, tenendo conto della loro consistenza oggettiva e della relazione fra le stesse esistente, indipendentemente dalla richiesta delle parti.

4) Con i motivi dedotti in giudizio, che per connessione logico-giuridica possono essere esaminati congiuntamente, la ricorrente deduce che l’ampia motivazione del provvedimento impugnato, avente per oggetto l’annullamento di autorizzazione amministrativa rispettivamente di una comunicazione di cui all’art. 4 della l.p. n. 7/2000 per l’apertura di due nuovi esercizi in via G. Galilei n. 20 per il commercio al dettaglio, da un punto di vista logico-sistematico, potrebbe essere suddivisa in:

* motivi di rigetto tratti dalla disciplina del commercio;
* motivi di rigetto desunti dalla disciplina urbanistica;
* motivi di interesse pubblico e di parità di trattamento.

a) Per quanto riguarda i primi, classificati dallo stesso Comune come preminenti, il Comune lamenterebbe – limitatamente all’autorizzazione rilasciata – il contrasto con l’art. 4, comma 2, L.P. n. 7/2000, in quanto tale disposizione prevedrebbe che l’apertura di piccoli esercizi è soggetta a comunicazione al Comune competente e quindi l’autorizzazione del Comune prevista dalla vigente normativa solo per le medie strutture non andava neppure emessa, salvo poi rilevare – in modo del tutto contraddittorio – l’illegittimità (della sola?) autorizzazione per contrasto con l’art. 8, comma 2, DPGP n. 39/2000 (regolamento di esecuzione dell’ordinamento del commercio), per mancata produzione, da parte della ricorrente e prima del materiale rilascio dell’autorizzazione stessa, di planimetria approvata dei locai in questione riportante la destinazione d’uso di commercio al dettaglio.

b) In ordine alla disciplina urbanistica, il Comune di Bolzano – sul presupposto della classificazione della zona in cui si troverebbe l’immobile di via Galilei 20 come “zona produttiva” – in sostanza eccepirebbe che le uniche attività commerciali al minuto ivi consentite sarebbero quelle previste dalla restrittiva normativa urbanistica in materia (vecchio art. 48/quinquies, ora art. 44/ter, comma 3, legge urbanistica provinciale n. 13/1997), nonché le preesistenze e loro ampliamenti con esclusione quindi del commercio al dettaglio di prodotti “alimentari” e “non alimentari”.

c) Con il terzo gruppo di motivi il Comune asserirebbe che con il provvedimento impugnato esso avrebbe inteso salvaguardare l’interesse pubblico e la parità di trattamento, segnatamente in riferimento ai noti casi “Trony” e “Electronia”.

4a) Il nocciolo della questione dedotta in giudizio riguarda, quindi, il problema se la ricorrente può vantare il diritto al rilascio di autorizzazioni per l’apertura nello stabile di cui al civico n. 20 di Via G. Galilei di nuovi esercizi di commercio al dettaglio e se l’annullamento delle autorizzazioni,ovvero delle comunicazioni per l’apertura di nuovo esercizio di cui all’art. 4, comma 2, della l.p. n. 7/2000 (nuovo ordinamento del Commercio) in epigrafe meglio specificati, disposto dal Comune di Bolzano in sede di autotutela ed impugnato con la presente vertenza, sia legittimo o meno.

5) Con una prima censura la ricorrente contesta il provvedimento di annullamento in quanto il Comune asserirebbe che l’autorizzazione n. 10058/13005 “non andava nemmeno emessa” in quanto riguardante una struttura con superficie di vendita non superiore a 150 mq per la quale l’art. 4, comma 2, L.P. n. 7/2000 disporrebbe che l’apertura di tali piccoli esercizi è soggetta (solo) a previa comunicazione al Comune competente.

Sarebbe, però, del tutto assurdo non riconoscere che, pur se l’autorizzazione nel caso concreto non era formalmente necessaria, la stessa potrebbe semmai considerarsi un “di più” non dovuto, ma non certo un atto per questo motivo viziato. Sarebbe, infatti, ovvio che un atto superfluo non può considerarsi, solo per tale motivo, un atto illecito, potendo derivare l’illiceità di un atto solo dal fatto che il suo contenuto o la sua forma è in contrasto con relative norme imperative. Non potrebbe certo derivarsi l’illiceità di un atto dal fatto che lo stesso abbia forma “maggiore”, e quindi offrente più garanzie, di quella prevista.

La ricorrente conclude che l’autorizzazione, pur se superflua, è stata rilasciata a seguito di domanda contenente tutte le indicazioni/ prescrizioni previste per le comunicazioni di cui all’art. 4, comma 2, indicato, e ha forma “maggiore” della comunicazione stessa.

5a) Tale censura non incide per la decisione della presente vertenza.

5b) Infatti, in base all’art. 4, comma 2, della legge provinciale n. 7/2000 (nuovo ordinamento del commercio) l’apertura, il trasferimento di sede e l’ampliamento della superficie di vendita fino al limite di cui al comma 1 (cioè 150 m²) di una piccola struttura di vendita sono soggetti a previa comunicazione al comune competente per territorio e possono essere effettuati decorsi 30 giorni dal ricevimento della comunicazione, a meno che la richiesta contenga errori o lacune o violi la normativa vigente in materia.

È da sottolineare che sia l’autorizzazione al commercio al dettaglio sia la comunicazione di cui all’art. 4, comma 2, non devono contenere né errori o lacune, né devono violare la normativa vigente in materia.

L’autorizzazione e la comunicazione sono state annullate con il provvedimento impugnato perché contengono vizi d’illegittimità che verranno esaminati in prosieguo.

6) Con un altro mezzo di censura la ricorrente deduce che il Comune sarebbe incorso in eccesso di potere per inosservanza/violazione di giudicato rispettivamente per travisamento/errata interpretazione della sentenza del Consiglio di Stato n. 5205 del 19.7.2005, cioè, per errata classificazione della zona de qua, in cui è situato l’immobile, come “zona produttiva” invece che come c.d. “zona mista”.

Il Comune, quindi, avrebbe del tutto travisato il significato della sentenza del Consiglio di Stato n. 5205/04 citata, che si riferisce proprio all’immobile sito in Via Galilei 20, non osservando il relativo giudicato, sia per quanto riguarda la classificazione urbanistica dell’area in questione, sia (di conseguenza) per quanto riguarda i limiti entro i quali sarebbe ivi esercitabile il commercio al dettaglio.

Il Comune nel provvedimento impugnato – asserendo addirittura che questo sarebbe il motivo di diniego principale, su cui il rigetto si fonderebbe in primis – eccepirebbe che la ricorrente, con le domande dd. 10.10.2000, volta ad ottenere l’autorizzazione di cui in epigrafe, e con la comunicazione dd. 6.7.2006, di cui all’art. 4, comma 2, l.p. n. 7/2000, annullate in via di autotutela con il provvedimento qui impugnato, non avrebbe prodotto, in violazione dell’art. 8, comma 2, DPGP 39/2000, la planimetria dei locali di vendita approvata e riportante la destinazione d’uso di commercio al dettaglio, risp. che comunque tale planimetria non sarebbe esistita al momento dell’emanazione, da parte del Comune, delle autorizzazioni annullate, e che anzi ciò, nel caso di specie, non sarebbe nemmeno possibile in quanto l’edificio si troverebbe in fase di ristrutturazione.

6a) La ricorrente deduce, inoltre, le seguenti ulteriori censure:

* l’art. 8, comma 2, DPGP n. 39/2000 sarebbe applicabile solo in relazione alle autorizzazioni per medie e grandi strutture di vendita, mentre per i due esercizi, oggetto del provvedimento di autotutela impugnato, hanno una superficie di 150 mq e sarebbero quindi da classificarsi come piccoli esercizi; il richiamo a tale articolo sarebbe pertanto del tutto errato; non si potrebbe nemmeno parlare di applicabilità della disposizione in esame limitatamente all’autorizzazione annullata, in quanto tale autorizzazione sarebbe, in realtà, atto superfluo e si dovrebbe ritenere che la relativa domanda dd. 10.10.2000 sarebbe da considerare quale comunicazione;
* in stretto subordine, comunque, l’art. 8, comma 2, del DPGP in questione dispone quanto segue: “Le domande di rilascio dell’autorizzazione debbono essere esaminate secondo l’ordine cronologico di presentazione. Prima del rilascio materiale dell’autorizzazione, l’autorità competente richiede all’interessato tutti i documenti non già in suo possesso e ritenuti necessari … ed in particolare la planimetria dei locali di vendita, approvata dall’organo competente e riportante la destinazione d’uso di commercio al dettaglio”;
* la norma prescriverebbe quindi il seguente iter: l’interessato inoltra domanda di autorizzazione, che l’amministrazione esamina e accoglie o rigetta; solo in caso di provvedimento di accoglimento – che, si badi bene, non è ancora l’autorizzazione commerciale in sè – e solo in caso di esplicita richiesta da parte dell’amministrazione, se ed in quanto la stessa lo reputa necessario, l’interessato sarebbe poi tenuto a fornire all’amministrazione, prima del materiale rilascio della licenza stessa, i documenti richiesti tra cui la planimetria con la destinazione d’uso.

Pertanto, la norma in questione non prescriverebbe ex lege la necessità di produzione della planimetria in questione, ma prevedrebbe l’onere di produzione della stessa da parte dell’interessato solo se espressamente richiesto dall’amministrazione prima del rilascio materiale dell’autorizzazione in quanto ritenuta dalla stessa necessaria.

Evidentemente, nel caso in esame, l’amministrazione non avrebbe ritenuto necessario richiedere la produzione del documento de quo prima del rilascio delle autorizzazioni, per cui le stesse non potrebbero ora essere annullate in via di autotutela, adducendo una tale motivazione.

Alla luce dei criteri interpretativi letterali e logici, e anche alla luce della prassi ormai consolidatasi nella Provincia di Bolzano, (cioè, dell’inoltro delle planimetria alle amministrazioni solo su espressa richiesta) sarebbe evidente l’erroneità dell’interpretazione data dal Comune alla norma in esame e la conseguente violazione delle stesse.

6b) Le censure della ricorrente non sono convincenti.

6c) Giova all’uopo riportare l’art. 8, comma 2, del Regolamento di esecuzione della legge provinciale 17 febbraio 2000 n. 7, approvato con D.P.G.P. 30.10.2000 n. 39 che dispone: “2. Le domande di rilascio dell’autorizzazione debbono essere esaminate secondo l’ordine cronologico di presentazione. Prima del rilascio materiale dell’autorizzazione, l’autorità competente richiede all’interessato tutti i documenti non già in suo possesso e ritenuti necessari a certificare i fatti e i dati dichiarati all’atto della domanda, salvo quelli per i quali è sufficiente ed è stata resa l’autocertificazione, ed in particolare la planimetria dei locali di vendita, approvata dall’organo competente, e riportante la destinazione d’uso di commercio al dettaglio.”

Dal predetto disposto si evince, senza ombra di dubbio, che la produzione della planimetria dei locali di vendita è presupposto indispensabile per il rilascio di un’autorizzazione all’apertura di un esercizio di commercio al dettaglio.

Tale obbligo vale sia per la richiesta delle autorizzazioni per medie e grandi strutture di vendita, sia per i piccoli esercizi, in quanto l’art. 4, comma 2, della l.p. n. 7/2000 dispone che l’apertura di una piccola struttura di vendita è soggetta a previa comunicazione al comune competente per territorio, a meno che la richiesta contenga errori o lacune o violi la normativa vigente in materia.

