Cassazione III civile del 11.05.2009, n. 10741 Salute, concepito, diritto a nascere sano, filiazione, consenso informato, responsabilità del medico (2009-05-20)

Svolgimento del processo

Con atto notificato il 28-2-92, il 5-3-92 ed il 4-5-92 i coniugi … OMISSIS … e … OMISSIS … , in proprio e quali genitori del minore F., premettevano: che la … OMISSIS … non era riuscita ad ottenere, dopo il matrimonio, la gravidanza per problemi di “annidamento”, per cui, nel 1986, si era rivolta in Napoli al Centro A …, del prof. A … , ove era stata affidata alle cure sia del dott. B … che del dott. C … ; che le era stato prescritto un medicinale denominato Clomid e che dopo alcuni mesi era insorta la gravidanza; che, a seguito di cio’, il B … sospendeva la cura a base di Clomid e prescriveva altra terapia a base di Progesteronum; che, durante la terapia, la … OMISSIS … veniva sottoposta ad indagini ed accertamenti, senza pero’ il rilascio di relativa certificazione medica; che in data 22-2-1987 la stessa … OMISSIS … partoriva presso detto Centro, con la nascita di un bambino di nome F., il quale presentava gravissime malformazioni (consistenti in ectrodattilia del tipo monodactilus agli arti superiori, lobster olge agli arti inferiori, ipospadia ed atresia anale); che, a seguito di accertamenti, era stato escluso che dette malformazioni fossero di origine ereditaria; che, pertanto, le stesse erano dipese dalla somministrazione dei suddetti medicinali e non erano state rilevate nel periodo di gravidanza e di sviluppo del feto, con grave responsabilita’ dei medici curanti.

Cio’ premesso, convenivano in giudizio il Centro A …, in persona di A … , nonche’ i dottori B … e C … per sentirli dichiarare responsabili dei fatti in questione, con condanna al risarcimento di tutti i danni patiti.

Si costituiva l’A …, deducendo di non avere alcuna responsabilita’ contrattuale o extracontrattuale nei confronti della … OMISSIS … (che si era affidata alle cure degli altri convenuti e non aveva partorito nel Centro); inoltre, che presso detto Centro era stata solo in alcune occasioni visitata dal B … (al quale era permesso di ricevere i pazienti nella sola giornata di sabato, usando pero’ ricettari suoi personali).

Si costituivano altresi’ il B … ed il C …, deducendo: di essere meri esecutori delle direttive del Centro A … e del tutto privi di autonomia terapeutica; che la … OMISSIS … non aveva avuto problemi di annodamento bensi’ di ovulazione (con conseguente prescrizione del Clomid, sospeso dopo l’inizio della gravidanza); che sia il Clomid che il Progesteronum non avevano natura teratogena e che, comunque, le denunziate malformazioni non potevano essere accertate, mediante ecografia, prima del quinto mese di gravidanza.

Espletate due consulenze medico – legali di ufficio, nonche’ prove testimoniali e prodotta documentazione varia, l’adito Tribunale di Napoli, con sentenza depositata in data 25-5-2001, dichiarava la responsabilita’ esclusiva dell’A …, condannandolo al pagamento, in favore del … OMISSIS … e della … OMISSIS …, quali genitori di F., della somma di £ 2.152.400.000, nonche’ in favore della … OMISSIS … in proprio della somma di £ 78.037.000 e del … OMISSIS … in proprio della somma di £ 41.508.000, oltre interessi e spese di lite; rigettava la domanda nei confronti del B … e del C … e dichiarava compensate le spese di lite fra quest’ultimi e gli attori.

Proponeva appello l’A … che, dopo aver chiesto in via preliminare la sospensione dell’efficacia esecutiva della sentenza impugnata, contestava che vi fosse prova della prescrizione alla … OMISSIS … di due cicli di Clomid, come ritenuto dal Tribunale, e deduceva che l’unica prescrizione di tale farmaco risultava in data antecedente a quella erroneamente ritenuta dal Tribunale (per cui la relativa assunzione era avvenuta in epoca lontana dalla gravidanza) e che non era necessario in proposito richiedere alcun “consenso informato”. Aggiungeva che il Clomid era privo di effetti teratogeni e che essendo stato prescritto in epoca in cui non vi era gravidanza non era possibile prevedere eventuali malformazioni del feto, teoricamente rilevabili in epoca in cui non era piu’ possibile ricorrere all’ aborto terapeutico. Censurava, infine, la mancata declaratoria di responsabilita’ dei dottori B … e C …, il tasso dei riconosciuti interessi compensativi e la condanna alle spese di lite.

Si costituivano il C … ed il B …, che contestavano la natura teratogena del Clomid ed affermavano nuovamente che le malformazioni non potevano essere rilevate in tempo utile per praticare un aborto terapeutico; il solo B … eccepiva la prescrizione quinquennale del diritto degli attori nei suoi confronti e l’assenza da parte sua della facolta’ di prescrivere, autonomamente, terapie nel Centro.

Si costituivano altresi’ i coniugi … OMISSIS … – … OMISSIS …, in proprio e nella qualita’, proponendo a loro volta appello incidentale, con il quale chiedevano dichiararsi anche la responsabilita’ del B … e del C …, censurando la liquidazione dei danni per come effettuata dal Giudice di primo grado.

La Corte d’Appello di Napoli, previa sospensione dell’efficacia esecutiva della sentenza per le somme eccedenti l’importo di £ 500.000.000, con sentenza n. 995, depositata in data 19-3-2004, cosi statuiva: “in parziale accoglimento dell’appello principale, nonche’ dell’appello incidentale dei coniugi … OMISSIS …, dichiara anche il dott. B … responsabile dei danni subiti dai predetti coniugi e dal loro figlio F. e lo condanna, in solido con dott. A … , al pagamento, in favore dei coniugi … OMISSIS …-… OMISSIS … in proprio e nella qualita’, delle somme gia’ liquidate dal Tribunale a titolo di danni, con detrazione degli importi gia’ ricevuti dai danneggiati, nonche’ alle rifusione delle spese di lite di primo grado gia’ liquidate in favore degli attori”.

Avverso detta pronuncia propone ricorso, con atto notificato in data 3-2-2005, l’A … con tre motivi, (r.g.n. 3697/05), illustrati da memoria; resistono con autonomi controricorso il … OMISSIS … e la … OMISSIS … nonche’ il B …, che, a sua volta, propone ricorso incidentale con cinque motivi (r.g.n. 7013/2005, con atto notificato in data 14/15-3-2005, anche a … OMISSIS … F., divenuto maggiorenne in data 22-2-2005), illustrati da memoria, cui resiste l’A … con controricorso.

Il B … ha proposto altresi’ ulteriore ricorso (r.g.n. 7006/2005, con atto notificato sempre in data 14/15-3-2005, anche a … OMISSIS … F.), e sempre con cinque motivi del tutto analoghi a quelli contenuti nel ricorso incidentale; in relazione a detto ricorso del B …, resistono con autonomi controricorso sia l’A …, sia i coniugi … OMISSIS …-… OMISSIS …, sia in proprio … OMISSIS … F. (come detto divenuto maggiorenne).

Infine, il B … ha depositato nota di replica al P.G. in udienza.

Motivi della decisione

Ricorso A ….

Con il primo motivo si deduce violazione e falsa applicazione degli artt. 1218, 2043, 1223 e 2056 c.c., nonche’ dei principi in materia di rapporto di causalita’; omessa, insufficiente e contraddittoria motivazione.

Si censurano due profili argomentativi della Corte territoriale, in ordine al disposto risarcimento dei danni: la violazione dell’obbligo informativo nei confronti della … OMISSIS … da parte dei medici curanti, “che non potevano essere all’oscuro dei rischi rappresentati dal farmaco prescritto”; l’assunzione da parte della … OMISSIS … di clomifene (contenuto nel Clomid), causa delle malformazioni del figlio.

Si afferma che “la conclusione e’ infondata. La Corte napoletana non imputa ai medici di aver prescritto un farmaco erroneo, cioe’ incapace di curare la sterilita’, ma di aver violato il dovere informativo circa i rischi di esso. L’obbligazione di curare e’ stata esattamente e diligentemente adempiuta. I medici non hanno prescritto un farmaco erroneo, e dunque, sotto questo riguardo, non sono responsabili ne’ verso i genitori ne’ verso il minore”.

Con il secondo motivo si deduce violazione e falsa applicazione degli artt. 115, e 191 e sgg.

c.p.c. e omessa, insufficiente e contraddittoria motivazione su un punto decisivo della controversia.

Si afferma che, in ordine alla ritenuta somministrazione del Clomid in due cicli (uno anteriore alla gravidanza, l’altro “piu’ prossimo”), gli attori non hanno fornito alcuna prova (al di fuori della sola dichiarazione resa dalla … OMISSIS … al consulente tecnico d’ufficio).

Con il terzo motivo si deduce violazione e falsa applicazione degli artt. 2 e 32 Cost., 5 c.c., nonche’ dei principi della legge n. 194/1978 e omessa, insufficiente e contraddittoria motivazione su un punto decisivo della controversia.

Si deduce che ” la sentenza impugnata omette di motivare intorno al titolo di risarcimento accordato al minore. Posto che esso non e’ riconducibile all’inadempimento del dovere informativo, e’ altresi’ da escludere che discenda da violazione del diritto a non nascere”.

Ricorso incidentale B ….

Con il primo motivo si deduce “violazione e falsa applicazione degli artt. 112, 324, 329, 345, 346 e 167 c.p.c., concernenti norme di legge sul procedimento, per superamento dei limiti della domanda e del giudicato formatosi sulla sentenza di primo grado. Violazione dei principi del contraddittorio e del diritto di difesa (art. 360 nn. 3 e 4 c.p.c.)”.

Si afferma che “del tutto illegittimamente la Corte d’Appello ha disposto la condanna del B … al risarcimento dei danni pretesi dagli attori, senza considerare che mancava una domanda delle parte in tal senso ed anzi, per effetto della mancata impugnazione da parte dei coniugi … OMISSIS … del capo della sentenza di primo grado concernente il rigetto della domanda nei confronti del B …, nei loro confronti si era formato il giudicato”; si aggiunge che erroneamente la Corte d’Appello ha dichiarato la responsabilita’ anche del B … in quanto mancava una domanda in tal senso; si aggiunge ancora che “la domanda originaria formulata in citazione dai coniugi … OMISSIS … anche nei confronti dei B … e C … per la declaratoria di responsabilita’ professionale e la condanna al risarcimento dei danni, gia’ relegata in forma subordinata nelle conclusioni rassegnate in primo grado dagli attori e comunque esplicitamente rigettata dal Tribunale, doveva ritenersi del tutto abbandonata in grado di appello, non essendo stata riproposta (art. 346 c.p.c.) con appello incidentale dagli stessi coniugi … OMISSIS …, ne’ avendo comunque formato oggetto di considerazioni nei motivi della loro impugnativa parziale, con conseguente acquiescenza (art. 329 ultimo comma c.p.c.) e formazione del giudicato”.

Con il secondo motivo si deduce violazione degli artt. 1228, 1299, 2055 e 2232 c.c., nonche’ violazione e falsa applicazione degli artt. 324, 329 e 346 c.p.c. concernenti norme di legge sul procedimento e sul giudicato interno.

Si afferma che “del tutto illegittimamente la Corte d’Appello di Napoli ha condannato il B … al risarcimento dei danni nei confronti degli attori senza considerare che, essendosi formato il giudicato sulla circostanza che il contratto d’opera professionale era sorto direttamente tra la … OMISSIS … ed il A … nonche’ in ordine alla sussistenza di un rapporto di collaborazione retribuita tra l’ A … ed il B …, la fattispecie rientrava nella previsione dell’art. 2232 c.c., con la conseguente non configurabilita’ di una responsabilita’ diretta dei collaboratori nei confronti dei clienti del professionista, dovendo essi rispondere soltanto in sede di eventuale rivalsa esercitata dal professionista titolare, ove ne sussistano le condizioni di legge”.

Con il terzo motivo si deduce violazione e falsa applicazione degli artt. 112, 132 e 189 c.p.c.

nonche’ 118 disp. att. c.p.c., concernenti norme di legge sul procedimento, in relazione ai limiti della domanda (art. 360 nn. 3 e 4 c.p.c.). Violazione e falsa applicazione degli artt. 1223 e 2056 c.c. per la determinazione dei danni. Omessa motivazione.

