Cassazione, Sezione Terza Civile, sentenza n.9556/2009 Circolazione stradale, assicurativo, minore, motorino, responsabilità genitori, casco, onere della prova (2009-05-14)

CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

TERZA SEZIONE CIVILE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. LUIGI FRANCESCO DI NANNI Presidente

Dott. CAMILLO FILADORO Consigliere

Dott. FULVIO UCCELLA Rel. Consigliere

Dott. NINO FICO Consigliere

Dott. BRUNO SPAGNA MUSSO Consigliere

ha pronunciato la seguente

SENTENZA

sul ricorso 22058-2005 proposto da:[…]

elettivamente domiciliati in ROMA, VIALE

presso lo studio dell’avvocato […] , rappresentati e difesi dall’avvocato per mandato a margine del ricorso; – ricorrenti –

contro

[…]

elettivamente domiciliati in ROMA, VIA presso lo studio dell’avvocato […]

;rappresentati e difesi dall’avvocato giusta mandato a margine del controricorso – controricorrenti -nonché contro […]intimati –

avverso la sentenza n. 75/2005 della CORTE D’APPELLO di POTENZA, Sezione civile, emessa il 01/03/05,depositata il 16/03/2005, R.G.N.528/02;

udita la relazione della causa svolta nella pubblica udienza del 12/03/2009 dal Consigliere Dott. … ;udito il P.M. in persona del Sostituto Procuratore Generale Dott. ROSARIO GIOVANNI RUSSO che ha concluso per l’accoglimento del ricorso limitatamente al terzo motivo.

Svolgimento del processo

l.- Con sentenza del 16 marzo 2005, la Corte di Appello di Potenza, su appello di […] e sull’appello incidentale di […] e […] appellati, accoglieva il terzo motivo dell’appello principale, nonché per quanto di ragione il quarto e quinto motivo dell’appello dei […] inerente al quantum dei danni morali, accordato ai congiunti della vittima e ai relativi accessori .

2.- In punto di fatto, con atto di citazione notificato il 9 maggio 1991, […] e […] (quali genitori di … ) e […] e […] (quali germani di … )convenivano in giudizio avanti al Tribunale di Potenza […] ed i suo genitori […] – e […] – chiedendone la condanna al risarcimento dei danni patiti a seguito del sinistro stradale in cui aveva perso la vita il loro figlio. L’incidente mortale si era verificato il 5 agosto1990, mentre alla guida del proprio ciclomotore e, percorrendo la strada provinciale …-… in agro di …, si scontrava con la vespa Piaggio cc.50 condotta da […] all’epoca minore con a bordo […]

A seguito dello scontro il […] e il […] riportavano gravi lesioni.

Il […] era ricoverato in stato di coma e riprendeva conoscenza solo dieci giorni dopo l’accaduto,mentre […] decedeva il 12 agosto successivo. Si costituivano i convenuti che contestavano la pretesa attorea ed asserivano che colpa esclusiva del sinistro era da attribuirsi a […]. All’esito della relativa istruttoria, con sentenza del 29 agosto 2002, il G.O.A. di Potenza accoglieva per quanto di ragione la domanda risarcitoria e, affermata la responsabilità di […] nella causazione del sinistro nella percentuale del 70%, condannava in solido i convenuti al risarcimento dei danni morali spettanti jure proprio, nonché delle spese sostenute dagli attori a titolo di esborsi conseguenti a detto incidente, oltre interessi nella misura del 4% sulle somme originariamente dovute e via via rivalutate dalla data del 5 agosto 1990 al deposito della sentenza, oltre al 50% delle spese di lite, previamente compensato il residuo 50%.

3.- Con atto di appello del 12 novembre 2002 […] e […] impugnavano la decisione con cinque motivi. Si costituivano, resistendo al gravame […]e […] che proponevano appello incidentale inteso ad ottenere l’affermazione di responsabilità esclusiva di […] e, per l’effetto, la rideterminazione proporzionale del risarcimento. Si costituiva […] che faceva proprie le doglianze degli appellanti principali e spiegava appello incidentale del medesimo tenore di quello principale. All’esito della istruttoria la Corte emetteva la sentenza indicata in epigrafe.