Prescrivendo la normativa, vigente in materia, all’art. 8, comma 1, della l.p. n. 7/2000 ed all’art. 8, comma 2, del D.P.G.P. n. 39/2000 che l’esercizio del commercio al dettaglio è strettamente legato alla superficie concretamente disponibile, non rimane spazio interpretativo per esentare i piccoli esercizi (fino a 150 m²) dall’obbligo di dimostrare tale disponibilità; ciò già in sede di deposito della comunicazione presso il comune competente per territorio.

Non giova alla ricorrente addurre che sarebbe ormai prassi consolidata nella Provincia di Bolzano che la planimetria sarebbe da produrre solo su espressa richiesta del Comune. Tale prassi, peraltro, solo dichiarata e non provata dalla ricorrente, non esonererebbe la Pubblica Amministrazione dall’applicazione della norma positiva in vigore (cioè l’art. 8 del regolamento sopra specificato), atteso che la consuetudine (rispettivamente la prassi) può avere efficacia solo in quanto richiamata da una legge, secondo il principio di gerarchia delle fonti di cui all’art. 8 disp. prel.c.c.

Parimenti infondata è l’asserzione della ricorrente che, nel caso di specie (per l’autorizzazione dd. 12.5.2004, ora annullata), si sarebbe trattato solo della comunicazione del Comune dell’avvenuto accoglimento della domanda per l’apertura di un nuovo esercizio e che tale comunicazione non sarebbe ancora da classificare “autorizzazione commerciale” in sè. La lettura del provvedimento impugnato e dei provvedimenti con esso annullati (doc. n. 1 e 2 ricorso e doc. n. 7 Comune) danno la conferma incontestabile che il Comune di Bolzano aveva rilasciato l’autorizzazione amministrativa e che la ricorrente aveva inviata la comunicazione per l’apertura di un nuovo esercizio per la vendita al dettaglio in sede fissa, da attivarsi in Via G. Galilei n. 20. Tale fatto viene, inoltre, affermato dalla stessa ricorrente in sede di esposizione del fatto del ricorso.

6d) In sede di esame della presente vertenza è emersa la necessità di disporre l’acquisizione in giudizio di diversa documentazione, dettagliatamente elencata in “fatto”. Il Comune di Bolzano ha ottemperato alle ordinanze di questo Tribunale n. 42/2008 e n. 5/2009 fornendo i chiarimenti in relazione alla posizione degli stabili contrassegnati con i relativi numeri civici ed in relazione alla superficie disponibile per l’esercizio del commercio al dettaglio.

Tali chiarimenti si erano resi necessari affinché questo Collegio possa avere certezza che per ogni autorizzazione rilasciata risp. per ogni comunicazione depositata presso il Comune di Bolzano corrisponda risp. siano disponibili, anche in concreto, le superfici risultanti ed indicate nelle comunicazioni risp. nelle autorizzazioni, ciò in applicazione del disposto dell’art. 8 della l.p. n. 7/2000 nonché dell’art. 8 del rispettivo regolamento di esecuzione approvato con D.P.G.P. n. 39/2000.

6e) In relazione alla numerazione civica l’Amministrazione comunale di Bolzano ha chiarito con la dichiarazione sotto riportata che risultano attribuiti i seguenti numeri civici ai rispettivi edifici, d’interesse ai fini della decisione della presente vertenza, situati lungo la Via G. Galilei e precisamente:

“Per quanto concerne infine la richiesta indicazione dei numeri delle particelle edificiali e dei numeri civici dell’edificio ex Famila, nonché dei demoliti edifici ex Maxi C+C ed Officine Salzburger, si fornisce apposita tavola del SIT, Sistema Informativo Territoriale e si fa presente quanto segue:

– Numeri delle particelle edificiali e dei numeri civici dell’edificio ex Famila: p. ed. n. 2926 cui sono attribuiti i civici n. 14 – 16 – 18 – 20 – 20A – 20B;

– Particella edificale dell’edificio Maxi C+C: p.ed. n. 1196/1: Attualmente, non essendoci alcuna edificazione, alla p.ed in questione non è attribuito nessun numero civico, in passato era attribuito il n. 22;

– Particella edificale dell’edificio ex Officine Salzburger: p.ed n. 1193 – 1194 e 1195. Attualmente, non essendoci alcuna edificazione, alle p.ed in questione non è attribuito nessun numero civico, in passato era attribuito il n. 24.”

6f) Il Comune di Bolzano, inoltre, ottemperando alle precise richieste di questo Tribunale, formulate con l’ordinanza n. 5/2009, ha depositato in data 19 febbraio 2009 una relazione chiarendo che:

– la superficie complessiva ed attualmente utilizzabile nello stabile situato in via G. Galilei su p.ed. 2926 C.C. Dodiciville, al quale sono assegnati i numeri civici 14, 16, 18, 20, 20° e 20B, tolti 937 m² adibiti a spazi accessori (quali scale, uffici, magazzini ecc.), è di m² 2671 (3.608 m² – 937).

I calcoli delle superfici attualmente disponibili per il commercio al dettaglio non vengono significatamente contestati dalla ricorrente, anzi dalla memoria conclusiva può essere desunto che, a seguito delle visure catastali, lo stabile in questione risulterebbe avere una superficie complessiva di m² 3.831, di cui però solo 2.000 m² coperti (solo questi ultimi quindi utilizzabili ai fini del commercio al dettaglio – vedasi anche regolamento di esecuzione n. 39/2000, art. 1 e seguenti).

A questa superficie sarebbero da aggiungere, tolti 306 m² destinati ad uffici, 1.492 m² (1798 m² – 306 m²) in fase di realizzazione.

A tale superficie, utilizzabile a scopi di commercio al dettaglio, fanno capo le seguenti autorizzazioni:

– autorizzazioni attive che occupano una superficie di m² 3.122 (32 + 1.500 + 1.590 m²);

– autorizzazioni sospese in attesa del certificato di abitabilità 960 m² (360 + 280 + 290 m²);

– autorizzazioni annullate con il provvedimento impugnato 300 m² (150 + 150 m²).

Dai conteggi sopra esposti e forniti dal Comune può essere desunto che le superfici delle autorizzazione attive superano gli spazi attualmente disponibili (2.671 m²) ai fini dell’esercizio del commercio al dettaglio.

Invece, le superfici complessivamente utilizzabili dopo l’ultimazione dei lavori (di ampliamento dell’edificio al civ. n. 20) saranno di m² 4.163 m² (2.671 + 1492 m²) che faranno capo a m² 4.082 di autorizzazioni attive o sospese in attesa del certificato di agibilità. Per cui, dopo l’agibilità delle superfici sopra riportate la ricorrente disporrà di m² 81 (4.163 – 4082), sfruttabili per l’ampliamento delle autorizzazioni in atto ovvero per l’apertura di nuovi esercizi.

Quindi, dai calcoli sopra riportati questo Collegio trae la conclusione che tutte le superfici dello stabile su p.ed. 2926, che corrisponde al n. civico 20 (ivi inclusi i numeri civici 14, 16, 18, 20 A e 20B), utilizzabili a fini di commercio al dettaglio sono interessate ed occupate dalle autorizzazioni attive o sospese in attesa del certificato di agibilità: la differenza disponibile di m² 81 non raggiunge minimamente l’estensione per giustificare neanche una delle autorizzazioni annullate con il provvedimento impugnato (150 + 150 m²).

Giustamente, pertanto, il Comune ha annullato, in via di autotutela, le autorizzazioni, oggetto della presente vertenza, in quanto, ai sensi della legge provinciale n. 7 del 17.2.2000 (Nuovo ordinamento del Commercio) e del regolamento di esecuzione approvato con D.P.G.P. 30.10.2000 n. 39 mancava un presupposto essenziale, cioè una superficie concretamente utilizzabile per l’esercizio del commercio al dettaglio, visto che in base alle norme appena citate (art. 7) è vietato esercitare il commercio al dettaglio in base ad autorizzazioni diverse nello stesso locale.

Per queste considerazioni, quindi, giustamente il Comune di Bolzano ha annullato le autorizzazioni, oggetto della presente vertenza, perché al rilascio ostavano ab initio i presupposti urbanistici, cioè, mancavano in concreto le superfici su cui esercitare il commercio al dettaglio. Inoltre, l’art. 8 della legge provinciale n. 7/2000 (Nuovo ordinamento del commercio) vieta l’esercizio del commercio al dettaglio in base ad autorizzazioni diverse nello stesso locale, cioè, sulle superfici già occupate da altre autorizzazioni. Quindi, mancavano ab initio i presupposti richiesti dal “Nuovo ordinamento del commercio” per il rilascio delle autorizzazioni. Il Comune di Bolzano, giustamente, ha rivalutato in sede di annullamento, l’esistenza di tali presupposti, visto anche che lo stesso Consiglio di Stato affermava nella sentenza n. 5205 del 19.7.2004 che “resta in ogni caso salva ed impregiudicata ogni ulteriore valutazione dell’Amministrazione in ordine alla compatibilità delle richieste autorizzazioni con la vigente normativa, statale e provinciale, in materia di commercio”.

6g) Non giova alla ricorrente il tentativo di far considerare facenti parte del civico n. 20 di Via G. Galilei anche gli erigendi edifici sulle pp.ed. 1196/1, 1193, 1194, e 1995, già n. civici 22 rispettivamente 24.

A tal fine il Collegio concorda con il Comune di Bolzano che, giusta i disposti della legge n. 1228 del 24.12.1954 e del regolamento di esecuzione, approvato con D.P.R. n. 223 del 30.5.1989, la numerazione civica è assegnata dai comuni (art. 10 legge) unicamente per edifici esistenti e che un apposito numero civico deve essere assegnato a tutti gli accessi esterni ed anche interi (art. 42 regolamento). L’assegnazione del numero civico è di competenza esclusiva del Comune che può sostituirsi al proprietario dell’edificio qualora tale numerazione civica non viene applicata dallo stesso secondo le indicazioni impartite (art. 43 regolamento).

Incontestabile è il fatto che il numero civico 20 (ivi compresi i vari numeri indicanti le singole entrate esterne e interne) di via G. Galilei fa capo unicamente allo stabile di cui all’edificio su p.ed. 2926.

È fuori luogo qualsiasi richiamo, da parte della ricorrente, a situazioni esistenti nei decenni pregressi, in quanto, i Comuni sono tenuti, in applicazione del disposto dell’art. 47 del citato regolamento n. 223/1989, in sede di ogni censimento generale della popolazione, alla revisione dell’onomastica e della numerazione civica per adeguarle alla situazione esistente, avendo all’uopo particolare riguardo anche a nuove costruzioni ed a demolizioni. L’art. 47 del regolamento n. 223/89 determina che la predetta revisione deve essere effettuata d’ufficio, indipendentemente dalla richiesta dei proprietari dei fabbricati di cui all’art. 43 ed a prescindere dall’eventuale carattere abusivo di nuove costruzioni.

Essendo l’ultimo censimento generale della popolazione stato effettuato nell’anno 2001 è da considerare, quindi, unicamente la situazione della numerazione civica attribuita ai vari edifici a partire da tale data.

Infine, spetterà al Comune, in applicazione della normativa sopra citata, assegnare agli erigendi edifici sulle pp.ff. 1196/1, 1193, 1194, 1995, già numeri civici 22 e 24, i numeri civici per i vari accessi esterni ed anche interni prima del rilascio del certificato di agibilità. In altre parole, non spetta al proprietario degli edifici scegliere il numero civico degli accessi esterni ed interni, cioè, a scegliere quali accessi fanno capo a numeri civici gia assegnati (nel caso di specie il numero 20 di via G. Galilei).