Si afferma che “la Corte d’Appello e’ incorsa in un’ulteriore grave violazione la’ dove, condannando il B … al risarcimento dei danni liquidati dal Tribunale, ne ha condiviso l’errore, consistente nell’inammissibile superamento, per di piu’ senza la benche’ minima motivazione, delle indicazioni quantitative fornite dagli attori in ordine al danno biologico ed al danno morale”.

Con il quarto motivo si deduce violazione e falsa applicazione degli artt. 2697, 1228, 2043, 2232, 2236 c.c. (art. 360 nn. 3 e 4 c.p.c.). Violazione e falsa applicazione degli artt. 113, 115, 116 e 132 c.p.c., nonche’ 118 disp. att. c.p.c., concernenti norme di legge sul procedimento e sulla valutazione delle prove per superamento delle risultanze processuali (art. 360 nn. 3, 4 e 5 c.p.c.).

Omessa motivazione.

Si afferma che “manca agli atti il benche’ minimo elemento per ritenere che il B … non avesse provveduto ad informare la paziente in ordine ai rischi potenziali dell’utilizzazione del farmaco e, stante la natura extracontrattuale dell’asserita responsabilita’ verso gli attori di tale medico collaboratore dell’A …, l’onere della prova incombeva ai coniugi … OMISSIS …”.

Con il quinto motivo si deduce violazione e falsa applicazione degli artt. 1223, 1225, 2043, 2056 e 2697 c.c.. Violazione degli artt. 112, 115, 116 e 132 c.p.c. nonche’ 118 disp. att. c.p.c. concernenti norme di legge sul procedimento e sulla valutazione delle prove (artt. 360 nn. 3 e 4 c.p.c.). Omessa motivazione.

Si afferma che “in ogni caso, la sentenza impugnata e’ palesemente illegittima la’ dove la Corte d’Appello, pur individuando la fonte della responsabilita’ dei medici unicamente nell’asserita omissione dell’informativa alla paziente sui rischi dell’utilizzazione del farmaco, ha poi disposto la condanna al risarcimento anche in favore del minore per le malformazioni con cui e’ nato, quasi che le stesse potessero ritenersi cagionate dall’omessa informativa”.

Preliminarmente, disposta la riunione dei ricorsi ai sensi dell’art. 335 c.c., deve rilevarsi sia che ammissibile e’ il ricorso principale nella parte in cui risulta proposto nei confronti di … OMISSIS … e … OMISSIS … , oltre che in proprio, quali genitori esercenti la potesta’ sul minore F., in quanto ad essi notificato in data 3-2-2005 e prima che detto minore diventasse maggiorenne in data 22-2-2005; sia che e’ ammissibile il ricorso incidentale del B … (nella “versione” del ricorso incidentale come anche del ricorso dallo stesso B … proposto come “principale”, ricorsi entrambi dall’identico contenuto) in quanto proposto con atto notificato in data 17-3-05 allo stesso … OMISSIS … F., ormai diventato maggiorenne, in proprio, come attestato dalla cartolina dell’avviso di ricevimento, prodotta in atti. In relazione a tale notifica (del ricorso incidentale del B …) si ribadisce quanto gia’ statuito da questa Corte (Cass. N. 116/2004), secondo cui “qualora la capacita’ di stare in giudizio in rappresentanza del figlio minore venga meno per il raggiungimento della maggiore eta’ da parte di quest’ultimo dopo la pubblicazione della sentenza, l’impugnazione va proposta nei confronti dell’ex minore divenuto maggiorenne (e notificata presso il suo domicilio reale) e non nei confronti dei genitori (ovvero del figlio rappresentato dai genitori)”.

In relazione al ricorso principale il primo motivo presenta profili, da un lato, di inammissibilita’ e, dall’altro, di infondatezza.

Infatti, quanto al primo aspetto, detta doglianza non individua la ratio decidendi dell’impugnata decisione sul punto perche’, contrariamente a quanto asserito dal ricorrente, la Corte napoletana non si limita a ritenere violato il dovere informativo in ordine ai rischi connessi all’assunzione, da parte della madre, di clomifene ma imputa ai medici anche la prescrizione, ai fini dell’ovulazione, di detto farmaco con proprieta’ teratogene, sulla base di quanto specificamente asserito in una delle espletate consulenze tecniche di ufficio e dei dati statistici in essa indicati; cio’ risulta in modo evidente dalla motivazione della pronuncia in esame in cui, dopo aver premesso non rispondere al vero “che l’unica prescrizione del Clomid alla paziente sia stata fatta in epoca lontana dall’ovulazione”, si afferma che il consulente “ha descritto una casistica di malformazioni su nati da donne, che avevano assunto il clomifene; in particolare ha riportato che, su 2269 gravidanze associate con somministrazione di tale farmaco, si sono avuti 58 prodotti del concepimento malformati ed ha descritto le malformazioni riscontrate, fra le quali ci sono anche quelle di cui e’ affetto il minore F., l’ipospadia, la sindattilia e le lesioni congenite intestinali. Ha aggiunto che in otto madri del gruppo di 58 il farmaco fu assunto durante le prime 6 settimane di gravidanza. Ha evidenziato, inoltre, che nei primi 42 mesi di commerciabilita’ della sostanza si era avuta notizia di 7 infanti malformati su 7 gravidanze. Tali dati statistici sono incontrovertibili e, come ha assunto il primo ausiliare, la considerazione della scarsa frequenza della teratogenicita’ non giustifica certo la nescienza sulla pericolosita’ del farmaco, gia’ evidenziata dalla letteratura all’epoca dell’assunzione da parte della … OMISSIS …, ne’ l’aver trascurato, da parte dei medici, le precauzioni necessarie per la somministrazione. Si noti a tale ultimo proposito che anche il secondo ausiliario, che pure ha assunto una posizione piu’ cauta sulla capacita’ teratogena del Clomid, non l’ha negata recisamente……”.

Ed e’ proprio sulla ritenuta, in premessa, potenzialita’ dannosa del farmaco in questione, che la Corte di merito configura la sussistenza di colpevolezza in ordine al mancato esercizio di una corretta informazione, sostenendo che “da tutto quanto osservato discende innanzitutto la considerazione che i medici curanti, che non potevano essere all’oscuro dei rischi rappresentanti dal farmaco prescritto per la presenza di studi scientifici in proposito anche all’epoca della prescrizione, sono colpevoli in quanto non hanno reso edotta la donna di tali rischi, anche se non frequenti; la conoscenza di essi avrebbe consentito ai coniugi … OMISSIS … di valutare appieno la scelta di ricorrere o meno a tale farmaco per indurre l’ovulazione, ben consapevoli delle possibilita’, a cui andavano incontro, di insorgenza di malformazioni nel feto”.

Riguardo, poi, al secondo aspetto, il primo motivo e’ infondato la’ dove prospetta che la mancata corretta informazione in questione ha inciso esclusivamente sul “potere di scelta” spettante i genitori sul “se assumere o non assumere il farmaco” per cui “la violazione del dovere informativo puo’ dar luogo a risarcimento del danno soltanto in favore dei genitori, nel senso che “la condotta omissiva dei medici determina la perdita del potere di scelta ma non presenta alcun rapporto di causalita’ con le menomazioni del bambino. Altro e’ non informare, non trasmettere dati conoscitivi, che consentirebbero una scelta consapevole; altro, determinare un danno fisico a soggetto diverso dalle parti negoziali”.

Tale tesi non puo’ assolutamente essere condivisa: ritiene, infatti, la Corte che, limitatamente alla titolarita’ di alcuni interessi personali protetti, vada affermata la soggettivita’ giuridica del nascituro, e, in via conseguenziale, il nesso di causalita’ tra il comportamento dei medici (di omessa informazione e di prescrizione dei farmaci dannosi) e le malformazioni dello stesso nascituro che, con la nascita, acquista l’ulteriore diritto patrimoniale al risarcimento.

L’asserzione della configurabilita’ del nascituro quale soggetto giuridico comporta lo sviluppo di due ineludibili premesse argomentative: l’attuale modo di essere e di strutturarsi del nostro ordinamento, in particolare civilistico, quale basato su una pluralita’ di fonti, con conseguente attuazione di c.d. principi di decodificazione e depatrimonializzazione e la funzione interpretativa del giudice in ordine alla formazione della c.d. giurisprudenza – normativa, quale autonoma fonte di diritto.

È indubbio che il vigente codice civile, contrariamente alle sue origini storiche sulla scia delle codificazioni europee ottocentesche che videro nel code napoleon la piu’ evidente manifestazione, non rappresenta oggi piu’ l’unica fonte di riferimento per l’interprete in un ordinamento caratterizzato da piu’ fonti, tra cui una posizione preminente spetta alla Costituzione repubblicana del 1948 (che ha determinato il passaggio dallo Stato liberale allo Stato sociale, caratterizzato da un punto di vista giuridico dalla c.d. centralita’ della persona), oltre alla legislazione ordinaria (finalizata anche all’adeguamento del testo codicistico ai principi costituzionali), alla normativa comunitaria, ed alla stessa giurisprudenza normativa; tale pluralita’ di fonti (civilistiche) ha determinato i due suddetti fenomeni, tra loro connessi, della decodificazione e della depatrimonializzazione, intendendosi la prima come il venir meno della tradizionale previsione di disciplina di tutti gli interessi ritenuti meritevoli di tutela in un unico testo normativo, a seguito del subentrare di altre fonti, e la seconda nell’attribuzione alla persona (in una prospettiva non individuale ma nell’ambito delle formazioni sociali in cui estrinseca la propria identita’ e l’insieme dei valori di cui e’ espressione) una posizione di centralita’, quale portatrice di interessi non solo patrimoniali ma anche personali (per quanto esplicitamente previsto, tra l’altro, nello stesso testo costituzionale, con particolare riferimento agli artt. 2 e 32).

In tale assetto ordinamentale l’apporto della giurisprudenza, in specie di legittimita’ nell’espletamento della funzione di “nomofilachia” (vale a dire di indirizzo ai fini di un’uniforme interpretazione delle norme) della Corte di Cassazione, assume sempre piu’ rilievo nel sistema delle fonti in linea con la maggiore consapevolezza dei giudici di operare in un sistema ordinamentale che, pur essendo di civil law e, quindi, non basato su soli principi generali come avviene nei paesi di common law (Inghilterra, Stati Uniti ed altri), caratterizzati dal vincolo che una determinata pronuncia giurisprudenziale assume per le decisioni successive, si configura come semi – aperto perche’ fondata non solo su disposizioni di legge riguardanti settoriali e dettagliate discipline ma anche su c.d. clausole generali, e cioe’ su indicazioni di “valori” ordinamentali, espressi con formule generiche (buona fede, solidarieta’, funzione sociale della proprieta’, utile sociale dell’impresa, centralita’ della persona) che scientemente il legislatore trasmette all’interprete per consentirgli, nell’ambito di una piu’ ampia discrezionalita’, di “attualizzare” il diritto, anche mediante l’individuazione (la’ dove consentito, come nel caso dei diritti personali, non tassativi) di nuove aree di protezione di interessi.

In tal modo, con evidente applicazione del modello ermeneutico tipico della interessenjurisprudenz (c.d. giurisprudenza degli interessi, in contrapposizione alla begriffsjurisprudenz o giurisprudenza dei concetti quale espressione di un esasperato positivismo giuridico) si evita sia il rischio, insito nel c.d. sistema chiuso (del tutto codificato e basato sul solo dato testuale delle disposizioni legislative senza alcun spazio di autonomia per l’interprete), del mancato, immediato adeguamento all’evolversi dei tempi, sia il rischio che comporta il c.d. sistema aperto, che rimette la creazione delle norme al giudice sulla base anche di parametri socio – giurdici (ordine etico, coscienza sociale etc.) la cui valutazione puo’ diventare arbitraria ed incontrollata.

La funzione interpretativa del giudice, i suoi limiti, la sua vis expansiva sono, dunque, funzionalmente collegati all’assetto costituzionale del nostro ordinamento quale Stato di diritto anch’esso caratterizzato dal Rule of law (vale a dire dal principio di legalita’), assetto in cui il primato della legge passa necessariamente attraverso l’attivita’ ermeneutica del giudice.