Contro questa sentenza insorgono […] e […] con ricorso affidato a tre motivi. Resistono con controricorso. Non si è costituito […].

I resistenti hanno presentato memoria.

Motivi della decisione

l.- In ordine logico ritiene il Collegio di dover esaminare per primo il secondo motivo.

2.- Con esso i ricorrenti denunciano la violazione e/ofalsa applicazione dell’art.2054 c.c., in quanto la dichiarazione del teste unico presente al fatto, contrariamente a quanto ritenuto dal giudice di appello, era credibile e avrebbe, se ritenuta tale,escluso ogni responsabilità di […] e, quindi,ogni responsabilità in vigilando dei suoi genitori,perché a dire del […] il minore in occasione del sinistro, procedeva sulla destra. La testimonianza del […] sarebbe stata sempre lineare e lo stesso non sarebbe mai stato sottoposto, in virtù di essa , a procedimento per falsa testimonianza. La censura propone una ricostruzione del fatto che, come è noto, è di competenza del giudice del merito e che, nella specie, è stata operata sulla base dei documenti in atti ( v.p. 5 sentenza impugnata) e, quindi,va respinta.

3.- Con il primo motivo sostanzialmente i ricorrenti deducono di non essere affatto responsabili ex art.2048 c.c. [1] dei danni pretesi dalle controparti e si dolgono del fatto che in sede di appello avevano chiesto l’ammissione di alcuni capitoli di prova, tendenti a dimostrare l’adempimento da parte loro in modo compiuto e irreprensibile degli obblighi ex art. 147 cc. nei confronti del loro figlio, ma questi capitoli di prova sarebbero stati dichiarati inammissibili dal giudice di appello con motivazione o dilettosa o insufficiente. A loro avviso, inoltre, la Corte d’appello non avrebbe considerato che il […] quando è accaduto 1’incidente -il 5 agosto 1990-, era prossimo a diventare maggiorenne, essendo nato il 2 ottobre 1972 e, quindi, aveva quasi tutti, se non tutti, gli elementi per agire e per rispondere da solo. Contrariamente all’assunto dei ricorrenti, il giudice di appello si è fatto carico di esaminare analiticamente i capitoli prospettati e correttamente ha ritenuti inammissibili i primi due perché non erano diretti a provare qualcosa, quanto ad esprimere giudizio. Questi capitoli di prova, oltre che inammissibili,sono stati ritenuti, correttamente, inidonei a fornire adeguatamente la prova liberatoria prevista dall’art.2048 cc. Come è noto, questa prova consiste nella positiva dimostrazione da parte dei genitori del minore autore di un illecito aquiliano, come quello in esame, di aver osservato l’obbligo di cui all’art. 147 cc, a parte la considerazione che al momento del sinistro il […] e il suo passeggero, non avevano il casco. Il che conferma la inidoneità del capitolo di prova,stante la palmare evidenza dell’omessa vigilanza, ai fini educativi, sul comportamento del figlio da parte di essi genitori (v.p.3 – 4 sentenza impugnata).I genitori dovevano dimostrare che era stata impartita al figlio un’educazione normalmente sufficiente ad impostare una corretta vita di relazione in rapporto al suo ambiente, alle sue abitudini, alla sua personalità(Cass.n.7459/97).La valutazione della positività o meno della dimostrazione offerta è stata operata dal giudice del merito con una motivazione appagante sotto ogni profilo e, quindi, come tale, si rivela insindacabile(Cass.n.4945/97). Né rileva il fatto che il figlio abbia avuto due esperienze di lavoro

Cassazione civile Sez. III 11-02-2009 n. 3359 Danno esistenziale, assicurativo, risarcimento parziale, interessi, danno morale, danno biologico (2009-05-14)

…omissis…

1.- Col primo motivo del ricorso per revocazione i ricorrenti si dolgono che la Corte di cassazione abbia omesso di pronunciarsi su quella parte del motivo dell’originario ricorso per Cassazione (il secondo) che faceva riferimento alla richiesta, non riconosciuta dalla Corte d’appello, di corresponsione ai congiunti ricorrenti

Cassazione, sezioni unite civili, sentenza 17 aprile 2009, n. 9147 Direttive, recepimento, mancato, danni, civile (2009-05-19)