Il Comune di Bolzano ha chiarito, in ottemperanza delle ordinanze n. 42/2008 e 5/2009, per quanto è d’interesse per la decisione della presente vertenza, la situazione della numerazione civica attribuita ai vari edifici in via Galilei, all’atto dell’invio delle comunicazioni al Comune rispettivamente del rilascio delle autorizzazioni, oggetto della presente vertenza, e ciò indipendentemente dell’attuale posizione ove le targhe, ed in specifico la targa n. 20, è stata applicata.

6h) Ai fini della decisione della presente vertenza, questo Collegio ritiene, pertanto, non ncessario disporre, come richiesto dal difensore del Comune di Bolzano in sede di discussione in pubblica udienza, la formale acquisizione del verbale di constatazione del Servizio controllo costruzioni del Comune di Bolzano n. 484 dd. 23.7.1998 e del verbale di constatazione dello stesso Servizio n. 104 dd. 31.3.2009. Con tale documentazione sarebbe stato accertato che la targa con il numero civico 20 sarebbe stata rimossa dallo stabile su p.ed. 2926 ed applicata su una parete di un edificio in costruzione.

Sarà, comunque, cura della Segreteria di questo Tribunale trasmettere per competenza, in applicazione del disposto dell’art. 331 c.p.p., copia del verbale di udienza dell’1.4.2009 e di questa sentenza alla Procura della Repubblica di Bolzano, per le valutazioni di competenza.

6i) A completamento delle considerazioni che precedono è da aggiungere che la stessa ricorrente, presentando le varie richieste di concessione edilizia per la realizzazione, rectius demoricostruzione, degli edifici sulle pp.ed 1196/1, 1193, 1194, 1995, già numeri civici 22 e 24, non aveva indicato per tali immobili qualsiasi numero civico come può essere rilevato dai documenti nn. 16, 18, 20, 21, 22, 23 depositati dal Comune. Ciò anche in rispetto delle indicazioni dell’art. 43 del regolamento DPR n. 223/1989, in base al quale l’assegnazione del numero civico è prevista non appena ultimata la costruzione del fabbricato e prima del rilascio del certificato di agibilità.

7) Si rivelano insussistenti anche le censure rivolte avverso le motivazioni contenute nel provvedimento impugnato per mancata esposizione dell’interesse pubblico concreto nonché per travisamento dei fatti per comparazione con casi del tutto diversi e per insufficiente motivazione sul punto.

La ricorrente espone che tra l’emissione dell’autorizzazione dd. 12.5.2004 rispettivamente della comunicazione di cui all’art. 4 della l.p. n. 7/2000 dd. 6. 7.2006 e il provvedimento di annullamento in autotutela impugnato dd. 25.01.2008, sarebbe trascorso un considerevole lasso di tempo, sicuramente sufficiente ad ingenerare nella ricorrente il concreto affidamento circa la legittimità delle autorizzazioni rilasciate, anche in mancanza di attuale apertura dei relativi esercizi in quanto l’edificio si trova ancora in fase di costruzione.

Ne discenderebbe che, secondo consolidata giurisprudenza, il Comune nella motivazione del provvedimento impugnato, oltre ai motivi di presunta illegittimità, avrebbe dovuto addurre anche un interesse pubblico concreto per il quale intendeva annullare gli atti, comparando lo stesso all’interesse privato sacrificato.

7a) Ritiene il Collegio che nel caso di specie non possa essere lamentato che sarebbe trascorso un significativo lasso di tempo sufficiente ad ingenerare nella ricorrente il concreto affidamento circa la legittimità delle autorizzazioni rilasciate, semplicemente anche per il fatto che le autorizzazioni non erano state attivate entro l’anno dalla data di rilascio, per cui, visto che non risulta agli atti una richiesta di proroga, per comprovata necessità, le stesse sarebbero state comunque oggetto di revoca ai sensi dell’art. 23 della legge provinciale n. 7 del 17.2.2000.

Inoltre, dal provvedimento stesso possono essere desunti sufficienti motivi di interesse pubblico tali da giustificare l’annullamento. Infatti, dal documento impugnato risulta: “considerato l’interesse pubblico al pedissequo rispetto delle norme vigenti ed alla disciplina del settore del commercio secondo criteri di trasparenza ed imparzialità, ravvisata la necessità di impedire il rilascio di autorizzazioni commerciali in contrasto con le vigenti prescrizioni urbanistiche e di evitare inaccettabili situazioni di disparità di trattamento (vedasi caso Trony e caso Electronia).” Ritiene, quindi, questo Collegio che l’interesse pubblico sia stato sufficientemente motivato, visto che, nel caso contrario, ovvero nel caso del mancato annullamento delle autorizzazioni sarebbero state create disparità, le quali il Comune di Bolzano classifica inaccettabili; per casi esattamente analoghi a quelli per cui è causa, come sottolinea l’Amministrazione resistente nelle memorie difensive.

Inoltre, nel caso di specie si trattava, all’atto dell’annullamento del provvedimento impugnato, non solo dell’accertamento di meri vizi formali, ma di vizi sostanziali, facilmente conoscibili anche dalla ricorrente stessa (mancanza totale delle superfici necessari per l’apertura di nuovi esercizi del commercio al dettaglio), che non fanno nascere in capo alla ricorrente stessa un affidamento apprezzabile sulla regolarità della sua posizione.

8) Per queste considerazioni e poiché per consolidata giurisprudenza é sufficiente la legittimità di un unico motivo per rendere legittimo l’intero provvedimento, ancorché gli altri non lo siano, il Collegio ritiene legittimo il provvedimento impugnato.

Il Collegio ritiene, quindi, che possa prescindersi dall’esame degli altri motivi di impugnazione, visto anche che, nel tempo intercorso dall’annullamento ad oggi sono state emanate nuove norme (l.p. n. 3 del 2.7.2007) in materia di attività commerciale nelle zone per insediamenti produttivi (comprese quelle classificate nei piani urbanistici zone di completamento) e che nel caso di riavvio del procedimento per il rilascio di autorizzazioni, ovvero nel caso di invio delle comunicazioni di cui all’art. 4, comma 2, della l.p. n. 7/2000 troverà applicazione il principio “tempus regit actum”; considerato, in aggiunta, che nella sentenza n. 5205/2004 risulta: “Ciò, si badi, non perché non sia consentito, nella Provincia Autonoma di Bolzano, il diniego di un’autorizzazione commerciale per ragioni di ordine urbanistico (ché anzi occorre sottolineare come in detta Provincia l’attività di commercio risulti condizionata all’osservanza della disciplina urbanistica dalla legge provinciale n. 68/1978 e, in particolare, dall’art. 16, quarto comma, che impone il rispetto delle concessioni edilizie relative alla destinazione ed all’uso dei vari edifici nelle zone urbane, nonché dall’art. 19, primo comma, che esige il rispetto delle norme relative alla destinazione d’uso di tali edificii: v. Consiglio Stato, sez. V, 4 gennaio 1993, n. 22 ), ma in forza della insufficienza ed intrinseca contraddittorietà delle cennate considerazioni di carattere urbanistico, sulle quali il Comune di Bolzano ha fondato gli impugnati dinieghi e la Provincia Autonoma di Bolzano il rigetto dei ricorsi gerarchici avverso gli stessi proposti.”

Nel caso di specie il Collegio ritiene, altresì, di poter prescindere dall’esame della questione se per lo stabile in Via Galilei n. 20 dovesse tersi conto delle statuizioni di cui alla sentenza del Consiglio di Stato, Sezione IV, n. 4205 del 19.4.2004, visto che il presente ricorso va respinto per la mancanza di superfici sufficienti all’apertura di nuovi esercizi nello stabile di cui al civico n. 20 e non per il fatto che nello stabile su p. ed. 2926, contrassegnato con il numero civico 20, non sia ammesso il commercio al dettaglio.

Sussistono sufficienti motivi per la compensazione delle spese di giudizio, vista la complessità della materia che ha richiesto ben due procedimenti istruttori.

P.Q.M.

Il Tribunale Regionale di Giustizia Amministrativa – Sezione Autonoma di Bolzano – disattesa ogni contraria istanza ed eccezione, definitivamente pronunciando, rigetta il ricorso.

Spese compensate tra le parti.

Il contributo unificato va posto per metà a carico della ricorrente e per metà a carico del Comune di Bolzano.

Ordina la trasmissione degli atti alla competente Procura della Repubblica.

Ordina che la presente sentenza venga eseguita dall’Autorità amministrativa. Così deciso in Bolzano, nella camera di consiglio dell’1.4.2009.

IL PRESIDENTE f.f. L’ESTENSORE

Anton WIDMAIR Hans ZELGER

/mg

N. R.G. 113/2008

Fonte: www.giustizia-amministrativa.it

Tribunale Amministrativo Regionale per la Puglia – Lecce 127/2009

Registro Ricorsi: 1095/2008

Composto dai Signori Magistrati:

Aldo Ravalli Presidente

Ettore Manca Primo Referendario

Massimo Santini Referendario est.

Ha pronunziato la seguente

SENTENZA

Sul ricorso n. 1095/2008 presentato dalla SAIM s.r.l., in personale del legale rappresentante sig. Santo Masilla, rappresentata e difesa dall’Avv. Luca Vergine, presso il cui studio in Lecce al viale Otranto n. 117 è elettivamente domiciliata;

contro

il Comune di Manduria, in persona del Sindaco pro tempore, rappresentato e difeso dall’Avv. Arcangelo Maurizio Passiatore ed elettivamente domiciliato in Lecce alla via Zanardelli n. 7 presso lo studio dell’Avv. Angelo Vantaggiato;

per l’annullamento

1. della nota n. 16816 in data 12 giugno 2008 del Comune di Manduria con cui si ordina di non effettuare l’intervento diretto alla realizzazione di un impianto eolico di potenza inferiore ad 1 MW;
2. della nota di indirizzo assessorile n. 13910 del 14 maggio 2008;
3. di ogni altro atto connesso, presupposto e consequenziale.

Visto il ricorso con i relativi allegati;

Visto l’atto di costituzione in giudizio dell’Amministrazione comunale, resistente;

Viste le memorie rispettivamente prodotte dalla parti a sostegno delle proprie difese;

Visti tutti gli atti di causa;

Designato alla pubblica udienza del 17 dicembre 2008 il relatore Massimo Santini, referendario, uditi altresì l’Avv. Vergine per il ricorrente e l’Avv. Passiatore per l’amministrazione resistente;

Ritenuto e considerato in fatto e in diritto quanto segue.

FATTO

La società ricorrente ha presentato in data 6 maggio 2008 denuncia di inizio attività, ai sensi dell’art. 12 del decreto legislativo n. 387 del 2003 e della legge Regione Puglia n. 1 del 2008, per la realizzazione di un impianto eolico di piccola taglia, di potenza pari a 0,85 MW.

L’intervento sarebbe da localizzare in area agricola non sottoposta a vincoli di natura paesaggistica, anche ai sensi del PUTT.

Con nota n. 16816 in data 12 giugno 2008 il Comune di Manduria ordinava di non effettuare l’intervento, attesa la carenza della seguente documentazione:

1. Copia titolo reale del richiedente in ordine all’immobile e copia documento identità del proprietario a fini di assenso alla realizzazione dell’intervento;
2. DURC (documento unico di regolarità contributiva);
3. Relazione tecnica attestante la localizzazione in area agricola;
4. Relazione geologica e geotecnica;
5. Relazione tecnica concernente la produzione del materiale di risulta;
6. Diritti di segreteria.