Pertanto, proprio in virtu’ di una interpretazione basata sulla pluralita’ delle fonti e, nel caso in esame, sulla clausola generale della centralita’ della persona, si addiviene a ritenere il nascituro soggetto giuridico. Tale tesi trova conforto in numerose disposizioni di legge, oltre che in precedenti giurisprudenziali di questa Corte e della Corte Costituzionale. Ed, infatti, l’art. 1 della legge n. 40/2004, nell’indicare le finalita’ della procreazione medicalmente assistita statuisce la tutela dei diritti “di tutti i soggetti coinvolti compreso il concepito” (tra l’altro, la Corte costituzionale ha dichiarato con sentenza n. 45/2005 inammissibile la richiesta di sottoporre a referendum abrogativo detta intera legge perche’ “costituzionalmente necessaria” in relazione agli interessi tutelati, anche a livello internazionale, con particolare riferimento alla Convenzione di Oviedo del 4-4-1997); l’art. 1 della legge n. 194/1978 prevede testualmente che “lo Stato garantisce il diritto alla procreazione cosciente e responsabile, riconosce il valore sociale della maternita’ e tutela la vita umana dal suo inizio”; l’art. 254, 1° comma, c.c. prevede che il riconoscimento del figlio naturale puo’ effettuarsi non solo a favore di chi e’ gia’ nato ma anche dopo il solo concepimento; la legge n. 405/1975, nel disciplinare l’istituzione dei consultori familiari, afferma esplicitamente l’esigenza di protezione della salute del “prodotto del concepimento”; l’art. 32 Cost. (che oltre a prevedere come fondamentale il diritto alla salute e che ha costituito norma primaria di riferimento per l’interprete in relazione all’evoluzione dei diritti della persona), riferendosi all’individuo quale destinatario della relativa tutela, contempla implicitamente la protezione del nascituro; “il diritto alla vita”, quale spettante ad “ogni individuo”, e’ esplicitamente previsto non solo dall’art. 3 della Dichiarazione Universale dei diritti dell’uomo del 1948 (approvata dall’Assemblea generale delle Nazioni Unite il 10-11-1948) ma anche dall’art. 2 della Carta dei diritti fondamentali dell’Unione europea del 7-12-2000 (poi inglobata nella Costituzione europea), alla quale il recente Trattato di Lisbona (con il quale in data 13-12-2007 i capi dei governi europei hanno deciso di dotare l’Unione europea di nuovo assetto istituzionale) ha riconosciuto l’efficacia, negli ordinamenti degli Stati – membri, propria dei Trattati dell’Unione europea; la Corte Costituzionale con la sentenza n. 35/1997 attribuisce al concepito il diritto alla vita, dando atto che il principio della tutela della vita umana e’ stato oggetto anche di un riconoscimento nella Dichiarazione sui diritti del fanciullo (approvata dalla Assemblea Generale delle Nazioni Unite nel 1959 a New York e nel cui preambolo e’ previsto che “il fanciullo, a causa della sua mancanza di maturita’ fisica ed intellettuale, necessita di una protezione e di cure particolari, ivi compresa una protezione legale appropriata, sia prima che dopo la nascita”).

Deve, quindi, oggi intendersi per soggettivita’ giuridica una nozione senz’altro piu’ ampia di quella di capacita’ giuridica delle persone fisiche (che si acquista con la nascita ex art. 1, 1° comma, c.p.c.), con conseguente non assoluta coincidenza, da un punto di vista giuridico, tra soggetto e persona, e di quella di personalita’ giuridica (con riferimento agli enti riconosciuti, dotati conseguentemente di autonomia “perfetta” sul piano patrimoniale): sono soggetti giuridici, infatti, i titolari di interessi protetti, a vario titolo, anche sul piano personale, nonche’ gli enti non riconosciuti (che pur dotati di autonomia patrimoniale “imperfetta” sono idonei a essere titolari di diritti ed a esercitarli a mezzo dei propri organi rappresentativi; sul punto, Cass. n. 8239/2000).

In tale contesto, il nascituro o concepito risulta comunque dotato di autonoma soggettivita’ giuridica (specifica, speciale, attenuata, provvisoria o parziale che dir si voglia) perche’ titolare, sul piano sostanziale, di alcuni interessi personali in via diretta, quali il diritto alla vita, il diritto alla salute o integrita’ psico-fisica, il diritto all’onore o alla reputazione, il diritto all’identita’ personale, rispetto ai quali l’avverarsi della condicio iuris della nascita ex art. 1, 2° comma, c.c. (sulla base dei due presupposti della fuoriuscita del feto dall’alveo materno ed il compimento di un atto respiratorio, fatta eccezione per la rilevanza giuridica del concepito, anche su piano patrimoniale, in relazione alla successione mortis causa ex art. 462 c.c. ed alla donazione ex art. 784 c.c.) e’ condizione imprescindibile per la loro azionabilita’ in giudizio a fini risarcitori; su tale punto non puo’ non rilevarsi come la questione della soggettivita’ del concepito sia stata gia’ posta piu’ volte all’attenzione del legislatore italiano con alcuni disegni e proposte di legge (tra cui in particolare il disegno di legge n. 1436/1996, di iniziativa di alcuni senatori e la proposta di legge n. 2965/1997 di iniziativa di alcuni deputati).

Ne deriva che, se da un lato, per quanto esposto, appaiono condivisibili le asserzioni gia’ in precedenza espresse da questa Corte e di cui alla sentenza n. 11503/1993 ( poi pedissequamente fatte proprie dalla sentenza n. 14488/2004) secondo cui “lo stesso diritto alla salute che trova fondamento nell’art. 32 Cost., per il quale la tutela della salute e’ garantita come fondamentale diritto dell’individuo, oltre che interesse della collettivita’, non e’ limitato alle attivita’ che si esplicano dopo la nascita od a questa condizionate, ma deve ritenersi esteso anche al dovere di assicurare le condizioni favorevoli per l’integrita’ del nascituro nel periodo che la precedono. Numerose norme prevedono del resto forme di assistenza sanitaria alle gestanti non al solo fine di garantire la salute della donna ma altresi’ al fine di assicurare il miglior sviluppo e la salute stessa del nascituro”, non altrettanto puo’ dirsi, dall’altro lato, in ordine alle ulteriori affermazioni ( sempre in dette sentenze) secondo cui “attraverso tali norme non viene ovviamente attribuita al concepito la personalita’ giuridica, ma dalle stesse si evince chiaramente che il legislatore ha inteso tutelare l’individuo sin dal suo concepimento, garantendo se non un vero e proprio diritto alla nascita, che sia fatto il possibile per favorire la nascita e la salute”.

Cio’ in quanto, a parte la considerazione che attualmente l’espressione personalita’ giuridica ha acquisito uno specifico significato tecnico (come sopra gia’ detto) con riferimento alla sola categoria degli enti riconosciuti (perche’ e’ proprio il riconoscimento che attribuisce personalita’, ma non soggettivita’, e con essa un particolare regime di responsabilita’ patrimoniale), non si puo’ riconoscere all’individuo – concepito la titolarita’ di un interesse protetto senza attribuirgli soggettivita’.

Con specifico riferimento al thema decidendum in esame il nascituro ha, dunque, il diritto a nascer sano, in virtu’, in particolare, degli artt. 2 e 32 della Costituzione (senza dimenticare l’art. 3 della citata Dichiarazione di Diritti fondamentali dell’Unione europea che esplicitamente prevede il diritto di ogni individuo all’integrita’ psico-fisica); su tale aspetto, la relativa lesione in questione a carico di … OMISSIS … F. risulta correttamente affermata e motivata sulla base dell’inadempimento dello specifico obbligo a carico sia dell’A …, nella qualita’, che del B … di non somministrare medicinali potenzialmente dannosi, anche dal punto di vista teratogeno nonche’ dell’obbligo di corretta informazione, ai fini del consenso, nei confronti della … OMISSIS … in ordine ai rischi della terapia adottata (obbligo, quest’ultimo, che “si riflette” anche nei confronti di … OMISSIS … F., quale terzo destinatario di effetti protettivi in relazione al rapporto madre-medico).

La Corte territoriale, infatti, sulla base delle risultanze processuali e della discrezionale valutazione dei dati delle espletate consulenze tecniche d’ufficio, non ulteriormente esaminabili nella presente sede di legittimita’, dopo aver premesso che “l’A … ha dichiarato nel suo atto di appello di non impugnare la sentenza, nella parte in cui ha riconosciuto che la … OMISSIS … si rivolse al suo studio (e non al B …) per la cura della sua sterilita’ ed ha, conseguentemente, dichiarato l’esistenza di un rapporto contrattuale fra l’appellante e la donna, da cui e’ derivata la responsabilita’ del detto medico per le malformazioni del minore F.”, ha statuito che “da tutto quanto osservato discende innanzitutto la considerazione che i medici curanti, che non potevano essere all’oscuro dei rischi rappresentati dal farmaco prescritto per la presenza di studi scientifici in proposito anche all’epoca della prescrizione, sono colpevoli in quanto non hanno reso edotta la donna di tali rischi, anche se non frequenti; la conoscenza di essi avrebbe consentito ai coniugi … OMISSIS … di valutare appieno la scelta di ricorrere o meno a tale farmaco per indurre l’ovulazione, ben consapevoli delle possibilita’, a cui andavano incontro, di insorgenza di malformazioni nel feto.

In secondo luogo, considerato che non puo’ escludersi la capacita’ teratogena del clomifene, la sua presenza in circolo all’epoca del concepimento, l’assenza di aberrazioni cromosomiche nei genitori del piccolo F. e di altre cause scatenanti, nonche’ il verificarsi proprio di alcune di quelle malformazioni evidenziate dalla letteratura scientifica e dalla stessa casa farmaceutica produttrice della sostanza, deve riconoscersi che le malformazioni da cui e’ affetto il minore fin dalla nascita vadano ascritte alla assunzione, da parte della madre, di clomifene.”.

Detto argomentare evidenzia che il comportamento posto in essere dall’A … e dal B … ha riguardato, provocando i danni per cui e’ processo, … OMISSIS … F. dopo il suo concepimento (questione di fatto non ulteriormente valutabile da questa Corte) e risulta in linea con quanto gia’ asserito dalla giurisprudenza di legittimita’ sulla responsabilita’ medica nei confronti del nascituro in ordine alla somministrazione di farmaci anche potenzialmente dannosi per la salute, e indipendentemente da una corretta informazione ai fini del consenso.

Deve premettersi, in generale, che sia il contratto che la paziente pone in essere con la struttura sanitaria e sia il contratto della stessa con il singolo medico risultano produttivi di effetti, oltre che nei confronti delle stesse parti, anche di ulteriori effetti, c.d. protettivi, nei confronti del concepito e del genitore, come terzi (sul punto, tra le altre, Cass. n. 14488/2004, n. 698/2006, n. 13953/2007, e n. 20320/2005); cio’ in quanto, con specifico riferimento al tema in esame, l’efficacia del contratto, che si determina in base alla regola generale ex art.1372 c.c. ovviamente tra le parti, si estende a favore di terzi soggetti, piu’ che in base alla pur rilevante disposizione di cui all’art. 1411 c.c., in virtu’ della lettura costituzionale dell’intera normativa codicistica in tema di efficacia e di interpretazione del contratto, per cui tale strumento negoziale non puo’ essere considerato al di fuori della visione sociale (e non individuale) del nostro ordinamento, caratterizzato dalla centralita’ della persona.

Se, in tale prospettiva, causa del contratto (sia tipico che atipico) e’ la sintesi degli interessi in concreto dei soggetti contraenti, quale fonte dei c.d. effetti essenziali che lo stesso produce, non puo’ negarsi all’accordo negoziale che intercorre tra una paziente-gestante, una struttura sanitaria ed i medici l’idoneita’ a dar luogo a conseguenze giuridiche riguardo al soggetto nascituro e all’altro genitore, nella sua qualita’ di componente familiare; detto accordo, infatti, “si proietta” nei confronti del destinatario “finale” del negozio (il concepito che poi viene ad esistenza) come anche nei confronti di chi (genitore), insieme alla madre, ha i diritti ed i doveri nei confronti dei figli di cui all’art. 30 Cost. ed alla connessa normativa codicistica ed ordinaria.

Riguardo al consenso informato, deve ribadirsi che la relativa esigenza del suo “realizzarsi” trova riscontro, oltre che in quanto previsto in tema di Codice deontologico dei medici (dapprima nella versione del 1998 agli artt. 30 e 32 e in seguito in quella del 2006 agli artt. 33 e 35, per cui il medico deve correttamente ed esaurientemente informare il paziente in ordine alle terapie praticate al fine di ottenere il consenso), principalmente nell’art. 32, secondo comma, Cost. ( a norma del quale “nessuno puo’ essere obbligato a un determinato trattamento sanitario se non per disposizione di legge”), nell’art. 13 Cost. (che garantisce l’inviolabilita’ della liberta’ personale con riferimento anche alla liberta’ di salvaguardia della propria salute ed integrita’ fisica), nell’art. 33 della legge n. 833/1978 (che esclude trattamenti sanitari contro l’assenso del paziente se questo non e’ in grado di esprimerlo e non ricorrono i presupposti dello stato di necessita’ ex art. 54 c.p.); detto consenso ha come presupposto una attivita’ di corretta informazione, sia nella fase di formazione del consenso, sia nella fase antecedente che in quella di esecuzione del contratto, riconducibile (come in altri settori) alla clausola generale di buona fede del nostro ordinamento civilistico ex artt. 1175, 1337, 1375 c.c.