RITENUTO IN FATTO

1. La sentenza della Corte di appello di Lecce n. 842 del 18 dicembre 2006, di cui si chiede la cassazione, accoglie l’appello proposto da Enrico C. e, in riforma della decisione del Tribunale di Lecce in data 18 febbraio 2003, condanna il Ministero dell’università e della ricerca scientifica (ora dell’istruzione, dell’università e della ricerca, ai sensi del d.l. n. 85/2008, conv. in l. n. 121/2008) a pagare al C. la somma di Euro 26.855,72, oltre interessi legali e rivalutazione monetaria dal 5 novembre 1992, a titolo di risarcimento del danno derivante dalla mancata trasposizione, nel termine prescritto, delle direttive comunitarie (ed in particolare, della direttiva n. 82/76/Cee) prevedenti l’obbligo di retribuire la formazione del medico specializzando.

2. La sentenza ritiene azionato, pur in assenza di espressa qualificazione in tal senso nell’atto introduttivo del giudizio, il diritto al risarcimento del danno, ex art. 2043 c.c., per violazione dell’obbligo dello Stato di dare attuazione alle direttive comunitarie che imponevano di remunerare adeguatamente il medico per la frequenza di un corso di specializzazione; considera comprovato, in assenza di contestazioni specifiche, che il C. avesse superato il corso di formazione quadriennale, come da attestazione del 5 novembre 1992, con frequenza a tempo pieno e senza svolgimento di attività libero-professionale; dichiara inammissibile l’eccezione di prescrizione quinquennale sollevata dall’amministrazione ed accolta dal primo giudice, sul rilievo che era stata formulata, senza le necessarie allegazioni in fatto e diritto, con riferimento all’art. 2948, n. 4, in termini, quindi, non pertinenti al rapporto giuridico dedotto in giudizio, atteso che non si trattava di rapporto di impiego pubblico (prospettazione su cui si fondava il difetto di giurisdizione ordinaria, eccepito dall’amministrazione in primo grado) e di responsabilità contrattuale; liquida il risarcimento nell’importo di Lire 13.000.000 annue (Euro 6.713,93) secondo il parametro fornito dall’art. 1, comma 1, l. n. 370/1999 (borsa di studio annuale per i medici ammessi presso le università alle scuole di specializzazione in medicina dall’anno accademico 1983-1984 all’anno accademico 1990-1991, in attuazione di giudicati amministrativi), con l’aggiunta della rivalutazione monetaria e degli interessi legali dalla maturazione del credito, fissata alla data del 5 novembre 1992.

3. Il ricorso del Ministero si articola in cinque motivi; resiste con controricorso Enrico C., ulteriormente precisato con memoria depositata ai sensi dell’art. 378 c.p.c.

CONSIDERATO IN DIRITTO

1. Il controricorrente eccepisce l’inammissibilità del ricorso per mancanza dell’esposizione dei fatti di causa.

1.1. L’eccezione è priva di fondamento atteso che il ricorso contiene la trascrizione integrale della sentenza impugnata e ciò comporta l’inammissibilità dell’atto soltanto allorché dall’esposizione contenuta nel provvedimento riprodotto non sia possibile risalire in modo esauriente alle vicende di fatto e alle questioni in diritto oggetto del contendere (vedi Cass. 25 gennaio 2006, n. 1473). I contenuti della sentenza impugnata, invece, come risulta dai riferimenti contenuti in narrativa, sono tali da soddisfare il requisito dell’esposizione sommaria dei fatti della causa prescritto dall’art. 366, n. 3, c.p.c.

2. Il primo motivo di ricorso, con il quale l’amministrazione pone, sotto vari profili, la questione dell’appartenenza della controversia alla competenza del giudice amministrativo, è inammissibile per la preclusione derivante dal giudicato interno.

2.1. Nel caso di specie, il giudice di primo grado aveva esplicitamente rigettato l’eccezione di difetto di giurisdizione ordinaria sollevata dal Ministero. La parte vittoriosa sul merito, ma soccombente su tale questione pregiudiziale, aveva, pertanto, l’onere di riproporre la questione, ai sensi dell’art. 346 c.p.c., per superare la presunzione di rinuncia derivante da un comportamento omissivo (vedi, tra i numerosi precedenti, Cass., sez. un., 19 febbraio 2007, n. 37179). Non risulta dalla sentenza impugnata che l’eccezione di difetto di giurisdizione ordinaria sia stata riproposta, né la ricorrente allega l’avvenuto assolvimento dell’onere indicato.