Con la stessa nota si faceva altresì presente che: 1) l’impianto sarebbe sottoposto ad autorizzazione unica, e non a DIA, in quanto ai sensi della delibera regionale n. 35 del 2007 la DIA si applica soltanto agli impianti eolici non superiori a 60 kw di potenza, oppure di potenza ricompresa tra 60 kw ed 1 MW ma comunque destinati all’autoconsumo. Nel caso di specie, trattandosi di impianto pari a 0,85 MW di potenza non destinato all’autoconsumo, si dovrebbe seguire il procedimento della autorizzazione espressa; b) essendo in corso di predisposizione il regolamento comunale per la disciplina dei suddetti impianti di energia rinnovabile, tutte le relative pratiche sarebbero state temporaneamente sospese (ossia per 60 gg.) in applicazione della nota assessorile n. 13910 del 14 maggio 2008.

La società interponeva dunque ricorso giurisdizionale per i seguenti motivi:

1. Violazione e falsa applicazione dell’art. 23 del DPR n. 380 del 2001 (Testo Unico Edilizia), in quanto il provvedimento inibitorio è stato adottato oltre il termine perentorio di trenta giorni previsto dalla indicata disposizione affinché si formi validamente il titolo edilizio. Né è stato adottato al riguardo un qualsivoglia provvedimento di autotutela, mancando in ogni caso sia la comunicazione di avvio del procedimento, sia la valutazione dell’interesse pubblico all’annullamento;
2. Violazione di legge nella parte in cui l’atto di indirizzo assessorile determina in concreto la sospensione (atipica) di un titolo edilizio già validamente formatosi. Il richiamo alla delibera n. 35 del 2007 è peraltro erroneo, in quanto essa si riferisce ai macro impianti;
3. Eccesso di potere per errore nei presupposti di fatto e di diritto, atteso che dalla documentazione prodotta in allegato alla DIA si poteva ben evincere il possesso di ogni attestazione e certificazione di cui il Comune eccepiva la mancanza. Il DURC deve inoltre essere presentato prima dell’inizio dei lavori;
4. Violazione della legge regionale n. 1 del 2008 e della delibera regionale n. 35 del 2007, la quale prevede il procedimento di autorizzazione unica solo per i macro impianti e non anche quelli di piccola taglia.

La ricorrente chiedeva inoltre il risarcimento dei danni patiti per effetto dei provvedimenti illegittimamente adottati.

Si è costituito in giudizio il Comune di Manduria, il quale ha eccepito tra l’altro che:

1. Anche dopo lo spirare dei trenta giorni il Comune può sempre intervenire con provvedimenti repressivi, in virtù di propri poteri di autotutela, di vigilanza e sanzionatori;
2. l’atto di sospensione assessorile è dettato da esigenze di tutela del patrimonio agricolo e paesaggistico;
3. in ogni caso, la carenza documentale è tanto grave da non aver fatto nemmeno scattare il termine legalmente previsto;

Con memoria di udienza depositata in data 26 novembre 2008, la stessa difesa dell’amministrazione comunale ha altresì fatto presente che:

4. il termine di trenta giorni non poteva in ogni caso scattare in assenza di autorizzazione paesaggistica, trattandosi di area soggetta a vincolo;
5. il contratto di locazione non è stato registrato;
6. secondo quanto previsto dalla circolare regionale in data 1° agosto 2008, nel caso di specie non sono stati prodotti: gli elaborati progettuali previsti dal DPR n. 554 del 1999; il nulla osta sull’assenza di interferenze con le linee di comunicazioni elettroniche di cui al d.lgs. n. 259 del 2003; l’assegnazione del punto di connessione da parte dell’ENEL; l’asseverazione del tecnico progettista circa l’assenza di una serie di vincoli (paesaggistico, archeologico, idrogeologici, etc.);
7. Difetta il requisito dell’integrazione dell’impianto con altre strutture a carattere commerciale, industriale o di servizi, così come sarebbe previsto dall’art. 27 della legge regionale n. 1 del 2008;
8. Non risulta rispettato il requisito stabilito dall’art. 2 della legge Regione Puglia n. 31 del 2008, nella parte in cui esclude la realizzazione di siffatti impianti negli ambiti territoriali estesi C e D del PUTT, né quello fissato dal successivo art. 3 della stessa legge regionale, laddove è prescritto che l’area asservita all’intervento sia estesa almeno due volte la superficie radiante.

Alla udienza del 17 dicembre 2008 le parti rassegnavano le proprie rispettive conclusioni ed il ricorso veniva trattenuto in decisione.

DIRITTO

01. Il ricorso è fondato per le ragioni di seguito evidenziate.

1. Giova premettere che le eccezioni sollevate dall’amministrazione resistente, con la memoria in data 26 novembre 2008, in ordine a registrazione del contratto di locazione, elaborati progettuali, nulla osta interferenze, punto di connessione ENEL ed asseverazione circa la assenza di vincoli territoriali, non possono trovare ingresso in questa sede giacché rappresentano profili non altrimenti evidenziati nel provvedimento gravato, configurandosi in tal modo come inammissibile integrazione postuma della motivazione.

Sotto diverso profilo si tratterebbe comunque – almeno per quanto attiene alla menzionata circolare regionale – di normativa inapplicabile al caso di specie, posto che, in ossequio al principio tempus regit actum, alla data di emanazione di detti atti generali il titolo – come si dimostrerà più avanti – si era ormai validamente formato.

Parimenti da respingere è l’eccezione relativa all’esistenza di un vincolo paesaggistico, posto che tale circostanza, oltre ad essere stata rilevata per la prima volta in memoria di udienza e dunque inammissibile per i motivi anzidetti, non è stata altrimenti allegata attraverso elementi di seria consistenza.

2. Ancora in via preliminare si affronta la questione relativa al regime autorizzatorio applicabile, ossia se per la realizzazione dell’impianto in questione (aerogeneratore di potenza pari a 0,85 MW) si possa ricorrere alla DIA oppure sia necessario un procedimento di autorizzazione espressa.

Tale statuizione assume carattere pregiudiziale per stabilire se si possano ritenere o meno trascorsi, dalla presentazione della DIA, i trenta giorni legalmente previsti per la formazione del titolo edilizio.

Secondo la tesi dell’amministrazione comunale, poiché la delibera regionale n. 35 del 2007 limita la DIA ai soli impianti eolici on shore di potenza non superiore a 0,6 MW, oppure di potenza ricompresa tra 0,6 MW ed 1 MW ma destinati all’autoconsumo, per la realizzazione dell’impianto in questione (di potenza pari a 0,85 e non destinato all’autoconsumo) si dovrebbe osservare la procedura dell’autorizzazione espressa.

Ora, in disparte ogni considerazione circa la legittimità sul punto del richiamato atto amministrativo generale (delibera regionale n. 35 del 2007), le specificazioni e le distinzioni sopra evidenziate (riguardanti in particolare la potenza ed il tipo di utilizzo, commerciale o meno, dell’energia prodotta), a ben vedere sconosciute a livello di legislazione statale di principio (decreto legislativo n. 387 del 2003) ove vige il solo limite del megawatt ai fini del regime più o meno semplificato da applicare, non sono state parimenti riprodotte dalla legge regionale n. 1 del 2008 (art. 27), ratione temporis applicabile, che per posizione (nel sistema delle fonti) e criterio cronologico supera e assorbe senz’altro, sulla questione specifica, le richiamate disposizioni di carattere amministrativo.

Ebbene, poiché l’art. 27 citato prevede la applicazione degli artt. 22 e 23 del DPR n. 380 del 2001 in merito a tutti gli impianti eolici on shore (comma 1, lettera b), a prescindere dalla destinazione finale dell’energia prodotta e purché la potenza elettrica nominale non superi 1 MW, deve conseguentemente concludersi che, nel caso di specie, correttamente la società ricorrente ha ritenuto di applicare l’istituto della DIA e non quello dell’autorizzazione espressa.

L’eccezione sollevata dall’amministrazione resistente non può dunque trovare ingresso, derivandone l’accoglimento, anche se per diverse argomentazioni, del quarto motivo di ricorso.

3. Parimenti da respingere è l’eccezione relativa alla necessaria integrazione dell’impianto con altre strutture di carattere commerciale, industriale o servizi, al fine di poter legittimamente ricorrere all’istituto della DIA. In assenza di tale integrazione, secondo la tesi comunale si dovrebbe infatti applicare il procedimento della autorizzazione espressa.

Per quanto attiene all’ambito di applicazione dell’art. 27 della legge regionale n. 1 del 2008, ratione temporis applicabile (ossia prima della sua abrogazione da parte della legge regionale n. 31 del 2008, che ha ridisciplinato tali aspetti), essa prevede, al comma 1, che “per gli impianti di produzione di energia elettrica da fonti rinnovabili di cui all’articolo 2, comma 1, del decreto legislativo 29 dicembre 2003, n. 387 … con potenza elettrica nominale fino a 1 MWe da realizzare nella Regione Puglia, fatte salve le norme in materia di valutazione di impatto ambientale e di valutazione di incidenza, si applica la disciplina della denuncia di inizio attività (DIA), di cui agli articoli 22 e 23 del decreto del Presidente della Repubblica 6 giugno 2001, n. 380 … nei seguenti casi:

a) impianti fotovoltaici posti su edifici industriali, commerciali e servizi, e/o collocati a terra internamente a complessi industriali, commerciali e servizi esistenti o da costruire … ”.

Il successivo comma 2 prevede poi che “gli impianti di cui al comma 1 possono anche essere realizzati in zone classificate agricole dai vigenti piani urbanistici, tenuto, peraltro, conto di quanto specificato dall’articolo 12, comma 7, del d.lgs. 387/2003”.

Secondo l’interpretazione data dall’amministrazione comunale, il riferimento al comma 1 operato dal comma 2 sarebbe da intendere nel senso che gli impianti fotovoltaici, pur se collocati in zona agricola, dovrebbero comunque risultare integrati con altre strutture commerciali, industriali e terziarie.

Ad avviso di questo collegio, invece, il richiamo agli impianti di cui al comma 1 deve intendersi come riferito a tutte le strutture genericamente enucleate nell’art. 2, comma 1, del d.lgs. n. 387 del 2003 (disposizione questa a sua volta riportata, non a caso, dallo stesso comma 1 della norma regionale), ossia con esclusivo riguardo a tipologia, dimensioni e potenza delle medesime e non anche alla loro particolare conformazione (o meglio integrazione) strutturale.

La disposizione sembra dunque prevedere la possibilità di realizzare gli interventi de quibus anche in zona agricola (comma 2), a prescindere dalla loro integrazione strutturale con altri impianti a carattere industriale, commerciale o di servizi (comma 1).

D’altra parte, nella prospettiva indicata dalla difesa comunale la legge regionale, oltre che ad introdurre una ultronea specificazione, avrebbe altrimenti giustificato, in questo modo, la presenza di talune strutture (per l’appunto industriali, commerciali, etc.) all’interno di aree (agricole) con esse incompatibili sotto il profilo urbanistico.

L’interpretazione cui il collegio ritiene invece di aderire è peraltro l’unica a consentire una lettura costituzionalmente compatibile della disposizione in parola, considerato che la possibilità giuridica di installare tali impianti anche in zone agricole rappresenta un principio fondamentale della legislazione statale in materia di energia (art. 12, comma 7, d.lgs. n. 387 del 2003).

Concludendo sul punto, si conferma che per siffatte strutture debba osservarsi il procedimento DIA e non quello dell’autorizzazione espressa.

4. Appurato che nell’ipotesi in contestazione trovava applicazione l’istituto della DIA, si affrontano per connessione logico-sistematica i primi due motivi di ricorso, concernenti in particolare l’ordine di non effettuare l’intervento in data 12 giugno 2008 e la sospensione delle pratiche DIA, come determinata con atto di indirizzo assessorile in data 14 maggio 2008.