La violazione di tale obbligo comporta, consistendo in un dovere di comportamento, non un vizio (nullita’) del contratto stesso, in mancanza di una esplicita previsione in tal senso, bensi’ il risarcimento del danno, come di recente affermato da questa Corte a Sezioni Unite (con la sentenza n. 26724/2007).

Come bene messo in evidenza nella decisione impugnata, nella vicenda in esame la mancata osservanza dell’obbligo dei sanitari del consenso informato ha riguardato esclusivamente la somministrazione a fini terapeutici di medicinali poi rivelatisi dannosi per il concepito e non l’eventuale esercizio del diritto all’interruzione di gravidanza; in proposito ha affermato la Corte territoriale che “non appare rilevante la censura dell’appello principale riguardante l’omessa rilevazione e comunicazione alla … OMISSIS … delle malformazioni del feto, onde consentirle di ricorrere all’aborto terapeutico non potrebbe, a prescindere dalla sussistenza o meno di tali requisiti, comunque riconoscersi un risarcimento a tale titolo, poiche’ la donna non ha dimostrato che essa avrebbe effettivamente esercitato il diritto all’interruzione di gravidanza, se fosse stata esattamente informata dal medico sulle malformazioni del feto”: e’ dunque evidente che detta mancanza di consenso (ai fini della terapia e non dell’interruzione di gravidanza), in relazione anche agli effetti nei confronti del nascituro, ha determinato l’obbligo a carico del responsabile al risarcimento del danno.

Non sfugge, infatti, a questo Collegio che la mancanza di consenso informato, nella diversa fattispecie da quella in esame con riguardo alla interruzione volontaria di gravidanza (e non in relazione alla sola effettuazione di una terapia), non puo’ dar luogo a risarcimento anche nei confronti del nascituro poi nato con malformazioni, oltre che nei confronti della gestante-madre; cio’ perche’, in base alla condivisibile giurisprudenza di questa Corte (sul punto, tra le altre, la gia’ citata sentenza n. 14488/2004, la n. 6735/2002 e la n. 16123/2006) non e’ configurabile nel nostro ordinamento un diritto “a non nascere se non sano” perche’, in base alla legge n. 194/1978, sull’interruzione volontaria di gravidanza, e in particolare agli artt. 4 e 6 nonche’ all’art. 7, 3° comma, che prevedono la possibilita’ di interrompere la gravidanza nei soli casi in cui la sua prosecuzione o il parto comportino un grave pericolo per la salute o la vita della donna, deve escludersi nel nostro ordinamento il c.d. aborto eugenetico. Pertanto il concepito, poi nato, non potra’ avvalersi del risarcimento del danno perche’ la madre non e’ stata posta nella condizione di praticare l’aborto; tale circostanza non e’ in contrasto con la tutela riconosciuta al nascituro, quale soggetto giuridico, ed ai suoi interessi e non prospetta profili di incostituzionalita’ per quanto affermato anche dalla Corte Costituzionale, con la pronuncia n. 27/1975 (anche se antecedente alla legge sulla interruzione volontaria di gravidanza), secondo cui, pur sussistendo una tutela costituzionale del concepito, deducibile dagli artt. 31, secondo comma, e 2 Cost., gli interessi dello stesso possono venire in collisione con altri beni anch’essi costituzionalmente tutelati (come, nel caso di specie, la salute della madre).

Del pari la Corte territoriale ha ritenuto la responsabilita’ dei medici curanti (A … oltre che B …) in ordine alla somministrazione di un farmaco dannoso, e cio’ sulla base di una valutazione in fatto non ulteriormente censurabile nella presente sede di legittimita’; ha affermato in proposito detta Corte: “ne’ puo’ l’A … asserire che, poiche’ il parto fu preso dai soli dottori B … e C …, ogni responsabilita’ sia da ascrivere esclusivamente ai detti medici.

Invero, innanzitutto e’ dimostrato con i testi e la documentazione della camere di commercio che il reparto della Clinica … omissis …, ove partori’ la donna, e’ riservato alle partorienti in cura pressi il Centro A … e che il dott. A … e’ azionista della detta Clinica; in secondo luogo, le malformazioni al minore non sono derivante da una cattiva conduzione del parto, bensi’ dalla somministrazione del clomifene, avvenuta durante il periodo in cui la … OMISSIS … era in cura presso il Centro A … ed affidata al dott. B ….

Deve, dunque, ritenersi la responsabilita’ concorrente dei dottori A … e B … per i danni causati agli attori”.

Altresi’ infondata e’ l’ulteriore censura, sempre espressa nel primo motivo, in ordine alla dedotta violazione “dei principi in materia di rapporto di causalita’”. Sul punto, deve ribadirsi quanto gia’ statuito da questa Corte, secondo cui la valutazione del nesso di causalita’ (materiale), in sede civile, pur ispirandosi ai criteri di cui agli artt. 40 e 41 c.p. (per cui un evento e’ da considerarsi causato da un altro se il primo non puo’ verificarsi in assenza del secondo), fatte salve alcune peculiarita’, presenta una rilevante differenza in relazione ai parametri probatori. Infatti, stante la diversita’ dei valori in gioco tra la responsabilita’ penale (in cui principale punto di riferimento per il legislatore e’ l’autore del reato, in relazione a fattispecie tipiche) e quella civile ( in cui il legislatore e’ di regola equidistante dalle parti contendenti, con particolari situazioni di tutela del danneggiato, e vige, per l’illecito aquiliano, la regola generale del neminem laedere), nel primo caso occorre che sia fornita la prova “oltre ogni ragionevole dubbio” (in tal senso l’ormai consolidato indirizzo della giurisprudenza penale di questa Corte) mentre in materia civile vige il diverso principio del “piu’ probabile che non”, ovvero della prevalenza probabilistica, rispetto alla (quasi) certezza (sul punto, di recente Cass. S.U. n.576/2008 nonche’ Cass. n. 21619/2007).

Deve aggiungersi, poi, che in tema di responsabilita’ contrattuale (o da “contatto sociale”, spesso configurabile, sulla base della giurisprudenza di questa Corte, in caso di attivita’ medico-chirurgica nell’ambito di strutture sanitarie), come nel caso in esame, rileva in particolar modo l’oggettiva “inesattezza” dell’adempimento da parte del debitore da compararsi al soggettivo criterio di valutazione del suo operato in base alla diligenza media o “rafforzata” di cui, rispettivamente, all’art. 1176, 1° e 2° comma, c.c..

In definitiva, diversi sono i criteri di indagine in ordine alla responsabilita’ penale ed alla responsabilita’ civile, perche’, con riferimento a quest’ultima, l’illecito extracontrattuale e’ “sanzionato” con il risarcimento del danno ove il fatto sia oggettivamente probabile e soggettivamente prevedibile, mentre la responsabilita’ contrattuale, anch’essa fonte in primis dell’obbligo risarcitorio, sussiste se la prestazione eseguita non corrisponde a quanto pattuito (per qualita’, quantita’, vizi, ritardo ed altro) in stretta connessione con il grado di diligenza richiesto nel caso di specie.

Cio’ premesso, nella vicenda in esame, risultando comunque l’accertamento della sussistenza del nesso di causalita’ come quaestio facti , e’ da rilevare che logica e sufficiente e’ la motivazione sul punto: sia l’A … che il B … sono stati ritenuti responsabili contrattualmente perche’, da un lato, non hanno informato compiutamente la … OMISSIS … in relazione alla pericolosita’ dei farmaci prescritti, con cio’ venendo meno allo specifico dovere di comportamento sopra richiamato (sul rapporto di causalita’ in tema di obbligo informativo, Cass. n. 14638/2004) e, dall’altro, hanno “inesattamente” adempiuto la prestazione a loro carico, in modo non diligente ai sensi dell’art. 1176, secondo comma c.c. prescrivendo un farmaco dannoso per il nascituro (sul tema, Cass. n. 11316/2003). In entrambe dette ipotesi e’ evidente la sussistenza del nesso di causalita’: il comportamento omissivo ha impedito alla … OMISSIS … di acconsentire al trattamento (o di negarlo) in piena consapevolezza dei rischi connessi; la prescrizione del Clomid, sulla base di un’evidente e grave negligenza (per quanto accertato dalla Corte territoriale), ha determinato le lesioni e le malformazioni in oggetto.

In relazione a tale ultimo punto in ordine alla diligenza professionale del medico-chirurgo, la sentenza in esame risulta in linea con quanto piu’ volte affermato di recente da questa Corte (tra le altre, Cass. n. 12273/2004), secondo cui, in linea con la decisione della Consulta n. 166/1973, deve affermarsi che la limitazione stabilita dall’art. 2236 c.c., della responsabilita’ del prestatore d’opera intellettuale alla colpa grave, configurabile nel caso di mancata applicazione della cognizioni fondamentali attinenti alla professione, e’ applicabile soltanto per la colpa da imperizia nei casi di prestazioni particolarmente difficili; non possono invece mai difettare, neppure nei casi di particolare difficolta’, nel medico gli obblighi di diligenza del professionista che e’ un debitore qualificato, ai sensi dell’art. 1176, 2° comma c.c., e di prudenza, che pertanto, pur in casi di particolare difficolta’, risponde per colpa lieve.

In parte infondato e in parte inammissibile e’ il secondo motivo (del ricorso principale) in ordine alla prova “offerta” dagli attori, con specifico riferimento alla “duplice” somministrazione del farmaco, nonche’ in ordine all’accoglimento “acritico” da parte della Corte territoriale del contenuto della relazione tecnica.

Infondata e’ la censura sul regime probatorio nella controversia in esame: in proposito deve ribadirsi quanto gia’ statuito in modo consolidato da questa Corte (tra le altre Cass. n. 9471/2004) che, dando luogo la relazione che si instaura tra medico (nonche’ la struttura sanitaria) e paziente ad un rapporto di tipo contrattuale (quand’anche fondato su solo contatto sociale), in base alla regola di cui all’art. 1218 c.c. compete non gia’ al paziente “allegarne” e provarne la sussistenza , ma al medico ed alla struttura sanitaria dimostrarne la mancanza; il paziente ha l’onere di “allegare” l’inesattezza dell’adempimento non la colpa ne’ tanto meno la gravita’ della colpa.

Per il resto detto secondo motivo e’ inammissibile la’ dove tende ad un non consentito riesame delle risultanze di causa (modalita’ di somministrazione del Clomid) o dei dati della consulenza di ufficio, discrezionalmente valutabili dal giudice di merito.

Altresi’, inammissibile e’ il terzo motivo in quanto non censura, come tra l’altro esposto in sede di esame di primo motivo, la ratio decidendi dell’impugnata decisione, fondata sulla violazione di due obblighi (quello relativo all’informazione della paziente e quello riguardante la prescrizione di un farmaco non potenzialmente dannoso), limitandosi ad esporre un convincimento proprio del ricorrente in antitesi a quello della Corte territoriale, con specifico riferimento alla violazione del diritto a nascere sano.

Non meritevole di accoglimento e’ anche il ricorso incidentale in relazione a tutti i motivi.

Quanto al primo motivo si osserva innanzitutto che la responsabilita’ del B … e’ stata affermata dalla Corte di Napoli in virtu’ di un compiuto esame delle risultanze processuali e con ampia e logica motivazione; ha dedotto, infatti, detta Corte che: “egli segui’ la donna nell’ambito della struttura dell’A … per tutto il periodo della gravidanza e quello precedente, le prescrisse i farmaci e gli esami necessari e la opero’ al momento del parto, avvenuto con taglio cesareo, egli non ha dimostrato la assunta imposizione del protocollo da seguire e dei farmaci da prescrivere da parte dell’A …;

…..dagli atti di causa e’ emerso che egli collaborava con il Centro A … da alcuni anni come assistente del titolare, era inserito nella struttura e veniva retribuito regolarmente per l’opera professionale prestata in favore delle pazienti del Centro (cfr. deposizioni dei testi di parte attrice e dei convenuti B … e C …, nonche’ ricevute di pagamento degli emolumenti prodotti dal B …).

Ma l’inserimento di un medico in una struttura pubblica o privata non lo esime certamente da responsabilita’ personale per l’opera professionale prestata ai pazienti, in considerazione del fatto che e’ proprio il medico che valuta il caso del paziente, decide il programma terapeutico da attuare e ne controllo l’evolversi nel tempo”.