3. Il secondo motivo di ricorso denuncia violazione degli artt. 112, 345 e 346 c.p.c., unitamente a vizio di motivazione, per avere il giudice dell’appello deciso su domanda risarcitoria non proposta in primo grado. Si formula il quesito di diritto nel senso che, in tema di formazione specialistica del medico europeo, la domanda di pagamento di adeguata remunerazione è fondata su elementi diversi da quelli di una pretesa risarcitoria.

3.1. Il motivo non è fondato.

È pacifico che la domanda proposta dal C., laureato in medicina ammesso alla frequenza di corso universitario di specializzazione (nella specie, a partire dal 1988), di condanna della pubblica amministrazione al pagamento in suo favore del trattamento economico pari alla borsa di studio per la frequenza di detto corso, richiamando il complessivo quadro normativo, assumeva a causa petendi l’obbligo dello Stato di trasposizione, nel termine prescritto, delle direttive comunitarie (ed in particolare, della direttiva n. 82/76/Cee) prevedenti l’obbligo di retribuire la formazione del medico specializzando e rivendicava il diritto al pagamento in base alla normativa nazionale di trasposizione (d.lgs. 8 agosto 1991, n. 257).

Secondo la giurisprudenza consolidata della Corte, il principio della corrispondenza tra il chiesto e il pronunciato, fissato dall’art. 112 c.p.c., implica unicamente il divieto per il giudice di attribuire alla parte un bene non richiesto o comunque di emettere una statuizione che non trovi corrispondenza nella domanda, ma non osta a che il giudice renda la pronuncia richiesta in base ad una ricostruzione dei fatti di causa – alla stregua delle risultanze istruttorie – autonoma rispetto a quella prospettata dalle parti, nonché in base all’applicazione di una norma giuridica diversa da quella invocata dall’istante (vedi Cass. 20 giugno 2008, n. 16809; 19 ottobre 2006, n. 22479; Cass., sez. un., 21 febbraio 2000, n. 27; con riguardo specifico ai poteri del giudice di appello: Cass. 19 luglio 2002, n. 10542).

3.2. Nel caso di specie, deve escludersi che il giudice di appello abbia esaminato questioni non dedotte, tali da alterare l’oggetto sostanziale della domanda e i termini della lite, introducendo un tema d’indagine e di decisione non prospettato dalle parti.

La giurisprudenza della Corte ha reiteratamente precisato che, prima del loro recepimento nell’ordinamento interno, avvenuto con la l. n. 428 del 1990 e con il d.lgs. n. 257 del 1991, le direttive CEE 362/75 e CEE 82/76, che prevedevano l’adeguata remunerazione per la partecipazione alle scuole di specializzazione afferenti alle facoltà di medicina che comportasse lo svolgimento delle attività mediche del servizio in cui si effettuava la specializzazione, con dedizione a tale formazione pratica e teorica per l’intera settimana lavorativa e per tutta la durata dell’anno secondo le disposizioni fissate dalle autorità competenti, non erano applicabili nell’ordinamento interno in considerazione del loro carattere non dettagliato, che – come precisato anche dalla Corte di Giustizia CE, sentenza 25 febbraio 1999, causa C-131/97 – non consentiva al giudice nazionale di identificare il debitore tenuto al versamento della remunerazione adeguata, né l’importo di quest’ultima; conseguentemente, che la mancata trasposizione fa sorgere, conformemente ai principi più volte affermati dalla Corte di giustizia, il diritto degli interessati al risarcimento del danno cagionato per il ritardato adempimento, consistente nella perdita della chance di ottenere i benefici – essenziali per consentire un percorso formativo scevro, almeno in parte, da preoccupazioni esistenziali – resi possibili da una tempestiva attuazione delle direttive medesime (Cass. 11 marzo 2008, n. 6427; 9842 del 2002).