4.1. In primo luogo si rileva che il predetto ordine è stato adottato a seguito della scadenza del termine previsto per la formazione del titolo edilizio, che la legge fissa in trenta giorni dalla presentazione della DIA.

Quest’ultima è stata infatti presentata in data 6 maggio 2008.

Da tale data il termine di trenta giorni è dunque venuto a scadenza il successivo 5 giugno 2008.

L’ordine di non effettuare i lavori è invece intervenuto il 12 giugno 2008, dunque ben oltre il previsto termine di trenta giorni.

A tale riguardo, è ius receptum che la DIA prevista dal testo unico edilizia (TUEd) rappresenti autocertificazione della sussistenza delle condizioni stabilite dalla legge per la realizzazione dell’intervento: in merito ad essa la PA svolge una eventuale attività di controllo – nel termine di trenta giorni dalla presentazione della DIA stessa – che è prodromica e funzionale al formarsi (a seguito del mero decorso del tempo) del titolo legittimante l’inizio dei lavori.

Ora, il termine di 30 giorni entro il quale l’amministrazione comunale può esercitare il potere inibitorio in relazione alla denuncia di inizio attività ex art. 23 del D.P.R. n. 380 del 2001 è da ritenersi perentorio, sia per la certezza dei rapporti giuridici, sia perché la norma introduce nella peculiare fattispecie normativa (realizzazione di impianti di energia rinnovabile) una duplice limitazione temporanea: da un lato, allo jus aedificandi, che è facoltà attinente al diritto di proprietà; dall’altro lato, alla libera iniziativa privata in materia di attività energetica (art. 1, comma 2, legge n. 239 del 2004). Pertanto, detta limitazione temporanea non può che avere carattere perentorio, non potendo lasciarsi al mero arbitrio dell’amministrazione la disponibilità dei diritti sopra indicati, costituzionalmente garantito. Ove, pertanto, dopo la presentazione della denuncia di inizio attività decorra infruttuosamente il termine di 30 giorni previsto, la conseguenza che da ciò deriva è la formazione dell’autorizzazione edilizia implicita (cfr., in termini, T.A.R. Abruzzo L’Aquila, 8 giugno 2005, n. 433).

Prima la giurisprudenza e poi il legislatore (legge n. 80 del 2005) hanno inoltre stabilito che, una volta decorsi i termini previsti dall’art. 23 TUED, all’amministrazione residua unicamente l’attivazione del procedimento di autotutela secondo i criteri ed i parametri stabiliti al riguardo dagli artt. 21-quinquies e 21-nonies della legge n. 241 del 1990. E ciò in quanto con il decorso del termine fissato dal legislatore si forma una autorizzazione implicita di natura provvedimentale.

Circa l’esercizio di siffatto potere non v’è tuttavia traccia nel caso di specie: contrariamente a quanto sostenuto dalla difesa dell’amministrazione, infatti, non solo manca la comunicazione di avvio del procedimento (dovuta per quieta giurisprudenza anche in caso di autotutela), ma è stata altresì omessa ogni adeguata valutazione: da un lato, delle ragioni di interesse pubblico da riconnettere alla rimozione dell’atto; dall’altro lato, degli interessi dei destinatari e della sussistenza o meno di posizioni eventualmente consolidatesi nel tempo (cfr. art. 21-nonies della legge n. 241 del 1990).

Avuto riguardo allo specifico contenuto del provvedimento impugnato, in sostanza, emerge inequivocabilmente che il Comune ha tardivamente esercitato proprio quel controllo sul progetto che l’ordinamento colloca – come già detto – perentoriamente in una fase precedente alla formazione del titolo edilizio. In altre parole, la rappresentazione delle cause ostative (sulla cui legittimità in sé, peraltro, ci si soffermerà più avanti) è stata intempestivamente posta in essere solo dopo la chiusura per silentium della fase istruttoria, ossia allorquando il tiolo edilizio doveva ritenersi già positivamente assentito.

4.2. Conseguentemente non può trovare applicazione, nel procedimento de quo, la legge regionale n. 31 del 2008, atteso che al momento della sua entrata in vigore il titolo – come ampiamente dimostrato nei punti che precedono – si era già validamente formato (cfr. art. 7, comma 1, della legge regionale n. 31 del 2008, il quale esclude espressamente dal proprio raggio di azione le autorizzazioni già validamente formatesi alla data di entrata in vigore della legge stessa, ossia l’8 novembre 2008).

4.3. In secondo luogo – e ferma restando la già rilevata scadenza del termine perentorio – secondo lo schema delineato dall’art. 23 TUED non è consentita la inibitoria dell’intervento che si intende realizzare se non per la riscontrata assenza di una o più delle condizioni stabilite dalla normativa vigente al momento della scadenza dei termini previsti per la formazione del titolo edilizio, senza poter mai invocare al medesimo fine atti regolamentari che allo stato risultano solo in corso di predisposizione.

4.4. Peraltro, un simile potere soprassessorio (sospensione di tutte le pratiche DIA in attesa della adozione del regolamento di settore) non appare altrimenti contemplato dalla normativa di riferimento (d.lgs. n. 387 del 2003 e DPR n. 380 del 2001). Infatti, in applicazione del principio di legalità dell’azione amministrativa ciascuna amministrazione può esercitare soltanto i poteri espressamente previsti dalla legge e secondo le modalità da questa previste. E ciò tanto più ove si tratti – come nella specie – di incidere su attività economiche: a) in via di principio soggette a (parziale) liberalizzazione (citato art. 1 della legge n. 239 del 2004); b) ritenute fondamentali per il raggiungimento di obiettivi di politica ambientale fissati a livello comunitario (direttiva 2001/77/CE, la quale prevede inoltre la riduzione di qualsivoglia ostacolo normativo) e ancor prima a livello internazionale (v. Protocollo di Kyoto).

In questa prospettiva, il provvedimento inibitorio si appalesa anzi oltremodo posto in violazione di principi fondamentali di semplificazione stabiliti dalla legislazione statale in materia di energia (d.lgs. n. 387 del 2003), la quale prevede termini come visto perentori (in particolare, 180 gg. per gli impianti superiori ad 1 MW e 30 gg. per quelli di potenza inferiore) per la conclusione dei relativi procedimenti amministrativi, sì da non tollerare una loro sospensione, quand’anche ad tempus e non sine die (cfr. Corte cost., sent. n. 364 del 2006).

Si tratta in conclusione, come correttamente evidenziato dalla difesa di parte ricorrente, di una inammissibile sospensione atipica della funzione amministrativa.

4.5. Le censure qui complessivamente affrontate debbono dunque essere accolte.

5. Per quanto attiene alla asserita carenza documentale, tale secondo la tesi dell’amministrazione da non aver potuto consentire neppure il decorso del termine legale, ciò è peraltro smentito in fatto sulla base della documentazione versata in atti.

5.1. Documentazione dalla quale si evince che la società ricorrente:

1. Ha sufficientemente attestato, a mente dell’art. 20 del DPR n. 380 del 2001, la legittimazione a disporre dell’area (v. DIA presentata in data 6 maggio 2008, la quale reca peraltro la sottoscrizione per autorizzazione all’intervento del proprietario dell’area). Si consideri altresì che la prescrizione di cui all’art. 38, comma 3, del DPR 445 del 2000 (allegazione di un documento di identità in caso di sottoscrizione avvenuta non in presenza di funzionario addetto) riguarda in ogni caso la sola figura dell’istante, che nel caso di specie è nella sostanza il titolare dell’iniziativa, non anche quella del proprietario, che si limita ad autorizzare, iure privatorum, l’insediamento produttivo. Per altro verso, qualora l’amministrazione comunale avesse ritenuto insufficienti, ai fini dell’accertamento circa la legittimazione del richiedente, gli elementi sino ad allora prodotti, avrebbe dovuto disporre le necessarie verifiche (riguardanti in particolare il titolo di proprietà ed il relativo atto di assenso), anche d’ufficio mediante il responsabile del procedimento (art. 6 della legge n. 241 del 1990) ma pur sempre entro il termine perentorio di trenta giorni dalla presentazione della DIA (salvo naturalmente l’esercizio del potere di autotutela, qui comunque assente);
2. L’asseveramento circa la natura agricola dell’area risulta espressamente alla pag. 4 della DIA in data 6 maggio 2008;
3. I dati sulle indagini geologiche sono sufficientemente riportati, salvo ulteriori approfondimenti tecnici, nella relazione tecnica generale del 2 maggio 2008. Da quanto versato in atti, la relazione geologica e geotecnica risulta inoltre essere stata elaborata il 2 maggio 2008, dunque prima della presentazione della DIA;
4. la asseverazione tecnica circa la produzione o meno di rifiuti appare altrettanto idonea ai fini richiesti (cfr. punto n. 12 della DIA). In ogni caso è ben possibile addivenire alla dichiarazione successiva, ai sensi del regolamento regionale n,. 16 del 2006, per le quantità di terra e rocce da scavo che non vengono avviate a riutilizzo diretto;

5. In merito al mancato versamento dei diritti di segreteria, e in disparte ogni considerazione circa il tenore dilatorio di siffatta richiesta, appare ad ogni modo sufficiente quanto affermato in sede di presentazione della DIA da parte della società ricorrente, nella parte in cui si impegna a corrispondere, a tale titolo, quanto richiesto dall’amministrazione comunale. Condivisibile è poi la tesi della ricorrente secondo cui in caso di inadempimento a tale obbligo il rimedio sarebbe costituito, piuttosto, da forme legali di recupero coattivo e giammai l’inibizione del realizzando intervento.

5.2. Per quanto riguarda poi la regolarità contributiva, come effettivamente messo in evidenza dalla difesa della società ricorrente – e al di là delle attestazioni già presentate e relative a periodi piuttosto recenti rispetto alla DIA (3 gennaio 2008 e 31 marzo 2008) – questa va attestata prima dell’inizio dei lavori, ai sensi dell’art. 3, comma 8, lett. b-ter), del decreto legislativo n. 494 del 1996, e non necessariamente al momento della formazione del titolo edilizio. La circostanza che, in caso di assenza di tale documentazione, il titolo abilitativo viene sospeso, sta proprio a dimostrare che quest’ultimo può essere rilasciato, nelle more, anche senza il DURC.

5.3. Le censure qui complessivamente affrontate meritano dunque accoglimento.

6.1. Per tutte le considerazioni esposte il ricorso è fondato e deve essere pertanto accolto. Per l’effetto va annullata la nota n. 16816 in data 12 giugno 2008 del Comune di Manduria e, con esclusivo riferimento alla sospensione delle pratiche DIA, la nota di indirizzo assessorile n. 13910 del 14 maggio 2008 (annullamento parziale peraltro già disposto con sentenza n. 5809 del 15 gennaio 2009 di questa stessa sezione).

6.2. Deve invece essere respinta l’istanza risarcitoria, stante la sua genericità.

6.3. Sussistono in ogni caso giusti motivi, attesa la novità delle questioni affrontate, per compensare tra le parti le spese e le competenze del presente giudizio.

P.Q.M.

Il Tribunale Amministrativo Regionale per la Puglia – Lecce, Prima Sezione, definitivamente pronunciando sul ricorso n. 1095/2008, lo accoglie e per l’effetto annulla:

1. la nota n. 16816 in data 12 giugno 2008;
2. nei sensi e nei limiti indicati in motivazione, la nota di indirizzo assessorile n. 13910 del 14 maggio 2008.

Spese compensate.

Ordina che la presente sentenza sia eseguita dall’Autorità Amministrativa.

Così deciso in Lecce, nella camera di consiglio del 17 dicembre 2008.