Quanto poi alla dedotta mancanza di una domanda di accertamento di responsabilita’ (e di conseguente pronuncia risarcitoria) nei confronti del B …, si rileva: i coniugi … OMISSIS …-… OMISSIS … hanno convenuto sia l’A …, nella qualita’, che i dottori B … e C … per sentirli condannare al risarcimento di tutti danni subiti in relazione alla loro condotta complessiva nell’ambito del rapporto sanitario-paziente, che non puo’ non comprendere, per quanto gia’ esposto, sia il dovere generale di una corretta informazione, sia l’obbligo di non prescrivere farmaci potenzialmente lesivi del bene salute (come poi “in concreto” accertato in sede di consulenza di ufficio); inoltre, mentre l’A …, in sede di gravame, non proponeva alcuna domanda di condanna del B …, solo prospettando una differente tesi rispetto a quanto ritenuto in primo grado, la condanna, a titolo solidale, nei confronti dello stesso B … fu introdotta innanzi al Tribunale da detti coniugi e dagli stessi riproposta, in via d’appello incidentale in secondo grado.

Ne’, infine, l’appello principale dell’A … introduceva questioni “nuove” (rispetto all’originaria causa petendi), tali da comportare l’inammissibilita’ del gravame, con riflessi sull’impugnazione incidentale.

Privo di pregio e’ anche il secondo motivo, in ordine al presunto giudicato formatosi sull’inserimento nella struttura e sull’esistenza di un rapporto contrattuale tra la … OMISSIS … e l’A …, con ritenuta conseguente esclusione della responsabilita’ “diretta” del B …: in base degli artt. 1228 e 2232 c.c., va rilevato che la solidarieta’ tra vari soggetti obbligati verso il danneggiato non e’ esclusa dal diverso titolo di responsabilita’ a carico degli “ausiliari” o “sostituti” rispetto ai “padroni” o “committenti”, soprattutto in casi in cui un unico evento dannoso e’ ascrivibile a piu’ persone, come nella vicenda in esame, in cui, per la Corte territoriale il rapporto tra la … OMISSIS … ed i sanitari in questione, pur nella diversita’ dei compiti di ciascuno, era da considerarsi unico (come testualmente si afferma alle pagine 9 e 10 nella sentenza impugnata, in relazione alla “responsabilita’ concorrente dei dottori A … e B … per in danni causati agli attori”).

In definitiva, si evince dalla motivazione dei giudici di secondo grado la configurazione dell’attivita’ svolta dal B …, nell’ambito del Centro A …, da “contatto sociale” con la … OMISSIS …, con conseguente assunzione di obblighi personali e diretti da parte del B ….

Inammissibili sono le doglianze di cui al terzo e il quarto motivo: a parte la considerazione, come gia’ detto, che la Corte di Napoli ha dato ampiamente conto delle ragioni del decidere, anche con riferimento dei danni liquidati a … OMISSIS … F. ed ai suoi genitori (sia non patrimoniali che patrimoniali), le censure, in particolare, di cui a detti motivi in parte sono generiche (non e’ infatti dato comprendere “l’arbitrarieta’” e la mancanza di motivazione in proposito dedotte dal ricorrente incidentale nel terzo motivo) e in parte riguardano circostanze di fatto (l’entita’ delle lesioni e dei danni patrimoniali in sede di terzo motivo nonche’ il comportamento del B … in ordine all’obbligo di informazione, la prova in proposito offerta dalla … OMISSIS …, la dannosita’ del Clomid in relazione alla terapia praticata nell’ambito del quarto motivo) non ulteriormente valutabili in questa sede.

Per quanto gia’ esposto, assorbito e’ il quinto motivo.

In conclusione, deve affermarsi, stante la soggettivita’ giuridica di … OMISSIS … F. sul piano personale (nei limiti indicati), quale concepito, il suo diritto a nascere sano ed il corrispondente obbligo di detti sanitari di risarcirlo (diritto al risarcimento che per il nascituro, avente carattere patrimoniale, e’ condizionato, quanto alla titolarita’, all’evento nascita ex art. 1, 2° comma, c.c., ed azionabile dagli esercenti la potesta’) per mancata osservanza sia del dovere di una corretta informazione (ai fini del consenso informato) in ordine alla terapia prescritta alla madre (e cio’ in quanto il rapporto instaurato dalla madre con i sanitari produce effetti protettivi nei confronti del nascituro), sia del dovere di somministrare farmaci non dannosi per il nascituro stesso.

Non avrebbe invece quest’ultimo avuto diritto al risarcimento qualora il consenso informato necessitasse ai fini dell’interruzione di gravidanza (e non della mera prescrizione di farmaci), stante la non configurabilita’ del diritto a non nascere (se non sano). Ancora, e sempre sulla base del nesso di causalita’ quale prospettabile nella vicenda in esame ai sensi dell’art. 1218 e dell’art. 1176, 2° comma, c.c., risulta dovuto, come stabilito nella sentenza impugnata, il risarcimento in questione nei confronti dei coniugi … OMISSIS ….

In relazione alla natura della controversia sussistono giusti motivi per dichiarare interamente compensate tra tutte le parti le spese del presente giudizio.

Infine, ricorrono i presupposti ex art. 52, secondo comma, d.lgs. n. 196/03, in materia di protezione di dati personali, per disporre, in caso di diffusione della presente sentenza in qualsiasi forma, per finalita’ di informazione giuridica su riviste, supporti elettronici o mediante reti di comunicazione elettronica, che sia omessa l’indicazione delle generalita’ e degli altri dati identificativi degli interessati nella presente controversia.

P.Q.M.

La Corte, riuniti i ricorsi, rigetta sia il ricorso principale che il ricorso incidentale. Compensa le spese. Dispone l’omessa indicazione delle generalita’ e dei dati identificativi degli interessati.

Depositata in Cancelleria il 11.05.2009

TAR Puglia Lecce sez I 23 aprile 2009, n. 746 Esame avvocati, praticanti, votazione numerica (2009-05-22)

REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

Il Tribunale Amministrativo Regionale per la Puglia

Lecce – Sezione Prima

ha pronunciato la presente

SENTENZA

Sul ricorso numero di registro generale 1341 del 2008, proposto da:

B. M., rappresentata e difesa dall’avv. Giuseppe Rascazzo, con domicilio eletto presso Giuseppe Rascazzo in Lecce, via Templari 10;

contro

Ministero della Giustizia, Commissione Esami Avvocato c/o Corte D’Appello Catanzaro, Commissione Esame di Avvocato Presso Corte d’Appello di Lecce, rappresentati e difesi dall’Avvocatura Distrettuale, domiciliata per legge in Lecce, via F.Rubichi 23;

per l’annullamento

previa sospensione dell’efficacia,

del verbale n. 85, comunicato il 16.6.2008 e redatto nella seduta del 7.3.2008 dalla Sottocommissione presso la Corte d’Appello di Lecce, nella parte in cui attribuisce alle tre prove scritte della ricorrente un punteggio insufficiente, pari complessivamente a 81 punti;

del conseguenziale elenco degli ammessi alle prove orali, sessione 2007, degli esami di abilitazione alla professione di avvocato, relativamente alla Corte d’Appello di Catanzaro e nella parte in cui esclude la ricorrente e della nota 12.6.2008 con cui si comunica tale esclusione;

di ogni altro atto o provvedimento preordinato, collegato o conseguenziale ed in particolare, dei criteri fissati dalla predetta Sottocommissione con verbale n. 16 dell’11.1.2008 per la valutazione degli elaborati.

Visto il ricorso con i relativi allegati;

Visto l’atto di costituzione in giudizio di Ministero della Giustizia;

Visto l’atto di costituzione in giudizio di Commissione Esami Avvocato c/o Corte D’Appello Catanzaro;

Visto l’atto di costituzione in giudizio di Commissione Esame di Avvocato presso Corte D’Appello Lecce;

Viste le memorie difensive;

Visti tutti gli atti della causa;

Relatore nell’udienza pubblica del giorno 25/03/2009 il dott. Luigi Viola uditi altresì, l’Avv. Rascazzo per la ricorrente e l’Avv. dello Stato Pedone per l’Amministrazione resistente;

Ritenuto e considerato in fatto e diritto quanto segue:

FATTO

La ricorrente partecipava alla sessione 2007 degli esami di abilitazione all’esercizio della professione di Avvocato, presso la Corte d’Appello di Catanzaro, effettuando le relative prove scritte.

In data 16.6.2008, riceveva comunicazione da parte della Corte d’Appello di Catanzaro della mancata ammissione alle prove orali, per effetto dell’attribuzione agli elaborati d’esame, da parte della III Sottocommissione presso la Corte d’Appello di Lecce, del giudizio complessivo di 81 (25 per la prova di diritto civile, 28 per la prova di diritto penale e 28 per l’atto giudiziario in diritto civile); a seguito dell’esercizio del diritto di accesso, constatava altresì come la valutazione degli elaborati d’esame fosse stata effettuata in termini puramente numerici.

I provvedimenti meglio specificati in epigrafe erano impugnati dalla ricorrente per: 1) violazione art. 3 l. 241 del 1990, difetto assoluto di motivazione; 2) violazione delle norme in materia di valutazione degli elaborati nelle prove concorsuali, violazione dei criteri generali fissati nella seduta del 20.12.2007 dalla Commissione centrale presso il Ministero della Giustizia, eccesso di potere per errore nei presupposti, difetto di istruttoria, illogicità, contraddittorietà.

Si costituivano in giudizio le Amministrazioni intimate.

Alla camera di consiglio del 24 settembre 2008, la Sezione accoglieva, con l’ordinanza n. 845, l’istanza cautelare presentata dalla ricorrente, ordinando alla Commissione, in diversa composizione, di procedere al riesame delle prove scritte, ”corredando il giudizio con congrua motivazione”; con ordinanza 16 dicembre 2008 n. 6692, la Quarta Sezione del Consiglio di Stato accoglieva però l’appello proposto dall’Amministrazione ed annullava la decisione cautelare del T.A.R., ritenendo di poter confermare le proprie precedenti decisioni cautelari.

All’udienza del 25 marzo 2009 il ricorso passava quindi in decisione.

DIRITTO

Il ricorso è fondato e deve pertanto essere accolto.

Ormai da lungo tempo (ed in particolare, da T.A.R. Puglia Lecce, sez. I, 14 giugno 1996, n. 510), la giurisprudenza della Sezione segue un percorso argomentativo che ritiene la valutazione degli elaborati d’esame o di concorso in forma meramente numerica assolutamente insufficiente ad integrare l’obbligo di motivazione previsto dall’art. 3 della l. 7 agosto 1990 n. 241, nelle ipotesi in cui i criteri generali di valutazione degli elaborati siano stati predeterminati in maniera tale da attribuire alla Commissione un rilevante spazio di apprezzamento (spazio di apprezzamento che manca, ovviamente, nelle ipotesi di criteri di valutazione formulati con riferimento a questionari a risposta predeterminata o ad altri sistemi “vincolati” di valutazione) che deve poter essere “controllato” dai partecipanti alla procedura selettiva ed in definitiva, dall’intera collettività.

Dopo l’intervento di una importante decisione della Corte costituzionale (Corte cost. ord. 14 novembre 2005 n. 419), l’orientamento è stato riaffermato da sentenze più recenti della Sezione (T.A.R. Puglia Lecce sez. I 20 novembre 2008 n. 3375; 21 dicembre 2006 n. 6055 e 6056), sulla base di una struttura argomentativa estremamente aggiornata che può essere richiamata anche in questa sede, in funzione motivazionale della presente decisione:

”All’udienza del 21 gennaio 2004 il T.a.r. sospendeva il giudizio e rimetteva gli atti alla Corte costituzionale, così motivando:

– “1. – L’illegittimità dell’impugnato giudizio negativo viene denunciata nel ricorso sotto molteplici profili; ritiene il Collegio che tra questi debba essere prioritariamente definito quello concernente il difetto di motivazione.