3.3. Il giudice del merito, quindi, ha proceduto correttamente all’assolvimento del compito istituzionale di qualificazione della pretesa azionata, considerato altresì che non è inquadrabile nell’ambito del rapporto di lavoro subordinato, né rientra fra le ipotesi della cosiddetta parasubordinazione (art. 409, n. 3, c.p.c.), l’attività svolta dai medici iscritti a scuole di specializzazione nell’ambito delle strutture nelle quali la specializzazione viene effettuata, non potendosi ravvisare una relazione sinallagmatica di corrispettività fra la suddetta attività e gli emolumenti previsti a favore degli specializzandi (qualificati come borse di studio dall’art. 6 del d.lgs. 8 agosto 1991, n. 257, di attuazione della direttiva del Consiglio C.E.E. n. 82/76); la suddetta attività consiste, infatti, in prestazioni finalizzate essenzialmente a consentire la formazione teorica e pratica del medico specializzando e non già a procacciare utilità alle strutture sanitarie nelle quali essa si svolge, per cui gli emolumenti per esso previsti sono sostanzialmente destinati a sopperire alle sue esigenze materiali in relazione all’attuazione dell’impegno a tempo pieno per l’apprendimento e la formazione; né rileva in contrario il fatto che la citata direttiva C.E.E. abbia previsto, per la formazione a tempo pieno dei medici specializzandi, il riconoscimento di un’adeguata remunerazione, atteso che essa vincola gli Stati membri limitatamente al risultato da raggiungere, e non già in ordine alla forma ed ai mezzi da adottare (vedi Cass. 16 settembre 1995, n. 9789).

3.4. Neppure, ai fini del giudizio di fondatezza della denuncia di violazione dell’art. 112 c.p.c., rileva il consolidato orientamento giurisprudenziale secondo il quale, in linea di principio, le domande di risarcimento del danno da responsabilità aquiliana e da responsabilità contrattuale si fondano su elementi di fatto diversi da quelli che sostengono le pretese di adempimento. sia sotto il profilo oggettivo sia sotto quello soggettivo, in relazione non solo all’accertamento della responsabilità, ma anche alla determinazione dei danni, cosicché incorre in vizio di ultrapetizione il giudice d’appello che operi d’ufficio la riqualificazione della domanda risarcitoria proposta in primo grado (vedi Cass. 28 gennaio 2004, n. 1547; 7 ottobre 1998, n. 9911).

Come già si è rilevato, infatti, nel caso di specie nulla è stato aggiunto o tolto al complesso dei fatti addotti dall’attore a sostegno della domanda, essendosi limitato il giudice dell’appello a qualificare la pretesa di pagamento come pretesa risarcitoria derivante dal c.d.

Cassazione Civile sez.II 24/4/2009 n. 9852 Circolazione stradale, identificazione conducente (2009-05-19)

(omissis) Premesso che con la sentenza indicata in epigrafe il Giudice di pace di Rimini ha respinto l’opposizione proposta dalla … avverso verbale di contestazione di violazione dell’art. 126 bis codice della strada, elevato il 23 marzo e notificatole il 30 marzo 2004 dalla Polizia Municipale di Rimini per omissione della comunicazione, richiesta dalla Polizia, delle generalità e dei dati della patente di guida del conducente di un autoveicolo di proprietà della cooperativa, con il quale era stata commessa violazione dell’art. 142, comma 9, del medesimo codice contestata l’8 novembre 2003;

che l’opponente ha quindi proposto ricorso per cassazione per cinque motivi, cui ha resistito l’intimato Comune di Rimini con controricorso, illustrato anche da memoria.