Aldo Ravalli – Presidente

Massimo Santini – Estensore

Pubblicata mediante deposito

in Segreteria il 29 gennaio 2009

Fonte: www.giustizia-amministrativa.it

Tribunale Amministrativo Regionale per la Puglia – Lecce 124/2009

Registro Ricorsi: 922/2008

Composto dai Signori Magistrati:

Aldo Ravalli Presidente

Ettore Manca Primo Referendario

Massimo Santini Referendario est.

Ha pronunziato la seguente

SENTENZA

Sul ricorso n. 922/2008 presentato dalla SAIM s.r.l., in personale del legale rappresentante sig. Santo Masilla, rappresentata e difesa dall’Avv. Luca Vergine, presso il cui studio in Lecce al viale Otranto n. 117 è elettivamente domiciliata;

contro

il Comune di Manduria, in persona del Sindaco pro tempore, non costituito;

per l’annullamento

1. della nota n. 14412 in data 20 maggio 2008 del Comune di Manduria con cui si ordina di non effettuare l’intervento diretto alla realizzazione di un impianto fotovoltaico di potenza inferiore ad 1 MW;
2. della nota di indirizzo assessorile n. 13910 del 14 maggio 2008;
3. di ogni altro atto connesso, presupposto e consequenziale.

Visto il ricorso con i relativi allegati;

Visti tutti gli atti di causa;

Designato alla pubblica udienza del 17 dicembre 2008 il relatore Massimo Santini, referendario, udito altresì l’Avv. Vergine per il ricorrente;

Ritenuto e considerato in fatto e in diritto quanto segue.

FATTO

La società ricorrente ha presentato in data 3 aprile 2008 denuncia di inizio attività, ai sensi dell’art. 12 del decreto legislativo n. 387 del 2003 e della legge Regione Puglia n. 1 del 2008, per la realizzazione di un impianto fotovoltaico di potenza pari a 0,99 MW.

Con nota n. 14412 in data 20 maggio 2008 il Comune di Manduria ordinava di non effettuare l’intervento, attesa la carenza della seguente documentazione:

1. Copia titolo reale del richiedente in ordine all’immobile, ovvero autorizzazione da parte del proprietario in merito alla effettuazione delle opere in questione;
2. Tavola grafica di riferimento PUTT;
3. DURC (documento unico di regolarità contributiva);
4. Sottoscrizione del progettista in calce agli elaborati;
5. Relazione tecnica sulla localizzazione in zona agricola. Inoltre l’asseverazione è erronea, in quanto classifica l’area come D e non E;
6. Relazione tecnica concernente la produzione del materiale di risulta;
7. Diritti di segreteria.

Con la stessa nota si faceva altresì presente che, essendo in corso di predisposizione il regolamento comunale per la disciplina dei suddetti impianti di energia rinnovabile, tutte le relative pratiche erano temporaneamente sospese (ossia per 60 gg.) in applicazione della nota assessorile n. 13910 del 14 maggio 2008.

La società interponeva dunque ricorso giurisdizionale per i seguenti motivi:

1. Violazione e falsa applicazione dell’art. 23 del DPR n. 380 del 2001 (Testo Unico Edilizia), in quanto il provvedimento inibitorio è stato adottato oltre il termine perentorio di trenta giorni previsto dalla indicata disposizione affinché si formi validamente il titolo edilizio. Né è stato adottato al riguardo un valido provvedimento di autotutela;
2. Violazione di legge nella parte in cui impone effetti sospensivi, tramite l’atto di indirizzo assessorile, nei confronti di un titolo edilizio già validamente formatosi;
3. Eccesso di potere per errore nei presupposti di fatto e di diritto, atteso che dalla documentazione prodotta in allegato alla DIA si poteva ben evincere il possesso di ogni attestazione e certificazione di cui il Comune eccepisce la mancanza. Il DURC deve poi essere presentato prima dell’inizio dei lavori.

La ricorrente chiedeva inoltre il risarcimento dei danni patiti per effetto dei provvedimenti illegittimamente adottati.

Con ordinanza n. 525 del 2 luglio 2008, questa sezione accoglieva l’istanza di tutela cautelare, sia perché il provvedimento era stato adottato oltre i trenta giorni dalla presentazione della DIA, sia perché i rilievi mossi dalla società ricorrente in ordine alla completezza della documentazione apparivano prima facie convincenti.

Alla udienza del 17 dicembre 2008 parte ricorrente rassegnava le proprie conclusioni ed il ricorso veniva trattenuto in decisione.

DIRITTO

01. Il ricorso è fondato per le ragioni di seguito evidenziate.

1. Si affrontano per connessione logico-sistematica i motivi di ricorso rubricati sub punti n. 1 e n. 2, concernenti in particolare l’ordine di non effettuare l’intervento in data 20 maggio 2008 e la sospensione delle pratiche DIA, come determinata con atto di indirizzo assessorile in data 14 maggio 2008.

1.1. In primo luogo si rileva che il predetto ordine è stato adottato a seguito della scadenza del termine previsto per la formazione del titolo edilizio, che la legge fissa in trenta giorni dalla presentazione della DIA.

Quest’ultima è stata infatti presentata in data 3 aprile 2008.

Da tale data il termine di trenta giorni è dunque venuto a scadenza il successivo 3 maggio 2008.

L’ordine di non effettuare i lavori è invece intervenuto il 20 maggio 2008, dunque ben oltre il prescritto termine di trenta giorni.

A tale riguardo, è ius receptum che la DIA prevista dal testo unico edilizia (TUEd) rappresenti autocertificazione della sussistenza delle condizioni stabilite dalla legge per la realizzazione dell’intervento: in merito ad essa la PA svolge una eventuale attività di controllo – nel termine di trenta giorni dalla presentazione della DIA stessa – che è prodromica e funzionale al formarsi (a seguito del mero decorso del tempo) del titolo legittimante l’inizio dei lavori.

Ora, il termine di 30 giorni entro il quale l’amministrazione comunale può esercitare il potere inibitorio in relazione alla denuncia di inizio attività ex art. 23 del D.P.R. n. 380 del 2001 è da ritenersi perentorio, sia per la certezza dei rapporti giuridici, sia perché la norma introduce nella peculiare fattispecie normativa (realizzazione di impianti di energia rinnovabile) una duplice limitazione temporanea: da un lato, allo jus aedificandi, che è facoltà attinente al diritto di proprietà; dall’altro lato, alla libera iniziativa privata in materia di attività energetica (art. 1, comma 2, legge n. 239 del 2004). Pertanto, detta limitazione temporanea non può che avere carattere perentorio, non potendo lasciarsi al mero arbitrio dell’amministrazione la disponibilità dei diritti sopra indicati, costituzionalmente garantito. Ove, pertanto, dopo la presentazione della denuncia di inizio attività decorra infruttuosamente il termine di 30 giorni previsto, la conseguenza che da ciò deriva è la formazione dell’autorizzazione edilizia implicita (cfr., in termini, T.A.R. Abruzzo L’Aquila, 8 giugno 2005, n. 433).

Prima la giurisprudenza e poi il legislatore (legge n. 80 del 2005) hanno inoltre stabilito che, una volta decorsi i termini previsti dall’art. 23 TUED, all’amministrazione residua unicamente l’attivazione del procedimento di autotutela secondo i criteri ed i parametri stabiliti al riguardo dagli artt. 21-quinquies e 21-nonies della legge n. 241 del 1990. E ciò in quanto con il decorso del termine fissato dal legislatore si forma una autorizzazione implicita di natura provvedi mentale.

Circa l’esercizio di siffatto potere non v’è tuttavia traccia nel caso di specie: avuto riguardo allo specifico contenuto del provvedimento impugnato, infatti, emerge inequivocabilmente che il Comune ha tardivamente esercitato proprio quel controllo sul progetto che l’ordinamento colloca – come già detto – perentoriamente in una fase precedente alla formazione del titolo edilizio. In altre parole, la rappresentazione delle cause ostative (sulla cui legittimità in sé, peraltro, ci si soffermerà più avanti) è stata intempestivamente posta in essere solo dopo la chiusura per silentium della fase istruttoria, ossia allorquando il tiolo edilizio doveva ritenersi già positivamente assentito.

1.2. In secondo luogo – e ferma restando la già rilevata scadenza del termine perentorio – secondo lo schema delineato dall’art. 23 TUED non è consentita la inibitoria dell’intervento che si intende realizzare se non per la riscontrata assenza di una o più delle condizioni stabilite dalla normativa vigente al momento della scadenza dei termini previsti per la formazione del titolo edilizio, senza poter mai invocare al medesimo fine atti regolamentari che – pur afferenti a precise finalità tutelate dalla legge – allo stato risultano solo in corso di predisposizione.

1.3. Peraltro, un simile potere soprassessorio (sospensione di tutte le pratiche DIA in attesa della adozione del regolamento di settore) non appare altrimenti contemplato dalla normativa di riferimento (d.lgs. n. 387 del 2003 e DPR n. 380 del 2001). Infatti, in applicazione del principio di legalità dell’azione amministrativa ciascuna amministrazione può esercitare soltanto i poteri espressamente previsti dalla legge e secondo le modalità da questa previste. E ciò tanto più ove si tratti – come nella specie – di incidere su attività economiche: a) in via di principio soggette a (parziale) liberalizzazione (citato art. 1 della legge n. 239 del 2004); b) ritenute fondamentali per il raggiungimento di obiettivi di politica ambientale fissati a livello comunitario (direttiva 2001/77/CE, la quale prevede inoltre la riduzione di qualsivoglia ostacolo normativo) e ancor prima a livello internazionale (v. Protocollo di Kyoto).

In questa prospettiva, il provvedimento inibitorio si appalesa anzi oltremodo posto in violazione di principi fondamentali di semplificazione stabiliti dalla legislazione statale in materia di energia (d.lgs. n. 387 del 2003), la quale prevede termini come visto perentori (in particolare, 180 gg. per gli impianti superiori ad 1 MW e 30 gg. per quelli di potenza inferiore) per la conclusione dei relativi procedimenti amministrativi, sì da non tollerare una loro sospensione, quand’anche ad tempus e non sine die (cfr. Corte cost., sent. n. 364 del 2006).

Si tratta in conclusione, come correttamente evidenziato dalla difesa di parte ricorrente, di una inammissibile sospensione atipica della funzione amministrativa.

Le censure qui complessivamente affrontate debbono dunque essere accolte.

2. Per quanto attiene alla asserita carenza documentale, ciò è peraltro smentito in fatto sulla base della documentazione versata in atti, dalla quale si evince che la società ricorrente:

1. Ha sufficientemente attestato, ai sensi dell’art. 20 del DPR n. 380 del 2001, la legittimazione a disporre dell’area (v. preliminare di locazione del 26 marzo 2008);
2. ha regolarmente prodotto la tavola di inquadramento territoriale ai sensi del PUTT (v. elaborato del 10 marzo 2008);
3. la sottoscrizione del progettista è ictu oculi evidente da una mera lettura degli elaborati depositati;
4. asseverazione tecnica sull’area agricola e sulla produzione di rifiuti appaiono altrettanto idonee ai fini richiesti (cfr. visura catastale del 14 marzo 2008, pag. 1 della relazione tecnica generale del 10 marzo 2008 e pag. 6 della DIA).

Per quanto riguarda la regolarità contributiva, come effettivamente messo in evidenza dalla difesa della società ricorrente, questa va attestata prima dell’inizio dei lavori, ai sensi dell’art. 3, comma 8, lett. b-ter), del decreto legislativo n. 494 del 1996. La circostanza che, in caso di assenza di tale documentazione, il titolo abilitativo viene sospeso, sta proprio a dimostrare che quest’ultimo può essere rilasciato, nelle more, anche senza il DURC.