Ciò in quanto il fine perseguito dalla ricorrente è, insieme alla caducazione degli atti impugnati, la rinnovazione del giudizio sulle sue prove scritte; rispetto a tale obiettivo, la decisione sulla censura relativa al profilo motivazionale risulta centrale, non solo ai fini dell’invocato annullamento del giudizio negativo già formulato (stante il carattere tipicamente assorbente, rispetto alle altre censure, del vizio di carenza di motivazione), ma anche e soprattutto ai fini conformativi dell’attività che la Pubblica Amministrazione sarebbe chiamata a svolgere nell’eventualità di un accoglimento del gravame, essendo evidente che, in tale ipotesi, la Commissione dovrebbe, in diversa composizione, procedere ad un nuovo esame delle prove scritte della ricorrente, fornendo congrua motivazione del nuovo giudizio, esplicitata da significative formule verbali; e ciò a prescindere da eventuali lacune degli elaborati, poiché l’enunciazione, ancorché sintetica, delle ragioni di un giudizio non positivo corrisponde al generalissimo precetto di clare loqui, (costituente di per sé un preminente valore fornito di garanzia costituzionale ex artt. 97 e 2 della Carta Fondamentale), consentendo al candidato un adeguato riscontro tra il contenuto della prova svolta e la sua negativa valutazione: il che può alternativamente condurre ad una consapevole reazione in sede giurisdizionale ovvero all’accettazione dell’esito negativo, visto anche in funzione di aiuto e di indirizzo per le scelte future.

2. – Sostiene, in proposito, la ricorrente che il detto giudizio negativo, espresso esclusivamente in forma numerica, attraverso voti, contrasta con il principio generale enunciato dall’art. 3, comma 1, della Legge 7 agosto 1990, n. 241, a tenore del quale: “ogni provvedimento amministrativo, compresi quelli concernenti l’organizzazione amministrativa, lo svolgimento dei pubblici concorsi ed il personale, deve essere motivato, salvo che nelle ipotesi previste dal comma 2. La motivazione deve indicare i presupposti di fatto e le ragioni giuridiche che hanno determinato la decisione dell’amministrazione, in relazione alle risultanze dell’istruttoria”.

La questione dell’integrale applicabilità della norma citata agli esami di abilitazione all’esercizio della professione forense è stata oggetto di ripetuto esame da parte del Consiglio di Stato il quale ha elaborato in proposito un orientamento secondo cui, anche dopo l’entrata in vigore della l. n. 241 del 1990, l’onere di motivazione dei giudizi concernenti prove scritte ed orali di un concorso pubblico o di un esame di abilitazione è sufficientemente adempiuto con l’attribuzione di un punteggio alfanumerico, configurandosi quest’ultimo come formula sintetica, ma eloquente, che esterna adeguatamente la valutazione tecnica della commissione e contiene in sé la sua stessa motivazione, senza bisogno di ulteriori spiegazioni e chiarimenti.

Si è inoltre precisato che l’art. 3, comma 1, della l. n. 241 del 1990 si riferisce all’attività amministrativa provvedimentale e non all’attività di giudizio conseguente a valutazione, quale è, appunto, quella relativa all’attribuzione di un punteggio alla preparazione culturale o tecnica del candidato.

Detti principi possono dirsi assolutamente pacifici nella giurisprudenza del Giudice d’Appello, essendo stati ribaditi, da ultimo, tra le tante, dalle seguenti decisioni: C.d.S., IV Sez., 1 febbraio 2001, n. 367; id. 12 marzo 2001, n. 1366; id. 29 ottobre 2001, n. 5635; id. 27 maggio 2002, n. 2926; id. 1 marzo 2003, n. 1162; id. 8 luglio 2003, n. 4084; id. 17 dicembre 2003, n. 8320; id. 4 maggio 2004, n. 2748; id. 4 maggio 2004, n. 2745; id. 7 maggio 2004, n. 2881; id. 7 maggio 2004, n. 2863; id. 7 maggio 2004, n. 2846; id. 19 luglio 2004, n. 5175.

A scalfire tale consolidato orientamento non vale la diversa tesi sostenuta dalla Sesta Sezione del Consiglio di Stato, secondo cui le commissioni esaminatrici, in mancanza di criteri generali di valutazione sufficientemente puntuali ed analitici, sono tenute a rendere percepibile l’iter logico seguito nell’attribuzione del punteggio, se non attraverso diffuse esternazioni relative al contenuto delle prove, quanto meno mediante taluni elementi che concorrano ad integrare e chiarire la valenza del punteggio, esternando le ragioni dell’apprezzamento sinteticamente espresso con l’indicazione numerica (cfr. Sez. IV, 30 aprile 2003, n. 2331; id. 13 febbraio 2004, n. 558; id. 22 giugno 2004, n. 4409; si veda anche, Cons. Stato, Sez. V, 28 giugno 2004, n. 4782).

Ed invero, a parte il rilievo che nessuna delle pronunce da ultimo citate riguarda l’esame di abilitazione all’esercizio della professione di avvocato, osserva il Collegio che trattasi di precedenti isolati e comunque non univoci, essendo stati smentiti da coeve decisioni della medesima Sezione Sesta (cfr., Sez. VI, 17 febbraio 2004, n. 659); onde, allo stato, non è possibile sostenere un revirement in materia del Consiglio di Stato, come dimostrato anche dalla circostanza che la questione circa la sufficienza del punteggio numerico per gli elaborati relativi alle prove scritte dell’esame di avvocato non è stata deferita all’Adunanza Plenaria ex art. 45, comma 2, R.D. 26 giugno 1924, n. 1054; di talché deve escludersi che sul punto che qui interessa siano sorti apprezzabili contrasti giurisprudenziali, tali da incrinare il pacifico orientamento di cui si è detto.

Si deve, dunque, riconoscere che, in seno alla giurisprudenza del Consiglio di Stato, si è affermato il principio per cui l’art. 3, comma 1, della l. n. 241 del 1990 (alla luce del quale vanno interpretate le disposizioni sull’esame di avvocato contenute nel R.D. 22 gennaio 1934, n. 37 e, in particolare, quelle di cui agli artt. 17 bis e 23 che utilizzano il termine “punteggio”) esclude dall’obbligo di puntuale motivazione i giudizi espressi in sede di valutazione delle prove dell’esame di abilitazione all’esercizio della professione forense; e che tale principio giurisprudenziale si è così stabilmente consolidato da acquisire i connotati del “diritto vivente”, nel senso che le norme suddette vigono nel nostro ordinamento nella versione e con il contenuto precettivo ad esse assegnato dalla su riferita giurisprudenza del Consiglio di Stato, al punto che non ne è ipotizzabile una modifica senza l’intervento del Legislatore o della Corte Costituzionale.

A tale proposito, osserva il Collegio che in data 3 luglio 2001 è stata presentata alla Camera dei Deputati una proposta di legge (contraddistinta dal n. 1160, ed oggi assorbita dall’approvazione del più organico disegno di modifica ed integrazione della L. n. 241 del 1990 di cui al progetto di legge n. 3890 – B) che intendeva modificare il testo del comma 1 dell’art. 3 della legge n. 241 del 1990 (secondo l’interpretazione offertane dal Consiglio di Stato) in modo da estendere anche alle commissioni di esame per l’abilitazione all’esercizio della professione forense “l’obbligo di motivare per iscritto le valutazioni degli elaborati”; ciò che, evidentemente, conferma la natura di “diritto vivente” acquisita dal su riferito orientamento del Giudice d’Appello.

3. – L’interpretazione del citato art. 3 seguita dal Consiglio di Stato appare sospettabile di illegittimità costituzionale, per cui non resta al Collegio che prospettare ex officio tali dubbi alla Corte Costituzionale, conformemente a quel consolidato indirizzo della giurisprudenza del Giudice delle Leggi, secondo cui, in presenza di un diritto vivente non condiviso dal Giudice a quo perché ritenuto costituzionalmente illegittimo, questi ha la facoltà di optare tra l’adozione, sempre consentita, di una diversa interpretazione, oppure –adeguandosi al diritto vivente- la proposizione della questione davanti alla Corte Costituzionale (cfr., ex plurimis, Corte Cost., sentt. n. 350/1997; 307/1996; 345/1995).

Nel caso in esame il Collegio dubita della conformità a determinate norme costituzionali dell’indirizzo interpretativo dell’art. 3 della legge n. 241/1990 uniformemente seguito dal Consiglio di Stato in rapporto alla formulazione ed alla motivazione dei giudizi relativi ad esami di abilitazione professionale (con specifico riguardo agli esami per accedere alla professione di avvocato). In particolare tali dubbi si prospettano:

3.1 – in relazione all’art. 3 della Costituzione perché non appare ragionevole, nel contesto della legge generale sul procedimento amministrativo, una disposizione normativa che, mentre consacra il generale principio dell’obbligo di motivazione, tra l’altro facendo specifico riferimento a “lo svolgimento dei pubblici concorsi”, ne esclude, al contempo, l’applicazione a categorie di atti (nella specie i giudizi nell’esame di abilitazione all’esercizio della professione forense) rispetto ai quali l’esigenza dei destinatari di conoscere, attraverso un’idonea motivazione, le concrete ragioni poste a fondamento della loro adozione non è diversa, né minore di quella dei soggetti interessati agli altri atti e provvedimenti amministrativi; se del caso egualmente esprimenti valutazioni di natura tecnica, sicuramente vincolati all’osservanza della norma, atteso che il diritto alla trasparenza dell’agire amministrativo e la garanzia di effettività del sindacato giurisdizionale non variano certo in funzione della tipologia di atto adottato dalla pubblica amministrazione;

3.2 – in relazione agli art. 24 e 113 della Costituzione; ed invero le valutazioni affidate dalla legge alle commissioni esaminatrici in subiecta materia, si risolvono in una attività che, pur comportando scelte discrezionali su base tecnica, si atteggia non diversamente da qualunque attività valutativa che debba fondarsi su parametri prestabiliti (nel caso di specie di natura giuridica) ed è suscettibile, quindi, di essere sindacata, in sede di legittimità, da parte del Giudice Amministrativo, sia per vizi logici sia per errore di fatto, sia per travisamento dei presupposti, sia per difetto di istruttoria sia, infine, per cattiva applicazione delle regole tecniche di riferimento.

Orbene il controllo della ragionevolezza, della coerenza e della logicità delle valutazioni della commissione d’esame risulta precluso (o quanto meno reso sommamente difficoltoso) di fronte al mero dato numerico del voto ed in assenza, quindi, di una sia pur sintetica esternazione delle ragioni che hanno indotto la Commissione alla formulazione di un giudizio di segno negativo, tenuto anche conto dell’estrema genericità che, di prassi, connota i criteri di valutazione che vengono stabiliti dalle commissioni esaminatrici; ne consegue che la tutela così consentita dall’ordinamento all’aspirante avvocato si riduce al solo riscontro di profili estrinseci e formali, quali quelli inerenti al rispetto delle garanzie connesse alla collegialità dell’organo giudicante ed alla sua composizione, con una cospicua riduzione del tasso di effettività della tutela giurisdizionale in sede di giudizio di legittimità davanti al Giudice Amministrativo;

3.3 – in relazione all’art. 97 della Costituzione poiché la sottrazione di una categoria di atti all’obbligo di motivazione appare confliggente sia con il principio di imparzialità (evidentemente meno garantito da un giudizio espresso in forma soltanto numerica), sia con il principio di buon andamento dell’amministrazione, che in un ordinamento modernamente democratico postula anche la piena trasparenza dell’azione amministrativa; né le esigenze di snellezza e di speditezza del procedimento di correzione degli elaborati, pur riconducibili al principio di buon andamento ex art. 97 della Costituzione, possono essere ritenute prevalenti rispetto all’inderogabile necessità di assicurare il più corretto rapporto tra il cittadino e l’amministrazione pubblica, essendo esse diversamente tutelabili attraverso un’applicazione del principio dell’obbligo di motivazione ragionevole e proporzionata alla tipologia delle prove di esame per l’accesso alla professione forense: ed invero, la mera sottolineatura dei brani censurati o l’indicazione succinta delle parti della prova contenenti lacune, inesattezze o errori non paiono rappresentare, anche nell’esame d’avvocato, solitamente caratterizzato da un elevatissimo numero di candidati, un comportamento inesigibile da parte dei componenti delle (sotto) commissioni giudicatrici.

4. – In subordine, ove si ritenga conforme al dato normativo l’interpretazione dell’art. 3 della Legge n. 241/1990, quale risulta dal “diritto vivente” formatosi attraverso le decisioni del Consiglio di Stato rese sulla questione che riguarda il presente giudizio, il Collegio prospetta l’illegittimità del medesimo art. 3, in rapporto ai parametri costituzionali più sopra richiamati e per le ragioni già illustrate.

5. – Le questioni che precedono appaiono al Collegio non manifestamente infondate e sicuramente rilevanti nel presente giudizio, perché dalla loro risoluzione dipende l’accoglimento o meno del ricorso sotto il ” (ord. n. 1051/04).?…?denunziato profilo del difetto di motivazione.