Considerato che con i primi tre motivi di ricorso – da trattare congiuntamente attesa la loro connessione – si lamenta, denunciando sia violazione di norme di diritto sia vizi di motivazione, che il Giudice di pace non abbia tenuto in alcun conto le giustificazioni della mancata comunicazione delle generalità e dei dati della patente del conducente addotte dall’opponente, la quale aveva tempestivamente risposto alla richiesta della Polizia Municipale facendo presente di non essere a conoscenza di quanto richiestole, per il lungo tempo trascorso e perché quasi tutti i suoi dipendenti potevano utilizzare gli autoveicoli aziendali;

che manifestamente la censura non può trovare accoglimento, in quanto, pur avendo il Giudice di pace errato nel trascurare del tutto le giustificazioni addotte dall’opponente, tuttavia la sua decisione è conforme a diritto, ancorché necessiti di correzione ai sensi dell’art. 384, secondo comma, c.p.c. (come, del resto, già ritenuto da questa Corte nella sentenza n. 13748 del 2007 relativa a fattispecie analoga);

che, infatti, l’art. 126 bis, comma 2, c.d.s. (nel testo qui applicabile ratione temporis, risultante dalle modifiche introdotte con d.l. 27 giugno 2003, n. 151, conv., con modif., dalla l. 1° agosto 2003, n. 214) pone a carico dei proprietari di autoveicoli un dovere di tenersi informati delle generalità e dei dati della patente di guida dei conducenti dei medesimi: dovere implicito in quello di comunicazione agli organi di polizia stradale e la cui violazione, con la conseguente violazione del dovere di comunicazione, comporta l’applicazione della sanzione pecuniaria di cui all’art. 180, comma 8, c.d.s.;

che gli eventuali “giustificati motivi” della violazione di tale dovere possono rilevare, se non ai sensi dell’art, 180, comma 8, cit. (che espressamente fa salva l’esistenza di un “giustificato motivo” di inottemperanza all’obbligo ivi contemplato), richiamato dall’art. 126 bis, comma 2, cit., solo nella parte sanzionatoria e non anche nella parte precettiva (ma si veda, per completezza, l’art. 2, comma 164, lett. b), d.l. 3 ottobre 2006, n. 262, conv., con modif., dalla l. 24 novembre 2006, n. 286 – qui dunque non applicabile ratione temporis – che ha introdotto anche nel richiamato secondo comma dell’art. 126 bis c.d.s. la salvezza del “giustificato e documentato motivo” di inottemperanza all’obbligo di comunicazione), certamente ai sensi del principio generale di colpevolezza di cui all’art. 3 l. 24 novembre 1981, n. 689;

che dunque è sempre consentito al preteso trasgressore dell’art. 126 bis, secondo comma, c.d.s. dimostrare di non essere in colpa avendo fatto tutto quanto dovuto, secondo l’ordinaria diligenza, per tenersi informato delle generalità e dei dati della patente dei conducenti degli autoveicoli di sua proprietà, sì da essere in condizione di comunicarli, all’occorrenza, agli organi di polizia (e ciò, conformando la previsione normativa di cui si discute al richiamato principio generale del sistema sanzionatorio amministrativo, manifestamente consente di superare i dubbi, cui si fa cenno in ricorso, di violazione dei principi costituzionali, di cui agli artt. 3, 24, 27 e 111 Cost.);

che però la giustificazione addotta nella specie dall’opponente – cioè l’esserle stato, in definitiva, impossibile comunicare le informazioni richieste per il gran tempo trascorso e per la complessità dell’organizzazione aziendale – è manifestamente insufficiente e inadeguata, perché né il trascorrere del tempo (non lungo, peraltro, nella specie), né la complessità dell’organizzazione o l’elevato numero dei dipendenti sono, di per sé, ostativi alla diligente registrazione – ai fini della successiva, eventuale comunicazione – dei conducenti degli autoveicoli;

che il quarto motivo di ricorso, con cui si denuncia violazione dell’art. 23, sesto comma, l. n. 689/1981, sui poteri istruttori del giudice di pace, e dell’art. 112 c.p.c., è inammissibile essendo le censure formulate in termini del tutto generici;

che del pari inammissibile per genericità delle censure è il quinto motivo, con cui si denuncia violazione dell’art. 23, comma dodicesimo, l. n. 689/1981 osservando che il giudice avrebbe dovuto accogliere l’opposizione in difetto di sufficienti prove di responsabilità; che il ricorso va, in conclusione, respinto, con condanna della ricorrente alle spese del giudizio di legittimità, liquidate in dispositivo.

P.Q.M.

La Corte rigetta il ricorso e condanna la ricorrente alle spese processuali, liquidate in euro 500,00, di cui 400,00 per onorari, oltre spese generali ed accessori di legge (omissis)