Infine, per quanto riguarda il mancato versamento dei diritti di segreteria, in disparte ogni considerazione circa il tenore dilatorio di siffatta richiesta appare ad ogni modo sufficiente quanto affermato in sede di presentazione della DIA da parte della società ricorrente, nella parte in cui si impegna a corrispondere, a tale titolo, quanto richiesto dall’amministrazione comunale. Condivisibile è poi la tesi della ricorrente secondo cui in caso di inadempimento a tale obbligo il rimedio sarebbe costituito, piuttosto, da forme legali di recupero coattivo e giammai l’inibizione del realizzando intervento.

3. Per tutte le considerazioni esposte il ricorso è fondato e deve essere pertanto accolto. Per l’effetto va annullata la nota n. 14412 in data 20 maggio 2008 del Comune di Manduria e, con esclusivo riferimento alla sospensione delle pratiche DIA, la nota di indirizzo assessorile n. 13910 del 14 maggio 2008 (annullamento parziale peraltro già disposto con sentenza n. 5809 del 15 gennaio 2009 di questo stesso Tribunale).

Deve invece essere respinta l’istanza risarcitoria, stante la sua genericità.

Sussistono in ogni caso giusti motivi, data la novità delle questioni affrontate, per compensare tra le parti le spese e le competenze del presente giudizio.

P.Q.M.

Il Tribunale Amministrativo Regionale per la Puglia – Lecce, Prima Sezione, definitivamente pronunciando sul ricorso n. 922/2008, lo accoglie e per l’effetto annulla:

1. la nota n. 14412 in data 20 maggio 2008;
2. nei sensi e nei limiti indicati in motivazione, la nota di indirizzo assessorile n. 13910 del 14 maggio 2008.

Spese compensate.

Ordina che la presente sentenza sia eseguita dall’Autorità Amministrativa.

Così deciso in Lecce, nella camera di consiglio del 17 dicembre 2008.

Aldo Ravalli – Presidente

Massimo Santini – Estensore

Pubblicata mediante deposito

in Segreteria il 29 gennaio 2009

Tribunale Amministrativo Regionale per la Puglia – Lecce 121/2009

Registro Ricorsi: 1098/2008

Composto dai Signori Magistrati:

Aldo Ravalli Presidente

Ettore Manca Primo Referendario

Massimo Santini Referendario est.

Ha pronunziato la seguente

SENTENZA

Sul ricorso n. 1098/2008 presentato dalla SAIM s.r.l., in personale del legale rappresentante sig. Santo Masilla, rappresentata e difesa dall’Avv. Luca Vergine, presso il cui studio in Lecce al viale Otranto n. 117 è elettivamente domiciliata;

contro

il Comune di Manduria, in persona del Sindaco pro tempore, rappresentato e difeso dall’Avv. Giovanni Luigi De Donno ed elettivamente domiciliato in Lecce alla via Zanardelli n. 7 presso lo studio dell’Avv. Angelo Vantaggiato;

per l’annullamento

1. della nota n. 14409 in data 20 maggio 2008 del Comune di Manduria con cui si ordina di non effettuare l’intervento diretto alla realizzazione di un impianto eolico di potenza inferiore ad 1 MW;
2. della nota di indirizzo assessorile n. 13910 del 14 maggio 2008;
3. di ogni altro atto connesso, presupposto e consequenziale.

Visto il ricorso con i relativi allegati;

Visto l’atto di costituzione in giudizio dell’Amministrazione comunale, resistente;

Viste le memorie rispettivamente prodotte dalla parti a sostegno delle proprie difese;

Visti tutti gli atti di causa;

Designato alla pubblica udienza del 17 dicembre 2008 il relatore Massimo Santini, referendario, uditi altresì l’Avv. Vergine per il ricorrente e l’Avv. De Donno per l’amministrazione resistente;

Ritenuto e considerato in fatto e in diritto quanto segue.

FATTO

La società ricorrente ha presentato in data 11 aprile 2008 denuncia di inizio attività, ai sensi dell’art. 12 del decreto legislativo n. 387 del 2003 e della legge Regione Puglia n. 1 del 2008, per la realizzazione di un impianto eolico di piccola taglia, di potenza pari a 0,66 MW.

L’intervento sarebbe da localizzare in area agricola non sottoposta a vincoli di natura paesaggistica, anche ai sensi del PUTT.

Con nota n. 14409 in data 20 maggio 2008 il Comune di Manduria ordinava di non effettuare l’intervento, attesa la carenza della seguente documentazione:

1. Copia titolo reale del richiedente in ordine all’immobile, autorizzazione da parte del proprietario in merito alla effettuazione delle opere in questione e copia titolo di proprietà dell’immobile;
2. Tavola grafica di riferimento PUTT;
3. DURC (documento unico di regolarità contributiva);
4. Relazione tecnica concernente la produzione del materiale di risulta.

Con la stessa nota si faceva altresì presente che: 1) l’impianto sarebbe inoltre sottoposto ad autorizzazione unica, e non a DIA, in quanto ai sensi della delibera regionale n. 35 del 2007 la DIA si applica soltanto agli impianti eolici non superiori a 60 kw di potenza, oppure di potenza ricompresa tra 60 kw ed 1 MW ma comunque destinati all’autoconsumo. Nel caso di specie, trattandosi di impianto pari a 0,66 MW di potenza non destinato all’autoconsumo, si dovrebbe seguire il procedimento della autorizzazione espressa; 2) essendo in corso di predisposizione il regolamento comunale per la disciplina dei suddetti impianti di energia rinnovabile, tutte le relative pratiche sarebbero state temporaneamente sospese (ossia per 60 gg.) in applicazione della nota assessorile n. 13910 del 14 maggio 2008.

La società interponeva dunque ricorso giurisdizionale per i seguenti motivi:

1. Violazione e falsa applicazione dell’art. 23 del DPR n. 380 del 2001 (Testo Unico Edilizia), in quanto il provvedimento inibitorio è stato adottato oltre il termine perentorio di trenta giorni previsto dalla indicata disposizione affinché si formi validamente il titolo edilizio. Né è stato adottato al riguardo un qualsivoglia provvedimento di autotutela, mancando in questa direzione sia la comunicazione di avvio del procedimento, sia la valutazione dell’interesse pubblico all’annullamento;
2. Violazione di legge nella parte in cui l’atto di indirizzo assessorile determina in concreto la sospensione di un titolo edilizio già validamente formatosi. Il richiamo alla delibera n. 35 del 2007 è peraltro erroneo, in quanto essa si riferisce ai macro impianti;
3. Eccesso di potere per errore nei presupposti di fatto e di diritto, atteso che dalla documentazione prodotta in allegato alla DIA si poteva ben evincere il possesso di ogni attestazione e certificazione di cui il Comune eccepisce la mancanza. Il DURC deve inoltre essere presentato prima dell’inizio dei lavori;
4. Violazione della legge regionale n. 1 del 2008 e della delibera regionale n. 35 del 2007, la quale prevede il procedimento di autorizzazione unica solo per i macro impianti e non anche quelli di piccola taglia.

La ricorrente chiedeva inoltre il risarcimento dei danni patiti per effetto dei provvedimenti illegittimamente adottati.

Si è costituito in giudizio il Comune di Manduria, il quale ha eccepito tra l’altro che:

1. l’intervento inibitorio del Comune è da qualificarsi, nella sostanza, quale atto di autotutela;
2. l’atto di sospensione assessorile è dettato da esigenze di tutela del patrimonio agricolo e paesaggistico;
3. in ogni caso, la carenza documentale è tanto grave da non aver fatto nemmeno scattare il termine legalmente previsto;
4. in base al combinato disposto del regolamento regionale n. 16 del 2006 e della delibera regionale n. 35 del 2007, l’impianto in questione non sarebbe sottoponibile a DIA ma ad autorizzazione espressa;

Con memoria di udienza depositata in data 28 novembre 2008, la stessa difesa dell’amministrazione comunale ha altresì fatto presente che, sulla base della circolare regionale in data 1° agosto 2008, nel caso di specie non sarebbero stati inoltre prodotti: gli elaborati progettuali previsti dal DPR n. 554 del 1999; il nulla osta sull’assenza di interferenze con le linee di comunicazioni elettroniche di cui al d.lgs. n. 259 del 2003; l’assegnazione del punto di connessione da parte dell’ENEL; l’asseverazione del tecnico progettista circa l’assenza di una serie di vincoli (paesaggistico, archeologico, idrogeologici, etc.).

Nella stessa memoria si eccepisce altresì che l’impianto si troverebbe connesso con altro per il quale è stata parimenti presentata denuncia di inizio di attività.

Con ulteriore memoria depositata in data 6 dicembre 2008, l’amministrazione rilevava che nel caso di specie doveva trovare comunque applicazione la legge regionale n. 31 del 2008, in particolare laddove autorizza il ricorso alla DIA per i soli impianti eolici realizzati dagli enti locali oppure destinati all’autoconsumo.

Alla udienza del 17 dicembre 2008 le parti rassegnavano le proprie rispettive conclusioni ed il ricorso veniva trattenuto in decisione.

DIRITTO

01. Il ricorso è fondato per le ragioni di seguito evidenziate.

1. Giova premettere che le eccezioni sollevate dall’amministrazione resistente, con la memoria in data 28 novembre 2008, in ordine a elaborati progettuali, nulla osta interferenze, punto di connessione ENEL, asseverazione circa la assenza di vincoli territoriali e connessione con altri analoghi impianti, non possono trovare ingresso in questa sede giacché rappresentano profili non altrimenti evidenziati nel provvedimento gravato, configurandosi in tal modo come inammissibile integrazione postuma della motivazione.

Sotto diverso profilo si tratterebbe comunque – almeno per quanto attiene alla menzionata circolare regionale – di normativa inapplicabile al caso di specie, posto che, in ossequio al principio tempus regit actum, alla data di emanazione di detti atti generali il titolo – come si dimostrerà più avanti – si era ormai validamente formato.

2. Ancora in via preliminare si affronta la questione relativa al regime autorizzatorio applicabile, ossia se per la realizzazione dell’impianto in questione (aerogeneratore di potenza pari a 0,66 MW) si possa ricorrere alla DIA oppure sia necessario un procedimento di autorizzazione espressa.

Tale statuizione assume carattere pregiudiziale per stabilire se si possano ritenere o meno trascorsi, dalla presentazione della DIA, i trenta giorni legalmente previsti per la formazione del titolo edilizio.

Secondo la tesi dell’amministrazione comunale, poiché la delibera regionale n. 35 del 2007 limita la DIA ai soli impianti eolici on shore di potenza non superiore a 0,6 MW, oppure di potenza ricompresa tra 0,6 MW ed 1 MW purché destinati all’autoconsumo, per la realizzazione l’impianto in questione (di potenza pari a 0,66 e non destinato all’autoconsumo) si dovrebbe seguire la procedura dell’autorizzazione espressa.

Ora, in disparte ogni considerazione circa la legittimità sul punto del richiamato atto amministrativo generale (delibera regionale n. 35 del 2007), le specificazioni e le distinzioni sopra evidenziate (riguardanti in particolare la potenza ed il tipo di utilizzo, commerciale o meno, dell’energia prodotta), a ben vedere sconosciute a livello di legislazione statale di principio (decreto legislativo n. 387 del 2003) ove vige il solo limite del megawatt ai fini del regime più o meno semplificato da applicare, non sono state parimenti riprodotte dalla legge regionale n. 1 del 2008 (art. 27), ratione temporis applicabile, che per posizione (nel sistema delle fonti) e criterio cronologico supera e assorbe senz’altro, sulla questione specifica, le richiamate disposizioni di carattere amministrativo.