4.- La Corte, tuttavia, con ordinanza n. 419/05, dichiarava la manifesta inammissibilità della questione di legittimità dell’art. 3 della legge 7 agosto 1990, n. 241, sollevata in relazione agli artt. 3, 24, 97 e 113 della Costituzione, con la seguente motivazione:

“Considerato che il Tribunale amministrativo regionale per la Puglia, sezione staccata di Lecce, ha sollevato, in riferimento agli artt. 3, 24, 97 e 113 della Costituzione, questione di legittimità costituzionale dell’art. 3 della legge 7 agosto 1990, n. 241, alla luce dell’interpretazione di detta disposizione fornita dalla giurisprudenza amministrativa in pronunce, che il rimettente reputa “diritto vivente”, che hanno escluso l’obbligo di esplicita motivazione per i giudizi espressi in sede di valutazione degli esami di abilitazione professionale;

che il Tribunale amministrativo regionale chiede sostanzialmente una pronuncia sulla conformità a Costituzione di tale indirizzo interpretativo, con riguardo ai principi costituzionali di cui alle disposizioni sopra indicate;

che i giudizi, aventi ad oggetto identica norma, vanno riuniti e decisi con unica pronuncia;

che identica questione è già stata ritenuta manifestamente inammissibile da questa Corte, con l’ordinanza n. 466 del 2000, “perché essa non è in realtà diretta a risolvere un dubbio di legittimità costituzionale, ma si traduce piuttosto in un improprio tentativo di ottenere l’avallo di questa Corte a favore di una determinata interpretazione della norma, attività, questa, rimessa al giudice di merito”;

che, successivamente, questa Corte, con ordinanza n. 233 del 2001, ha nuovamente dichiarato manifestamente inammissibile la stessa questione, in considerazione del fatto che il rimettente avrebbe voluto “estendere l’obbligo di motivazione ai giudizi espressi in sede di valutazione delle prove d’esame per l’iscrizione all’albo degli avvocati”, ma non avrebbe tratto “le conseguenze applicative dell’interpretazione che egli considera conforme ai parametri costituzionali, deducendo l’esistenza della giurisprudenza del Consiglio di Stato, che segue l’interpretazione da lui non condivisa”, osservando come “nulla impedisce al rimettente di adottare l’interpretazione da lui ritenuta corretta alla luce dei parametri costituzionali”;

che non sussistono ragioni per discostarsi dal richiamato orientamento, tenuto conto che nel frattempo la giurisprudenza amministrativa ha mostrato di fornire un panorama ulteriormente articolato di possibili soluzioni interpretative, spaziando dalla tesi che esclude l’applicabilità del censurato art. 3 alle operazioni di mero giudizio conseguenti a valutazioni tecniche, in quanto attività in tesi non provvedimentali, a quella che invece ritiene applicabile l’obbligo di motivazione previsto dalla disposizione censurata anche ai giudizi valutativi;

che all’interno di tale ultimo indirizzo possono poi individuarsi tre diverse posizioni, a seconda che si ritenga l’attribuzione di un punteggio numerico una valida ed idonea espressione motivatoria del giudizio valutativo, ovvero che si escluda tale idoneità, o ancora che si rifiuti una prospettiva aprioristica, per risolvere la questione in relazione alle peculiarità della singola fattispecie, e segnatamente alla relazione intercorrente fra l’estensione dei criteri valutativi prestabiliti dalla commissione esaminatrice ed il carattere più o meno analitico del giudizio sulle prove di esame;

…..che pertanto va confermato il richiamato orientamento di questa Corte, tanto più in presenza delle riportate evoluzioni del panorama giurisprudenziale, che consentono al giudice di adottare una delle (plurime) interpretazioni che ritenga conforme agli invocati parametri costituzionali”.

5.- Tanto esposto, il T.a.r. ritiene che il ricorso sia fondato.

5.1 Per un verso, difatti, si è visto come il giudice delle leggi, con l’ordinanza suddetta, abbia dichiarato la manifesta inammissibilità della questione sollevata proprio “in presenza delle riportate evoluzioni del panorama giurisprudenziale, che consentono al giudice di adottare una delle (plurime) interpretazioni che ritenga conforme agli invocati parametri costituzionali”, e, per altro verso, nelle citate ordinanze cautelare e di rimessione alla stessa Corte Costituzionale, si sono già diffusamente indicate le ragioni per le quali, in aderenza ad una lettura dell’art. 3 l. 241/90 conforme alle previsioni degli artt. 3, 24, 97 e 113 Cost., non può reputarsi legittimo, con riferimento ad esami di abilitazione professionale -e con specifico riguardo a quelli per accedere alla professione di avvocato-, un giudizio negativo espresso in forma numerica, e dunque esclusivamente attraverso voti: richiamate dunque tali ragioni quali parti integranti di questa motivazione, il ricorso va in definitiva accolto” (T.A.R. Puglia Lecce sez. I 20 novembre 2008, n. 3375; 21 dicembre 2006, n. 6055 e 6056).

Il quadro motivazionale sopra richiamato non è poi stato modificato dall’intervento della recente decisione 30 gennaio 2009, n. 20 della Corte costituzionale; la sentenza del Giudice delle leggi si è, infatti, limitata a constatare come l’orientamento tendente a considerare sufficiente la valutazione in termini esclusivamente numerici delle prove di idoneità si sia ormai consolidato nella giurisprudenza del Consiglio di Stato e ad escludere che l’attuale strutturazione delle norme contrasti con alcuni parametri costituzionali (gli artt. 24, 11 e 113 della Costituzione, relativi solo all’”aspetto processuale degli strumenti predisposti dall’ordinamento per l’attuazione in giudizio dei diritti”); con tutta evidenza, si tratta, quindi, di una decisione che non può esplicare efficacia preclusiva della potestà del giudice amministrativo di interpretare le norme che regolamentano la fattispecie (interpretazione che, come è già stato rilevato, conduce a ritenere assolutamente insufficiente, alla luce della previsione dell’art. 3 della l. 7 agosto 1990, n. 241 e dei criteri di valutazione fissati dalle Sottocommissioni, una valutazione delle prove di idoneità professionale in termini puramente numerici).

In definitiva, anche il presente ricorso deve pertanto essere accolto e deve essere disposto l’annullamento degli atti impugnati; il giudizio di valutazione degli elaborati dovrà pertanto essere integralmente rinnovato, sulla base dei criteri indicati in sentenza e ad opera della stessa Sottocommissione in diversa composizione o di una diversa Sottocommissione d’esame.

Le spese di giudizio devono essere poste a carico delle Amministrazioni resistenti e liquidate, in mancanza di nota spese, in complessivi € 1.500,00 (millecinquecento/00).

P.Q.M.

Il Tribunale amministrativo regionale della Puglia, I Sezione di Lecce, definitivamente pronunciando sul ricorso in premessa lo accoglie, come da motivazione e, per l’effetto, dispone l’annullamento degli atti impugnati.

Condanna le Amministrazioni resistenti alla corresponsione in favore della ricorrente della somma di € 1.500,00 (millecinquecento/00), a titolo di spese del giudizio.

Ordina che la presente sentenza sia eseguita dall’autorità amministrativa.

Così deciso in Lecce nella camera di consiglio del giorno 25/03/2009 con l’intervento dei Magistrati:

Aldo Ravalli, Presidente

Luigi Viola, Consigliere, Estensore

Massimo Santini, Referendario

DEPOSITATA IN SEGRETERIA IL 23/04/2009.

Cassazione Civile III – n. 5063 del 03/03/2009 Pedoni, striscie, attraversamento, Circolazione stradale (2009-05-22)

SVOLGIMENTO DEL PROCESSO

Gli eredi di V.A. deceduto a seguito di incidente stradale del (OMISSIS), hanno proposto ricorso per cassazione avverso la decisione della Corte di Appello di Milano del 9 marzo-2 aprile 2006 che aveva confermato la sentenza del locale Tribunale del 9 gennaio 2002, la quale aveva ritenuto la esclusiva responsabilità del pedone V.A. nella causazione dell’incidente.

I giudici di appello hanno premesso che la prova liberatoria per il conducente di un autoveicolo può risultare anche indirettamente dall’accertamento che il comportamento della vittima sia stato causa esclusiva dell’evento dannoso, comunque non evitabile dal conducente.

Nel caso di specie, dalla risultanze processuali era emerso che il pedone aveva attraversato la strada improvvisamente, in un punto in cui non vi era passaggio pedonale.

Egli avrebbe dovuto quindi dare la precedenza ai veicoli.

Il L. procedeva a velocità non elevata, adeguata alle circostanze di tempo e di luogo, come dimostravano le tracce di frenata ed il punto d’urto. Aveva tentato di frenare per evitare l’urto non appena avvedutosi del fatto che il V. iniziava l’attraversamento della strada.

Avverso tale decisione gli eredi di V. hanno proposto ricorso per cassazione, illustrato da memoria.

La compagnia di assicurazione Z. resiste con controricorso.

Il conducente ed il proprietario dell’autoveicolo, L.D. e L. non hanno svolto difese in questa sede.

Il Procuratore Generale presso questa Corte ha concluso per il rigetto del ricorso.

MOTIVI DELLA DECISIONE

Con cinque motivi gli eredi del V., deceduto a cinque giorni di distanza dall’incidente, denunciano vizi di violazione di norme di legge e vizi della motivazione.

I giudici di appello, ad avviso dei tre ricorrenti, non avrebbero verificato se il conducente del veicolo assicurato con la Z. avesse effettivamente compiuto tutte le manovre atte ad evitare l’incidente (primo motivo).

Non vi era alcuna prova del fatto che il pedone fosse stata la causa esclusiva dell’incidente.

La velocità del veicolo condotto dal L. non poteva dirsi particolarmente moderatali conducente del veicolo avrebbe dovuto arrestarsi per consentire al pedone l’attraversamento (anche se fuori dalle strisce).

Il primo motivo di ricorso è manifestamente infondato.

Spetta in via esclusiva al giudice di merito, il compito di individuare le fonti del proprio convincimento, di assumere e valutare le prove, di controllarne l’attendibilità e la concludenza, di scegliere, tra le complessive risultanze del processo, quelle ritenute più idonee a dimostrare la veridicità dei fatti ad esse sottesi, dando così la prevalenza all’uno o all’altro dei mezzi di prova acquisiti, salvo i casi tassativamente previsti dalla legge.

Con motivazione logica che sfugge a qualsiasi censura la Corte milanese ha preso in esame tutte le risultanze istruttorie ed ha concluso che l’evento mortale si era verificato per esclusiva colpa della vittima, che ebbe ad attraversare improvvisamente la strada, proseguendo l’attraversamento dopo aver lasciato scorrere il veicolo dinanzi a sè.

La rottura dell’indicatore luminoso direzionale destro, sistemato tra montante anteriore e parafango, dimostrava che era stato il V. ad urtare la vettura, quando questa era già in parte passata dinanzi a lui.

Tutto ciò dimostrava, ha concluso la Corte, che il pedone non aveva ispezionato con attenzione la carreggiata e non si era arrestato quando l’auto lo aveva già parzialmente superato.

A carico del conducente del veicolo sarebbe stato possibile ipotizzare una qualche responsabilità solo nel caso in cui fosse risultato che lo stesso avesse tenuto una velocità non adeguata alle condizioni di tempo e di luogo.

Nulla di tutto ciò era invece emerso nel giudizio civile ed in quello penale, conclusosi con l’assoluzione del L. con formula ampia.

Il conducente dell’autoveicolo, L.D., ha riconosciuto la Corte territoriale, non ebbe a violare alcuna noma, nè di legge nè di prudenza, ma fece tutto il possibile per evitare il danno, tentando di porre in essere una manovra di emergenza (frenando la marcia del veicolo ed arrestandosi subito dopo l’urto).

Del pari infondato è il secondo motivo con il quale (attraverso la denuncia di violazione degli artt. 2054 e 1227 c.c., omesso esame di documento decisivo e vizio di motivazione) i ricorrenti hanno riproposto il tema della concorrente responsabilità del conducente, L.D., il quale – secondo quanto dichiarato alla Polizia Municipale in sede di interrogatorio delegato – aveva avvistato il pedone ad un metro dal marciapiede, con le spalle rivolte verso la strada e quindi era tenuto a diminuire la velocità, in modo da essere in grado di arrestare la marcia per il caso di attraversamento improvviso da parte del pedone.

Tali dichiarazioni, in realtà, non escludono affatto la ricostruzione delle modalità dell’incidente operata dal giudice di appello ed anzi riducono lo spazio ed i tempi di attraversamento della strada da parte del pedone, confermando, da una parte, il carattere improvviso di tale scelta, dall’altra, la impossibilità del L. di fare ricorso a qualche manovra di emergenza.