Ebbene, poiché l’art. 27 citato prevede la applicazione degli artt. 22 e 23 del DPR n. 380 del 2001 in merito a tutti gli impianti eolici on shore (comma 1, lettera b), a prescindere dalla destinazione finale dell’energia prodotta e purché la potenza elettrica nominale non superi 1 MW, deve conseguentemente concludersi che, nel caso di specie, correttamente la società ricorrente ha ritenuto di applicare l’istituto della DIA e non quello dell’autorizzazione espressa.

L’eccezione sollevata dall’amministrazione resistente non può dunque trovare ingresso. Ne deriva parimenti l’accoglimento – pur se in base a differenti presupposti – del quarto motivo di ricorso.

3. Appurato che nell’ipotesi in contestazione trovava applicazione l’istituto della DIA, si affrontano per connessione logico-sistematica i primi due motivi di ricorso, concernenti in particolare l’ordine di non effettuare l’intervento in data 20 maggio 2008 e la sospensione delle pratiche DIA, come determinata con atto di indirizzo assessorile in data 14 maggio 2008.

3.1. In primo luogo si rileva che il predetto ordine è stato adottato a seguito della scadenza del termine previsto per la formazione del titolo edilizio, che la legge fissa in trenta giorni dalla presentazione della DIA.

Quest’ultima è stata infatti presentata in data 11 aprile 2008.

Da tale data il termine di trenta giorni è dunque venuto a scadenza il successivo 11 maggio 2008.

L’ordine di non effettuare i lavori è invece intervenuto il 20 maggio 2008, dunque ben oltre il prescritto termine di trenta giorni.

A tale riguardo, è ius receptum che la DIA prevista dal testo unico edilizia (TUEd) rappresenti autocertificazione della sussistenza delle condizioni stabilite dalla legge per la realizzazione dell’intervento: in merito ad essa la PA svolge una eventuale attività di controllo – nel termine di trenta giorni dalla presentazione della DIA stessa – che è prodromica e funzionale al formarsi (a seguito del mero decorso del tempo) del titolo legittimante l’inizio dei lavori.

Ora, il termine di 30 giorni entro il quale l’amministrazione comunale può esercitare il potere inibitorio in relazione alla denuncia di inizio attività ex art. 23 del D.P.R. n. 380 del 2001 è da ritenersi perentorio, sia per la certezza dei rapporti giuridici, sia perché la norma introduce nella peculiare fattispecie normativa (realizzazione di impianti di energia rinnovabile) una duplice limitazione temporanea: da un lato, allo jus aedificandi, che è facoltà attinente al diritto di proprietà; dall’altro lato, alla libera iniziativa privata in materia di attività energetica (art. 1, comma 2, legge n. 239 del 2004). Pertanto, detta limitazione temporanea non può che avere carattere perentorio, non potendo lasciarsi al mero arbitrio dell’amministrazione la disponibilità dei diritti sopra indicati, costituzionalmente garantito. Ove, pertanto, dopo la presentazione della denuncia di inizio attività decorra infruttuosamente il termine di 30 giorni previsto, la conseguenza che da ciò deriva è la formazione dell’autorizzazione edilizia implicita (cfr., in termini, T.A.R. Abruzzo L’Aquila, 8 giugno 2005, n. 433).

Prima la giurisprudenza e poi il legislatore (legge n. 80 del 2005) hanno inoltre stabilito che, una volta decorsi i termini previsti dall’art. 23 TUED, all’amministrazione residua unicamente l’attivazione del procedimento di autotutela secondo i criteri ed i parametri stabiliti al riguardo dagli artt. 21-quinquies e 21-nonies della legge n. 241 del 1990. E ciò in quanto con il decorso del termine fissato dal legislatore si forma una autorizzazione implicita di natura provvedi mentale.

Circa l’esercizio di siffatto potere non v’è tuttavia traccia nel caso di specie: contrariamente a quanto sostenuto dalla difesa dell’amministrazione, infatti, non solo manca la comunicazione di avvio del procedimento (dovuta per quieta giurisprudenza anche in caso di autotutela), ma è stata altresì omessa ogni adeguata valutazione: da un lato, delle ragioni di interesse pubblico da riconnettere alla rimozione dell’atto; dall’altro lato, degli interessi dei destinatari e della sussistenza o meno di posizioni eventualmente consolidatesi nel tempo (cfr. art. 21-nonies della legge n. 241 del 1990).

Avuto riguardo allo specifico contenuto del provvedimento impugnato, in sostanza, emerge inequivocabilmente che il Comune ha tardivamente esercitato proprio quel controllo sul progetto che l’ordinamento colloca – come già detto – perentoriamente in una fase precedente alla formazione del titolo edilizio. In altre parole, la rappresentazione delle cause ostative (sulla cui legittimità in sé, peraltro, ci si soffermerà più avanti) è stata intempestivamente posta in essere solo dopo la chiusura per silentium della fase istruttoria, ossia allorquando il tiolo edilizio doveva ritenersi già positivamente assentito.

3.2. Conseguentemente non può trovare applicazione, nel procedimento de quo, la legge regionale n. 31 del 2008, atteso che al momento della sua entrata in vigore il titolo – come ampiamente dimostrato nei punti che precedono – si era già validamente formato (cfr. art. 7, comma 1, della legge regionale n. 31 del 2008, il quale esclude espressamente dal proprio raggio di azione le autorizzazioni già validamente formatesi alla data di entrata in vigore della legge stessa, ossia l’8 novembre 2008).

3.3. In secondo luogo – e ferma restando la già rilevata scadenza del termine perentorio – secondo lo schema delineato dall’art. 23 TUED non è consentita la inibitoria dell’intervento che si intende realizzare se non per la riscontrata assenza di una o più delle condizioni stabilite dalla normativa vigente al momento della scadenza dei termini previsti per la formazione del titolo edilizio, senza poter mai invocare al medesimo fine atti regolamentari che – pur afferenti a precise finalità tutelate dalla legge – allo stato risultano solo in corso di predisposizione.

3.4. Peraltro, un simile potere soprassessorio (sospensione di tutte le pratiche DIA in attesa della adozione del regolamento di settore) non appare altrimenti contemplato dalla normativa di riferimento (d.lgs. n. 387 del 2003 e DPR n. 380 del 2001). Infatti, in applicazione del principio di legalità dell’azione amministrativa ciascuna amministrazione può esercitare soltanto i poteri espressamente previsti dalla legge e secondo le modalità da questa previste. E ciò tanto più ove si tratti – come nella specie – di incidere su attività economiche: a) in via di principio soggette a (parziale) liberalizzazione (citato art. 1 della legge n. 239 del 2004); b) ritenute fondamentali per il raggiungimento di obiettivi di politica ambientale fissati a livello comunitario (direttiva 2001/77/CE, la quale prevede inoltre la riduzione di qualsivoglia ostacolo normativo) e ancor prima a livello internazionale (v. Protocollo di Kyoto).

In questa prospettiva, il provvedimento inibitorio si appalesa anzi oltremodo posto in violazione di principi fondamentali di semplificazione stabiliti dalla legislazione statale in materia di energia (d.lgs. n. 387 del 2003), la quale prevede termini come visto perentori (in particolare, 180 gg. per gli impianti superiori ad 1 MW e 30 gg. per quelli di potenza inferiore) per la conclusione dei relativi procedimenti amministrativi, sì da non tollerare una loro sospensione, quand’anche ad tempus e non sine die (cfr. Corte cost., sent. n. 364 del 2006).

Si tratta in conclusione, come correttamente evidenziato dalla difesa di parte ricorrente, di una inammissibile sospensione atipica della funzione amministrativa.

3.5. Le censure qui complessivamente affrontate debbono dunque essere accolte.

4. Per quanto attiene alla asserita carenza documentale, tale secondo la tesi dell’amministrazione da non aver potuto consentire neppure il decorso del termine legale, ciò è peraltro smentito in fatto sulla base della documentazione versata in atti.

4.1. Documentazione dalla quale si evince che la società ricorrente:

1. Ha sufficientemente attestato, a mente dell’art. 20 del DPR n. 380 del 2001, la legittimazione a disporre dell’area (v. DIA presentata in data 11 aprile 2008, che reca sottoscrizione per autorizzazione all’intervento del proprietario dell’area, nonché copia di un documento di riconoscimento). Si consideri altresì che la prescrizione di cui all’art. 38, comma 3, del DPR 445 del 2000 (allegazione di un documento di identità in caso di sottoscrizione avvenuta non in presenza di funzionario addetto) riguarda in ogni caso la sola figura dell’istante, che nel caso di specie è nella sostanza il titolare dell’iniziativa, non anche il proprietario, che si limita ad autorizzare l’insediamento produttivo. Per altro verso, qualora l’amministrazione comunale avesse ritenuto insufficienti gli elementi sino ad allora prodotti, avrebbe dovuto disporre le necessarie verifiche (riguardanti in particolare il titolo di proprietà), anche d’ufficio mediante il responsabile del procedimento (art. 6 della legge n. 241 del 1990) ma pur sempre entro il termine perentorio di trenta giorni dalla presentazione della DIA (salvo naturalmente l’esercizio del potere di autotutela, qui comunque assente);
2. ha regolarmente prodotto la tavola di inquadramento territoriale recante i vincoli territoriali imposti dal PUTT (v. elaborato in data 8 aprile 2008);
3. la asseverazione tecnica circa la produzione o meno di rifiuti appare altrettanto idonea ai fini richiesti (cfr. punto n. 12 della DIA). In ogni caso è ben possibile addivenire alla dichiarazione successiva, ai sensi del regolamento regionale n,. 16 del 2006, per le quantità di terra e cocce da scavo che non vengono avviate a riutilizzo diretto.;

4.2. Per quanto riguarda, poi, la regolarità contributiva, come effettivamente messo in evidenza dalla difesa della società ricorrente, questa va attestata prima dell’inizio dei lavori, ai sensi dell’art. 3, comma 8, lett. b-ter), del decreto legislativo n. 494 del 1996, e non necessariamente al momento della formazione del titolo edilizio. La circostanza che, in caso di assenza di tale documentazione, il titolo abilitativo viene sospeso, sta proprio a dimostrare che quest’ultimo può essere rilasciato, nelle more, anche senza il DURC.

5.1. Per tutte le considerazioni esposte il ricorso è fondato e deve essere pertanto accolto. Per l’effetto va annullata la nota n. 14409 in data 20 maggio 2008 del Comune di Manduria e, con esclusivo riferimento alla sospensione delle pratiche DIA, la nota di indirizzo assessorile n. 13910 del 14 maggio 2008 (annullamento parziale peraltro già disposto con sentenza n. 5809 del 15 gennaio 2009 di questo stesso Tribunale).

5.2. Deve invece essere respinta l’istanza risarcitoria, stante la sua genericità.

5.3. Sussistono in ogni caso giusti motivi, attesa la novità delle questioni affrontate, per compensare tra le parti le spese e le competenze del presente giudizio.

P.Q.M.

Il Tribunale Amministrativo Regionale per la Puglia – Lecce, Prima Sezione, definitivamente pronunciando sul ricorso n. 1098/2008, lo accoglie e per l’effetto annulla:

1. la nota n. 14409 in data 20 maggio 2008;
2. nei sensi e nei limiti indicati in motivazione, la nota di indirizzo assessorile n. 13910 del 14 maggio 2008.

Spese compensate.

Ordina che la presente sentenza sia eseguita dall’Autorità Amministrativa.

Così deciso in Lecce, nella camera di consiglio del 17 dicembre 2008.

Aldo Ravalli – Presidente

Massimo Santini – Estensore

Pubblicata mediante deposito

in Segreteria il 29 gennaio 2009