Vanno disattese anche le censure articolate con il terzo motivo (violazione degli articoli 141 e 191 codice della strada, artt. 2054 e 1227 c.c., vizio di motivazione), con le quali si contesta nuovamente il carattere imprevedibile dell’attraversamento e si ripropone la questione della colpa concorrente del L., per non avere uniformato la propria condotta di guida alle prescrizioni di cui all’art. 141 C.d.S.. Vanno, al riguardo, richiamate le considerazioni già svolte in ordine alla esclusione delle dedotte violazioni di legge ed alla sufficienza e congruità della motivazione.

Ritenuto che ad analoghe conclusioni si deve pervenire in ordine al quarto (vizio di motivazione violazione degli artt. 99, 112, 163 e 342 c.p.c.) ed al quinto motivo (vizio di motivazione in relazione all’art. 2054 c.c. e art. 141 C.d.S.) con i quali i ricorrenti hanno in particolare ribadito che il pedone venne investito dalla parte anteriore destra del veicolo e non già dalla fiancata laterale destra sicchè il punto di impatto portava logicamente ad escludere che l’auto fosse in fase avanzata di sorpasso e che l’evento fosse quindi addebitabile esclusivamente al pedone; che – a prescindere dal rilievo che il primo punto di impatto è stato correttamente individuato nella parte anteriore destra, all’altezza della ruota, alla stregua delle complessive indagini svolte in sede penale – trattasi in ogni caso di questioni attinenti alla ricostruzione delle modalità dell’incidente e, dunque, a questioni di merito, in ordine alle quali il giudice di appello ha fornito sufficiente e congrua motivazione.

Conclusivamente il ricorso deve essere rigettato.

Sussistono, tuttavia, ad avviso del Collegio, giusti motivi per disporre la compensazione integrale delle spese tra le parti costituite.

P.Q.M.

La Corte rigetta il ricorso.

Compensa le spese di questo giudizio.

Giudice di Pace del Mandamento di Pozzuoli (NA) Un po’ di chiarezza sull’opposizione a cartella esattoriale ex art. 615 c.p.c. (2009-05-27)

REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

L’avv. Italo BRUNO,

Giudice di Pace del Mandamento di Pozzuoli,

ha pronunciato la seguente

S E N T E N Z A

nella causa iscritta al n.5175/08 R.G. – Affari Contenziosi Civili – avente ad oggetto:

Opposizione a cartella esattoriale.

T R A

(…) Sergio, nato a (…) il (…) e res.te in (…) alla Via (…) n.(…), c.f. (…) – elett.te dom.to in (…) alla Via (…) n.(…) presso lo studio dell’avv. Dario (…) che lo rapp.ta e difende giusta mandato a margine dell’atto di citazione; ATTORE

E

U.T.G. – UFFICIO TERRITORIALE del GOVERNO di NAPOLI, in persona del Prefetto pro-tempore, dom.to in Napoli alla Via A. Vespucci, 172; CONVENUTO-CONTUMACE

NONCHÉ

S.p.A. EQUITALIA POLIS, Commissario Governativo –Concessionario del Servizio Nazionale della Riscossione per la Provincia di Napoli, in persona del legale rapp.te pro-tempore – P.Iva 08704541005 – con sede legale in Napoli alla Via R. Bracco, 20 – elett.te dom.ta in Napoli alla Via (…) n. (…) presso lo studio dell’avv. Francesco (…) che la rapp.ta e difende giusta procura generale alle liti per Notar (…) in Napoli rep. n.(…) del (…);CONVENUTA

CONCLUSIONI

Per l’attore: dichiarare l’estinzione del processo verbale sottostante la cartella esattoriale impugnata;

dichiarare la nullità della cartella esattoriale per: a) decadenza del termine previsto dall’art. 17 del d.P.R. 602/73; b) mancata indicazione dell’autorità a cui ricorrere; c) mancata sottoscrizione della cartella da parte del concessionario; vittoria di spese, diritti ed onorari di giudizio con attribuzione al procuratore anticipatario.

Per la convenuta: dichiarare la carenza di legittimazione passiva della Società, essendo solo il tramite per la riscossione coattiva in forza dal ruolo trasmesso dall’Ente impositore titolare del credito.

SVOLGIMENTO DEL PROCESSO

(…) Sergio, con atto di citazione per opposizione agli atti esecutivi, ex art. 615 c.p.c., ritualmente notificato l’11/12-20/6/08 all’U.T.G. di NAPOLI ed alla S.p.A. EQUITALIA POLIS, si opponeva all’esecuzione forzata iniziata con la notifica della cartella esattoriale n. 071 2006 01083114 70, notificatagli il 28/12/07 dalla Spa Equitalia Polis per conto dell’Ufficio Territoriale del Governo di Napoli, con la quale gli veniva ingiunto il pagamento dell’importo indicato, per violazione al Codice della Strada.

Deduceva il ricorrente, di non aver mai ricevuto il processo verbale di cui alla cartella esattoriale e che la stessa doveva ritenersi nulla per: a) decadenza del termine previsto dall’art. 17 del d.P.R. 602/73; b) mancata indicazione dell’autorità a cui ricorrere; c) mancata sottoscrizione della cartella da parte del concessionario.

Instauratosi il procedimento, risultato contumace l’Ufficio Territoriale del Governo di Napoli, si costituiva la Spa Equitalia Polis che eccepiva la sua carenza di legittimazione passiva. Esperito inutilmente il tentativo di conciliazione, sulle rassegnate conclusioni, all’udienza dell’11/5/09, la causa veniva assegnata a sentenza.

MOTIVI DELLA DECISIONE

Preliminarmente va dichiarata la contumacia dell’UFFICIO TERRITORIALE del GOVERNO di NAPOLI ritualmente citato e non costituitosi.

Ancora in via preliminare va significato che la giurisprudenza della Cassazione ha chiarito che:

– Avverso la cartella esattoriale emessa ai fini della riscossione di sanzioni amministrative pecuniarie per violazioni del codice della strada sono ammissibili: a) l’opposizione ai sensi della legge n. 689 del 1981, allorché sia mancata la notificazione dell’ordinanza-ingiunzione o del verbale di accertamento di violazione al codice della strada, al fine di consentire all’interessato di recuperare il mezzo di tutela previsto dalla legge riguardo agli atti sanzionatori; b)l’opposizione all’esecuzione ex art. 615 cod. proc. civ., allorché si contesti la legittimità dell’iscrizione a ruolo per omessa notifica della stessa cartella, e quindi per la mancanza di un titolo legittimante l’iscrizione a ruolo, o si adducano fatti estintivi sopravvenuti alla formazione del titolo; c) l’opposizione agli atti esecutivi ex art. 617 cod. proc. civ., qualora si deducano vizi formali della cartella esattoriale o del successivo avviso di mora. Mentre nel primo caso, ove non sia stato possibile proporre opposizione nelle forme e nei tempi previsti dall’art. 204 codice della strada, il ricorso deve essere proposto nel termine di sessanta giorni dalla notifica della cartella, determinandosi altrimenti la decadenza dal potere di impugnare – nel caso di contestazione di vizi propri della cartella esattoriale l’opposizione all’esecuzione o agli atti esecutivi – va proposta nelle forme ordinarie previste dagli artt. 615 e ss. cod. proc. civ., e non è soggetta alla speciale disciplina dell’opposizione a sanzione amministrativa dettata dalla legge n. 689 del 1981 (Cass. Sez. 1, Sentenza n. 9180 del 20/04/06).

Fatta questa necessaria premessa, nel merito, il ricorso non è fondato e va rigettato.

Il primo motivo del ricorso (mancata o irregolare notifica del verbale di contravvenzione) è inammissibile per essere stato proposto con il rito ordinario anziché con il rito speciale previsto dalla L.689/81 (a cui deve necessariamente partecipare l’Ente impositore) e, oltre il sessantesimo giorno dalla notifica della cartella esattoriale (notifica cartella 28/12/07, notifica ricorso 20/6-11/12/08).

Infatti, la Cassazione ha stabilito che:

– L’opposizione a cartella esattoriale emessa per il pagamento di una sanzione amministrativa per violazione del codice della strada, con cui si deduca l’illegittimità di tale atto per omessa notifica del verbale di contestazione dell’infrazione, va proposta nel termine di sessanta giorni stabilito dall’articolo 204 bis cod. strada, e non in quello di trenta giorni di cui all’articolo 22 legge 24 novembre 1981 n. 689, essendo a tal fine essenziale il dato rappresentato dalla incontestata funzione recuperatoria dell’opposizione, cui va riconosciuta una sorta di forza attrattiva nei confronti della relativa disciplina impugnatoria, da cui l’esigenza di conformare la disciplina applicabile a quella dettata per l’azione recuperata. Tale conclusione, peraltro, oltre che trovare sostegno sul piano dogmatico, appare altresì quella più consona ai valori costituzionali dell’effettività della tutela giurisdizionale e dell’uguaglianza, tenuto conto che essa restituisce al ricorrente la medesima posizione giuridica che avrebbe avuto se il verbale di contestazione dell’infrazione, come previsto dalla legge, gli fosse stato a suo tempo notificato, giacché la riduzione del termine di opposizione da sessanta a trenta giorni per effetto di una mancanza – l’omessa notificazione del verbale – che è imputabile alla sola Amministrazione, finirebbe per favorire, con riferimento al termine perentorio per impugnare, la stessa amministrazione e, per converso, sanzionare il destinatario della cartella, che è chiaramente incolpevole dell’omissione (Cass. Sez. 2, Sentenza n. 17312 del 07/08/07).

Il secondo motivo del ricorso (decadenza per inosservanza del termine di cui all’art. 17 del d.P.R. 602/73) non è fondato.

La giurisprudenza della Cassazione è conforme nel ribadire che:

– In tema di sanzioni amministrative per la violazione del codice della strada, alla formazione e trasmissione dei ruoli da parte del prefetto, ai fini della riscossione delle somme a tale titolo dovute, non è applicabile la decadenza prevista dall’art. 17 del d.P.R. 29 settembre 1973 n. 602, ma solo la prescrizione quinquennale, dettata sia dall’articolo 209 del codice della strada – relativamente alle sanzioni conseguenti alle infrazioni stradali – sia dall’art. 28 della legge 24 novembre 1981 n. 689 (Sez. 2, Sentenza n. 4375 del 20/02/08; Sez. 1 Sent. n.23251 del 17/11/05).

Il terzo motivo del ricorso (mancata indicazione dell’autorità a cui ricorrere) non è fondato.

A pagina cinque della cartella esattoriale (quando e come il contribuente può presentare ricorso) vi è l’avvertenza che: ai sensi dell’art. 22 della L.689/81, il ricorso alla cartella esattoriale va proposto entro 30 giorni dalla notifica al Giudice di Pace del luogo dove è stata commessa l’infrazione.

Il quarto motivo del ricorso (mancata sottoscrizione della cartella da parte del Concessionario) è inammissibile.

La giurisprudenza della Cassazione è conforme nello statuire che:

– L’opposizione con la quale si denuncino vizi propri della cartella esattoriale, per carenze di elementi che essa dovrebbe contenere in base agli artt. 25 e 26 del D.P.R. 29 settembre 1973 n. 602, è qualificabile come opposizione agli atti esecutivi, ai sensi dell’art. 617 c.p.c., e deve quindi proporsi, come sancisce questa norma, nei venti giorni dalla notificazione dell’atto impugnato (Cassazione Sezione I Civile, sentenza 20/07/01 n. 9912)

La natura della controversia e le ragioni che hanno portato al rigetto dell’opposizione, giustificano la compensazione delle spese del procedimento.

La sentenza è resa ai sensi dell’art. 113 c.2 c.p.c. ed è esecutiva lege.

P.Q.M.

Il Giudice di Pace del Mandamento di Pozzuoli, definitivamente pronunciando sull’opposizione proposta da (…) Sergio nei confronti dell’UFFICIO TERRITORIALE del GOVERNO di NAPOLI, in persona del Prefetto pro-tempore, e della S.p.A. EQUITALIA POLIS, in persona del legale rapp.te pro-tempore, disattesa ogni altra istanza ed eccezione, EQUITATIVAMENTE, così provvede:

1) rigetta il ricorso;

2) compensa tra le parti le spese del procedimento;

3) sentenza esecutiva ex lege.

Così deciso in Pozzuoli e depositata in originale il giorno 27 maggio 2009 al n. 1560 del Mod. 16.

IL GIUDICE DI PACE

(Avv. Italo BRUNO)